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di Carlo Verdelli*

Cari lettori, non è difficile immaginare che cosa state provando, che sacrifici state facendo, quanti dolori e privazioni state sopportando, senza neanche sapere bene quando questo avrà fine. Non è difficile immedesimarsi nella sofferenza dei bambini, costretti a una lunga stagione senza gli amici, senza la scuola, senza l’aria da mangiarsi a bocca aperta correndo in un cortile o in un prato.

Non è difficile patire insieme a quell’Italia ferita e smarrita e smagrita, che sa bene cosa l’aspetta alla fine del tunnel dell’epidemia: sacrifici, sacrifici e ancora sacrifici. E poi le scene delle bare, delle corsie con esseri umani stremati dentro a strani caschi, dei medici e degli infermieri che hanno dato letteralmente la vita cercando di salvare quella degli altri.

La falce del coronavirus ha spezzato in due le nostre esistenze, in un prima che sembra lontanissimo e in un dopo, quello nel quale siamo ancora immersi, che richiederà molta forza e altrettanto coraggio per essere affrontato senza lasciarsi prendere dallo sconforto o dalla furia.

Da Repubblica abbiamo cercato di raccontare tutto questo, come è nella storia lunga di questo grande giornale. Raccontare, cercare di capire, provare a spiegare in modo trasparente: il giornalismo non è un affare complicato. E’ un mestiere civile, che richiede devozione e passione. La redazione che ho avuto l’onore di guidare in questi 14 mesi è stata formata su questi principi, li applica in automatico, che si tratti di politica o di finanza, di cultura o di qualsiasi altro argomento di cui è intrecciato il nostro presente.

Eugenio Scalfari, nel 1976, ha creato il dna di questa scuola di giornalismo e i pochi direttori che gli sono succeduti, a cominciare da Ezio Mauro e poi da Mario Calabresi, l’hanno fatta crescere, gli hanno aggiunto ingredienti, ne hanno rafforzato l’identità.

Ho parlato tante volte, durante questo mio viaggio, con Eugenio e Ezio, e molto ho imparato dalla sapienza di entrambi. Soprattutto ho imparato, in un corso accelerato, quale sia l’anima profonda di questo giornale, quanto abbia a che fare con i valori forti della democrazia, dell’indipendenza, della libertà.

Sabato sarà il 25 aprile, la festa sacra e laica della Liberazione. Repubblica la onorerà con un impegno particolare, visto il momento che il Paese sta attraversando. Sarà il nuovo direttore, Maurizio Molinari, a cui va il mio in bocca al lupo, a guidare il giornale in un momento che sarà insieme di memoria e di voglia di rinascita.

Lo seguirò da lettore, con l’attaccamento appassionato per un giornale che è qualcosa di più di un giornale, per una comunità di lettori che ne è la ragione prima di esistenza, per una redazione con la quale è stata una fortuna condividere questo viaggio.

Partigiani si nasce, e non si smette di esserlo.(repubblica.it)

*Già direttore di Repubblica

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