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di Carlo D'Arrigo*

Il Rock’n roll che aveva segnato gli anni ’50 era diventato familiare ai giovani e, soprattutto, alle famiglie dei giovani ancora intrise di puritanesimo medioevale che vedevano in quei movimenti del corpo a tratti i segni della ribellione a tratti quelli della cupidigia. Non era più un ritmo anticonformista ed entrava di diritto nei balli pomeridiani che si andavano diffondendo nei salotti delle nascenti generazioni. All’inizio degli anni ’60 il movimento Beat, e i musicisti del nuovo ritmo, vantano atteggiamenti provocatori, portano i capelli lunghi, vivono in comunità, sono pacifisti e anti-razzisti. E, soprattutto, sono lontani dalle “bigotterie” europee e hanno il coraggio di interessarsi alle religioni orientali.

La musica Beat recupera molti aspetti del Rock’n roll, e accentua l’uso di nuovi strumenti e soprattutto fa tesoro dell’amplificazione elettronica di grande impatto psicoacustico. I complessi Beat più importanti del decennio sono i Beatles e i Rolling Stones. Il complesso dei Beatles nasce a Liverpool nel 1961 con quattro elementi: John Lennon, Paul McCartney, Gorge Harrison e Ringo Starr. La caratteristica delle loro canzoni è la fusione di elementi del blues e del rock con richiami alla musica popolare britannica. I Beatles ebbero un successo enorme, ancor oggi non esaurito. Ottennero persino il titolo di baronetti dalla Regina d’Inghilterra, ma solo per meriti economici e non certo musicali, il cui ritmo non era sicuramente gradito alla Regnante. I Rolling Stones, un gruppo guidato da Mick Jagger storico Frontman del gruppo, è un complesso rock, con parole e voci che richiamano l’intolleranza e persino la rivoluzione sociale, trovando terreno fertile nella rabbia sociale di allora e contestando il razzismo e l’appena nata guerra in Vietnam.

 

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Sono le canzoni di protesta del decennio, e un capofila è Bob Dylan che nel 1963 pubblica Blowin’ in the Wind (Soffia nel vento) e Masters of War (I Padroni della guerra). Scimmiottando i musicisti anglosassoni il fenomeno “ribelle” si diffuse in tanti Paesi europei e oltre oceano. Sul palco i musicisti assumevano comportamenti violenti, provocatori e ribelli. A fine concerti distruggevano gli strumenti sbattendoli per terra o strappando le corde degli strumenti “liutari”. Da notare che proprio in quel periodo gli strumenti musicali diventano sempre più potenti ed elaborati sotto l’aspetto dell’amplificazione elettroacustica. Nascono infatti marchi commerciali di amplificatori che hanno fatto la storia della musica Rock e Beat come Gibson e Vox in Inghilterra, Fender e Marshall in America e Davoli, Eko, Lombardi e Montarbo in Italia, tutti nomi di apparati di grande potenza che riempiono le piazze e i teatri di suoni “assordanti”. Si tratta di Brand che, uno per uno, hanno caratterizzato la timbrica e la voce dei singoli Complessi, legando il marchio ai nomi degli artisti. In Italia più che ritmi di protesta nascono canzoni che “raccontano e lamentano” la protesta. E’ il caso di Gino Paoli, Fabrizio De André, Francesco Guccini, Rino Gaetano, Eugenio Finardi, Umberto Bindi, Luigi Tenco, Enzo Jannacci, Giorgio Gaber e l’elenco può continuare ma ho citato i più conosciuti. E, forse, i più ribelli. Infatti erano considerati “ribelli” perché cantavano urlando e per la continua protesta sociale.

Numerose canzoni di protesta degli anni sessanta sono divenute celebri, come ad esempio “La guerra di Piero”, un brano di De André del 1964 contro la guerra, “Viva l’Italia” e “Generale” di De Gregori, “Mio fratello è figlio unico” di Rino Gaetano. E tanti e tanti ancora che porterebbero ad un estenuante elenco. Ma c’erano anche, e vorrei dire soprattutto, le canzoni melodiche e le canzoni che richiamavano l’amore in tutte le sue forme e sulle cui note si sono intrecciati legami per tutta la vita e baci per un’estate che non doveva finire mai. Le canzoni italiane anni 60 oggi sono molto considerate degli evergreen tanto che sono nati canali radiofonici che propongono solo “anni 60”. Canzoni belle e orecchiabili che richiamano il boom economico, lo sviluppo tecnologico, la gioia di vivere e che ancora oggi suonano una carica di ottimismo e buonumore. Nascono eterni Festival e concorsi canori per lo più in località sconosciute. Le voci nuove a Castrocaro, il Cantagiro che dal 1962 al 1971 fa una sorta di “giro d’Italia” della canzone, il Festivalbar che propone le nuove canzoni da juke-box e il Disco per l’Estate. I re delle stagioni estive erano, ovviamente, i cantanti confidenziali. Come si può dimenticare “E la chiamano estate” di Bruno Martino o “Tre settimane da raccontare” di Fred Bongusto.

A guidare le classifiche e lo sviluppo del turismo di massa erano le “canzoni da spiaggia” con i relativi nuovi balli. Prima, forse, “Legata a un granello di sabbia” cantata da Nico Fidenco nel 1961, poi arrivò Edoardo Vianello con canzoni molto orecchiabili come “Con le pinne fucile e occhiali” e “Abbronzatissima”, e ancora Gino Paoli con “Sapore di sale”. Le case discografiche legarono la canzone al cantante che la lanciava, mentre fino agli anni ’50 la stessa canzone era interpretata da diversi cantanti e con stili differenti. Questa personalizzazione creò il fenomeno del divismo canoro inventando i fans dello specifico artista. Nel 1962 Rita Pavone e Gianni Morandi, entrambi diciassettenni, apparvero nel programma televisivo Alta Pressione trasmesso sul neonato secondo canale della Rai. Erano giovanissimi e sembravano avere un unico timbro vocale, senza grande estensione dinamica.

Una voce brillante e presente con cui Rita pavone poteva gridare “La partita di pallone” e “Datemi un martello” e Morandi poteva invocare la sua ragazza per “Farsi mandare dalla mamma a prendere il latte”. E poi la grande Mina che per chi ha vissuto quel periodo la tiene sempre nel cuore. “Vorrei che fosse amore” , “Se tu non fossi qui”, “Il Cielo in una stanza”, e tante altre che non possono essere considerate solo canzonette ma vere poesie di grande autore. E’ interessante scoprire come nasce Mina. Si faceva chiamare Baby Gate quando nel 1958 la Italdisc pubblicò su un 45 giri la sua prima canzone “Be bop a lula” e sul retro di questo “When”. Nel marzo 1959 Mina è invitata nella giovane trasmissione Lascia o Raddoppia di Mike Bongiorno dove canta la canzone “Nessuno”. Nell’aprile dello stesso anno è al Musichiere di Mario Riva dove, sbucando da dietro un Juke Box, canta ancora “Nessuno”. Ero piccolo davanti al televisore in bianco e nero di famiglia, rigorosamente da 21 pollici, e dopo oltre sessant’anni faccio fatica a non emozionarmi ricordando quella scena. Allora i Grandi delle sette note non sempre accordavano il loro plauso a queste nuove composizioni, ma la musica degli anni ’60 più che le corde del pianoforte e della chitarra toccava quelle del cuore, diffondendo la sua inconfondibile atmosfera e la gioia di vivere. Non dimenticherò mai la mia gioventù che mi ha permesso di conoscere cose fantastiche che oggi i giovani nemmeno immaginano. Purtroppo.
*fisico, Consulente di Acustica del Comune di Lipari
carlodarrigo47@gmail.com

 

SESSANT’ANNI DAGLI ANNI SESSANTA 

(Seconda parte) 

Noi, ragazzi di allora, li abbiamo vissuti intensamente e il solo ricordo ci riempie di gioia e di nostalgia. Erano gli anni sessanta. Quanti ricordi, si sognava veramente ad occhi aperti. Certo erano gli anni del boom economico, ma non solo. La lira fu premiata dal Financial Times come moneta più stabile, la crescita annua media era più alta delle più grandi economie mondiali. Disoccupazione, povertà ed analfabetismo andavano scomparendo. Nella Guerra Fredda, fra Americani e Unione Sovietica, l’Italia ricopriva un ruolo essenziale nel blocco filo-americano. In Europa era uno degli Stati più influenti e più propensi ad approfondire la cooperazione, e con la firma del Patto Atlantico, posta da Alcide Degasperi (e non De Gasperi) nel 1949, l’Italia entrava a far parte della NATO (acronimo di North Atlantic Treaty Organization).

Durante gli anni ’60 le tensioni tra Unione Sovietica ed USA si irrigidirono a causa della Rivoluzione Cubana, iniziata nel 1959, e della Guerra del Vietnam che iniziata nel ’55 durò fino al ’75. Le nazioni comuniste appoggiavano a Cuba e in Vietnam l’instaurazione di regimi di stile marxista mentre gli Stati Uniti cercavano di impedirne l’avvento. Lo scontro tra le due potenze non si limitava alla contrapposizione dei rispettivi interessi nazionali ma era una lotta ideologica per la libertà. La scelta fatta dall’Italia di entrare nella NATO ebbe conseguenze sul tessuto sociale del Paese. Infatti l’Italia da quel momento divenne legata, culturalmente ed economicamente, agli Stati Uniti. Il Paese aveva intrapreso una strada ben marcata, trasformandosi in un’economia capitalista.

E’ stato un bene? credo di si, ma gli analisti, esperti, non sempre si trovano d’accordo. Erano gli anni in cui lo Stivale si affermava come una delle maggiori potenze economiche e geopolitiche del pianeta, guadagnando un posto di prestigio fra i grandi del Pianeta, quelli che più tardi avrebbero dato vita al G6, al G7 e al G8. Ma gli anni ’60 non rappresentarono solo il boom economico. Sono stati anni mitici in tutti i sensi. Tutto era splendido, la vita stessa era bella da vivere. Sembravamo tutti spensierati, al contrario di quanto accade nei giovani d’oggi. L’Italia cominciava ad entrare nel pieno della crescita economica e i giovani erano i veri protagonisti. Il futuro era tutto dalla loro parte, e sembrava “Senza Fine”. Gino Paoli cantava appunto Senza Fine, si riferiva certo ad un possibile “Amore Eterno” ma l’ispirazione del titolo sembrava proprio riferirsi ad una sorta di eterno benessere sociale, realmente Senza Fine. Gli anni Sessanta videro i giovani darsi un’identità collettiva trasgressiva e conflittuale. Un esempio fu la cultura “beat”, un insieme di mode che volevano segnare discontinuità rispetto al passato. In campo musicale nacquero numerosi complessi che veicolavano una musica alternativa rispetto a quella degli adulti. Il look imponeva i jeans e i capelli lunghi per i ragazzi, le minigonne per le ragazze, tutte mode per trasmettere i nuovi messaggi di vita e rifiutare l’autoritarismo e il perbenismo degli adulti. Si cercavano relazioni vere e profonde fra i coetanei per sostenere la pace e la creatività. La scolarizzazione di massa portò ad identificare la gioventù Beat con la categoria degli studenti. Il loro desiderio di vivere insieme e fuori dal mondo famigliare favorì la nascita di numerose associazioni all’interno delle scuole superiori e delle università. Fiorivano i giornalini d’istituto con cui i ragazzi diffondevano le loro idee sui temi del momento come la guerra in Vietnam o l’educazione sessuale. Questa stampa fu sempre controllata e censurata dai presidi e dalle autorità universitarie. Il caso più famoso fu quello del giornalino “La Zanzara” del Liceo Parini di Milano, che nel 1966 pubblicò un’inchiesta dal titolo “Che cosa pensano le ragazze d’oggi?”, ma a seguito di questa tre studenti, il preside e la tipografia furono incriminati per pubblicazione di stampa oscena. Sarebbe accaduto oggi? Difficile pensarlo! La rivolta del Sessantotto interessò soprattutto il mondo della formazione, vista come una società autoritaria e antidemocratica. Era il tempo delle occupazioni di scuole e aule universitarie e delle lezioni autogestite. Ma il Sessantotto significò anche la condanna di ogni forma di guerra, lotta per i diritti dei più deboli e lotta alle istituzioni tradizionali che imponevano acriticamente leggi dall’alto. La società diventava più laica e meno autoritaria. Nel prossimo pezzo parlerò di quell’argomento che, più di altri, fa ancora ricordare gli anni ’60: la musica, anzi i Favolosi Anni Sessanta.


Nel 1950 l’Italia non è più “regime” e la Libertà democratica è garantita dalla Carta Costituzionale e dai Democratici Cristiani, filo-americani, guidati da Alcide De Gasperi. Archiviato il piano di aiuti “inventato” dagli Americani subito dopo la Seconda Guerra e conosciuto come piano Marshall, dal nome del suo ideatore Generale Marshall, gli anni ’50 segnano, per il nostro Paese, l’inizio del boom economico.

L’abbassamento del costo del lavoro spinge gli investimenti esteri ed interni e l’ondata migratoria dal Sud al Nord riduce fortemente la disoccupazione. Non si va più oltre oceano, ma nei grandi “dormitori” di periferia fatti costruire appositamente nelle Città industriali del nord, Milano e Torino soprattutto. Gli aiuti americani non si fermarono all’Italia ma supportarono tutta l’economia europea.

La facilità con cui gli Stati potevano accedere a materie prime e beni di prima necessità servì ad arginare l’estrema povertà del dopoguerra. Ben diversamente dagli odierni prestiti europei, l’aiuto degli americani ai Popoli Liberi diede immediato respiro all’economia reale e permise all’Europa “tutta” di mettere in ordine le finanze e, soprattutto, investire in nuove grandi opere pubbliche.

Aiuti finanziari immediati, senza burocrazia, che oggi fanno pensare a come è stato ricostruito l’attuale ponte di Genova e contrastano le masturbazioni mentali cui assistiamo per gestire i prestiti Europei. L’intervento pubblico in Italia sull’economia è stato ben più importante che non negli altri Paesi europei. L’IRI, l’Ente di Ricostruzione Industriale, creato in epoca fascista con lo scopo di salvare banche e industrie dai fallimenti causati dalla crisi del 1929, divenne nella nuova Repubblica lo strumento con cui lo Stato influenzava l’andamento dei mercati.

L’IRI fu il vero catalizzatore della nascita della grande industria e delle nuove infrastrutture necessarie per la ricostruzione del Paese, come le autostrade. E’ il 1950 quando De Gasperi crea la cassa per il Mezzogiorno finalizzata a promuovere lo sviluppo industriale al Sud. Furono istituiti consorzi, promossi da Comuni e Camere di Commercio, e costruite tutte le infrastrutture necessarie a ospitare i nascenti complessi industriali.

Una “vera potenza di fuoco”, reale e non fantasiosa. Ezio Vanoni, Ministro delle Finanze, nel 1951 vara la Legge Vanoni, una riforma radicale del sistema tributario che introduce l’obbligo della dichiarazione dei redditi e apporta una drastica riduzione delle aliquote da pagare per favorire “veramente” il ceto basso ed i lavoratori autonomi. Nel 1954 si approva il Piano Vanoni, un programma decennale che delinea le linee guida da seguire per risolvere i problemi della povertà, della disoccupazione e del divario crescente tra Nord e Sud.

Tanto, tanto lavoro e poca disoccupazione e niente assistenzialismo. Durante gli anni ’50 avviene il grande passo dell’organizzazione produttiva, economica e sociale dal tempo dell’Unità d’Italia. Il Prodotto Interno Lordo -PIL- acronimo oggi sulla bocca di tutti, schizza all’8-10 % annuo, creando quel Miracolo Economico che sprona gli Italiani a dotarsi di beni durevoli come la casa di proprietà.

Alle soglie degli anni ’60 l’Italia si trasforma in una delle più importanti potenze industriali dell’Occidente. E’ l’epoca della nascita di grandi marchi iconici, nell’automobilismo, nella moda, nel cinema, che resero celebre l’Italia e l’italianità in tutto il mondo. Il 9 marzo 1955 nel Palazzo delle Esposizioni di Ginevra viene presentata la Fiat 600, la macchina del Popolo come l’avrebbe chiamata dieci anni prima il dittatore Nazista di Germania quando lanciò il Maggiolino della Volkswagen. Ma la 600 era destinata ai nuovi Popoli liberi, desiderosi di vivere e fare.

Dotata di due portiere e con una abitabilità sufficiente per 4 persone, montava un motore di 633cm3 posto in posizione posteriore ed erogante una potenza di 21,5CV. Oggi diremmo “appena” 21,5 CV ma con il suoi 95 km/h di velocità faceva gioire i nuovi e rinati Italiani. Il prezzo di listino era di 590.000 lire e avrà uno strabiliante e inaspettato successo di vendite. Chiaramente l’arma vincente fu il basso costo di acquisto e di gestione, 14 km con un litro di benzina, con una tassa di circolazione di sole 10.000 lire.

Ma lo sprono all’acquisto lo diede la grande diffusione del “pagherò”, o cambiale, che permetteva di differire l’acquisto dei beni. E’ il 3 gennaio del 1954 quando nasce la Televisione. Il nuovo media di massa, per chi poteva permetterselo considerato che i primi televisori costano da 250 a 400 mila lire, fa intravedere un benessere mai conosciuto nella Terra italica e, in specie, unifica la lingua italiana e il sapere in tutto lo stivale.

Nasce la voglia di sognare e divertirsi e voltare definitivamente pagina. Un’epoca che ha segnato il nostro immaginario in modo indelebile e che ancora oggi fa sognare milioni di persone.

*fisico, Consulente di Acustica del Comune di Lipari carlodarrigo47@gmail.com

 

AVEVAMO PAURA DELLE ARMI ATOMICHE

Le armi nucleari sono state sempre citate quando si parla di mezzi di estrema potenza destinate a distruggere, o mutilare profondamente, il genere umano e il creato. Eppure le armi nucleari sono le ultime arrivate nella storia delle armi di distruzione di massa. Nonostante la loro “giovane età” (esistono dal 1945) le armi nucleari sono state capaci di modificare profondamente la Storia e l’intera esistenza dell’uomo. Se si pensa al fungo atomico che illuminò Hiroshima e Nagasaki il 6 e 9 agosto del 1945, si è subito colti dallo magone al pensiero che in pochi istanti quell’unica bomba, la famosa Little boy, polverizzò le vite di oltre centomila esseri umani. La ricerca di strumenti in grado di sopraffare il nemico è sempre stata centrale nei sistemi politici e militari. Certo, finché la dimensione bellica era confinata in dimensioni locali o non era sostenuta da una ricerca tecnologica forte come quella degli ultimi secoli, i conflitti si limitavano all’utilizzo di armi che oggi definiamo “convenzionali”.

Era quindi prassi che gli armamenti possedessero sempre una letalità contenuta e, soprattutto, controllabile. Nel 1347 era già usanza romana quella di lanciare cadaveri appestati all’interno di città assediate, ma anche i nemici rispondevano con modalità similari. La follia è stata sempre collettiva. Ma allora bastava allontanarsi sufficientemente dal “corpo infetto” per non infettarsi. Non eravamo ancora alle armi di distruzione di massa e, per raggiungere tale definizione si dovrà attendere il ventesimo secolo con l’arrivo della “guerra totale” di Hitleriana memoria. All’inizio della seconda guerra mondiale le bombe atomiche non esistevano ancora, e quelle biologiche erano ancora in fase di sperimentazione. I bombardamenti a tappeto avvenuti nella seconda guerra mondiale, a partire da quello della città inglese di Coventry da cui Conventrizzare per dire “distruggere tutto”, destarono enorme impressione per l’altissimo tasso di vittime civili. Ma in questi casi si trattava pur sempre di mezzi militari convenzionali, adottati su vasta scala.

In ogni caso la scelta di usare in modo più o meno esteso i bombardamenti non era legata alla tecnologia delle armi, ma solo a scelte strategiche. Un’arma che oggi possiamo chiamare di “distruzione di massa” era stata però già sperimentata nel corso della prima guerra mondiale sul fronte occidentale. Erano i gas asfissianti, utilizzati per annientare il nemico in maniera assurda, dolorosa e totalmente disumana. La comparsa di queste nuove armi avvenne nel corso della prima guerra mondiale e, in specie, nell’attacco della cittadina belga di Ypres da parte dei Tedeschi. Qui i guerrieri di Germania, con folle e cinico pensiero, scaricarono tonnellate di cloro (di-cloroetilsolfuro), tanto da rendere l’aria irrespirabile e uccidere intere truppe delle posizioni francesi dislocate nella città di Ypres.

Da allora il gas venefico citato venne chiamato Yprite. Così nel 1915 iniziò l’era delle armi biologiche su vasta scala. Diverso corso ebbe l’impiego dell’arma nucleare. Le potenzialità belliche dell’atomo furono scoperte alla fine del XIX secolo grazie a scienziati come l’italiano Enrico Fermi e l’americano Robert Oppenheimer che, per primi, svilupparono la capacità offensiva nucleare mettendo a disposizione delle Forze americane la prima vera arma di distruzione di massa, la bomba atomica. Dalla fine degli anni “40 il confronto bipolare fra Occidente e Unione Sovietica si svolse costantemente sotto la minaccia nucleare, perfezionando sempre più i vettori e le tecnologie nucleari . Se le armi nucleari furono gli attori della guerra fredda il mondo post-bipolare ha, forse, qualcosa di cui dovrà preoccuparsi.

L’epidemia di coronavirus è entrata prepotentemente nelle nostre vite, come un’inattesa dichiarazione di guerra, come una catastrofe imprevedibile. In meno di un anno la stabilità del pianeta, la salute pubblica e l’equilibrio economico sono stati fatti saltare come mai era accaduto dalla fine della Seconda Guerra mondiale, in maniera ancor più incisiva di quanto avrebbe fatto un’esplosione atomica. Finirà tutto con terapie cortisoniche e vaccini? Basta essere ottimisti e credere nella buona fede dei popoli evitando, al momento, di minare la nostra vita e diventar pazzi per la paura.

LA GENTE AMA I CARABINIERI

Scriveva ieri il Direttore Bartolino Leone: “Panarea - Ricomincia la bella stagione e nella piccola isola delle Eolie ritornano i Carabinieri. Si insedieranno domani (ndr, cioè oggi). Il comandante e i militari dell'arma garantiranno una certa tranquillità, tenuto conto che Panarea è senza forze dell'ordine. Saltuariamente da Lipari arriva la polizia municipale”.

Perché la gente ama i Carabinieri? I Carabinieri sono uomini “formati” al coraggio e a ubbidire, da sempre sono pagati male per il succedersi di governi miopi e del malaffare, non protestano “per definizione” e raramente ricevono un “grazie”. Nel nostro Paese dove la corruzione è di casa, dove si ammazza, dove gli anziani sono maltrattati nelle case di riposo e i bambini vengono strattonati negli asili, dove chi è ricco non paga le tasse e chi è povero non riesce a comprare il pane, in un paese dove si son persi i valori sani del comune vivere, l’unica riferimento su cui contare sono i Carabinieri. I Carabinieri sono nel cuore e sono nella fantasia della gente. La gente sa che se dovesse crollare tutto i Carabinieri saranno comunque presenti. I carabinieri rappresentano l’orgoglio italiano perché tutti i giorni lottano con coraggio, ma soprattutto senza paura contro le avversità, i soprusi, le angherie e l’iniquità sociale difendendo la gente e l’onestà.

A loro va un infinito grazie perché anche se gran parte dei rappresentanti dello Stato ha tradito la fiducia degli italiani, i Carabinieri continuano a dare l’immagine della parte sana delle istituzioni. Essere carabiniere significa donare alla comunità, servire sapendo di non ricevere nulla. Certo ci sono alcuni di loro che fuggono dal pericolo ma ci sono tanti che sono veri eroi che, come fu per Salvo d’Acquisto nel 1943, danno la vita per salvare compagni e popolazione. Ecco perché Panarea, come le altre Isole, attendono i Carabinieri a braccia aperte. A loro un profondo Grazie e vergogna per chi non li valorizza.

 

 

 

MOMENTI DI TRASCURABILE FELICITA’

Lo so è il titolo di un film, ma oggi è la giornata della felicità e ci sta bene. Credo che la felicità sia un’opzione innata nell’uomo, costruita di “default” per usare un termine informatico. Ma di tanto in tanto (frequentemente direbbe qualcuno) arrivano degli input che ci fanno “dimenticare” di essere felici. E’ quanto predica la Religione Cristiana, l’uomo è nato felice ma poi…è successo di tutto, da Adamo che prese la mela al peccato originale. E’ così? Bisogna aver fede! La felicità è un mistero e oggi la nostra società sembra volerci obbligare a essere felici proponendoci modelli sterili e stupidi. Avete mai visto una pubblicità dove il (o la) testimonial non ride? Sicuramente no. Sia se presenti una comunissima acqua minerale o presenti un dentifricio è sempre sorridente. Di cosa debba sorridere non è mai chiaro, ma ride perché il ridere si è reso sinonimo di felicità. Gli antichi Dei sono rappresentati belli e sempre giovani, sono dipinti davanti a tavole ricche di ogni ben di Dio o su artistici letti ad amoreggiare. E negli Dei il nostro fantastico riconosce la felicità. Avete mai visto, nei filmati d’epoca, Hitler sorridere? Certamente no. Lui aveva cancellato la felicità (che aveva di default) perché tutto attorno a se non rideva. E poi Hitler non faceva l’amore… anzi faceva la guerra. E allora cosa bisogna fare per essere felici? Forse nulla, si deve vivere allontanando dalla nostra vita i “virus” che possono modificare il programma di default che c’è in noi. Non vado pazzo per l’informatica ma i giovani, con queste parole sono felici. O no? E già, perché le parole che richiamano ciò che ci piace portano “felicità”. “Voglio vivere felice con tanti amici”, “Organizziamo una cena a casa tua”, “Incontriamoci per un aperitivo”. Sono frasi ricorrenti…per momenti di trascurabile felicità. E allora cos’è la felicità? È semplicemente la vita di tutti i giorni. Scrisse Albert Einstein “Una vita calma e modesta porta più felicità della ricerca del successo abbinata a una costante irrequietezza”. E poi sfatiamo il fatto che il denaro porti la felicità. Il denaro deve essere solo quello giusto al momento giusto. Un chicca che da “felicità” alle nostre Isole: uno studio ha confermato che abitare in località marine migliora la salute fisica e mentale, e mette anche di buonumore. Possiamo dire che alle Isole Eolie è vietato essere infelici.

3 marzo, Giornata dell’Udito

Un mio maestro amava ripetere “la cecità allontana le persone dalle cose, la sordità allontana le persone dalle persone”. L’ipoacusia è un fenomeno che investe ogni fascia di età, e per questo è importante intervenire immediatamente con una diagnosi precoce. Fare prevenzione, infatti, non solo ci permette di curare efficacemente la patologia, ma soprattutto consente di aiutare il Sistema Sanitario Nazionale evitando successivi ed elevati costi sociali. Più di 400 milioni di persone nel mondo soffrono di perdita di udito. Lo ricorda l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in occasione della Giornata internazionale per la cura dell’orecchio che si celebra il 3 marzo. La Giornata mira a sensibilizzare e promuovere l'assistenza uditiva in tutto il mondo. Oltre agli anziani affetti da presbiacusia, vi sono anche oltre 30 milioni di bambini sotto i 15 anni colpiti da perdita dell’udito e la causa principale sono infezioni dell’orecchio, semplici otiti facilmente curabili e diffuse soprattutto nei paesi a basso reddito. Malattie infettive come rosolia, meningite, morbillo e orecchioni acquisite durante la gravidanza possono causare la perdita dell’udito, oltre naturalmente all’esposizione a rumori eccessivi e cause genetiche. La sordità, oltre agli aspetti prettamente medici, impone riflessioni e azioni su tutto ciò che riguarda la percezione sonora della persona. Così educazione, informazione, comunicazione, collocamento al lavoro, vita sociale necessitano della funzione uditiva per una sempre migliore qualità della vita. Sempre secondo i dati OMS, il 50% dei casi di ipoacusia, infatti, può essere prevenuto semplicemente con una maggiore informazione e con l’adozione di corretti stili di vita soprattutto per i più giovani come non abusare di cuffie o auricolari, oppure utilizzare sempre i tappi per le orecchie quando si frequentano luoghi di lavoro o di intrattenimento particolarmente rumorosi. Quindi occhio alle orecchie per non isolarsi da chi ci sta accanto

DAL VINILE AL CD IN DUE PUNTATE
seconda parte

Nel 1969 la Philips inizia le ricerche sul disco ottico, il CD, invenzione rivoluzionaria che associa alla lettura laser dell’incisione una qualità di riproduzione ineguagliabile. Nel 1982, dopo un accordo con la Sony, la rivale di sempre della Philips, la stessa Philips lancia il CD nel mercato. È un vero successo: in 4 anni la vendita dei CD sorpassa quella dei dischi in vinile, e tutte le case discografiche sono costrette ad adeguarsi al nuovo formato. Il CD sfrutta la conversione del segnale elettroacustico (raccolto dai microfoni) in segnale digitale e immagazzina i dati nella forma ottica di presenza o assenza della riflessione di un raggio luminoso di tipo laser. E’ il principio di Si e No su cui si basa qualunque linguaggio informatico e che permette qualità elevatissime di dinamica sonora e di estensione dei toni, acuti e gravi. La voce e gli strumenti musicali ritrovano la perfezione e l’ascolto è privo di qualsivoglia artefatto rumoroso. I CD immagazzinano 700 Mb con un tempo di registrazione di oltre un’ora, ma negli anni ‘90 in loro soccorso arrivano i floppy disc e le chiavette dei pc su cui depositare non più Megabite ma Gigabite e con la possibilità di immagazzinare centinaia di ore di musica e canto. La registrazione su CD va via via sparendo per lasciare posto alla registrazione su chiavetta, una memoria “gigantesca” e di facile portatilità. La qualità di registrazione è legata alla tecnica o “protocollo” di registrazione. Si possono immagazzinare giorni interi di musica con qualità limitata utilizzando il protocollo MP3 o con qualità elevatissima applicando il protocollo WAV o altri più recenti. E il vecchio disco meccanico di Edison, di Bell e di Berliner che fine ha fatto? Beh, oggi molti audiofili preferiscono il suono «più caldo» dei dischi in vinile e c’è una corrente sempre più cospicua, soprattutto in ambito rock, contraria a un’eccessiva digitalizzazione. Si può dire che i dischi in vinile hanno ritrovato una nicchia di mercato attiva e rinnovata, pur rimanendo un settore quantitativamente irrilevante. La moda e il nuovo interesse per i vinili sono portati avanti da persone che li ascoltano da decenni, forse solo per meriti anagrafici, e da altre più giovani che trovano nei dischi uno degli oggetti più iconici del secolo scorso. La passione per i dischi in vinile si accompagna spesso a una buona conoscenza, sia della musica sia degli strumenti tecnici necessari per sentire la musica come piatti giradischi e amplificatori audio equipaggiati con le vecchie “valvole”. Cosa c’è di vero per preferire l’antico? Forse su qualcosa si può discutere, ma ben poco. La registrazione meccanica su disco, nata nel lontana 1877, sebbene riporti in modo analogica e senza conversioni di sorta la variazione di pressione sonora sotto forma di alterazione meccanica di un solco è pur sempre soggetta ai difetti dell’imprecisa deformazione meccanica. L’intervallo dinamico, e cioè il passaggio fra un suono debole e uno forte, è limitato dallo spazio offerto all’incisione meccanica che, pur se fortemente migliorato rispetto ai dischi di cento anni fa, rimane comunque limitato e non permette di registrare la grande variazione di intensità sonora proposta da una grande orchestra. Proprio per far fronte a questa limitazione il segnale elettro-acustico elaborato per la registrazione su disco è compresso nei suoi limiti massimi da specifici dispositivi chiamati “compressori” che riducono il dettaglio e il “fraseggio” dell’esecuzione musicale. E ancora i transienti o passaggi fra le varie frequenze, o toni, acuti e gravi sono inficiati dai fenomeni termici-deformanti e, quindi, anche temporali dell’incisione che degradano il suono immagazzinato. Se desideriamo dalle tecniche digitali alte prestazioni sonore non utilizziamo la tecnica MP3 e affidiamoci a protocolli di conversione di alta qualità che sacrificano si il tempo di registrazione ma ci danno l’emozione di un grande auditorio e di stare di fronte ad una grande orchestra. Il vinile, purtroppo, ha fatto il suo tempo e chi scrive lo rimpiange con nostalgia solo perché ha accompagnato la sua “infanzia”. “Ai miei tempi” il vinile era fantastico e i ricordi non si cancellano con le evoluzioni computeristiche del pur valido suono digitale.

 

DAL VINILE AL CD IN DUE PUNTATE prima parte

La prima forma di memorizzazione del canto e della musica fu la notazione musicale che aveva il solo scopo di archiviare la musica in un formato scritto e poter così riprodurre quanto scritto tramite strumenti meccanici come carillon o organi a rullo. Inizialmente gli strumenti di riproduzione erano tutt'uno con la memoria musicale, ovvero lo strumento era programmato per riprodurre quel singolo brano. Solo in seguito si son create memorie intercambiabili che potessero essere eseguite sullo stesso strumento di riproduzione suonando differenti brani. L'evoluzione dei supporti musicali ha seguito lo sviluppo della tecnologia. Partendo da strumenti meccanici capaci riprodurre suoni prestabiliti, come il carillon, si è passati a metodi diretti di memorizzazione della musica come la registrazione. Tale innovazione ha dato la possibilità di riprodurre ogni genere di suono e ogni genere di musica. La musica registrata nasce da alcune invenzioni come il fonografo a cilindri di stagnola di Thomas Alva Edison o il grafofono di Alexander Bell o il disco di Emile Berliner. L’avvento dell'elettricità e lo studio dei campi elettromagnetici hanno permesso lo sviluppo delle tecnologie a nastro magnetico che saranno superate dal passaggio alle tecnologie digitali grazie allo sviluppo di nano-tecnologie elettroniche che, ancor oggi, sono utilizzate. Accanto alla memorizzazione si sono evoluti mezzi che permettono di ascoltare canto e musica in modo continuo come la radio, la filodiffusione e, oggi, internet. L’esordio dell'incisione sonora è del 1877, quando Edison brevetta il “fonografo meccanico” capace di riprodurre i suoni tracciando dei solchi su un cilindro. Stranamente Edison è ricordato solo come l’inventore della lampadina mentre a lui si devono tante altre piccole invenzioni tecnologiche. Nascono le prime case discografiche come la Gramophone, poi divenuta "La voce del padrone", e nel 1908 in Francia si battezza il primo 78 giri. La puntina è costituita da un vero e proprio chiodo e l'altoparlante è una rozza e grossa tromba. La rotazione del disco è affidata a un meccanismo a molla con carica a manovella. In campo cinematografico la prima a scommettere sul sonoro sincronizzato con le immagini cinematografiche fu l’americana Warner Bros che nel 1927 lanciò il primo film parlante "Il cantante dì Jazz" la cui colonna sonora era incisa su un disco a 78 giri che riproduceva il suono mentre scorrevano le immagini. Il sonoro registrato su disco sincronizzato con le immagini sancì, di fatto, la nascita del cinema parlato. Ma già a fine anni ’20 il cinematografico sostituisce il disco con la registrazione del sonoro sulla stessa pellicola, mediante un sistema fotoelettrico. A tal proposito è giusto ricordare il messinese Giovanni Rappazzo che nel 1921 depositò il brevetto per la "pellicola a impressione contemporanea di immagine e suoni". Purtroppo, all’epoca, non riuscì a vendere la sua invenzione, né a trovare finanziatori e il brevetto cadde nel 1924. L’americana Fox (divenuta la 29th Century Fox) brevettò un sistema di sonoro identico a quello di Rappazzo dopo che lui stesso, in buona fede, aveva fornito ingenuamente alla casa cinematografica americana i suoi progetti. Ma torniamo al disco. In Italia iniziano a fare capolino le case discografiche come la Ricordi, la Fonit-Cetra e La Voce del Padrone, sui cui dischi incidono cantanti come Beniamino Gigli, Carlo Buti, Wanda Osiris, Isa Barzizza, Renato Rascel e tanti altri. E’ il 1947 quando la casa discografica americana CBS inventa il microsolco a 33 giri che restituisce quasi un’ora di musica e, due anni dopo, la concorrente RCA Victor lancia il microsolco 45 giri. I due supporti finiranno per coesistere. Dovremo attendere però 6 anni per avere il suono stereofonico, cioè ripreso e registrato da due sistemi indipendenti sullo stesso supporto. Nel 1935 accanto ai dischi nasce la registrazione su nastro magnetico. Quest'ultimo, ancora avvolto in grosse bobine, si affianca al disco grazie alle sue proprietà di avere una lunga durata di registrazione e di poter essere inciso a casa direttamente dall'interessato. Nel 1963 l’olandese Philips inventa la Cassetta Audio, la famosa K7 con dentro avvolto un sottile nastro magnetico. La cassetta, piccola ed efficiente, sarà di largo impiego sia nei cosiddetti impianti stereo di casa sia in macchina dove permetterà di ascoltare ore e ore di musica con qualità più che accettabile.

 

LE PAROLE VANNO LETTE, NON SOLO ASCOLTATE

Un’espressione che amava ripetere Andreotti era “se vuoi dire una perfetta bugia devi dire tante mezze verità”. E oggi, nonostante la precisione elettronica dell’informatica, il mondo funziona con “mezze verità”, raccontate in maniera assolutamente precisa. Anzi, la Rete (o le Reti) hanno magnificato la diffusione delle mezze verità per raccogliere consensi, e non solo. Le chiamiamo fake-news e fanno parte del nerbo dell’informazione. Il falso è sempre dietro l’angolo. Lo ascoltiamo e lo vediamo nei telegiornali e nelle “chiacchere da caffè”. E’ il caos dell’informazione, il rumore di fondo dell’informazione. I talk show sono un continuum di chiacchiere, di parole plaudenti o minacciose. L'attualità da l'occasione a improvvisazioni e a recitare a soggetto. Il politico, il giornalista improvvisato, il sociologo e il Vittorio Sgarbi di turno ci riempiono di “mezze verità” andreottiane e, solo poche volte di verità. Le ‘fake news’ possono essere buone e produttive se il singolo sa “leggerle” con la sua mente, altrimenti sarà sottomesso e riferirà frottole. Pensare di correggere questa sorta di distorsione dell’informazione è da ingenui e non terrebbe conto della natura umana. La falsa informazione è nata con l’uomo. Durante il Ventennio Mussolini governò usando fake-news. E che razza di falso, un falso doc! Quando nei primi mesi del 1945 era evidente che la guerra era ormai persa la radio di regime parlava ancora di “immancabile vittoria”. Oggi i giornalisti hanno il dovere di studiare e conoscere il funzionamento del ciclo disinformativo e sottrarre il lettore alla propaganda del falso, del rancore e dell’odio. L’era del giornalismo digitale ha fatto tutti noi distributori di informazioni. E allora attiviamo il cervello e contribuiamo all’epoca informativa in modo sano. Le parole che ascoltiamo vanno lette, interpretate e riferite con consapevole cautela.

TELEFONINI, ARRIVA LA CONNESSIONE 5G

Siamo circondati dalle onde elettromagnetiche: Trasmettitori televisivi, Stazioni radio telefoniche, Smartphone, smartTV, router Wi-Fi e ancora altro. Tutto ciò utilizza una rete di connessione che può essere chiamata WLAN, 3G, LTE/4G o, adesso, 5G e tutto è, sovente, considerato “potenzialmente pericoloso” per la salute. Ma c’è da crederci? Supposto che lo siano, quali sono le radiazioni elettromagnetiche più dannose, quelle emesse dalle reti 3G, 4G, 5G, dai dispositivi bluetooth, dal router per il Wi-Fi? Ebbene, ai fini di possibili danni alla salute non c’è differenza fra una tecnologia e l’altra se non nella fantasia di chi non ha dimestichezza con lo spettro elettromagnetico e con la sua interazione con la materia, sia vivente sia passiva. E, naturalmente, nella fantasia di chi, pur sapendo come stanno le cose, crea falso allarmismo per interessi economici come il tenere in piedi inutili circuiti di pseudoricerca. Per i più documentati posso ricordare lo spettro delle frequenze utilizzate dalle varie reti. Il 2G e il 3G, ormai superati, lavoravano fra 900 e 2170 MHz (megaHertz), il 4G lavora fra 750 e 2600 MHz e il 5G? Beh la rete 5G lavorerà fra 700 e 26 GHz (gigaHertz). Frequenze pericolose? Niente affatto. Anche la tecnologia 5G utilizza onde elettromagnetiche non ionizzanti (come la altre tecnologie), cioè che non ionizzano la materia biologica e non alterano le molecole, come è stato novellato nel pezzo pubblicato il 22 gennaio su queste pagine. Ripeto, nonostante diversi studi pseudoscientifici, anche sulla potenziale pericolosità del 5G non esistono prove. Ma c’è di più, le onde impiegate dal 5G (a frequenza maggiore) hanno più difficoltà di penetrazione attraverso l’aria e le pareti, e ciò vale quindi anche per i tessuti organici. La tecnologia 5G prevede l’implementazione di microripetitori di piccolissima potenza, finemente diffusi in modo da essere vicinissimi ai dispositivi da collegare. Tutte le argomentazioni sulla pericolosità del 5G non hanno riscontro scientifico e vanno quindi relegate come bufale. Lo standard 5G consentirà Upload e Download di dati iperveloce, per la gioia dei patiti della Rete e del computer. Piuttosto mi preoccuperei perché la rete 5G è si pericolosa, ma per altro. L’Unione Europea vorrà spendere 200 miliardi di Euro l’anno per ridurre l’inquinamento atmosferico e tutelare il clima, cioè abbattere CO, CO2, NOX e quindi monossido di carbonio, anidride carbonica e composti azotati. Per realizzare ciò si prevede di costruire una Smart Operative Grid, una rete capillare con cui controllare tutti i dispositivi di uso quotidiano come lavatrice, frigo, caldaie, illuminazione, attività commerciali, traffico e ogni attività collegabile a sensori elettronici. E, comunque, ogni dispositivo che trasforma una forma di energia in un’altra. Tutti dati su abitudini e attività delle persone raccolti, registrati e conservati in gigantesche banche dati. Il tutto per ridurre le emissioni di gas serra, e per far ciò si dovrà disporre di reti veloci e capaci di trasferire grandi quantità di dati. Le nostre case dovranno quindi essere Smart e tutto sarà gestito al meglio, comfort, benessere, sicurezza, riduzione dei costi e dei consumi. Saremo quindi spiati e controllati. Sapranno ancora di più dove ci troviamo e con chi siamo, conosceranno ancor di più le nostre abitudini, le preferenze politiche e i prodotti che ci piacciono. Ciascun individuo sarà tenuto sotto controllo e la società del Grande Fratello, che George Orwell preconizzava nel suo romanzo 1984, si andrà concretizzando.

SI TORNA A PARLARE DELLA PERICOLOSITA’ DEI TELEFONINI

Torna sui media l’interesse sul potenziale pericolo delle onde elettromagnetiche, e dei telefonini in particolare. Le notizie sono date in modo allarmistico e millantando un complotto delle case costruttrici, sfruttando l’ignoranza diffusa della popolazione in merito a certi temi. Dall’esordio dei telefonini la comunità scientifica è divisa sui possibili effetti cancerogeni di questi; alcuni infatti sostengono che l'esposizione prolungata alle onde elettromagnetiche emesse dagli smartphone potrebbe causare il cancro, in specie al cervello.

Nonostante la recente pubblicazione di studi realizzati sui topi da “eminenti Centri italiani di Ricerca”, l’evidenza scientifica sugli effetti cancerogeni ad oggi non esiste. I campi elettromagnetici vanno distinti fra quelli a radio frequenza, fra 0.1 MHz e 300 GHz (miliardi di Hertz) e quelli a frequenza elevatissima o ottici (THz, centinaia di miliardi di Hertz) come i raggi X. I primi sono detti “non ionizzanti” perché non modificano la struttura atomica o cellulare del nostro organismo.

I secondi, come i raggi X e i raggi gamma, sono “ionizzanti” e modificano i legami cellulari creando i cosiddetti “radicali liberi”. Questi ultimi fanno sicuramente male. Sebbene il livello di intensità dei raggi X oggi utilizzato sia particolarmente basso (e quindi pressoché innocuo), nessun medico prescrive una “lastra” o una Tac se non è effettivamente necessaria. Per i primi, a radio frequenza, gli effetti biologici, già ben documentati, non sono nocivi e, in tanti casi, persino benefici.

A conferma va detto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sostiene che ad oggi “non ci sono evidenze convincenti” di effetti nocivi a lungo termine delle onde elettromagnetiche emesse dai telefonini. Ciò vuol dire che non è stato dimostrato un collegamento tra l’uso del cellulare e lo sviluppo di malattie gravi, dai tempi in cui il telefonino è usato. L’unico effetto finora provato è un lievissimo riscaldamento della parte del corpo a contatto con l’apparecchio, così come può fare una lampadina.

Ma anche questo risulta falso se si considera l’esigua potenza termica che il telefonino può esprimere, e la sensazione di calore è solo dovuta alla pressione che il dispositivo fa sulla pelle vicino al padiglione auricolare quando lo si usa. Chiaramente esistono svariate normative che obbligano a limitare le emissioni elettromagnetiche quali il Decreto Ministeriale 381/1998 il Decreto Legge 159/2016 e altri. Da anni i ricercatori dicono tutto e il contrario di tutto.

I telefonini hanno cominciato a diffondersi dal 1990, ma nessuno ha mai confrontato i dati di diffusione delle patologie relative dal 1990 ad oggi, per vedere quanta correlazione c'e'. E infine, perche' dovrebbero essere i telefonini a dare fastidio quando, nei centri abitati, esistono sin dagli anni ’70 impianti FM che irradiano decine di kilowatt? Quelli non fanno male? Gli esseri umani dalla notte dei tempi sono esposti a radiazioni elettromagnetiche, onde radio e moltissime altre emissioni generate dalla terra, dal sole, dallo spazio e altro ancora.

Se le onde dei telefonini facessero tanto male avremmo già avuto tanti problemi dato che ormai è un paio di generazioni che siamo bombardati da onde radio da tutte le parti. Si racconta poi che sugli aerei le Hostess raccomandano di spegnere i telefonini e che negli Ospedali e Centri di cura è scritto a chiari termini di spegnere i cellulari. La verità è che questi dispositivi (che non sono altro che trasmettitorini radio di debolissima potenza) possono interagire con le apparecchiature di bordo e, nei luoghi di cura, con le apparecchiature elettromedicali.

Tutto qui, anche se la spiegazione può sembrare semplice e riduttiva. Ormai da anni tutti i dispositivi che emettono e ricevono onde radio devono rispettare norme di “compatibilità elettromagnetica”, ma ci sono casi, come quelli menzionati che non potranno mai essere resi compatibili. Il venire a dire che un tribunale, probabilmente composto da persone totalmente inadatte a valutare la cosa, dice che "i cellulari fanno male" significa fare la caccia alle streghe.

Continuerò a usare con serenità il mio telefonino, certo di non ammalarmi per la sua presenza e preoccupandomi di più, semmai, di non espormi eccessivamente ai potentissimi raggi solari durante l’estate. Il Sole sì che è una stazione trasmittente ben più potente di un telefonino e la “tintarella” che tanto amiamo non è che l'autodifesa che la pelle attua per proteggersi dai raggi solari, in particolare dai raggi ultravioletti. Forse è li che dobbiamo porre più attenzione.

Ma prima di chiudere devo ricordare che adesso la telefonia mobile varerà la pericolosissima (?) rete 5 G, e di questo mi occuperò in un prossimo pezzo.

Quante sciocchezze sull’Intelligenza Artificiale

Negli anni ’50 la stampa definiva i calcolatori Cervelli Elettronici, diceria mutuata dalle neuroscienze dagli informatici ante litteram secondo i quali l’elaboratore era un automa con una grandissima matrice di interruttori, quasi come i miliardi di neuroni del nostro sistema centrale. Nei tempi le “dicerie” sono mutate e oggi si parla di Intelligenza Artificiale. Il cervello è, senza dubbio, una delle strutture più complesse dell’Universo il cui studio richiede un approccio fisico e biologico profondo, ma è ben lontano dalla semplicità di una miriade di “vie elettriche e di interruttori”. Tuttavia, da questo punto di vista, fino a non molti anni fa, i tentativi di comprendere il funzionamento del cervello si basavano sulla fisica classica e su un approccio sostanzialmente strutturista, basato cioè sulle caratteristiche delle singole unità funzionali che lo compongono. Tali tentativi di affrontare il problema hanno reso riduttiva l’interpretazione operativa del nostro cervello. Secondo l’approccio biofisico tradizionale, il cervello umano è costituito da una materia “grigia” di circa 1,5 kg, contenente qualche decina di miliardi di cellule specializzate, i neuroni, caratterizzati da proprietà elettriche simili a quelle dei transistor presenti nei circuiti elettronici dei computer. Secondo tale modello, analogamente ai transistor nei relativi circuiti, i neuroni sarebbero tra loro interconnessi dando origine a migliaia di miliardi di connessioni neurone-neurone permettendo così la trasmissione di segnali attraverso impulsi elettrici unidirezionali che verrebbero a loro volta eccitati, modulati o inibiti, da altri impulsi generati in altri neuroni in modo da realizzare una rete estesa di segnali. Tuttavia, nonostante le possibili analogie tra la trasmissione dei segnali nei circuiti elettronici e quella degli impulsi neuronali, esistono cruciali differenze tra i due casi che rendono inefficace il modello biofisico comunemente accettato. I calcolatori possono memorizzare con facilità grandi quantità di informazioni, operano in nanosecondi e svolgono enormi moli di calcoli aritmetici senza errore, mentre gli uomini non sono in grado di avvicinarsi a tali prestazioni. È indubbio però che gli uomini svolgono “semplici” compiti come camminare, parlare, interpretare una scena visiva o comprendere una frase, ragionare su eventi di senso comune, trattare situazioni incerte, in modo ben più brillante ed efficiente dei più raffinati programmi di intelligenza artificiale. Considerato che nessuno scienziato al mondo sa “seriamente” come funziona la memoria naturale, con quali segnali e con quali codici, in che modo è possibile copiarla elettronicamente? E soprattutto, come è possibile stabilire il dialogo tra una piastrina di silicio e i neuroni del cervello? Ad oggi è impossibile riprodurre su un singolo chip di dimensioni modeste la complessità della rete delle connessioni, le sinapsi, che uniscono i neuroni in un campione anche piccolo di tessuto dell’ippocampo. Non si sono visti, in effetti, passi da gigante ed i problemi più impegnativi quali l’apprendimento e la rappresentazione del “comune buon senso”, anche se risolti parzialmente, sono ben lontani da una completa soluzione. Nonostante i molti punti a favore del modello di sistemi basati sulla conoscenza come la modularità dell’architettura e la possibilità di una crescita incrementale della conoscenza, solo pochi sistemi esperti sono minimamente operativi come il cervello. Se un sistema artificiale ha un software previsto per farsi saltare in aria lo farà sicuramente e deliberatamente.

Alan Turing, il vincitore della 2° guerra mondiale

L’esordio del computer, quasi come lo conosciamo oggi, si può datare al 1925 quando il professor Vannevar Bush, e altri studiosi del Massachusetts Institute of Technology (il prestigioso MIT), progettano il Differential Analyzer, il primo calcolatore elettromeccanico in grado di risolvere complesse operazioni matematiche. Ma è nel 1939 che, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, accanto a soldati e comandanti, anche i matematici entrano in guerra, soprattutto per quel che riguarda la battaglia di “intelligence”. Questa sorta di guerra invisibile venne combattuta da fisici, matematici e linguisti delle forze Anglo Americane alleate. Combatterono silenziosamente, fra equazioni e cifrari, codici e sistemi di permutazione alfabetica per decodificare i messaggi dei nemici Nazisti. Come Einstein fu uomo simbolo della fisica e Fermi scienziato di riferimento dell’era atomica, l’inglese Alan Turing fu il matematico che in piena guerra diede il via alla scienza informatica. Nato a Londra nel 1912 e morto suicida a Manchester nel 1954, Turing già nel 1936 presentò uno studio riguardante una sorta di calcolatrice per la soluzione di tutti i problemi matematici, “o quasi”. All’esodio dell’Attacco Nazista all’Inghilterra, Winston Churchill incaricò Turing di decrittare i messaggi germanici codificati con “l’inviolabile” macchina Enigma realizzata dal berlinese Arthur Scherbius e utilizzata dall’esercito Tedesco per codificare i messaggi. Enigma rappresentò per i Tedeschi un elemento di orgoglio e di ingenua arroganza. Per decrittare i messaggi dell’Enigma, Turing mise insieme una squadra di seimila persone, fra militari e civili dell’Università di Oxford e Cambridge che permise la costruzione del primo vero calcolatore elettronico, il Colossus. Pesava più di una tonnellata ed era dotato di una potenza di calcolo oggi rinvenibile in un chip di pochi millimetri. Colossus permise di decodificare migliaia di messaggi tedeschi, italiani e giapponesi, contribuendo in materia determinate alle buone sorti del conflitto per le Forze Anglo Americane. Turing, il padre del primo computer, il “vincitore” della seconda guerra mondiale, fu arrestato nel 1952 per violazione delle severe leggi britanniche contro l’omosessualità di cui lo scienziato era affetto. Turing fu sottoposto a cure ormonali distruttive che lo condussero al suicidio ma le sue idee continuarono a vivere e il PC che teniamo sulla scrivania deve anche a lui la sua esistenza.

Libertà è Isole Eolie

E’ ormai costante, su queste pagine, la collaborazione di Pina Cincotta Mandarano di Panarea, un’esperta della cucina Eoliana tanto da far “leccare i baffi”, come recitano le sue ricette. E i turisti sicuramente si leccano i baffi con le sue e con le tante ricette che gli altri espertissimi Chef Eoliani offrono.

Perché la Cucina eoliana è unica, quasi rara, per gli ingredienti, per il modo di manipolarli e persino per come sono presentati. Certo non basta andare a “mangiare” alle eolie per innamorarsi di queste Isole ma, come si dice, “il palato vuole la sua parte”. Quando l’inglese Thomas Cook, considerato l’inventore del turismo moderno e fondatore della prima agenzia di viaggio, organizzò la sua prima gita nel luglio 1841 offrì semplicemente il trasporto in un primordiale treno di terza classe, “un pranzo” e la possibilità di correre liberamente per le campagne.

Quel giorno la gente fu felice, era stata in “vacanza” e aveva pranzato fuori casa. Con Thomas Cook era nato il turismo di massa. Oggi la Thomas Cook Group è fra i più importanti Tour Operator britannici. Ho più volte sentito dire che le Isole Eolie offrono solo mare e sole, ma anche tanta libertà. E che si vuole di più? Sembrerà provocatorio, ma il concetto di vacanza nasce da quello di “tempo libero”, dalla libertà, dallo stare bene e, conseguentemente, anche dal mangiar bene. Per la fantasia popolare liberazione, riposo e mangiare “diversamente” sono associabili al concetto di vacanza.

Anzi, il concetto di divertimento e di evasione manipola le coscienze creando nel soggetto il bisogno della vacanza. Ne deriva, in tal modo, la formazione di quel popolo di turisti che si sposta verso aree denominate “turistiche” grazie all’input della cosiddetta libertà, e le Isole sono l’emblema dell’evasione e della libertà. Mi diceva un turista della Lombardia che appena imboccata l’Autostrada si sentiva in vacanza, era libero.

Gli Autogrill facevano poi il resto ma, certamente, non facevano “leccare i baffi”. Salire su un Aliscafo per le Eolie è come imboccare l’Autostrada, ma nelle nostre isole puoi leccarti i baffi sdraiato accanto allo sciabordio delle onde marine, cuocendoti al sole con un libro in mano e fantasticare sapendo di essere su un lembo di terra in mezzo al mare.

FESTEGGIAMO IL CAPODANNO

Il Capodanno segna il passaggio del tempo, un concetto ineluttabile di cui tutti siamo consapevoli. Ma è proprio così? nell’antica Grecia, culla del dubbio e del sapere, ci si interrogava sul significato del tempo: che cosa è il tempo? Il tempo è assoluto o è un concetto soggettivo? Se da un lato il tempo è al centro di dispute filosofiche, dall’altro è da sempre il parametro che permette la soluzione di tante equazioni fisiche che l’uomo ha posto a base della conoscenza della natura. Per la fisica il tempo è la dimensione nella quale si concepisce e si misura il trascorrere degli eventi: esso induce la distinzione tra passato, presente e futuro. Quest’impasto di filosofia e fisica, però, non ha ancora assunto una forma definitiva ed è questo il motivo per cui il concetto del tempo resta una sfida affascinante per fisici e filosofi. E allora cosa rappresenta il capodanno? Nulla, assolutamente nulla, se non il semplice passaggio del tempo, come da un giorno all’altro. Differente è l’aspetto soggettivo delle emozioni umane. Perché Capodanno è una festività che coinvolge tutto il mondo con conviviali, cenoni e veglia fino all’alba dove amici e parenti si riuniscono ad aspettare il nuovo anno con la speranza che il nuovo sia migliore del vecchio. Ma cos’è il vecchio e cos’è il nuovo? Ancora una volta nulla, proprio nulla. Una tradizione di baldoria, fondata sulla fantasia il cui aspetto positivo è riscoprire i contatti umani. E allora diamo sfogo a braci e abbracci e non dimentichiamo le lenticchie, che favoriscono l'abbondanza e la ricchezza. Ma attenzione: ai baci e agli abbracci devono seguire i buoni propositi, perché se è vero che il capodanno non ha fondamento scientifico è pur vero che serve a ricordarci che l’amore fra gli uomini va al di là delle elucubrazione filosofiche e scientifiche.

LA MORTE PER DELUSIONE

Scarichi affettivamente, i giovani cercano assurdo rifugio nella droga, nella morte, per proteggersi da un mondo che fa loro paura. Un tempo la scuola veniva invocata come alter ego di genitori distratti o già stanchi di una vita mai affrontata. Oggi scuola e insegnanti sono vituperati da genitori rimbecilliti e mai esistiti. Le agenzie educative come televisione e altri media sono più dannose che positive. Le immagini di violenza non sfuggono mai agli occhi dei più giovani. Nei telegiornali la visione di morti ammazzati è giornaliera. Non ci si rende conto del dolore di chi resta, dei drammi familiari. Le scene di violenza, una volta raccontate solo nei film di guerra oggi sono sui “social”, ti saltano fuori mentre fai una ricerca su Google, e persino nei cartoni animati. Tutto lascia tracce indelebili sui giovani. Tutto è catalogato e pronto a far scattare un cervello ancora debole. Nati fragili da famiglie che hanno demandato il loro compito alle agenzie di socializzazione come pub e discoteche, ci si forma all’ombra della baby sitter -per i più abbienti- e del campo sportivo. Sempre più spesso i giovani trascinano un vissuto tormentato da genitori separati e in eterna guerra. E al di là delle pudiche fantasie tutto ciò semplicemente per sesso. Si per il sesso. Anzi, in questi casi che cavolo c’entra l’amore? Nel 90% dei casi la separazione coniugale ha matrice sessuale, altrimenti si penserebbe prima “all’amore” dei figli. E infatti il “grande” personaggio di spettacolo Sfera Ebbasta (ma poi questo nome che significa?) raccontava solo sesso e droga, un ottimo mix di imbecillità. Dopo anni di falso benessere il risultato è quello cui oggi assistiamo. Non è facile oggi demolire e poi ricostruire. Io non ci credo.

TELEVISIONE, UNA STORIA TUTTA DA…VEDERE
e il 21 novembre si è celebrata la giornata mondiale della televisione

Non è facile catalogare le immagini e i ricordi che la televisione evoca. La televisione vive in diretta, non ha un passato da mettere in ordine, ogni notizia e ogni immagine è consumata nel momento in cui va nell’etere. La televisione ha acquistato un valore culturale essenziali per la comprensione dell’Italia di oggi. Anche la pubblicità, lo spettacolo leggero e la musica sono chiamati a sperimentare un nuovo modo di comunicazione. Al suo esordio, il 3 gennaio 1954, nascono “Arrivi e Partenze” e “Lascia o Raddoppia” condotti da Mike Bongiorno appena tornato dall’America e con addosso già un’esperienza televisiva acquisita oltre oceano, Un Due e Tre con Tognazzi e Vianello, l’Oggetto misterioso condotto da Enzo Tortora e Silvio Noto. Tutti programmi che oggi potremmo definire nazional popolari ma che allora, evocando un semplice sorriso, riunivano gli Italiani dal nord al sud dello stivale. Arriveranno Dada Umpa con Alice e Ellen Kessler e il Musichiere di Mario Riva farà sorridere tutti i sabati grandi e piccini. Era l’Italia della rinascita, della ricostruzione, non esisteva lo spread e il pil (ma allora non si chiamavano così) “volava” veramente. C’era la voglia di fare e la gente voleva tornare a sorridere. La TV propone “Non è Mai Troppo Tardi” con il maestro Manzi che insegnerà a tutti la stessa lingua, quella “Italiana”. Il Festival di Sanremo va in diretta e nascono i nuovi idoli della sera. Modugno da Volare passa al cinema e, anche dal grande schermo, il personaggio televisivo riesce a strappare qualche lacrima. Rita Pavone insegnerà poi che si può cantare anche urlando, con grande soddisfazione dei giovani di allora e con tanta nostalgia degli attempati di oggi. Il vento degli anni ’60 investirà poi come un ciclone la nostra estate avvalendosi del piccolo schermo per fissare date, immagini e amori appena nati. Nel 1976, grazie a una sentenza della Corte Costituzionale, la TV di stato non ha più il monopolio delle trasmissioni. Si fanno avanti i privati e, con logica commerciale e sulla scorta di quanto avviene in altri Paesi, si avvia il pluralismo dell’informazione cui oggi assistiamo. Il 21 novembre 1996, quando Internet era ancora un privilegio per pochi, si svolse a New York il primo World Television Forum in cui si riunirono i principali rappresentanti del medium televisivo per discutere gli sviluppi della Tv nell’informazione, nella cultura e nell’intrattenimento globale. Per l’occasione le Nazioni Unite dichiararono il 21 novembre come Giornata Mondiale della Televisione con un documento che ribadiva l’importanza fondamentale del mezzo televisivo per la democrazia, la libertà di informazione, lo sviluppo sociale e culturale e la pace nel mondo. Tutto questo avveniva nel 1996, un po’ tardino se si considera che già negli anni ’60 la TV era il medium ufficiale per gran parte dell’Occidente. Ma forse, col senno di poi, il World Television Forum non era altro che una forma di difesa della TV contro la rivoluzione digitale prossima ventura. Fine 

TELEVISIONE, UNA STORIA TUTTA DA…VEDERE
e il 21 novembre si è celebrata la giornata mondiale della televisione

Seconda di tre 
Secondo uno degli scherzi della storia, la nascita della prima televisione nazista è da ricondurre a una decisione presa, nel 1935, dalla inglese BBC, British Broadcasting Corporation, fondata il 18 ottobre 1922 come unica concessionaria in esclusiva del servizio di radio diffusione nel Regno Unito, di dar vita ad una vera televisione per i cittadini Londinesi. Chiaramente l’Inghilterra non poteva lasciare indietro il regime del Reich tedesco che, immediatamente, diede tutto campo ai suoi tecnici per farsi “vedere” sugli schermi televisivi. La prima vera regolare trasmissione televisiva avviene il 2 novembre 1936 per iniziativa, appunto, della BBC. In Italia i primi esperimenti televisivi iniziano negli anni trenta grazie all’EIAR, Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, antenata della RAI e unico ente incaricato dal regime fascista a “diffondere” via radio. Nel 1939 le prove delle trasmissioni televisive vennero rese ufficiali e le trasmissioni dei primi volti telegenici quali Vittorio Veltroni (padre di Walter), Isa Barzizza e Nicolò Carosio apparvero per la prima volta nelle case di pochi e fortunati italiani. Le aziende costruttrici vennero autorizzate dal regime a produrre ricevitori televisivi che vennero presentati a Milano alla fiera della radio del 1939. Contrariamente a quanto gli storici riferiscono, il Duce riservò a poche occasioni l’uso del mezzo radio per diffondere la sua voce preferendo, a questa, il mezzo del “balcone”. Per nulla, invece, utilizzò la Televisione vista ancora come embrionale mezzo sperimentale. Il secondo conflitto mondiale interrompe ogni velleità “televisiva” e di questa si parlerà solo a fine guerra. Dei televisori sperimentali di allora ne sopravvissero pochissimi esemplari custoditi oggi presso il Museo delle Teche RAI di Torino. Al termine delle ostilità nel nostro Paese nasce l’attuale RAI (Radio Audizioni Italiane) e insieme con essa torna l’espressione di libertà insita nel mezzo di informazione. La RAI opera una profonda innovazione dei programmi e degli impianti, grazie anche alle nuove tecnologie che si fanno avanti. Già presente nei Paesi industrializzati, il 3 gennaio 1954 anche in Italia inizia l’avventura televisiva e la RAI TV dà l’avvio alle normali e programmate trasmissioni televisive. Nel decennio 1950-1960 la Televisione si diffonde in tutti i Paesi europei e per un lungo periodo gli osservatori profetizzano un rapido declino della radio, del cinema e persino dello Spettacolo teatrale, ma questo non c’è mai stato. In particolare fra la Televisione e la radio si stabilisce una vera divisione dei compiti, la prima riunirà tutte le sere le famiglie accanto a questo nuovo oggetto di intrattenimento, la radio rimarrà come mezzo di informazione e svago in ogni dove. Così riportava un pezzo dell’allora Direttore Generale della RAI Salvino Sernesi sul Radiocorriere del 3 gennaio 1954 “La televisione completerà il desiderio di conoscere che è insito nell’uomo moderno (eravamo nel ’54, sic!), renderà più completa la sua casa ma non modificherà quel bisogno sempre vivo dello spettacolo pubblico, qualunque esso sia, che risponde ad un’esigenza insopprimibile dell’animo umano”.

TELEVISIONE, UNA STORIA TUTTA DA…VEDERE
prima puntata di tre

Nell’immaginario collettivo di fine ottocento la storia della televisione è iniziata prima dell’invenzione della radio, più di un secolo fa. E’ la preistoria di una vicenda difficile da ricostruire perché tocca diversi aspetti della vita e una miriade di singoli inventori che han dato vita a questo potente strumento di massa. L’importanza della televisione nel tessuto sociale può essere compreso attraverso un sottile indizio linguistico. Fino agli anni cinquanta “tele” (termine greco) significava soltanto “da lontano” mentre oggi esiste un altro tele con cui si indica tutto ciò che ha a che fare con la televisione: i telespettatori, il teleschermo, il telegiornale. A partire dagli anni trenta i significati di televisione iniziano a riferirsi tutti allo stesso ambito. Già nel 1909 la parola appare in italiano come traduzione dell’inglese “television”, per indicare la trasmissione e la ricezione a distanza di immagini in movimento. Avevamo importato la parola ma non ancora l’oggetto. Alla base dell’emissione delle immagini sta l’effetto fotoelettrico, già oggetto di ricerche da parte del fisico tedesco Hertz e poi interpretato da Einstein nel 1905 secondo la teoria dei “quanti”. Attraverso questo è possibile rilevare la luce riflessa dagli oggetti illuminati, come in una pellicola fotografica. E’ poi del 1897 l’invenzione del tubo a raggi catodici da parte di Braun, dispositivo che riproduce l’immagine e che sarà la base dei cinescopi con cui abbiamo guardato la televisione fino a qualche decennio fa. Negli anni venti, parallelamente allo sviluppo della radio, si assiste a molteplici tentativi di trasmissione dell’immagine e nel ’25 la tedesca Telefunken propone il primo apparato sperimentale. Nel 1936 la Società Marconi-Emi costruisce la prima telecamera mobile e in Germania la televisione fa la sua apparizione alle Olimpiadi di Berlino, un vero trionfo per il regime di Hitler. Era il 1 primo agosto del 1936 quando venne infatti trasmesso un evento sportivo per la prima volta nella storia. L’occasione fù appunto quella delle Olimpiadi di Berlino, e il regime tedesco organizzò una diretta per un totale di 72 ore dei Giochi, permettendo così ai pochi possessori di un apparecchio ed ai tanti frequentatori delle “sale pubbliche televisive” di seguire in tempo reale le gare. Per la Germania Nazista, le cui intenzioni erano quelle di utilizzare la TV per mostrare al mondo la grandezza e la superiorità della nazione e della razza ariana, i momenti iniziali di trasmissione si rivelarono una sorta di boomerang. Le prime immagini andate in onda, infatti, mostravano l’atleta di colore statunitense, Jesse Owens, vincere la gara dei 100 metri, episodio questo che naturalmente ebbe una grandissimo significato. Owens terminò i giochi dimostrando il valore del suo popolo vincendo ben 4 medaglie d’oro. Hitler, il Führer della “grande Germania”, si rifiuto di stringergli la mano perché non era di razza Ariana! 
prima di tre

La rivoluzione del 20° secolo é l'elettronica 3° puntata

Il nome transistor venne coniato come abbreviazione della frase: TRANSferring current across a resISTOR che descrive sinteticamente la funzione del dispositivo, quella cioè di trasferire un’informazione (elettrica) attraverso gli elementi resistivi costituiti dalle scagliette di silicio o di germanio costituenti il dispositivo stesso. Grazie al particolare fenomeno scoperto, è possibile pilotare con una debole corrente di entrata (segnale da amplificare) una forte corrente di uscita, di ampiezza notevolmente maggiore di quella presentata all’ingresso del dispositivo. E’ il principio su cui poggia la teoria dell’amplificazione che fa del Transistor l’erede naturale del tubo elettronico. Ma una definizione più stimolante del transistor sta nella constatazione che si tratta del dispositivo che ha dato inizio alla “terza rivoluzione industriale”. I chips contenuti in un personal computer o in un diffusissimo telefonino sono realizzati da decine di migliaia di transistors. I nomi dei ricercatori che hanno dato vita al transistor sono ai più sconosciuti; eppure, siamo cosi dipendenti da questo minuscolo oggetto di cui non riusciremmo a farne a meno se non rinunciando a carte di credito, reti informatiche e tante altre comodità. L’anonimato che circonda gli inventori dei semiconduttori, dei transistors, è un fenomeno che stimola la curiosità di chi scrive. Nella fantasia popolare il prestigio sociale spetta ai presentatori televisivi, ai politici corrotti e alle attrici formose. Chi fa vera scienza non ama mettersi in mostra e lavora all’ombra di quell’intimo piacere che lo isola dal mondo delle apparenze. Difficilmente ricordiamo i nomi di ricercatori e scienziati; a questa realtà siamo cosi abituati da non soffermarci più di tanto, anche se si tratta di gente che ha sconvolto il modo di vivere dell’umanità. Probabilmente riteniamo che ogni cosa ci spetta di diritto. Ogni novità é un fatto acquisito, quasi faccia parte di quel patrimonio di benessere che il mondo riserva solo, e solamente, a un quinto della popolazione che lo abita. Immersi nell’universo tecnologico, delle comunicazioni satellitari e del consumismo di gadget elettronici, troviamo naturale sconoscere i padri di tanta evoluzione. Consumismo e progresso tecnologico vorticoso hanno saturato l’immaginario collettivo che non riesce più a meravigliarsi né dell’invenzione né dell’inventore.

Fine

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