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di Salvatore Leone

L'ufficio urbanistico del Comune di Lipari è piu attento al volo degli uccelli che gli frutta ben 290 euro a pratica, anche per la realizzazione di un modesto pergolato in legno in zona cementificata che al rispetto della normativa dei torrenti che magicamente a Lipari sono diventati strade con carreggiate anche in basolato di ottima pietra lavica. Di ciò ,se ne è accorto indirettamente anche un noto ingegnere di Barcellona, nominato Ctu in una causa civile che aveva ben altro oggetto. Il mancato rispetto della normativa sui torrenti, sancita dal vecchio e sempre attuale Regio Decreto Legge del 25 luglio 1904 n.523, ha determinato e determinerà sempre gli effetti devastanti che si ripetono ogni qualvolta piove con “l’inciurio” dell’eccezionalità. La mano e la coscienza dell'uomo che non rispetta le regole rigorose sulla normativa idraulica, nei torrenti dell’isola di Lipari, oggi impropriamente definiti strade, eseguendo insensati lavori sia a monte che a valle, hanno determinato l'aggravarsi del fenomeno dannoso e pericoloso a seguito delle pioggie torrenziali. La normativa del RDL del 1904 all’art.96 prevede una serie di elencazione di lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, quali sono anche i torrenti, i loro alvei e sponde.

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Tra di essi, ai sensi della lettera g, dello stesso art.96 è compresa qualunque opera o fatto che possa alterare lo stato, la forma, le dimensioni, la resistenza e la convenienza all’uso cui sono destinati gli argini e i manufatti allineati. Va incluso in tale divieto l’opera che alteri lo stato, oppure la forma o le dimensioni o ancora la resistenza dell’argine. Non si possono eseguire opere sui corsi d’acqua se non con la speciale autorizzazione del Ministero Lavori Pubblici, oggi con i pareri della Commissione regionale dei lavori pubblici, Dipartimento regionale tecnico Area 5, della CommissioneGenerale del Dipart. Reg. dell’Ambientee del Comitato Regionale Urbanistico (C.R.U.) c/o Dipart. Reg. dell’Urbanistica.Tutti con sede in palermo. Per i corsi d’acqua, infatti, sono previste, delle distanze da rispettare, quattro metri dall’alveo del torrente per piantare alberi e dieci metri per le costruzioni. Il divieto assoluto di opere lungo letto la sponda del torrente, la cementificazione del letto del torrente o l'esecuzione di opere nell’alveo del torrente. Nel torrente di contrada Annunziata si è consentito il riempimento dell’alveo attraverso una vera e propria discarica, innalzandola di oltre 20 metri sino al livello della strada provinciale. Il torrente-strada di via Roma è stato piastrellato con tanto di basole di pietre eoliane;, mentre la parte di via Ponte è stato coperto. Lo stesso discorso vale per i torrenti-strade di Canneto, dotati anche di regolare allaccio fognario con pavimentazione in basole di pietra.

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Ma quello che maggiormente sorprende è la realizzazione di una diga nel letto del torrente Calandra, di cui non si conosce la speciale autorizzazione per la realizzazione di tali lavori che sembrerebbero inutili e pericolosi in caso di crollo della diga. La causa scatenante di tutto questo macello è la strada Marina Garibaldi, che passa alla foce dei torrenti. Di certo non poteva essere pavimentata né eseguita così com’è alle foci dei tre torrenti cannetari, anche se urbanisticamente sono delle strade con tanto di manto. Le strade alle foci dei torrenti, dovevano rimanere molto più basse rispetto al letto torrentizio, in modo, quantomeno da consentire il deflusso delle acque torrenziali, senza alcun pericolo. Adesso la natura sta vincendo la lotta contro i lavori uomani, cercando di crearsi il varco naturale, contro il cemento umano. Certo la strada è stata un’opera necessaria, ma alla foce dei torrenti, occorreva eseguire qualche intervento particolare, che gli uffici comunali dovevano e potevano studiare e progettare. Il torrente è nato libero perchè deve farsi la sua strada per portare le acque piovane alla foce e, non vuole assolutamente che vengano eseguite opere insensate dall'uomo tant'è che il vecchio e sempre attuale R. D.L del 1904 ha dettato le linee guida per la salvaguardia dei fiumi, torrenti, corsi d’acqua ed altro e, a salvaguardia è intervenuta anche la Regione Sicilia con la circolare prot.79141 del 12/5/2015, inviata a tutti i Comuni siciliani, a S.E.il Prefetto di Messina e ai vari enti competenti, per la disamina dei vari profili di responsabilità, vigilanza e rispetto degli obblighi in materia delle distanze minime dal piede degli argini dei corsi d'acqua per la realizzazione di fabbriche e scavi.

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La Regione infatti, a seguito dei fenomeni che colpiscono il territorio nazionale, che appaiono connotarsi come fenomeni a carattere ciclonico, evidenziandosi così una apparente anomalia climatica che ha messo luce la permanente fragilità del territorio, dovuta anche a una mancata realizzazione di opere di mitigazione del rischio idraulico, ha ritenuto di dare delle linee guida a tutti i comuni siciliani evidenziando che spesso tali eventi, colpendo con ingentissimi volumi d'acqua limitate porzioni territoriali, causano straripamenti dei corsi d'acqua, colate di fango, crolli e frane che colpiscono le aree abitate a ridosso dei versanti collinari o quelle ubicate nei fondi valle dove insistono la maggior parte dei centri abitati. Tali problematiche, dice la Regione Sicilia, investono gli interi bacini imbriferi e nessun centro abitato siciliano, risulta indenne a tali fenomeni, soprattutto quando i centri abitati risultano realizzati in vicinanza di alvei torrentizi o addirittura posti a ridosso degli argini in virtù di scelte urbanistiche scellerate. Non manca alla Regione Sicilia di dare una tiratina d'orecchio agli strumenti urbanistici all'interno dei centri abitati e nelle aree ad espansione urbanistica estendendo, così pericolosamente, l'edificabilità dei suoli anche all'immediato ridosso dei limiti arginali già puntualmente delimitati catastalmente all'atto costitutivo del catasto pubblico dei terreni avvenuto tra il 1931 e 1933 . Il risultato di tale aberrante deroga urbanistica, scrive la Regione Sicilia, ha portato ad una edificazione che ha sottratto ai corsi d'acqua, spesso adibiti a strade in ambiente urbano tutti i possibili margini di espansione in caso di piena ed ha messo in diretto contatto gli edifici con le acque pluviali in caso di esondazione. Inoltre, la cementificazione delle aree arginali ha provocato l'azzeramento della naturale capacità dei terreni di assorbire le precipitazioni ed il conseguente aumento della quantità delle acque piovane che ruscellano in superficie erodendo il terreno e trasformandosì così in micidiali colate di fango e detriti che non lasciano scampo a coloro che si dovessero trovare sul loro tracciato. Continua la Regione Sicilia, nella sua nota che quanto sopra è dovuto soprattutto a comportamenti scellerati, assenza e disapplicazione di adeguata previsione nei piani di protezione civile,di gestione delle emergenze comunali o peggio, perchè ricadenti proprio in quelle abitazioni assentite urbanisticamente a ridosso degli argini e con unica via di accesso proprio dagli ex alvei assentiti dalle norme. Il danno è perfetto.

L'INTERVENTO

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di Aldo Natoli

Egregio direttore,

ho avuto modo di leggere l’articolo dell’avv.Salvatore leone che ho condiviso in pieno circa i danni provocati dallo scolo delle acque lungo i torrenti-strada di Canneto, determinati soprattutto dai lavori effettuati sia a Monte che a valle dei torrenti. Ci tengo a precisare che l’avv. Leone ha riportato solo in parte le criticità segnalate dalla Regione Sicilia a tutti i comuni Siciliani. Ed infatti la Regione continua a ribadire nella predetta circolare che: Tra i compiti istituzionali della Regione della Regione rientra il rilascio del parere, reso ai Comuni, “sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati prima della delibera di adozione nonché sulle lottizzazioni convenzionate prima della delibera diapprovazione, e loro varianti, ai fini della verifica della compatibilità delle rispettive previsioni con le condizioni geomorfologiche del territorio”. Tale parere costituisce un importante presidio di vigilanza territoriale suuna serie di importanti profili di ammissibilità e compatibilità ambientale negli interventi di sviluppo urbanistico.Nell’ambito dell’istruttoria volta al rilascio del suddettoparere è stata riscontrata la frequente ed inspiegabile inadempienza alle disposizioni di cui trattasi nei presenti Indirizzi applicativi. In particolare è stato frequentemente accertato che gli elaborati prodotti risultano redatti disattendendo i limiti inderogabili imposti dal citato art.96 del R.D.n.523/1904 e relativi alle distanze minime dal piede degli argini. Appare di devastante impatto, come la realizzazione, ancorché prevista nei vigenti strumenti urbanistici, di insediamenti a ridosso degli argini, oltre a ridurre enormemente le possibilità di fuga o soccorso per gli abitanti, costituisca una devastante amplificazione dei livelli di esposizione al rischio alluvionamento per esondazione dei corsi d’acqua. Nel merito dello scopo precipuo della fascia di rispetto di dieci metri, prevista dal R.D. 523/1904, è ormai pacificamente acclarato che l’obiettivo normativo è quello di assicurare il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, rivi, canali e scolatoi.In altri termini deve essere garantito, attraverso la fascia suindicata, il regolare deflusso idraulico. Si rileva in letteratura una problematica connessa ad un franco libero in altezza e non in larghezza, dall’argine fluviale.Si cita, ad esempio la configurazione morfologica di un corso d’acqua che scorre in una stretta gola, collocata al fondo di una scarpata avente un forte dislivello rispetto gli edifici soprastanti la cresta delle sponde. Tali sponde in particolare si configurano litologicamente come costituite da rocce stabili non fratturate. Ingegnere Capo Dott.Ing. Leonardo Santoro. Ma quello che appare molto grave, sono i corsi d’acqua confinati in sotterraneo o comunque tombinati, coperti e/o intubati.La frequente tombinatura dei corsi d’acqua avvenuta ripetutamente soprattutto nel passato,maggiormente in aree urbane e suburbane ha costituito talvolta una forte criticità al deflusso delle acque in occasione di eventi piovosi intensi e perduranti. In particolare gli effetti della mancata pulizia sia delle caditoie che della luce libera di deflusso ha causato spesso il rigurgito delle acque piovane che, fuoriuscendo dalle tombinature hanno occupato il soprastante tessuto viario ed urbano circostante causando allagamenti devastanti o, talvolta, nel caso di impalcati stradali, l’esplosione o il crollo dei manufatti soprastanti (travature, solette di copertura dei tombini, arcate di sostegno, etc...). Le dirette conseguenze di tale mancata funzionalità idraulica si sono manifestate drammaticamente talvolta con l’allagamento delle viabilità sovrastanti e con il riversamento di ingenti volumi di acqua e detriti che scorrendo incontrollati lungo le sedi viarie hanno generato il trascinamento a valle di tutto ciò che incontravano, causando vere e proprie valanghe di detriti. Tali colate di fango, massi, detriti urbani, carcasse di autovetture, tronchi e quantaltro la furia devastante delle ondate di piena incontravano, investendo i centri abitati limitrofi, hanno causato il crollo di interi edifici, l’abbattimento di muri, il crollo di ponti e, purtroppo, talvolta, vittime e feriti nonchè centinaia di senzatetto. Appare pertanto necessario chiarire l’orientamento normativo in materia di distanze minime dai corsi d’acqua tombinati che è opportuno preliminarmente precisare, costituiscono sempre e comunque una contingentazione del volume idrico trasportabile dal corso d’acqua e come tali, ancorchè dimensionati con le ondate di piena con elevati periodi di ritorno o con più approfonditi studi di valutazione delle portate eccezionali di piena ricavabili da estrapolazioni statistiche, rimangono comunque delle sezioni chiuse che garantiscono efficacemente il deflusso delle acque in regime ordinario o di piena eccezionale ma a condizione che la luce libera di progetto rimanga costante libera ed inalterata.Priva cioè di ostruzioni, restringimenti e, soprattutto con un indice di scabrosità delle pareti capace di velocizzare il trasferimento della corrente fluida. Ogni qualvolta quindi, in cui, per accumulo di sedimenti, presenza di ostacoli o ostruzioni, la rugosità del fondo alveo viene modificata alterando le ipotesi di progetto che stanno alla base del dimensionamento delle luci libere, l’equilibrio idraulico viene a mancare con le conseguenze sopradescritte che, nelle peggiori ipotesi mandano in pressione i flussi idraulici generando onde di rigurgito di potenza distruttrice devastante. Per i fatti suddetti, appare fondamentale derimere la questione connessa alla validità o meno delle distanze minime per la realizzazione di fabbriche o scavi nei casi in cui il corso d’acqua risulti tombinato o comunque coperto o intubato al di sotto di sedi viarie o aree urbanizzate in genere.(piazze, parcheggi, edifici). E’ evidente, peraltro, che nell’ambito del concetto di distanza ancorchè stabilito dalle discipline locali il divieto di edificazione della fascia di rispetto è assoluto ed inderogabile. A tal proposito, anche il Consiglio di Stato, Sez. IV, 23.07.2009, n. 4663, ha precisato come esso valga anche per i corsi d’acqua confinati in sotterraneo mediante tombinatura.In tal senso si rileva da giurisprudenza, che si è espressa anche la Sez. V del Consiglio di Stato in data 26.03.2009, con parere n. 1814, laddove il maggior limite di 10 metri ha natura sussidiaria perché subordinato all’assenza di normative locali, ivi comprese quelle urbanistiche ed edilizie. Al contrario, il vincolo di inedificabilità per le preesistenze a ridosso del corso d’acqua tombinato, posto dall’art. 133, lettera a) del R.D. del 08.05.1904, n. 368, sia pure nell’intervallo da stabilirsi a cura eventualmente dell’Autorità di bonifica (da 4 a 10 metri),risulta assoluto, perché inderogabile da discipline locali, ed è orientato alla salvaguardia delle “... normali operazioni di ripulitura e di manutenzione e ad impedire le esondazioni delle acque...” Inoltre la Regione Sicilia rammenta le responsabilità di nature penale per la violazione della normativa del RDL del 1904, ritenendo che abbia natura di reato di pericolo, il reato di cui all'art. 96, lett. f), del R.D. 25.07.1904 n. 523 che vieta “le piantagioni di alberie siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”.Sicché, per la sussistenza della fattispecie contravvenzionale, essendo puniti comportamenti ritenuti dal legislatore potenzialmente lesivi dell'assetto idrogeologico del territorio e, quindi,del corrispondente interesse pubblico, non occorre l'ulteriore verifica che l'azione illecita abbia recato nocumento all'alveo del corso d'acqua o alle sue sponde. Mentre, configura un'ipotesi di reato di danno, ai sensi del R.D. 25.07.1904, n. 523, art. 96, comma 1, lett. g), del cui disposto è sanzionata, l'esecuzione di "qualunque opera o fatto che possa alterare lo stato la forma, le dimensioni, la resistenza e la convenienza all'uso, a cui sono destinati gli argini e loro accessori, e manufatti attinenti" In questi casi, per la configurazione del reato, sussiste la necessità di un concreto accertamento del danno arrecato agli argini e loro accessori, dovendosi escludere la sussistenza del reato ogniqualvolta l'esecuzione delle opere non abbia alterato in alcun modo il regime del corso d'acqua. Comprenderà pertanto le attenzioni dell'Ufficio Urbanistico.

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