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di Ettore Resta

Vulcano e Capo Milazzo

Le acque del mare viste dall’alto erano limpidissime e quasi, mescolandosi col profondo azzurro si intravedevano i riflessi dei pesci ed il fondale nerastro di sabbia finissima. Ma non la verde posidonia ed altre alghe da cui ergevano alte rocce calcaree corrose dai marosi come quelle del Capo. Che meraviglia aveva ripetuto Emanuela.  Il colore giallo è dato da uno dei trerrapieni della costa contengono ossicine bianche non so di che animali. È una roccia sedimentaria che si sbriciola al toccarla. Aveva chiarito. Quella casetta piccolina laggiù accanto agli alberi di fico era l’inferno. E cos’è? Una specie di magazzino interrato con vasconi capaci di contenere l’acqua calda proveniente dal separatoio del frantoio. Col raffreddarsi i residui di olio salivano in superficie e gli addetti, con lo scopino, un ciuffo di fiori di canne, lo raccoglievano…Era il regalo del loro lavoro. Anche qui nelle isole si praticava lo stesso sistema. Le rocce qui a Lipari invece sono bianche. Sono di pomice, ovvero la schiuma solidifiacata delle antiche colate laviche. Anche qui calavano le reti di una piccole tonnare per catturare i tonnetti. Le acque tiepide favorivano le fecondazioni. Il fondale però non era pieno di pinne, le alte conchiglie bivalve a forma conica schiacciata con all’interno il mollusco a volte proprietarie di piccole perle.

Quelle case laggiù erano gli alloggi per i pescatori ed i ricoveri delle barche. A Rinella di Salina erano scavati ad arco nella roccia. Più che roccia viva, era sedimentaria. Al Capo avevano seguito la stradina giungeva al castelletto ottagonale protetto dall’alta roccia per sfuggire al vento del forte ponente. A metà cammino vi era un sedile a mezza luna in mattoni. Forse si sedeva il proprietario per controllare lo svolgimento della pesca. Scenderemo a vederlo. Imboccato il viottolo ripido serpeggiante tra bianche rocce e cespugli di olivi selvatici carichi di abbondanti olive piccole e nere, iniziarono a scendere. Ad un tratto Baddino si era fermato ad annusare con insistenza. In una pietra sedimentaria grigia era scolpita una margherita con cinque petali. Che bella? Qualche artista l’avrà scolpita come segnale. Mentre parlavano il cagnetto era scomparso.  Baddino, Baddino... fu chiamato, e dopo poco riapparve. Guardarono, aveva seguito una traccia che si addentrava tra i cespugli del versante nord del monte. Le due ragazze lo avevano percorso fino ad arrivare in una ampia grotta ovale di terra gialla. Iniziarono a grattarla con uno stecco.  Vero, si sgretola con facilità ed è piena di piccole ossa ricurve…ma anche grosse e corte.

Saranno stati di animali storici.  Raccolte alcune, erano tornate indietro. Al bivio della margherita con uno scivolone erano giunti tra i cespugli sottostanti.  Con gli scavi in questa zona avevano trovato frantumi di terre cotte dell’età della pietra come quelle trovate al promontorio di Panarea. Una coincidenza?  E chi lo sa, dai reperti sembra di si. Così, passo dopo passo, salite su un cocuzzolo di roccia nera e poco erbosa, guardarono il vuoto sottostante. In una ampia vasca scavata nella terre giallastra vi erano persone che lasciavano affiorare la testa da un ribollente fango. Poco distante vi era una costruzione ottagonale e delle casette senza porte e senza finestre ma munite di docce. La baia con i pontili ed un molo d’approdo indicavano la presenza di un piccolo porto. Al Capo avevano seguito un viottolino con lo sguardo, terminava in un laghetto chiuso tra altri alti bianchi scogli che ergevano dal profondo del mare creando una piscina. Uno di essi era alto e grosso da sembrare un leone con la criniera posto a guardia, l’altro un alto ampio paravento. (continua)

L’Intervista del Notiziario al comandante Ettore Resta, l’artista sulle ali

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