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di Lelio Finocchiaro

UOMINI A CAVALLO

L'immagine dell'uomo a cavallo è qualcosa che ha attraversato tutti i tempi e tutti i paesi. Addirittura tanto era connaturata con la vita di tutti i giorni da far si che uomo e cavallo fossero considerati a tutti gli effetti come un tutt'uno. Mai nessun animale si è integrato con le attività umane come il cavallo. Qualunque fosse lo scopo quotidiano dell'uomo, il cavallo non poteva non farne parte. Abbiamo descrizioni, racconti e disegni che testimoniano l'utilizzo e la versatilità di questo animale che interveniva, con la sua pazienza, la sua forza e la sua capacità di capire gli ordini (sembra infatti che il cavallo sia l'animale in grado di obbedire in assoluto al maggior numero di comandi), nelle attività quotidiane dell'uomo di qualunque livello culturale e sociale. Del resto anche la nostra gioventù è stata piena di film western e di cowboys dove il cavallo e l'uomo erano assolutamente inseparabili. Il cavallo è un animale forte, adatto a portare pesi e a tirare carri , costituendo a tutti gli effetti il primo mezzo di locomozione atto a trasportare merci e uomini, e a lavorare sui campi.

Questa capacità ne fece un vero e proprio strumento adatto a tutte le necessità, e come ogni strumento,ando' gradatamente provvisto di tutte quelle cose che potevano esaltarne l'uso. Dall'inizio , quando il cavallo fu addomesticato (pare intorno al 5500 a.C.), l'uso del cavallo si è via via adattato all'inevitabile progresso dell'uomo, in molti casi determinandolo fortemente. Spettacolare, giudicandolo col senno del poi, è stato il mutamento determinato dalle necessità della guerra.

Gli antichi romani avevano una cavalleria, ma sostanzialmente, non conoscendo sella e staffa, la montavano a pelle , cosa che indeboliva molto la posizione del cavaliere. Si trattava in pratica di una fanteria a cavallo. Al contrario la cavalleria ai tempi dell'invasione mongola, con uomini abili e saldi in sella, consentiva di adoperare arco e frecce con micidiale maestria.
La necessità di salvaguardare le unghie delle zampe dei cavalli portò inizialmente all'uso di quelli che si chiamarono “ipposandali”, specie di lamine di ferro che si incastravano, legandole , agli zoccoli, pur adoperandoli a seconda della natura del terreno (nei climi caldi e secchi, come nel Nord Africa, non si usavano e non si usa ancora oggi alcuna protezione). In un secondo tempo la ferratura, che era già in uso presso i Galli e i Celti, divenne necessaria e pare che il suo uso si sia generalizzato intorno al 300/400 dando luogo ad una vera e propria arte, detta ”malcascìa” (da cui maniscalco). Ovvio che fosse ormai un' abitudine al tempo delle Crociate, quando la corsa del cavallo con il suo cavaliere corazzato e con la lancia in resta aveva bisogno assoluto di stabilità e della migliore aderenza col terreno. Pensate un po' a come doveva essere possente il cavallo di allora, che doveva portare, oltre che un manto di protezione ai colpi di lancia e di freccia, il non indifferente peso di un cavaliere armato di tutto punto che lo lanciava a grande velocità fino al tremendo urto finale da cui spesso dipendeva la differenza tra la vita e la morte.

L'uomo conviveva con il suo cavallo, simbolo spesso del suo censo e della sua nobiltà, consapevole che da lui dipendeva tutta la sua autorità. Un cavaliere appiedato era facile preda dei nemici, e solo col cavallo poteva spostarsi velocemente e combattere “dall'alto”. In periodo di carestia spesso si era soliti cibarsi di qualunque animale si potesse disporre, ma mai del proprio cavallo.

La sella, invece, vide le proprie origine nella Scitia (gli Sciti erano un popolo nomade della steppa asiatica) nel 700 a.C.. Anche questa ebbe molti adattamenti a secondo dell'uso a cui era destinata. In particolare la sella con schienale alto, vincolata all'animale da saldi sottopancia, che permetteva al cavaliere di appoggiarvisi e di sopportare l'urto dell'attacco in combattimento che così risultava maggiormente devastante. Furono realizzate (ed esistono) selle di tutti i tipi, per lavoro, per gare di equitazione, ed anche per donne. Le selle furono man mano rifinite e impreziosite. Quelle dei nobili ancora oggi fanno bella mostra di sé in tanti musei. E poi venivano imbottite per rendere più confortevoli i lunghi viaggi di spostamento di uomini e di eserciti. Però l'invenzione più importante, anche se stranamente tardiva per l'uso militare fu senz'altro la staffa. Infatti pare che il suo uso si possa fare risalire, sempre in epoca remota , a diverse parti del mondo (era già presente in India nel II sec.a.C. ), mentre l'applicazione al ”cavallo da guerra” fu posteriore e con tutta probabilità si deve ad Attila nel V sec., che aveva notato come i suoi guerrieri cavalcassero comodamente e non soffrissero più del cosiddetto disturbo della “gamba pendente”, descritto persino da Galeno e da Ippocrate. Fu questo semplice accessorio che cambiò completamente l'arte dello stare a cavallo. Fu infatti possibile puntare i piedi, assumere una posizione quasi eretta e avere le mani libere per il combattimento. Con la staffa mutarono anche i finimenti e il morso. Fu anche più semplice montare e smontare da cavallo. Come avrebbe potuto farlo un cavaliere medioevale, appesantito da armi e armatura ? Ci sarebbe voluta una gru! E poi, non dimentichiamo che proprio per la presenza della staffa, durante gli estenuanti spostamenti, fu possibile addirittura dormire in sella (in questo caso ci si puntellava con una forcella posta sull'arcione). Certo oggi con l'avvento delle macchine non abbiamo più bisogno del cavallo da soma paziente e per la guerra abbiamo inventato marchingegni ben più dirompenti che da lui prescindono. Però senza il cavallo saremmo ancora indietro di secoli nella strada del nostro progresso, e poi, volete mettere quanto è affascinante anche solo immaginare un cavaliere medioevale che carica a cavallo o anche un superato cowboy con le sue pistole fumanti in mano?

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NINIVE

L'archeologia mesopotamica deve praticamente tutto a pochi uomini innamorati del mistero del passato, inclini all'avventura e incuranti dei disagi e delle indubbie fatiche che furono costretti ad affrontare.

Furono soprattutto due a legare il proprio nome a questo tipo di ricerca: Paul Emile Botta, console di Francia a Mossul, e Austen Henry Layard, esploratore britannico. Bisogna cercare di immaginare le condizioni in cui operarono questi uomini, impegnati a scavare con mani , pale e picconi, in un periodo che aiuti come le scansioni dall'alto o radar geotermici erano ancora di là da venire, e indirizzati solo dal loro intuito e da tutt'altro che precise indicazioni fornite dalla scrittura biblica. La ricerca dell'importante città assira di Ninive era per questi uomini una specie di Eldorado, e bisognava sapere individuare ,in un territorio poco ospitale (siamo nel 1800), gli indizi che potevano far scoprire resti antichi, primi fra tutti i “Tell” o dune che sotto forma di anonime collinette potevano celare insospettati tesori depositatisi dopo lunghi anni di accumulo provocati da insediamenti umani.

La ricerca di Botta in realtà fu meno meticolosa di quella di Layard, e non si spinse a scavi molto profondi, e inoltre l'ansia della scoperta fece sì che quando rinvenne un importante palazzo, che successivamente risultò essere quello di Sargon II (a Khorsabad, nell'odierno Iraq), frettolosamente annunciò trattarsi della mitica Ninive. Questo onore, invece, toccò a Layard, che scoprì mura , stanze e palazzi di quella che era una delle più fantastiche città di tutti i tempi. Pur nelle condizioni non ottimali in cui si trovava, e con mezzi limitati rispetto al Botta, Layard scavò in questo sito per oltre dieci anni, non solo portando alla luce testimonianze di un passato assiro glorioso ed ancora avvolto nel mistero, ma anche corredandole di scritti precisi , documentati e ricchi di disegni accurati. Vennero così riportati alla luce muri enormi con graffiti che raccontavano le guerre , la religione e la vita di tutti i giorni degli Assiri, nonché statue anche di 30 tonnellate che rappresentavano leoni alati o tori con visi umani.

Per non parlare di una infinità di preziosi manufatti. L'importanza di Ninive è messa in risalto dalle numerose citazioni bibliche, che la descrivono come enorme (si dice che raggiungesse i 150.000 abitanti, numero stupefacente per l'epoca), fortificata (con 3,5 Km di mura di protezione provviste di 15 porte), e soprattutto sontuosamente arredata.

Non si è certi della data di costruzione della citta' (che si trova sulla riva sinistra del fiume Tigri di fronte alla cittadina di Mosul ), ma si ha notizia delle imponenti opere di abbellimento volute dal famoso re Sennacherib che avendo conquistato Babilonia nel 689 a.C (e quindi meno impegnato militarmente), fece erigere sontuosi palazzi con decine e decine di stanze, un importante tempio dedicato a Ishtar (della dell'amore e della guerra, sorella di Shamash, il dio Sole, e derivante dal culto sumerico di Inanna) ed un altro a Nabu (Dio della sapienza e delle arti, messaggero degli dei) . Ma soprattutto creò un meraviglioso giardino dove si potevano ammirare tutte le più belle qualità di fiori e di piante, al punto che molti confusero Ninive con Babilonia e con i suoi famosi giardini pensili.

Dall'esame dei reperti si poterono ottenere informazioni precise sulla vita e sulla religione assira. Vita riempita dalla guerra, favorita e ricercata dai sacerdoti che avevano la prima scelta sulle spoglie dei nemici vinti, e dalla religione che , come quella babilonese , era politeista, con una pletora di divinità che a seconda del momento aumentavano o diminuivano la loro importanza e facevano capo al Dio Assur. Caratteristica era la presenza della cosiddetta “prostituzione sacra”, probabilmente di derivazione sumerica , associata al compimento di riti propiziatori per tutta la città. Ishtar possiede una straordinaria mitologia, ed il suo culto fu molto diffuso. Prese diversi nomi, tra cui Astarte in Grecia, Astar in Abissinia, Atergatis in Siria , ecc.... Era anche la protettrice della sfera sessuale , della fertilità e del parto.

Incredibile importanza ebbe la scoperta della famosa “Biblioteca di Assurbanipal” (nipote di Sennacherib), dove vennero rinvenute svariate migliaia di tavolette d'argilla recanti scritture cuneiformi in lingua accadica, per lungo tempo rimaste di difficile decodificazione, e che solo recentemente stanno cominciando ad essere tradotte in maniera esauriente. Sembra che Alessandro Magno, nella sua cavalcata conquistatrice, abbia visitato la biblioteca di Assurbanipal (ultimo grande re assiro) e da questa abbia tratto l'idea di una biblioteca recante il suo nome e così, anche per soddisfare il desiderio del suo maestro Aristotele, fondò la Biblioteca di Alessandria d'Egitto.

Ninive, capitale dell'impero assiro, è ricordata come come una città sanguinaria, costantemente alla ricerca di guerra e potere, e famosa per la crudeltà con cui si disfaceva dei prigionieri.

Giona, nella Bibbia nel IX sec a.C., predisse la distruzione della città come punizione della sua malvagità. In seguito al pentimento di abitanti e re, Geova la risparmiò ma poiché la stessa ricadde nel medesimo peccato, pochi anni dopo l'assassinio di Sennacherib, l'esercito messo insieme da Cananei e Babilonesi, nel rispetto della profezia, assediò per tre mesi Ninive mettendola a ferro e a fuoco (si calcola nel 632 a.C.).

RASPOUTIN

Ci sono persone che per la loro innata autorevolezza, per come parlano e come si muovono, per lo sguardo profondo che sembra guardarti dentro sino nel profondo, per le leggende che muovono e per la fama di cui godono, riescono a condizionare gli altri solo con la loro presenza e quello che dicono, ancorchè banale, solo perchè detto da loro assume un significato particolarmente rilevante.

Grigori Lefimovitch Novykh Rasputin era uno di questi uomini. Nato intorno al 1869 (data esatta incerta) in uno sperduto villaggio siberiano ,non godette di alcuna educazione particolare, trascorrendo la sua giovinezza nella tranquilla ignoranza della campagna russa. Eppure quest'uomo è passato alla storia con appellativi diversi, tra cui “il monaco pazzo”, o anche “lo stregone”.

Ebbe una vita controversa e a lui fanno riferimento cose diverse come la pazzia, l'esoterismo, la caduta degli zar, la propensione per gli intrattenimenti sessuali e le orge.

Dopo la morte del fratello Misha per annegamento, e dopo essere stato lui stesso salvato e curato, notò come lo status di monaco e profeta ( starec, che allora voleva dire santone, profeta ispirato da Dio) comportava una facile accoglienza in tutti gli ambienti nonché una benevolenza munifica nei loro confronti.

Era un uomo particolare , alto e robusto , sempre vestito di nero ,con una grande barba e dallo sguardo magnetico ipnotizzante e allucinato che riusciva spesso a condizionare gli altri.

Si unì alla Chlisty ,setta illegale che mescolava fisicità e religione (con riti orgiastici di gruppo).

Nel 1905, durante la sua seconda visita a San Pietroburgo, ebbe il suo primo incontro con lo zar Nicola II e la moglie Aleksandra, grazie all’intermediazione di altri personaggi che lo avevano presentato alla famiglia imperiale come l'unico in grado di guarire il figlio gravemente malato di emofilia.

Rasputin infatti acquisì la loro fiducia riuscendo a calmare una crisi dello zarevic Aleksej (sembra con una tecnica ipnotica che riusciva a rallentare il flusso sanguigno) e da quel momento in poi la famiglia Romanov non poté più fare a meno di lui (sembra addirittura che, in trance, riuscisse a sedare una crisi del principe senza muoversi dal suo paese natale. In seguito gli interventi miracolosi di Rasputin furono moltissimi . Il suo potere crebbe sempre di più, non solo a corte, ma anche all’interno della capitale, di pari passo con l'aura di mago, guaritore e profeta. Era noto per le sue esaltazioni mistiche, le sue profezie ed i suoi eccessi orgiastici.

Vista il suo notevole ascendente sulla zarina Aleksandra, (che dipendeva psicologicamente da lui tanto che alcuni hanno sospettato una loro relazione), Rasputin iniziò a crearsi attorno una fitta rete di personaggi importanti e influenti i quali, in cambio di intercessioni verso la sovrana, accontentavano le richieste che Rasputin faceva loro da parte della gente del popolo. Rasputin riuscì quindi a entrare nelle grazie di tutti, o quasi. Alcuni, infatti, all’interno dell’aristocrazia russa, iniziarono a nutrire profondi sospetti verso di lui, soprattutto quando egli si dimostrò pacifista e contrario all’entrata in guerra della Russia, e perfino nel parlamento russo ci furono seri anche se inutili interventi affinchè l'influenza di Rasputin nella politica fosse azzerata.

Fu additato come spia tedesca e la tesi dei principi russi fu avvalorata dal suo rapporto con la zarina che, per l’appunto, aveva origini tedesche. Secondo la Duma, l’aristocrazia zarista e la Chiesa Ortodossa, Rasputin era in combutta con Aleksandra, la quale si serviva dei suoi poteri per spingere lo zar su posizioni rinunciatarie e verso una pace separata con Berlino, in seguito allo scoppio della guerra.

Tuttavia, le ragioni del monaco erano ben lontane dal complotto. Rasputin sapeva che una possibile sconfitta avrebbe determinato la fine della dinastia e della monarchia russa. Gli aristocratici erano di tutt’altro avviso: invocavano l’intervento dell’esercito russo contro l’Austria-Ungheria per la difesa degli interessi russi e della fede ortodossa nei Balcani. Visto che lo zar sembrava cedere alle pressioni della moglie e di Rasputin, gli aristocratici pensarono bene che l’unico modo per sbarazzarsi di dell'ostinato monaco fosse l’eliminazione fisica.

Fatto degno di nota, Rasputin, forse consapevole del suo destino (era stato avvertito di un possibile complotto nei suoi confronti), aveva predetto che se fosse stato assassinato per mano di un componente della famiglia imperiale, la dinastia dei Romanov non gli sarebbe sopravvissuta più di due anni.

In base al racconto riportato dagli stessi congiurati le cose sarebbero andate nel seguente modo:

L’uccisione di Rasputin era stata studiata nei minimi particolari: il nobile Jusupov (che si diceva essere più ricco dello stesso zar, e che amava travestirsi da donna per cantare nei cabaret , oltre ad essere capo dei complottisti (a cui avrebbe dato manforte la stessa Gran Bretagna) disse al monaco che sarebbe passato a prenderlo per portarlo nella sua bellissima casa, dove avrebbe conosciuto la moglie, gozzovigliato con pasticcini e madera (il liquore preferito dal siberiano) per poi recarsi nel quartiere tzigano per un’orgia.

La scena del delitto fu il salotto di casa Jusupov, dove Rasputin attese per due lunghissime ore la moglie del padrone di casa mangiando pasticcini e bevendo Madera avvelenato, mentre gli altri congiurati attendevano al piano superiore. Ma dopo avere bevuto una quantità di cianuro sufficiente ad abbattere sei uomini, il mugiko non voleva saperne di morire, ed allora si decise di passare alle maniere forti cercando di abbatterlo a colpi di pistola. Ma il siberiano era un uomo molto resistente. Furono necessari tre colpi di pistola, due alla schiena e uno alla testa, nonché varie bastonate con un randello. Alla fine ,avvolto in un lenzuolo, fu gettato nel fiume e sembra che in realtà sia morto per annegamento e non per i colpi ricevuti. La notizia della sua morte fu accolta in Russia con grandi feste, i suoi esecutori vennero considerati eroi e nessuno venne punito per il delitto. La profezia di Rasputin, per altro, si avverò, e ad Ekaterinburg il 17 luglio 1918 la strage della famiglia dello zar segnò la fine dei Romanov.

La figura di Rasputin è legata anche a fatti assolutamente indipendenti da motivazioni politiche. Il suo fascino tenebroso ed il suo innegabile carisma furono infatti sostenuti dalla fama di possedere un pene dalle dimensioni assolutamente inusuali, ciò che lo rendeva particolarmente appetibile e seducente agli occhi di donne di ogni età e ceto sociale. Del resto lui stesso se ne vantava, esibendolo anche pubblicamente nei ristoranti quando aveva bevuto troppo (il che capitava spesso), e c'è qualcuno che sostiene che sia stato lo stesso Jusupov ad evirarlo prima di gettarne il corpo in acqua, consentendone il recupero da parte di una cameriera. Molte leggende sono legate a questo fantomatico organo di cui si erano perse le tracce finchè non riapparve tra le cose appartenute a Marie Rasputin. Fu addirittura una famosa casa d'aste, la Bonham, ad acquistarlo, e se qualcuno volesse togliersi la curiosità, il membro in questione è ancora oggi esposto, conservato sotto formaldeide, nel museo erotico di San Pietroburgo. Per completezza di informazione bisogna precisare , e non poteva essere diversamente, che molti sostengono che in realtà ciò che è ostentato nel museo altro non sia che una semplice oloturia ( cetriolo di mare) , usata per mantenere vivo il mito del diabolico Rasputin.

N.B. : Con questa pagina "Cenni Storici" va in vacanza. Buona estate a tutti e a rivederci a settembre.

L'AFFARE DREYFUS

Quando bugie, sentimenti antisemiti, realpolitik e rigidita' militare si mescolano insieme, non può che venirne fuori una miscela esplosiva. E' quello che accadde nel 1894 in Francia, e la vittima fu il capitano Alfred Dreyfus. A causa di un bigliettino scritto con una grafia appena “somigliante” alla sua e indirizzato all'addetto militare dell'ambasciata tedesca, fu accusato di tradimento e processato. Il processo fu celebrato a porte chiuse e i testimoni, militari, riferivano senza alcun obbligo di provare quanto sostenevano, ad una giuria composta da loro superiori diretti.

Occorre, come sempre, contestualizzare la vicenda. Nel 1870 la sconfitta di Sedan e la conseguente perdita di Alsazia e Lorena a favore della Germania aveva fatto nascere in Francia sentimenti profondamente nazionalistici e Dreyfus, ebreo, sembrava il bersaglio ideale per alimentare odi sia nella popolazione sia nell'esercito, che viveva la presenza semita come un attacco alla integrità della nazione francese.

Dreyfus fu condannato, degradato e destinato a passare il resto della sua vita nell'isola del Diavolo, tristemente famosa colonia penale della Guyana Francese. La fretta della condanna suscitò per la verità qualche legittimo sospetto, ma opportunità di stato impedirono la riapertura del caso, con la motivazione che avrebbe potuto arrecare discredito all'operato dell'esercito. Nel 1896 George Picquart, capo dello spionaggio francese, presentò una relazione in cui affermava l'innocenza di Dreyfus e la colpevolezza del maggiore Ferdinand Esterhazy (che in realtà era la vera spia), col risultato che fu immediatamente trasferito in Tunisia. I francesi , però, pian piano si andavano dividendo in innocentisti e colpevolisti, facendo montare il caso che divenne di importanza europea. La vera svolta si ebbe però solo quando nel 1897 Emile Zola pubblicò il suo famoso articolo che cominciava con le ben note parole “ J'accuse”, dove attaccava il processo e i sentimenti antisemiti. Inutile dire che anche Zola venne incriminato, però il suo processo, questa volta civile e non militare, si svolse a porte aperte, facendo così risaltare davanti a tutti le tante illegalità perpetrate contro Dreyfus. Addirittura nel 1898 il maggiore Joseph Henry, uno dei maggiori accusatori di Dreyfus, rivelò di avere manipolato prove accusatorie, e finì col suicidarsi con un rasoio che qualcuno gli aveva fatto pervenire in cella. Un secondo processo si imponeva, dunque, e si tenne a Rennes nel 1899. Anche questo si svolse a porte chiuse, e in una strana atmosfera per la quale le gerarchie militari erano comunque restie ad ammettere il loro sbaglio, che avrebbe significato spostare accuse sul potente Generale Mercier, capo di Stato Maggiore. Il risultato fu che la pena a Dreyfus fu ridotta a 10 anni (una sciocchezza giuridica , in quanto o si è traditori o non lo si è, non ha senso esserlo solo a metà). In effetti la sentenza venne accolta dal popolo con profonda indignazione. Allora si cercò di salvare la situazione con un escamotage, e cioè proponendo a Dreyfus di chiedere la grazia che sarebbe stata accettata (il che equivaleva, però, a dichiararsi colpevole). In realtà il capitano, prostrato da cinque anni di dura prigionia e incitato da familiari e sostenitori, finì con l'accettare. La completa riabilitazione di Dreyfus avvenne comunque nel 1906, quando fu riammesso nell'esercito col grado di maggiore.

Naturalmente, nella storia, di processi taroccati e improntati a ragioni di interessi di parte o di opportunità politica non ne mancano e si potrebbe farne un lungo e impietoso elenco, ma quello ai danni del capitano Alfred Dreyfus ebbe una rilevanza particolare a parte il clamore mediatico , in quanto ottenne il risultato che moltissimi cittadini e numerosi esponenti della classe intellettuale pretesero ed ottennero che i valori di verità e giustizia fossero riconosciuti finalmente per tutti i cittadini, mentre segnò la nascita di una coscienza nazionale di lotta contro l'antisemitismo e la xenofobia, idee quanto mai attuali anche al giorno d'oggi.

IL DIFFICILE PROGRESSO

Il progresso consiste nel percorrere una strada infinita, cominciata con l'apparire dell'uomo e di cui non si intravede la fine. Dal tempo della scoperta del fuoco e della ruota sono passati secoli, e sempre la mente umana ha sentito il bisogno, allora come adesso, di migliorarsi e di continuare ad andare avanti. Non sempre le cose sono state facili, anzi quasi mai, ma il processo cominciato non è mai stato interrotto.

E questo anche se a volte ha avuto la necessità di nascondersi, di trovare giustificazioni superiori, di camuffarsi, mentre in altri casi ha tentato vie comiche o pericolose.

Un esempio del primo caso è l' Alchimia. Oggi sappiamo che è dagli studi alchemici medievali che è derivata la Chimica moderna, ma all'inizio il desiderio di conoscere dei primi sperimentatori si confondeva con riti magici e sette esoteriche. Si tendeva a tenere segreto, tranne che agli iniziati, qualunque nuova nozione , ammantandosi di un sapere più decantato che posseduto. E si aveva bisogno di uno scopo che colpisse fantasia e immaginazione. Si credeva realmente in cose come la "pietra filosofale " o " l' elisir di lunga vita". Ovviamente nulla di ciò venne mai trovato, ma almeno furono studiati gli elementi, si scoprirono strumenti come crogiuoli e vetrerie, e vennero scoperti processi come la fusione e la distillazione.

Ci si muoveva lungo una sottile linea che divideva confusamente magia e religione. E ci sono voluti secoli per emanciparsi e darsi una via comune di avanzamento scientifico e , perchè no, filosofico.

Spesso si cercava di soddisfare, anche in maniera ingenua, ancestrali desideri umani, come quello di volare. Quanti uomini, da Icaro in poi, hanno incarnato la voglia di imitare gli uccelli, quanti uomini con ali posticce o rudimentali apparecchiature hanno perso la vita cercando di sollevarsi in aria. Di questi tentativi, per lo più si è persa la memoria, ma sono la testimonianza della volontà continua di cercare soluzioni, di risolvere problemi. Sono certamente pochi quelli, ad esempio, che hanno sentito parlare " dell'IPPOFERROVIA". Eppure è un chiaro richiamo a quanto sopra, per giunta sostenuto da un famoso patriota del Risorgimento Italiano, Carlo Cattaneo. Pensate un pò che l' eroe delle Cinque Giornate ebbe un'idea che avrebbe dovuto permettere alle barche che portavano merci lungo il Ticino, ma che incontravano enormi difficoltà per tornare , di potere risalire rapidamente controcorrente il fiume (altrimenti potevano impiegarci anche dieci giorni). Ebbene Cattaneo in pratica dedicò tutta la vita alla stesura di un progetto, nonchè alla relativa ricerca di autorizzazioni e finanziatori , che avrebbe dovuto permettere il trasporto a riva delle barche, il loro sollevamento e la loro posa su appositi carri con ruote su binari paralleli alla riva. Tali convogli, veri e propri treni, avrebbero dovuto essere poi trainati tramite funi sfruttando il lavoro di numerose coppie di cavalli. Era un periodo in cui i treni a vapore non erano che al loro inizio, e il progetto , in qualche modo , affascinava, ma fu solo nel 1858 che trovò dei banchieri disposti a finanziare l'impresa. L'Ippoferrovia ( o ipposidra) funzionò per circa sette anni, dopo di che l'alto costo e il numero eccessivo di uomini addetti ne provocarono la chiusura. Occorrevano infatti circa settanta cavalli, ottanta carri e novanta uomini per riuscire a compiere quattro viaggi giornalieri laddove ne erano previsti ventiquattro. Per Cattaneo l'Ippoferrovia restò un sogno non realizzato, ma c'è da dire che è spesso sulla spinta di un sogno che si riesce a realizzare ciò che sembra all'apparenza impossibile.

Il cielo con aerei ,dirigibili e razzi. La Terra con auto, strade treni e via dicendo. Ma anche la conquista del mare è stata una via stupefacente costellata di vittorie e di disgrazie. In ogni campo dobbiamo il progresso alla abnegazione di individui che non hanno esitato a mettere in gioco il loro stesso destino.

Horace Lawson Hunley fu uno di questi. La sua invenzione si può ben dire che diede inizio ad un nuovo modo di intendere la battaglia navale. Nel 1864 la guerra di secessione americana stava ormai volgendo al termine e la città di Charleston, assediata e impossibilitata a ricevere rifornimenti, stava capitolando, quando si decise di fare uso, per la prima volta, di una specie di sottomarino costituito da un tubo di circa 12 metri, alto appena 1,20 metri, mosso a mano dalla forza di pochi uomini di equipaggio e con una riserva d'aria di una ventina diminuti. Il nome era Hunley , lo stesso dell'inventore che era morto durante una prova precedente. L'arma dell'Hunley era in cima ad un'asta sporgente dalla prua e consisteva in un barilotto di dinamite che nelle intenzioni si doveva attaccare al fianco di una nave per poi farlo esplodere tramite un filo dopo esseresi allontanati. Incredibilmente la manovra riuscì e la nave da guerra unionista Housatonic ebbe il discutibile onore di essere il primo vascello della storia ad essere affondato da un sommergibile. Peccato che gli assalitori non ebbero il piacere di assistere al loro successo in quanto la precaria struttura del loro mezzo non resistette all'onda d'urto dell'esplosione e perirono tutti quanti.

LA LONGEVITA' BIBLICA

Gli antichi romani avevano una vita media che si aggirava sui quarant'anni. Filosofi e pensatori, meno esposti ai rischi di guerre e violenze, qualcosa in più. Naturalmente non c'erano difese da malattie ed epidemie e gli ospedali facevano quello che potevano. Oggi la scienza e la medicina hanno fatto passi da gigante e con la lunghezza della vita ne è aumentata, generalmente, anche la qualità. Si è scoperto che la cellule hanno la capacità di depurarsi e di rigenerarsi, e se così completamente fosse davvero l'uomo dovrebbe campare indefinitamente. In effetti un famoso scienziato ebbe a dire che l'invecchiamento è un mistero a tutt'oggi inesplicabile, e quando capita che qualcuno raramente raggiunga o superi i cento anni, merita senz'altro l'onore dei titoli dei giornali che ne sottolineano l'eccezionalità. Superare i cento anni è raro ma non impossibile. In tutto il mondo, a contarli bene, gli ultracentenari sono qualche migliaio circa . Non tanti , dopotutto. E naturalmente in alcuni luoghi il fenomeno è più frequente che in altri , forse per una particolare combinazione di situazioni climatiche e di abitudini alimentari che riporta alla mente Ponce de Leon che andava alla ricerca della mitica fonte della giovinezza.

Però, leggendo la Bibbia, e in specifico l'Antico Testamento, non possiamo fare a meno di notare che i Patriarchi godevano di vite enormemente più lunghe ed operose. Prima del Diluvio Universale, nella Genesi, si racconta di almeno sette patriarchi che ebbero una vitta di durata superiore ai 900 anni. Quello che ebbe una vita più lunga fu Matusalemme (969 anni), ma anche Noè (950 anni ) o Adamo (930 anni) non ebbero di che lamentarsi. Le cose cambiarono drasticamente "dopo" il Diluvio, con abbassamenti notevoli della lunghezza della vita, anche se in modo, se vogliamo, graduale. Infatti, nel periodo che va da Noè ad Abramo anche importanti personaggi biblici, come Isacco, Giacobbe ecc..,pur vivendo a lungo, videro accorciare il tempo della loro vita da 600, a 400, a 200, a 120 anni.

Come mai tutto questo? Quello che ci tramanda la Bibbia sono solo leggende inventate? E se non lo sono, quale interpretazione si può fornire per spiegare tali anomalie?

I seguaci biblici sostengono che Dio aveva creato l'uomo e la donna (Adamo ed Eva) assolutamente perfetti, destinati all'immortalità. Fatti per vivere, quindi, e non per morire.

Ma sappiamo tutti della trasgressione di Adamo, e di come "Per mezzo di un solo uomo il peccato sia entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte (Rm 5:12)"

Ciò che questo concetto trasmette è che la vita dell'uomo tanto si accorcia quanto più si allontana dal momento perfetto della creazione divina. In pratica la diminuzione della durata della vita umana sarebbe in rapporto diretto con il progredire del male. Una interpretazione più moderata considera come di volta in volta si faccia riferimento al patriarca che ha caratterizzato un intero periodo di tempo, anche molto grande. Questo punto di vista darebbe anche conto del perchè le vite di alcune genealogie mesopotamiche raggiungano addirittura le diverse migliaia di anni (addirittura si parla di un certo En – me – en – lu – an - na, re sumero di Bad - Tabira che, prima del diluvio, sarebbe vissuto per ben 43.200 anni).

Indubbiamente bisogna tenere conto del progressivo decadimento ambientale, dovuto a malattie, epidemie, trasmissione genetiche di malformazioni , alterazioni del tenore di vita frugale e rispettoso dei valori ambientali, aumento dei fattori inquinanti e rilassatezza dei costumi morali.

Un'altra teoria sostiene (ma è stata confutata ampiamente) , che un anno di allora sarebbe stato in realtà computato confondendolo col numero dei mesi. In conclusione come risultato del peccato, il codice genetico umano sarebbe divenuto sempre più corrotto, e gli esseri umani sempre più vulnerabili alla morte e alle malattie. Questo avrebbe portato a una durata della vita drasticamente ridotta.

Una ipotesi scientificamente attendibile è quella avanzata dallo studioso biblico sovietico Mikhail Verba, con la quale si darebbe ragione di queste età dalla durata decisamente anomala con una spiegazione abbastanza chiara e definitiva. Verba sostiene che i patriarchi antidiluviani non vissero , in realtà, così tanto, ma che tutto nascerebbe da un involontario errore, commesso dai primi traduttori della Bibbia nel III sec. d.C. Infatti nel passaggio dall'aramaico al greco, avrebbero completamente trascurato di tenere conto del sistema numerico sumero, del tutto differente da quello greco, ottenendo così un risultato assolutamente distorto. Rifacendo i calcoli alla luce di questa teoria la lunghezza delle età patriarcali diventa decisamente più "normale". Infatti Matusalemme passerebbe da 969 a 120 anni (perdendo così l'attributo di "uomo più vecchio di tutti i tempi"), Sara non avrebbe partorito in tardissima età, ma a 40 anni, mentre Noè avrebbe iniziato la costruzione della sua Arca non a 500 anni ma a 60. E così via dicendo. Conseguentemente nella Bibbia non ci sarebbe alcuna "esagerazione" (anche se ormai ci si è abituati alla spettacolarizzazione della narrazione), ma tutto si ridurrebbe alla non corretta interpretazione della numerica sumera. La Bibbia continua comunque ad interpretare la longevità come un segno della benedizione di Dio e a sostenere che la gente vissuta prima del Diluvio era più vicina di noi alla perfezione, ed è per questo che viveva molto, ma molto più a lungo.

IMHOTEP RE DEGLI ARCHITETTI

L'antico firmamento egiziano era colmo di divinità di vario tipo, ma forse l'unica , all'infuori dei faraoni, che ebbe una realtà fisica concreta fu IMHOTEP (colui che viene in pace), visir del faraone Djoser (o Zoser), durante la III dinastia. Egli fu matematico, medico, architetto famoso ai suoi tempi ed anche molto dopo, giacchè fu deificato addirittura duemila anni dopo la morte. Era detto " l'architetto degli Dei", e fu a lui che si deve la progettazione e la realizzazione della ben nota piramide a gradoni di Saqqara, costruita per l'amato faraone Djoser. Il suo nome era noto anche al di fuori dell'Egitto, ed i Greci lo chiamavano Imuthes e lo consideravano figlio di Efesto. E' stato reputato da sempre altamente probabile che la sua tomba si debba trovare tra le mastaba di Saqqara, non lontano da quello che i greci chiamavano Asklepion -sorta di ospedale che accoglieva gente venuta appositamente anche da lontano per farsi curare-ed il collegamento con il mondo egizio è stato dimostrato dal ritrovamento, durante scavi inglesi, di una unione sotterranea con un Ibeion , cimitero di Ibis mummificati. Sarebbe Imhotep l'autore di uno dei più antiche testi di medicina mai ritrovati, riportato nel "papiro di Edwin Smith", dove sono descritti dettagliatamente traumi, fratture, ascessi e perfino un tumore. Da tenere presente che fu contemporaneo di Giuseppe-figlio di Giacobbe-anch'egli molto vicino al faraone. Il suo nome , dai latini fu trascritto come Esculapio.
Durante l'anno ben cinque giorni di festa erano dedicati a quello che era considerato il protettore della medicina.
Insieme a Ptah-dio del mondo-, e Sekmeth -dio della guerra-, faceva parte della cosiddetta "triade di Menfi", ed il suo culto andò sfumando con l'avvento del Cristianesimo.
Imhotep nacque alla periferia di Menfi intorno al 2800 a.C., e suo padre era anch'egli un valente architetto (a quei tempi era normale che i figli seguissero le orme paterne).
Divenuto Visir di Eliopolis sotto il faraone Djoser, assurse a tale importanza da giungere a sostituire il faraone stesso in caso di sua assenza. Fu il primo costruttore a fare uso delle pietre come materiale per le sue realizzazioni. In realtà era molto eclettico nelle sue inclinazioni,
e viene ricordato anche per avere riorganizzato il calendario, e pare che scrivesse poesie. Si tramanda che abbia salvato l'Egitto da una grave carestia durata sette anni, e che per curare una malattia agli occhi della moglie abbia addirittura tentato ,con successo , una specie di cura antibatteriologica.
Per anni è stata cercata la tomba di Imhotep, nella convinzione che dovesse trovarsi nei pressi dell'Asklepion, ma con scarsi risultati. Recentemente, però, una spedizione del Saqqara Geophysical Survey Project, operante in zona dal 1990 guidata da Ian Mathieson, valente archeologo inglese, ha fatto una interessante scoperta in una necropoli situata a circa 30 km a sud del Cairo.
Si tratta in realtà di due grandi tombe delle dimensioni di 90 mt di lunghezza e di 50 mt di larghezza. In una di queste è presente una specie di scala che ricorda molto la famosa piramide a gradoni. Questo ha fatto ipotizzare che possa trattarsi della tomba di Imhotep ed in tal caso si tratterebbe di una scoperta archeologica di enorme importanza.
E' stato a partire dal Nuovo Regno che il culto di Imhotep,si propagò in tutto il paese e sono molteplici le iscrizioni che di lui narrano in svariati templi sia nel Basso come nell'Alto Egitto. Nel celebre tempio di Deie El-Bahari, dedicato ad Hatshepsut (il faraone donna), il nome di Imhotep è presente, insieme a quello di Amenhotep (entrambi divinizzati) ,in una cappella a lui dedicata.
Per capire l'importanza del culto di Imhotep è sufficiente leggere quanto scritto in una stele, oggi conservata presso il museo di Marsiglia, dove lo stesso è indicato come "figlio di Ptah, colui che conferisce vita al mondo".

ADAMO

Adamo è uno dei personaggi biblici più noti. Si può dire con relativa certezza che non vi è persona al mondo, sia cattolico che non cattolico, che non sappia chi sia e cosa abbia fatto. Sappiamo tutti che dal racconto biblico è considerato il primo uomo creato da Dio e conosciamo tutti i guai da lui combinati, insieme ad Eva , in quel giardino dell'Eden da cui fu scacciato, condannando la sua stirpe al dolore ed all'esilio. Ma a parte questo, cos'altro sappiamo di Adamo? In pratica niente, o quasi. L'enorme importanza basilare dell'operato di Adamo su cui si regge tutta la costruzione biblica ( paragonabile per grandiosità soltanto alla consegna delle tavole dei Dieci Comandamenti a Mosè) ,ha fatto passare in secondo piano la sua figura, quasi che non fosse più degno di nota, avendo assolto il suo compito.

In realtà è la Bibbia stessa a non degnarlo di considerazione, limitandosi solo a farci sapere, in..

uno stringato trafiletto, che sarebbe vissuto fino a 930 anni.

Forse è questo il motivo per cui la figura di Adamo, nell'arte medievale , è limitata a qualche rappresentazione delle tavole della Genesi.

In realtà le dimensioni del personaggio non potevano non dare origine a racconti successivi quasi tutti permeati dal mito e dalla leggenda.

Cosa conosciamo,infatti, della morte di Adamo? Praticamente nulla. Costituisce una vera eccezione la raffigurazione della sua morte in una iconografia medievale che si trova nella Chiesa Catalana di Santa Maria del Mar a Barcellona .

Quella che invece è venuta a crearsi è una importante tradizione che affonda le sue radici, probabilmente, nella lettura di alcuni Vangeli Apocrifi e nella "Leggenda Aurea" di Jacopo da Varagine (XIII sec.), che stabilisce una linea diretta tra Adamo e la Santa Croce.

Naturalmente, come detto, il racconto biblico non ne fa menzione, ma stando a questi riferimenti sembra infatti che trovandosi Adamo in punto di morte, abbia chiesto al figlio Seth di andare da Dio a chiedergli l'olio per l'estrema unzione, il che avrebbe significato ovviamente il suo perdono. Dio, nella sua infinita misericordia non gli avrebbe dato l'olio ma molto di più, addirittura un ramoscello dell'albero della vita (proprio quello, per ironia, che tante disgrazie gli aveva recato) da mettere nella bocca di Adamo dopo la sua morte.

L'albero sarebbe poi cresciuto e utilizzato da Salomone che lo avrebbe usato ponendolo all'ingresso del suo Tempio, dove sarebbe stato riconosciuto dalla Regina di Saba che ne predisse l'infausto destino, e cioè quello di essere l'albero da cui sarebbe stata tratta la Divina Croce. Salomone, spaventato dalla predizione, seppellì l'albero, ma incautamente lo fece proprio nel Calvario. Dove venne ritrovato, ed utilizzato come ben sappiamo.

Questo complesso gioco di simboli traccia una diretta connessione dall'essere Adamo nutrimento dell'albero della vita e Cristo che con una croce ricavata da quello stesso albero conferma il suo patto con gli uomini. Una specie di riscatto, dunque, senza il quale Adamo sarebbe abbandonato all'idea del peccato primordiale. Nel MedioEvo si era molto dipendenti da storie come questa, dove reliquie ed esaltazioni religiose trovavano tra la popolazione molte strade aperte, non ostante spesso facessero storcere il naso alle oligarchie ecclesiastiche.

Se vogliamo ,poi, le cose continuano e la Croce, da simbolo della sofferenza di Gesù, in occasione della battaglia di Ponte Milvio in cui Costantino nel 312 battè Massenzio, , divenne, con la famosissima frase "In hoc signo vinces" il simbolo perenne della cristianità, collegando direttamente, e per sempre, Adamo con tutti i figli di Cristo.

Alla Morte di Adamo è dedicato un famoso affresco di Piero della Francesca, databile intorno al 1450, e che si trova nella Cappella Maggiore della basilica di San Francesco ad Arezzo, facente parte delle "Storie della vera Croce".

L'ULTIMA THULE

Il nome Thule evoca mondi perduti o irraggiungibili, storie di popoli dimenticati e di uomini giganteschi. La sua storia si perde nella notte dei tempi. La prima volta che venne menzionato risale all'incirca al 330 a. C. e a farlo fu un marinaio greco di nome Pitea in viaggio da Marsiglia verso i mari del Nord e lui la descrive come una terra di fuoco e di ghiaccio. Claudio Tolomeo, uno dei primi grandi cartografi della storia, colloca Thule tra le latitudini di 63°N e 16°25', ma sono note le sue imprecisioni per luoghi al di fuori del territorio dell'impero Romano. Secondo Platone (dialoghi Timeo e Crizia) l'isola di Thule sarebbe ciò che rimane del continente di Atlantide, mentre secondo altri indicherebbe semplicemente il circolo polare artico. Molti miti la accomunano allo Shangri-la Himalayano .Senaca, nella "Storia Vera", immagina un suo viaggio fantastico dove parla del tentativo di superare le colonne d'Ercole, che rappresentavano il limite invalicabile tra il mondo noto e l'ignoto. Similmente l'isola di Thule nel Medioevo assunse il significato di terra sperduta, lontana, invalicata e invalicabile. Sia Tacito che Strabone hanno avuto modo di citare Thule nelle loro opere, ma fu Virgilio che la definì "ultima", riprendendo il significato di "ultimo limite conoscibile". Dante stesso la cita ,con una specie di gioco di parole, nel suo Purgatorio dove sembra situarla nell'odierna Islanda.

In definitiva non sappiamo con certezza dove si trovi la terra di Thule, ma il suo nome , come del resto altri come quello di Golconda o di Trebisonda o di Shamballah, ha dato origine a svariati miti che hanno avuto il tempo di trasformarsi in leggende ancora vive ai nostri tempi.

Strettamente legata al nome Thule è stata sicuramente l'ideologia nazista. Rudolf Hess faceva parte di una società segreta esoterica fondata nel 1918 (Thule Gesellschaft) , il cui simbolo era un distintivo col disegno di una svastica e che , in un secondo tempo, diede luogo al corpo delle S.S.

Il riferimento era al fatto che la terra mitica di Thule fosse abitata in origine dagli "Iperborei", razza di uomini alti biondi e perfetti, ai quali si riconduceva il concetto di superiorità della razza ariana indoeuropea e la conseguente considerazione che i Germanici ne fossero la più pura espressione. Dalla leggenda di Thule il misticismo nazista derivò la credenza in una strana teoria (del tutto priva di fondamenti scientifici) propugnata da un quantomeno singolare ingegnere tedesco, Hans Horbinger, detta del "ghiaccio cosmico". Secondo questa, diversi satelliti terrestri, di cui rimarrebbe solo la Luna, si sarebbero abbattuti sulla Terra in epoche remote, causando cataclismi che avrebbero distrutto i continenti di Atlantide, Mu e Lemuria (gli Iperborei sarebbero i superstiti del disastro atlantideo) provocando anche un abbassamento della forza di gravità che avrebbe causato la nascita di uomini giganteschi (le tradizioni mitologiche ne tramandano molti, da Sansone a Golia, dai Titani ai Ciclopi, etc..) e comunque la formazione di una razza superiore e pura che si sarebbe successivamente imbastardita unendosi ad altre inferiori. Da qui sembra anche derivare il feroce antisemitismo nazista.

In conclusione, anche se non è mai stato possibile collocare esattamente l'isola di Thule, in qualche modo essa è diventata la patria di origine della razza ariana , superiore a tutte le altre e l'unica legittimata a dominare il mondo.

All'inizio del 900, per la verità, altre simili società esoteriche nacquero in Gran Bretagna ed alcune condivisero con la Thule il pensiero della "società Teosofica" , come la Golden Dawn di Helena Blavatsky che sosteneva l'esistenza di un'epoca d'oro popolata da sapienti antichi (addirittura precedenti alle glaciazioni).

La leggenda dell' Ultima Thule, nella quale credevano fermamente sia Hitler che Himmler ha portato come conseguenza il propugnare il ritorno della razza germanica ad un passato glorioso anche se indefinibile. Inoltre porto' il terzo Reich , che aveva assoldato un elevato numero di occultisti, a cercare in tutto il mondo reperti antichi e famosi per i loro poteri che avrebbero dovuto aiutarlo a sottomettere tutti gli altri popoli. I tedeschi cercarono, ad esempio, il Santo Graal nel sud della Francia, la Lancia di Longino (conservata a Vienna ma di dubbia autenticità) e in Tibet l'ingresso di un misterioso mondo sotterraneo (credevano infatti nella teoria detta della "Terra cava") per giungere alla sua capitale Agarthi.

Incredibile a cosa può portare il semplice credere ad una leggenda mai dimenticata.

T O R Q U E M A D A

Normalmente il termine "Inquisizione " è usato in modo generico. In realtà, al contrario, I tribunali del famigerato ordine si sono affermati in modi e tempi diversi in tutta Europa.

La distinzione basilare che occorre fare è quella, comunque, tra Inquisizione spagnola e inquisizione romana. I tribunali del'inquisizione furono istituiti nel 1184 da papa Lucio III durante il Concilio di Verona, ma fu nel 1252 che papa Innocenzo IV diede via libera alla tortura come mezzo d'interrogatorio e d'indagine.

La differenza tra le due inquisizioni, essenzialmente, sta nel fatto che i tribunali spagnoli avevano ai vertici inquisitori formalmente nominati dal papa ma che rispondevano ai monarchi spagnoli , mentre quelli romani dipendevano direttamente dalla Chiesa di Roma.

Furono perciò Ferdinando II d'Aragona e la consorte Isabella di Castiglia che ebbero per primi la possibilità di nominare "Grande Inquisitore di Spagna", quello che in effetti era il loro confessore spirituale e che rispondeva al nome di Tomas de Torquemada, una figura rimasta nel tempo a significare crudeltà e rigore religioso portati al loro estremo livello.

Torquemada, nato in Castiglia nel 1420 era priore del convento domenicano della Santa Cruz di Segovia e fu il primo inquisitore alla fine del periodo della "Reconquista", quando i regni cristiani, dopo un lungo periodo durato ben 750 anni, riuscirono a cacciare definitivamente gli arabi dalla penisola iberica detta al-Andalus (Spagna e Portogallo) con la presa di Granada nel 1492.

Il fervore cristiano non si fermo' con la fine della guerra ma intese costruire una Spagna "totalmente " cristiana, cacciando ebrei e musulmani (che fino ad allora avevano in qualche modo convissuto senza troppi traumi) o obbligandoli alla conversione.

L'espressione concreta di tale volontà ebbe la sua realizzazione più vistosa nei sentimenti antisemiti di Torquemada.

Fino alla sua morte ,avvenuta ad Avila nel 1498, furono innumerevoli i processi da lui condotti principalmente contro i cosiddetti "conversos", così intesi gli ebrei convertitisi non per loro diretta volontà , ma per la necessità di non perdere i propri beni e dovere fuggire all'estero ( e quindi non ritenuti sinceri). Torquemada gestiva un tribunale centrale a cui dovevano obbedire tutti i tribunali provinciali i cui commissari venivano eletti da Torquemada stesso. Questa organizzazione "centralizzata " ispirò anche l'organizzazione dei tribunali dell'inquisizione portoghese (1437) e successivamente quella romana (1542). Si calcola che nella sua vita Torquemada ebbe a celebrare oltre 20.000 processi (una media di 20 al giorno). In tutti si fece uso della tortura, e circa 2.000 si conclusero con la condanna al rogo. Almeno 6500 furono i processi contro contumaci o persone già decedute. In realtà si perseguiva un fine politico nemmeno troppo nascosto. Isabella e Ferdinando erano profondamente indebitati con finanziatori ebrei e non in grado di restituire le grandi somme impiegate per la guerra. Cacciare gli ebrei (da sempre colpevoli in quanto indicati come gli uccisori di Gesù ) ed incamerare i loro beni era la cosa più facile (e redditizia) di questo mondo. Vi era stretta collaborazione tra potere ecclesiastico e temporale. Era la Chiesa che procedeva ai processi (chiamati auto-da-fè, o atto di fede), ma era lo stato che eseguiva le sentenze ( mentre i beni dell'imputato venivano egualmente divisi , in genere ancora prima che i processi si concludessero). Al contrario di quanto avveniva nei processi civili, dove occorreva la testimonianza di almeno due persone per accusare qualcuno, ai tribunali dell'inquisizione bastava solo una testimonianza. Fu così che tra il popolo spesso si colse questa opportunità per consumare odi, vendette e rancori personali. Il fine ultimo era quello di ottenere quella confessione che avrebbe stabilito la colpevolezza dell'imputato. E per far questo il mezzo era sempre lo stesso : la tortura. La Chiesa proibiva spargimenti di sangue, ed allora i metodi si basavano su piacevolezze come la rottura di ossa, la disarticolazione degli arti, lo stiramento di braccia e gambe,lo schiacciamento degli alluci, il far bere incredibili quantità di acqua e cose del genere. E poi da ogni supposto reo occorreva ottenere almeno dieci nomi di altri colpevoli, Innescando in tal modo una catena infinita. Nella città di Toledo si giunse ad inquisire mezza città. Nessuno che avesse degli ebrei in famiglia poteva dirsi al sicuro, nonostante che lo stesso Torquemada fosse figlio di due conversos , e si calcola che furono circa 300.000 coloro che dovettero abbandonare la Spagna e i propri beni. Il terrore era altamente diffuso e Torquemada passò alla storia con il nome di "Leggenda Nera". E così l'Inquisizione, nata con lo scopo di combattere l'eresia, divenne uno strumento intransigente per applicare "in qualunque modo e a tutti i costi" il volere dell'ortodossia clericale. Ironico, tra l'altro, il nome assunto di Sant'Uffizio, per un tribunale così spietato. S. Klein, nel suo studio "I personaggi più malvagi della storia" dice testualmente: Quando appariva il carro della morte di Torquemada, le porte delle città si spalancavano, le risorse venivano poste a sua disposizione e i magistrati gli giuravano devozione. I metodi dell' Inquisizione Spagnola continuarono perpetuandosi in Portogallo e nelle Americhe.

All'atto della propria morte Torquemada era convinto di avere sterminato il giudaismo nel suo paese. Bisognerà attendere il XIX sec. perchè i tribunali dell'Inquisizione venissero aboliti in tutta Europa. Solo in italia non fu così, in quanto ci si limitò a cambiarne il nome in "congregazione per la dottrina per la fede" tutt'ora operante, anche se senza gli eccessi del passato.

Certo, giudicare avvenimenti di tale portata avvenuti così tanto tempo fa, comporterebbe il doversi calare, per poterli comprendere, nelle dinamiche di un medioevo in cui religione e politica si mescolavano insieme e dove l'intransigenza ideologica era la base della vita quotidiana. Anche così facendo, però , non si può restare indifferenti a ciò che l'uomo era disposto a fare di crudele e mostruoso, con la scusa di farlo "In nome di Dio". Cosa, del resto, che continua ad accadere anche nel mondo di oggi.

UNA STORIA D'AMORE MEDIOEVALE, FEDERICO II e BIANCA LANCIA

Il Medioevo non era un periodo facile per chi era innamorato. Anzi, l'amore, specialmente tra nobili e potenti, era quasi sempre costretto a lasciare il passo alle convenienze politiche. Alleanze di tutti i tipi, per unire patrimoni o per sancire unioni militari, facevano sì che l'amore fosse tenuto in bassissimo conto. I matrimoni spesso venivano concordati quando le spose erano molto piccole (le cosiddette "spose bambine"), o addirittura ancora prima che nascessero. Se l'amore poi veniva, bene, altrimenti pazienza.

Federico II di Svevia, re delle due Sicilie, di forte carattere e di cultura profonda (amava circondarsi di sapienti) , tanto da essere ricordato come lo "stupor mundi", non sfuggì a questa regola.

In quel periodo era fondamentale scegliere opportunamente con cui accasarsi , ed era assolutamente indispensabile avere certezza sulla discendenza. Basti ricordare che sua madre, Costanza d'Altavilla, sposa di Enrico VI per volere del di lui padre Federico Barbarossa , non riuscendo a concepire quel figlio tanto atteso quando ormai era giunta ai quarant'anni, età giudicata troppo avanzata per avere figli (le donne partorivano giovanissime) , per tacitare le voci che dicevano falsa la sua gravidanza, colta da doglie il 26 dicembre 1194 mentre si trovava a Jesi, decise di partorire in piazza dinanzi alle donne del paese allattando già l'indomani in pubblico il bambino appena nato.

Fu per volere di Papa Innocenzo III, che su di lui esercitava la tutela invocata dalla madre, che Federico si sposò la prima volta (ebbe in tutto quattro mogli) appena quindicenne. Lo fece con Costanza d'Aragona, cattolicissima, donna molto più grande di lui che si sperava potesse instradarlo all'obbedienza verso l'autorita' ecclesiastica romana. La cosa non ebbe però grande successo.

Le seconde nozze furono sponsorizzate da Papa Onorio III che voleva coinvolgere Federico nella VI Crociata in Terrasanta.La prescelta Isabella di Brienne avrebbe infatti ricevuto in eredità la Corona di Gerusalemme (cosa che gli tornò in seguito utile per concordare un accordo diplomatico evitando la guerra). Le cronache riportano la figura di Isabella come di una tredicenne bruttina e poco attraente, tanto che fu tradita addirittura, (e con una cugina) la sera stessa delle nozze. Comunque morì a 16 anni di parto, lasciando a Federico due figli, Margherita e Corrado IV.

Nessuna delle mogli di Federico riuscì ad avere un ruolo politico di sorta, costantemente relegate nei palazzi e soggiogate dalla grande personalità dello Svevo.

E così fu anche per la terza moglie Isabella di Inghilterra, figlia di Giovanni SenzaTerra, re d'Inghilterra, e sorella di Enrico III, che avrebbe dovuto sposare Enrico ,figlio di Federico, ma che finì per sposare lo stesso imperatore che nel frattempo era rimasto vedovo di Isabella di Brienne.

Questa volta a spingerlo alle nozze fu Papa Gregorio IX, che cercava un modo per avvicinare i ricchi e difficilmente controllabili guelfi tedeschi.

E fu solo pochi mesi dopo la celebrazione di questo matrimonio che Federico conobbe la donna che amò più di tutte, e che restò, a dispetto delle tragiche vicende che seguirono, l'unico vero amore della sua vita.

Bianca Lancia aveva appena quindici anni quando Federico II, nel 1226 a Menfi, la conobbe mentre era ospite del Conte Bonifacio d'Agliano, padre di Bianca.

E fu immediatamente colpo di fulmine. I due furono presi da reciproca passione che ,non potendo portare al matrimonio, si intese mantenere, inutilmente, segreta.

E questo fu per i due, ma in special modo per Federico, un amore totale compreso di tutta la dedizione ma anche di tutti i sospetti e le gelosie che purtroppo caratterizzano da sempre un amore veramente importante.

Bianca diede a Federico due figli (alcuni dicono tre), Costanza e Manfredi (di gran lunga il suo preferito e futuro governatore di Sicilia). Ma fu proprio durante la gravidanza di Manfredi che Federico fu preso da una forte gelosia per un supposto tradimento , inesistente, da parte di Bianca, che decise di confinare in una torre del castello di Gioia del Colle ( splendido esempio di architettura federiciana, nel quale l'imperatore aveva l'abitudine di soggiornare spesso).

Una versione leggendaria dei fatti narra che l'eccessiva sensibilità di Bianca e l'onta per l'umiliazione subita fecero sì che la donna giunse a tagliarsi i seni e a farli recapitare a Federico in un vassoio insieme al bambino appena nato per poi suicidarsi (in questo caso Bianca Lancia sarebbe morta nel 1233). Ancora oggi c'è chi giura di aver sentito i lamenti dello spettro di Bianca che si aggira , piangente, in quella che adesso si chiama Torre dell'Imperatrice, mentre continua a chiedere all'infinito che venga riconosciuta la sua innocenza. Un' altra storia, forse più attendibile, racconta che nel 1246 Federico, trasferitosi nel castello in occasione della morte della moglie Isabella, trovando Bianca sofferente e prossima alla morte, e riconoscendo in Manfredi (nato nel 1232) le proprie sembianze, pentito della sua stessa crudeltà, acconsentì finalmente alla richiesta di matrimonio, che venne celebrato , si dice, in "articulo mortis", sia per dare pubblica legittimazione all'amore con Bianca , sia per riconoscerne la discendenza.

Al 1241 risalirebbe comunque il dono del Castello di Monte S. Angelo (Foggia) a Bianca Lancia, all'indomani della morte della terza moglie Isabella d'Inghilterra.

Per dovere di cronaca è giusto riportare che secondo fra' Salimbene da Parma il matrimonio con Bianca sarebbe avvenuto accanto letto di morte dell'imperatore, intorno al 1250.

Come si vede storia e leggenda si intrecciano fortemente, come sempre accade quando a sublimare le azioni dell'uomo entra in gioco quella forza imprevedibile che chiamiamo "amore".

INFERNO

L'uomo ha sempre vissuto con la paura della morte. E' qualcosa di insito nella sua natura stessa. Non è facile, infatti, accettare l'idea di scomparire per sempre. Meglio quindi immaginare una prosecuzione della vita, pur se diversa, che possa continuare indefinitamente e che ci avvicini a quella che potrebbe essere considerata, in fondo, una specie di "esistenza" eterna, pur con i dovuti aspetti immateriali ed eterei, in attesa, eventualmente, di riappropriarci, in un lontano futuro, delle abbandonate sembianze terrene. Naturalmente, per far questo, si è dovuto necessariamente pensare ad un luogo adatto alla permanenza delle anime, ed anzi i luoghi sono stati essenzialmente due : Il Paradiso e l'Inferno. Il primo destinato al "soggiorno" di coloro che in vita abbiano tenuto una condotta degna di meritare gioia e beatitudine , il secondo inteso come luogo di punizione e dolore per coloro che, al contrario, hanno scelto, in vita, di compiere il male. E questo per dare, in definitiva, un senso alla vita stessa. Parlando del secondo, notiamo che la parola Inferno deriva dal latino "Infer" (sotto), nella convinzione che tutte le cose buone, come il Paradiso, fossero destinate a stare "sopra", nel cielo e tra le stelle, mentre le cose cattive, come l'Inferno, dovessero nascondersi sottoterra (sotto, appunto), e l'entrata ad esso dalla mitologia antica veniva collocata nei pressi di Cuma. La differenza tra l'Ade greco e l'Inferno Cristiano sta nel fatto che il primo sarebbe solo un "luogo di raccolta" delle anime dei morti, mentre il secondo costituirebbe un luogo di punizione e castigo. Inferno e Paradiso sono sempre esistiti, in varie forme, sia in culture precristiane, come in altre, cristiane o non-cristiane. Questo perchè dall'atto della Creazione è derivata anche la nascita del concetto di errore e di peccato, atteggiamenti identificati con la presenza del Diavolo (o Satana), Dio del male. Nelle credenze antiche vi era la possibilità di ingraziarsi questa per altro vendicativa divinità, che poteva divenire anche potenzialmente propizia. In seguito si è sviluppata la credenza in una eterna lotta tra divinità positive e principio distruttivo. Si arriva gradatamente a credere che la vita sia dovuta all'azione di un Dio buono e quindi che Satana, creatura e non divinità, può essere controllato e vinto. Le religioni monoteiste derivano tutte da tradizioni Accadiche , Semitiche e Assiro-Babilonesi, e quindi il concetto di lotta tra il Bene e il Male, pur raccontato in modi diversi, è molto simile, e concepisce l'Inferno come un luogo buio, sotterraneo, popolato da esseri mostruosi. Amenti è il nome dato all'inferno dagli antichi egiziani, ed è il regno del malvagio Seth, nonche' di mostri tra cui Apep, che cerca sempre di divorare il Sole (Ra) per impedirgli di sorgere. Sempre nell'antico Egitto per controllare la purezza di un cuore e per vedere se può salvarsi, viene posto, nella "Sala delle Verità", su di un piatto di una bilancia e deve risultare più leggero di una piuma posta sull'altro piatto. Se più pesante, viene dato in pasto ad Amenti o reincarnato in un maiale.
Per gli antichi greci e latini il "regno degli Inferi" era un vero e proprio luogo fisico e da alcune porte si poteva accedere al suo interno ( come fecero Odisseo ed Enea). Il Re dell'Ade sarebbe Plutone, mentre la Regina Persefone (Proserpina per i latini). Omero lo descrive come luogo popolato da ombre scure, senza distinzione apparente tra anime buone e malvagie. Spesso il nome dato a Satana è derivato dai nomi delle divinità delle odiate vicine tribù nemiche (come le divinità fenicie Belzebù e Moloch), mentre l'Inferno passa a luogo dominato da fiamme
eterne. La filosofia scolastica sostiene che la punizione consista nella lontananza da Dio, mentre S. Agostino afferma che la pena, pure se eterna, è commisurata alla gravità dei peccati da espiare. Nel Medioevo è la "Divina Commedia " dantesca a rappresentare l'idea ortodossa cristiana dell'Inferno, come enorme buco provocato dalla caduta di Lucifero dal cielo,e diviso in gironi a seconda delle pene e dei peccati. I culti nordici chiamano Hell il loro inferno, abitato dai morti senza onore .e da coloro che anzichè morire in battaglia preferivano morire di vecchiaia, magari nel loro letto. Nell'Induismo l'Inferno si trova sottoterra ed è il regno di Taraka, divinità demone che sparge odio e distruzione, e l'anima dei dannati viene ad essere vittima dei tanti demoni da lei stessa generati. Nel Buddhismo, invece,non esiste una divinità trascendente che giudica, ma un inesorabile principio di causa-effetto (chiamato Karma) . L'inferno prende il nome di Naraka, ed è teatro di feroci punizioni che, però hanno una durata commisurata all'entità del peccato commesso. Non si tratta dunque di una pena eterna. Una specie di Purgatorio, se vogliamo. I Naraka però si possono immaginare come dei luoghi di punizione sia fisica che mentale.
Nel Taoismo, l'inferno Cinese è posto in una montagna, costituito da un dedalo di corridoi e stanze, ognuna deputata ad un specifica pena (una per il furto, una per la menzogna, e così via), e come per il Buddhismo la pena è a tempo, sulla lunghezza del quale possono influire anche le preghiere dei vivi. Scontata la pena le anime possono reincarnarsi e seguendo la vie del Tao (virtù) hanno la possibilità di divenire sempre più perfette sino a divenire immortali.
L'Inferno, ovviamente, così come il Paradiso, è una verità di fede. Non sappiamo in realtà come sia e per questo dobbiamo forzatamente affidarci all'immaginazione. Ma del resto si tratta di una cosa di non poco conto: addirittura di una possibile dannazione eterna. Occorrerà forse rifarsi a Blaise Pascal e alla sua famosa "scommessa" , secondo la quale a non credere avremmo tutto da perdere? Infatti , secondo tale idea ,se non credessimo e dopo la morte dovessimo scoprire che è tutto vero, non potremmo più riparare al danno fatto.

Claudio Tolomeo

Com'è facile , oggi, andare da un posto all'altro! Le strade sono già segnate, e treni, auto e aerei sono a nostra disposizione per farci arrivare rapidi e comodi. Spesso, anzi, prima di partire è possibile consultare cartine , mappe, percorsi, che ci dicono quante ore e quanti Km. prevede ogni nostro spostamento. Tutto facile, insomma. Dovremmo soffermarci, però, a considerare come si è potuti giungere nel tempo, a tali possibilità che adesso ci sembrano del tutto naturali.

Il primo di cui si ha notizia a porsi il problema di realizzare una cartina geografica fu, nel I sec. dopo Cristo un certo Marino di Tiro, che cercò di rappresentare quello che veniva chiamato "Ecumene", intendendo con questo termine riferirsi a quella parte di Terra in cui era ragionevole che l'uomo potesse trovare condizioni ambientali adatte per poterci vivere. I limiti dell'ecumene venivano naturalmente indicati da oceani non attraversabili o da deserti invivibili. In realtà Marino di Tiro realizzò una proiezione cilindrica dei territori allora conosciuti (che la Terra fosse rotonda era ormai un fatto assodato) con sopra una griglia di linee orizzontali e verticali (metodo adottato sin dai tempi di Eratostene), alla stregua di rudimentali paralleli e meridiani. In realtà la più importante opera cui ci si riferì sino al Rinascimento fu la "Geografia" di Claudio Tolomeo, astronomo e matematico greco vissuto nel II se. d. C. ad Alessandria d'Egitto. Egli impose all'ecumene dei limiti ben precisi, che andavano dalle Isole Fortunate (le odierne Canarie) alla Serica (Cina occidentale, da cui proveniva la seta), dal parallelo di Thule, 63°N , (detto anche ultima Thule per la stimata impossibilità di superare tale limite) all'Etiopia. Tolomeo si basò sull'opera di Marino di Tiro nonchè su racconti riportati per disegnare territori come quelli riguardanti l'Impero romano e quello persiano. Le imprecisioni quindi ci sono e sono anche importanti, ma la novità sta sul fatto che Tolomeo affrontò per primo il problema di rappresentare in piano una superficie sferica, che già di per se comporta notevoli distorsioni, e ideò una rappresentazione conica in cui (come adesso) tutti i meridiani convergono in un punto. Consigliò, di conseguenza, l'uso della rappresentazione conica per territori generali, mentre quella cilindrica per porzioni di territori particolari e limitati, dove era più facile e pratico immaginare una porzione di Terra piatta .

La "Geografia" è un'opera vasta , che è formata da otto parti. Nella prima sono contenute informazioni di base. Nelle sei susseguenti vengono rappresentate altrettante parti del mondo conosciuto con l'indicazione di migliaia di coordinate a corredo, mentre l'ultima contiene 27 mappe di particolari regioni.

L'originale dell'opera è andata perduta, ma è stato possibile ricostruirla data la massa di informazioni sulle coordinate trasmessa da vari studiosi (come Cassiodoro nel VI sec. ). Famosa e' l'edizione in greco curata da Erasmo di Rotterdam. Una copia in pergamena miniata da Pietro del Massaio della Geografia è conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana.

Claudio Tolomeo (nome strano, in parte latino -Claudio- e in parte greco -Tolomeo-), non è passato alla storia solo per questo, anche se sarebbe pure stato sufficiente. Anzi, dai più è ricordato per un altro suo lavoro, che ha condizionato per secoli astronomia e religione. Si deve a lui, infatti ,quello che è universalmente conosciuto come "Sistema Tolemaico".

Tolomeo era un "uomo della Terra", intendendo con questo che in tutte le sue considerazioni poneva al centro la Terra. Anche al centro, quindi, del creato. A lui si deve la "teoria geocentrica" che pone la Terra ferma mentre tutti gli altri astri, pianeti e Sole, le ruotano intorno. Questa concezione ,inoltre, poneva anche l'uomo, di conseguenza, in posizione privilegiata al centro dell'universo. La Chiesa trovò naturale sposare questa configurazione astrale, che giustificava il fatto che Dio avesse creato l'uomo ponendolo al centro di tutto.

Non è difficile riconoscere comunque l'importanza di Claudio Tolomeo che , al di là del fatto che che i suoi assunti si siano dimostrati poco veritieri, ha il grosso merito di avere, 2000 anni fa, gettato le basi della moderna cartografia.

Non fu facile per Copernico , e siamo ormai nel XVI sec. , descrivere e rendere accettabile un sistema diverso, matematicamente più semplice e astronomicamente più aderente alle rilevazioni, che prevedeva che il posto della Terra fosse preso dal Sole ( "sistema eliocentrico"), riducendola così al rango di un pianeta qualunque, trascinandosi appresso la stessa idea che l'uomo, dopotutto, non era al centro di ogni cosa.

Le teorie matematiche che appoggiano la visione astronomica di Tolomeo sono contenute in una sua opera dal nome "Almagesto" (il grandissimo) . Tale opera è in realtà andata perduta ma è conosciuta per la sua traduzione in arabo e per l'utilizzo che se ne fece nel MedioEvo, ed è singolare il riferimento esplicito alle teorie cosmologiche di Aristotele (che sosteneva che tutti gli astri fossero fissi nel cielo) criticate da un astronomo di nome Eraclide Pontico ( alunno di Platone), che già a quei tempi ipotizzava la rotazione terrestre. Sistema Tolemaico (fortemente sostenuto dalla Chiesa ) e sistema Copernicano sono stati in contrapposizione per molto tempo, facendo vittime illustri (come Galilei, riabilitato solo nel 1992), ma era inevitabile che alla luce di strumenti innovativi come il cannocchiale il Sistema Solare dovesse essere prima o poi universalmente accettato e definitivamente dimostrato (nel 1851) tramite il famoso "Pendolo di Foucault" che riabilitò, dopo tanto tempo, il misconosciuto Eraclide.

LO SCHIAVISMO

Schiavo è colui che (volontariamente o forzatamente) rinuncia alla proprietà su se stesso. Il concetto che tutti gli uomini debbano avere gli stessi diritti e gli stessi doveri, per quanto oggi possa sembrarci qualcosa di acquisito, ha stentato secoli per affermarsi , e probabilmente tutt'ora non è che possa dirsi completamente applicato in tutto il mondo. In realtà per molto tempo si è accettato che alcuni uomini "comandassero " mentre altri dovessero naturalmente rinunciare alla propria libertà sottomettendosi al volere ed alla potestà altrui.

Il concetto di schiavitù in realtà e' stato inteso molto diversamente a seconda del periodo e del luogo, ma in pratica è sempre esistito. Schiavo è colui che è soggetto al pagamento di un tributo al proprio padrone, sino a raffigurare il caso che addirittura la propria vita e la propria quotidianeità diventino "tributo totale".

Lo schiavismo all'inizio non aveva delle motivazioni ideologiche, ma era naturalmente basato sul principio della forza dominante. C'è da osservare che l'ideologia intervenne strumentalmente col tempo come giustificazione per continuare a farlo sopravvivere.

Lo schiavismo veniva imposto, e accettato, senza che vi fosse un'opposizione particolarmente degna di nota, e le due uniche eccezioni, se vogliamo, sono costituite dalla fuga del popolo ebraico dall'Egitto e dalla ribellione del gladiatore Spartaco. Nell'antichità la Grecia, patria riconosciuta della saggezza e della filosofia, accettava come stato naturale la schiavitù, e ci furono periodi in cui erano in maggiore numero gli schiavi che gli uomini liberi. Nella civiltà romana gli schiavi erano fondamentali per l'economia dell'Impero , e spesso le principali motivazioni delle guerre erano quelle di procurarsi un sempre maggior numero di braccia lavoro. A Roma, però , lo schiavo non era tale per natura e poteva essere riscattato (o riscattarsi) acquisendo la cittadinanza romana. Occorre precisare che nell'antichità lo schiavo spesso era culturalmente pari o superiore al suo padrone. Si ricorda che schiavi erano il favolista greco Esopo e il drammaturgo latino Terenzio.

Nell'antico Egitto (ma non solo) fu esclusivamente per la moltitudine di schiavi a disposizioni che si poterono costruire meravigliose opere che ancora oggi non finiscono di stupirci, come le piramidi, altrimenti impossibili da realizzare, e i ritrovamenti tombali dimostrano che gli schiavi erano destinati ad accompagnare il loro Signore nel viaggio verso la terra dei morti.

Il passaggio successivo allo schiavismo è stato il capitalismo, ritardato dal continuare a rappresentare lo schiavo come un bene e non come una persona, impedendo al "padrone " di trasformarsi in "imprenditore", e favorendo così il passaggio intermedio al "servaggio feudale".

Nel Medioevo lo schiavo fu fondamentale per la società e per l'economia, anche se l'intervento della Chiesa cercò di attenuarne l'importanza, vietando la schiavitù per chi era cristiano.

Nel periodo dei Comuni (XI sec.) la schiavitù era ancora diffusa nei latifondi (servi della gleba), però a loro erano riconosciuti alcuni diritti, fra cui quello (finalmente) di essere considerati come persone.

Alla fine del X sec. in Europa la schiavitù, in ogni caso, poteva essere considerata formalmente abolita (lo stesso Carlo Magno aveva proibito ai cristiani di ridurre in schiavitù altri cristiani ). Non così il commercio degli schiavi. Nel XV sec. le scorrerie dei pirati barbareschi portarono ad un fiorente commercio schiavista e città come Tunisi, Tangeri, Trapani esclusivamente su questo basarono la loro ricchezza. Nella battaglia di Lepanto (combattuta tra la Lega Santa e la flotta ottomana nel 1571) si calcola che furono circa 12000 gli schiavi liberati dai ceppi rematori. Non ostante quello che si potrebbe credere stando alle molte storie ingigantite sulla cosiddetta "tratta delle bianche", non erano le donne ad essere le più ricercate, anche se molte erano quelle che finivano per affollare gli harem musulmani destinate al concubinaggio o tutt'al più ai lavori domestici, in quanto gli uomini costituivano il bottino preferito perchè potevano essere impiegati in svariate mansioni di fatica e necessari in grande numero, e la forza di una flotta dipendeva spesso da quanti schiavi potevano essere messi ai remi .

Come già accennato ,nel Medioevo la coscienza religiosa della Chiesa impediva la riduzione in schiavitù di cristiani, anche qualora fossero stati vinti in battaglia.

Esistono, in tal senso, diverse bolle papali che combattevano lo schiavismo, e anche se vi sono notizie della sua sopravvivenza in alcuni conventi (come, ad esempio, in Inghilterra), nel 1102 un concilio a Londra definì il traffico di schiavi come un traffico infame (nefarium negotium).

In ogni caso Repubbliche marinare e Signorie non si facevano scrupolo di commerciare in schiavi. Famoso è il caso del "mercato" di Verdun, gestito da ebrei col beneplacito dei re di Francia, passato alla storia come il "mercato degli eunuchi", dove un traffico di uomini fatti venire principalmente dalla Polonia, e resi "eunuchi", venivano poi avviati verso i paesi arabi.

Il traffico di schiavi africani verso le regioni medio-orientali conobbe un notevole periodo di gloria all'indomani delle grandi scoperte geografiche, ma anche le popolazioni Europee furono vittime delle razzie turche lungo le coste dell'Italia meridionali e della Sicilia ( a quel periodo risalgono frasi come "mamma li turchi", che in quel contesto assumevano il valore di un atterrito avvertimento).

Tommaso d'Aquino ebbe a dire che "nessun uomo ha il diritto di usarne un altro come un fine".

La scoperta dell'America e le imprese dei "Conquistadores" fecero sorgere inaspettati problemi religiosi per la Chiesa che non seppe trattare gli amerindi (che vivevano nella " ignoranza della religione") nel giusto modo, permettendo che venissero schiavizzati e resi simili a bestie. Il monaco Bartolomeo de las Casas si battè per il loro affrancamento ma inconsapevolmente favorì il traffico dei neri africani. Il vescovo di Darien ebbe a dire che gli amerindi erano "a malapena uomini". Nel XVI sec. si assistette in Spagna ad un vero e proprio acceso dibattito tra schiavismo ed abolizionismo e si ricorda un famoso scritto di Jean de Sepulveda in favore del primo, dove sosteneva che gli Indios fossero servi per natura , destinati ad obbedire. Per la cronaca tale libello fu aspramente criticato e dichiarato indesiderabile.

Nel latifondismo gesuita che nel 1700 copriva un terzo dell'America del Sud (ricordiamo la Repubblica Gesuitica del Paraguay), lavorarono, prima dell'espulsione dei gesuiti nel 1767, circa mille

Indios ogni centocinquanta schiavi neri . Fra le numerose iniziative della Chiesa in favore dell'abolizione della schiavitù spicca qualche segno contrario, ed ad esempio nel 1488 Innocenzo VIII ricevette cento schiavi in dono da Ferdinando II d'Aragona, e li distribuì tra cardinali e parenti.

La più recente grande guerra combattuta a causa della schiavitù risale al 1860 ed ha messo di fronte gli Stati Uniti contro i sette Stati Confederati del Sud in quanto questi ultimi avevano deciso di scindersi (guerra di secessione) a causa di una legge che abrogava lo schiavismo, cosa di cui gli stati sudisti, agricoli e grandi produttori di cotone, avevano forte bisogno e per il quale utilizzavano Neri africani.

Ancora non del tutto , nel mondo, si è convinti che sia possibile nascere uguali e con uguali diritti. Sembra invece che alcuni siano "più uguali "di altri per diritto divino. Così accade con le caste indiane e con i Paria. Verosimilmente noi che ci crediamo moderni e proiettati in un futuro sempre più tecnologico, in realtà ci portiamo ancora dentro un retaggio di secoli dal quale è difficile separarci, e forse ancora occorrerà molto tempo perchè ciò possa avvenire. Lo sfruttamento di persone che per loro avventura si trovano in stato di grave necessità continua ancora adesso, prendendo nomi e forme diverse e colpendo chi per motivi politici o economici si trova costretto ad abbandonare la propria terra (migrante). Nel frattempo, quasi inconsapevolmente, ci ascriviamo tutti a schiavi della rete, del Web, di telefonini e computer e di chissà cosa altro ancora...

IPSE DIXIT

Oggi, approfittando delle opportunità che la tecnologia ci offre, quando raggiungiamo un qualunque risultato in qualunque campo, abbiamo la possibilità di rendere compartecipi tutti gli altri ,in un attimo, della stessa conoscenza, ottenendo che migliaia di persone diverse, in tutto il mondo, possono usarla come bagaglio per muovere ulteriori passi in avanti. E' così che il progresso, in maniera quasi naturale, con lo studio e l'applicazione di tante persone contemporaneamente compie balzi prodigiosi in tempi relativamente piccoli. Una volta non era così. Certo anticamente non c'erano computers e non c'era internet, ma era la mentalità ad essere diversa. Quando si faceva una scoperta , in ogni campo,sia intellettuale che scientifico, si tendeva a tenerla per sè, per circondarsi di fama e di mistero. In fondo l'esoterismo è nato così. Da Ermete Trismegisto (da cui "ermetico", e cioè difficile da comprendere) in poi, fu così per molto tempo. Uno dei più grandi matematici e scienziati di tutti i tempi, (secondo alcuni , il più grande), Pitagora di Samo, non sfuggì a questa regola, (anzi, contribuì lui stesso crearla). Nato intorno al 570 a. C., astronomo, matematico e filosofo, allievo di Talete e di Anassimandro, è rimasto famoso per la scuola che fondò a Crotone (Magna Grecia) e che da lui prese il nome, e la sua vita divenne leggenda per le numerose "Vite di Pitagora" scritte diverso tempo dopo la sua morte che giunsero addirittura a descriverlo come figlio del Dio Apollo, e che gli attribuirono magie e miracoli. Viaggiò in Egitto e fu prigioniero del re persiano Cambise che lo portò a a Babilonia. La sua sapienza divenne proverbiale e spesso volendo tagliar corto una qualunque disputa culturale, bastava riferirsi a Pitagora e affermare "Ipse dixit" (lo ha detto Lui), per affermare una verità non più contestabile.

Purtroppo Pitagora non ha lasciato scritti o libri. Alcuni (come "Versi aurei" e "Tre libri") sono in realtà di autori di epoca cristiana.

Da piccolo il padre lo aveva avviato a studi di musica e di pittura, ma integrandoli con i suoi studi matematici, ritenne che tutto il cosmo fosse una perfetta fusione (armonia) tra numeri e note musicali.

Si deve a lui , per altro, la scoperta della "scala musicale", che ottenne fissando i due capi di una cordicella ad un ponticello e mettendo un fermo al centro (ricavando " l'ottava"), poi mettendo un fermo ai 2/3 (intervallo di quinta), e via dicendo, fino a determinare i "toni". Platone, nel "Timeo", afferma che la scala musicale costituisce la base numerica dell'anima del mondo.

Pare che a lui si debba l'invenzione del termine "filosofia". Era profondamente convinto che l'ignoranza fosse un peccato da cui occorreva liberarsi tramite la conoscenza, e che attraverso la "metempsicosi" (passaggio continuo dell'anima da un corpo ad un altro fino a liberarsi completamente della parte materiale raggiungendo la purezza che avvicinava alla divinità) si avviasse un ciclo di trasmigrazione dell'anima da un uomo ad un altro, o anche ad un animale, per cui sosteneva che anche questi ultimi avessero un'anima non dissimile da quella umana, in quanto facenti tutti parte, in definitiva, di una singola specie.

Questo è il motivo per il quale viene attribuito a lui il concetto di "uomo vegetariano", secondo il quale si può trovare ampio nutrimento nei prodotti che vengono offerti dalla Terra non rischiando di cibarsi , per così dire, di "anime in circolo".

Questi concetti sono riportati da Ovidio nelle sue famose "Metamorfosi".

Caratteristica della scuola pitagorica era la segretezza, e solo agli "iniziati" era concesso accedere alla conoscenza .Questa condizione è la stessa che viene normalmente applicata nel I° grado dei circoli massonici che Il simbolismo pitagorico ha fortemente influenzato.

Noi conosciamo la "tavola pitagorica" e "il teorema di Pitagora", che sono solo due tra le più importanti applicazioni del sapere del filosofo, ma per sapere di queste e delle altre bisognava, nella sua scuola, fare un lungo percorso. Pitagora teneva le sue lezioni nell'edificio detto "Casa delle Muse" ed i suoi allievi erano divisi in "matematici" ed "acusmatici". Ai secondi, tenuti ad ascoltare in silenzio, insegnava in maniera semplice e comprensibile, mentre ai primi era riservata una esposizione più approfondita , dibattuta e segreta, che poteva durare anche diversi anni.

A dimostrazione di come da lui debbano derivarsi pratiche esoteriche non ancora del tutto risolte, basti ricordare la corrispondenza che stabilì tra matematica e geometria: Uno il punto, Due la linea, Tre la superficie, Quattro il solido. E da questo enunciò la teoria della "tetraktis ", figura formata da dieci punti, quattro alla base e uno in cima, dalla caratteristica forma a piramide, dei cui significati esoterici oggi non dubita più nessuno.

Diversi erano i tabù imposti dalla scuola pitagorica, e sembra che proprio uno di questi sia stato la causa della sua morte. Non bisognava toccare le fave. Il motivo per cui non si dovesse fare è ancora oggi oggetto di dibattito nel quale in molti si sono cimentati , da Diogene ed Aristotele in poi, ipotizzando motivi sanitari o religiosi, fatto sta che proprio per non attraversare un campo di fave Pitagora preferì fermarsi facendosi uccidere dai suoi inseguitori (oppositori che si erano ribellati alla presenza della sua scuola).

Questo accadeva a Metaponto nel 495 a.C. circa

I BEATI PAOLI

Spesso nella tradizione e nella storia di molti popoli si inseriscono vicende e personaggi che pur non potendo contare su riferimenti reali e dimostrati assumono comunque una dimensione reale, e che anche a distanza di tempo, anzichè sbiadire nei ricordi, acquistano man mano sempre più vigore.

In realtà esistono molti esempi che potrebbero annoverarsi in questa casistica, ma uno dei più illuminanti di questo modo di pensare è costituito dalla ben nota vicenda dei "Beati Paoli".

Di loro si incomincia a parlare nel XV secolo, ma sembra che le storie che li riguardano risalgano addirittura al XII secolo.

Dobbiamo al marchese di Villabianca la prima opera scritta ( si tratta degli "Opuscoli Palermitani") che narra di questa misteriosa setta composta da uomini il cui scopo era quello di combattere il potere e le ingiustizie in difesa degli oppressi e dei poveri quasi, nelle intenzioni, novelli Robin Hood.

C'è da dire che sino ad allora le tradizioni riferentesi ai Beati Paoli si erano affidate ad una trasmissione puramente orale, e che essi inizialmente avessero il nome di " Vendicosi", cioè Vendicatori.

Anche l'origine del nome Beati Paoli è avvolto nel mistero. Secondo i più si tratterebbe di uomini religiosi (beati, appunto), devoti a San Francesco di Paola, e la congrega sarebbe forse nata nel giorno dedicato al Santo.

Il comportamento degli affiliati alla setta era rituale. Approfittando dei loro abiti monacali di giorno andavano in giro, soprattutto per chiese, ascoltando e riportando quello che si diceva in giro negli ambienti umili e popolari, mentre la notte si presentavano presso il potente meritevole di punizione, che veniva sottoposto ad un rapido e sommario processo alla fine del quale la conclusione era sempre una : La morte tramite pugnale.

E' quasi inevitabile il confronto con la famosa setta Nazirita degli "Assassini", congrega sciita molto attiva nel vicino Oriente dal VII sino al XIV secolo, realmente esistita , e che provvedeva ad eliminare i nemici usando anch'essa il metodo del pugnale , che si chiamava "sica" , da cui derivò il termine "sicari".

In pratica i Beati Paoli si arrogavano il diritto di applicare una sorta di giustizia in difesa di coloro che erano stanchi di subire le vessazioni e i soprusi dei ricchi e dei potenti che come al solito sfuggivano alle legge o la usavano a loro stretto comodo. Pare però che il mistero che li circondava favorisse anche il compiere delitti comuni e vendette private.

Il tribunale della setta si trovava all'interno di un tortuoso dedalo di cunicoli sotterranei (probabilmente antiche catacombe del IV sec.) che si estendeva al di sotto della zona occupata da uno dei più grandi mercati palermitani ( detto "il Capo") e attraverso il quale potevano spostarsi facilmente da un punto all'altro, alimentando il mito della loro "inafferrabilità". Dentro questa rete di grotte sotterranee vi era la stanza col tribunale ed un pozzo che faceva sì che fosse denominata "stanza dello scirocco", in grado di dare refrigerio nelle giornate più afose.

Sempre il marchese di Villabianca indica un preciso punto d'ingresso al labirinto, e lo pone presso il palazzo Baldi-Blandano, situato non a caso proprio sulla via Beati Paoli.

Spesso la setta è stata vista come una congrega proto-mafiosa, che abbia cioè dato origine alla mafia siciliana vera e propria, i cui riti segreti sarebbero gli stessi descritti come caratteristici dei Beati Paoli.

Famosa è una leggenda antica , riproposta da Roberto Saviano nella trasmissione "Vieni via con me", che parla di tre cavalieri spagnoli: Osso, che si ferma in Sicilia per costituire Cosa Nostra, Mastrossso, che si porta in Calabria per fondare la 'ndrangheta, e Carcagnosso che si stabilisce a Napoli e crea la Camorra. In qualche modo collegando così la nascita della mafia con il comparire dei successivi Beati Paoli.

Come se ce ne fosse stato bisogno, nell'immaginario collettivo dei Siciliani, e dei Palermitani in particolare, la reale presenza dei Beati Paoli si è ulteriormente radicata per merito di uno scrittore nato a Palermo , di nome Luigi Natoli, che scrisse un ponderoso libro dal titolo, appunto,"I Beati Paoli", pubblicato in ben 239 puntate sulle pagine del Giornale di Sicilia nel 1909 che, miscelando sapientemente realtà e fantasia,ottenne un notevole successo . Il romanzo, con numerosi riferimenti all'opera del marchese di Villabianca, fu pubblicato con lo pseudonimo di William Galt, e pur rappresentando solo un' opera letteraria, contribuì non poco alla creazione del mito dei Beati Paoli, fornendo loro quella "concretezza storica" sino ad allora mancante .

A dimostrazione della popolarità di cui godevano, la Rai , nel 1975, trasmise uno sceneggiato, dal titolo "L'amaro caso della Baronessa di Carini" per la regia di Daniele D'Anza ,che ne ammetteva implicitamente la veridicità.

In conclusione anche se, come detto, la storia dei Beati Paoli non poggia su alcuna prova o documento , si tratta , in ogni caso, soltanto di una verità letteraria? Assolutamente no. In realtà è molto di più, perchè l'idea stessa che si nasconde dietro la loro immagine rivela, al di là del percorso mafioso che taluni vogliono intravedere, il costante desiderio di rivalsa delle masse sfruttate per le negazioni subite, e la speranza nella possibilità che qualcuno, finalmente, si possa ergere nuovamente a protettore-vendicatore, magari superando gli stretti confini di quei quartieri della meravigliosa città di Palermo, dove la loro storia ha visto la luce.

STORIA DELLA CRUDELTA'

( parte prima )

La storia, se vogliamo, non è altro che la narrazione delle varie sfaccettature dell'animo umano, buone o cattive che siano. Certo, preferiamo immaginare un uomo buono, un uomo santo, un uomo eroe, e tante sono nella storia le occasioni per poterlo fare, però così facendo tendiamo a ignorare, e a escludere, quasi a far finta che non esista, il lato nascosto dell'uomo, quello che esprime il suo peggio, ciò che non vorremmo vedere ma che costantemente si ripropone alla nostra conoscenza ed alla nostra coscienza vergognosa. E' vero, purtroppo, che da sempre la storia , più che dall'amore e dalla fraternità è stata caratterizzata da una costante sempre presente pur se difficile da accettare anche con noi stessi : la crudeltà.

Non basta infatti l'esistenza del dolore, non basta la presenza della morte. Da sempre la fantasia dell'uomo non ha avuto alcuna remora nell' escogitare forme di dolore diverse e raccapriccianti, spesso molto sproporzionate anche alle stesse colpe commesse che si vorrebbero punire. E' ovvio che non si intende la crudeltà privata, familiare od occasionale. Si intende altresì la crudeltà organizzata, istituzionalizzata, legalizzata, quasi elevata ad arte di raffinato compiacimento.

Sin dall'antichità il modo di giustiziare i colpevoli faceva parte di appositi codici legislativi, e fino a qui, anche se triste, tutto comprensibile, meno giustificabile invece sono i metodi adottati per eseguire le sentenze. Nel XVIII sec. a.C. già il re babilonese Hammurabi, nel suo codice, prevedeva il sistema "dell'occhio per occhio" (al ladro, per esempio, venivano tagliate le mani), ma si poteva essere sepolti vivi, o squartati, o bruciati ed altro ancora, anche per reati minori. In fondo gli antichi romani erano i più clementi quando si limitavano a gettare da una rupe coloro che dicevano il falso oppure offendevano la divinità, mentre ai prigionieri politici ,se potevano comprarsela da soli, dato l'alto costo, era concessa la cicuta, che dava una morte calma e quasi indolore. Anche in Grecia ricordiamo così la morte di Socrate come ci viene narrata da Platone nel 400 a.C. Sempre in Grecia uomini e donne (le quali venivano processate da un parente) subivano pene diverse tra cui spesso l'impiccagione. Martìri sempre più atroci erano poi riservati a chi tradiva la propria patria o uccideva il proprio padre, prevedendo particolari fustigazioni a morte o permettendo che animali vari potessero cibarsene.

Nell'antichità era molto in uso la ben nota crocifissione, durante la quale si giungeva a nutrire e dissetare i crocifissi per fare durare più a lungo l'atroce supplizio. La crocifissione ,inizialmente destinata solo agli schiavi, venne via via estesa anche agli uomini liberi. Fu Costantino il Grande ad abolire questa consuetudine, cosa sbandierata pomposamente dalla Chiesa, la quale dimentica di precisare che dallo stesso Costantino venne sostituita con l'impalatura e col fare bere piombo fuso ai condannati. Anche uomini della levatura di S. Tommaso d'Aquino giunsero a giustificare l'eliminazione di coloro che potevano rappresentare motivo di corruzione per la comunità. Tutti gli Stati, nei tempi, hanno fatto ricorso, in maniera del tutto legale, a svariate forme di esecuzione, ma non è da credere che istituzioni che per loro natura dovrebbero essere rivolte al bene ed alla compassione siano state da meno .Pensate alle migliaia di cristiani che persero la vita pur di non rinnegare la fede in cui credevano.

E poi non bisogna dimenticare che le forme più violente di tortura furono sicuramente adottate da quella che passò sotto il nome di Santa Inquisizione. Nata col nobile scopo di combattere le eresie medievali, naufragò nella pura crudeltà dimostrando una inesauribile fantasia nei metodi inventati per estorcere confessioni ed infliggere dolore (addirittura codificati nel "Malleus Maleficarum", vero e proprio codice comportamentale per i giudici di tale ineffabile organizzazione). E così sistemi come lo squartamento, la rottura delle ossa , la ruota, l'affogamento e altre piacevolezze del genere divennero di applicazione comune (per non parlare dei roghi o della "bollitura"). E si tenga conto che l'elenco potrebbe continuare a lungo, e non lo si fa solo per non turbare ulteriormente chi non dovesse avere lo stomaco sufficientemente robusto.

Lungo è anche l'elenco delle macchine progettate con l'unico scopo di infliggere tormento. Famosa è quella (protagonista anche di romanzate storie cinematografiche ) nota col nome di "Vergine di Norimberga" ( o anche Vergine di ferro), specie di armadio dalle vaghe forme femminili provvista di aculei al suo interno che trafiggevano in zone non vitali il malcapitato provocando per dissanguamemento una morte lunga ed estremamente dolorosa.

L'ultimo caso di squartamento di cui si ha notizia fu nel 1757 e riguardò un certo Francois Damiens che aveva attentato alla vita di re Luigi XIV. Alcune torture hanno avuto la particolarità di mantenersi attraverso secoli ed addirittura essere condivise in nazioni diverse . Pensiamo alla persecuzione degli ebrei, popolo senza patria condannato a vagare senza mai trovare un approdo sicuro, prima di ricevere quel pezzo di terra che occupano adesso, come parziale risarcimento sull'onda emotiva dell'olocausto alla fine della seconda guerra mondiale.

Ma le cose non finiscono qui, in quanto ogni epoca ha la sua crudeltà di cui vantarsi. La Francia ha lungamente adoperato la ghigliottina ( amabilmente soprannominata "Madame Guillottine"), per effettuare le sue esecuzioni, Ancora oggi viene con raccapriccio ricordato il supplizio di Auguste de Thou per il fatto che occorsero ben 11 colpi di lama per staccarne la testa dal collo.

Naturalmente ogni nazione aveva le sue abitudini per quel che riguardava la tortura ed evitiamo deliberatamente, per carità di patria, di descrivere quel che si faceva in Olanda nel XVII sec. , come pure quel che usavano fare i turchi contro gli armeni recentemente durante la I° Guerra mondiale.

Con l'illuminismo qualcosa iniziò a cambiare e si deve a Cesare Beccaria, che nel suo trattato "Dei delitti e delle pene" (XVIII sec.) definì la tortura un inutile e crudele strumento.

Fu con i nazisti che la crudeltà divenne un fatto di massa. A cavallo del 1940 deportarono ebrei, zingari e dissidenti politici, perchè fossero eliminati in modo sistematico nei forni crematori previo torture e sofferenze che riguardavano anche donne e bambini. Si cominciò a codificare quella che è presente comunque in ogni tortura : la sottomissione psicologica. E i prigionieri vennero usati per esperimenti che riguardavano il congelamento, la castrazione, la sterilizzazione, ecc...

Se qualcuno, ad ogni modo, pensa che con la pace le cose siano cambiate, forse farebbe bene a ricredersi. E' del 1963 un manuale statunitense dove si indica , per far confessare un detenuto ,la applicazione delle cosiddette 3D -dependency, debility, dreard- e cioè dipendenza , debilitazione, terrore. Con lo scopo preciso di azzerare ogni tipo di volontà.

Anche ai giorni nostri, se ci guardiamo intorno, non abbiamo che da scegliere: Le torture del regime Cambogiano di Pol Pot del 1978 e le camere di tortura argentine e cilene dello stesso periodo, per non parlare delle carceri di Abu Ghraib e di Guantanamo. I diritti civili in grandi nazioni come Cina , Russia e Paesi Islamici, sono poco più di parole prive di senso, mentre il fatto che nel mondo occidentale leggi apposite proibiscano la tortura ,hanno ottenuto che spesso la stessa venga applicata nascostamente. Amnesty International ha pubblicato un elenco delle nazioni occidentali in cui si pratica la cosiddetta "Criptotortura", e fra queste figura anche l'Italia.

LA CAMERA D'AMBRA

Spesso i misteri della storia, i "grandi misteri della storia", sono stati associati alla presenza, o alla scomparsa, di tesori inestimabili o, comunque, alla loro ricerca, oggi come nei tempi passati. Quanta gente ha cercato i tesori della tomba di Gengis Khan, o quelli degli antichi faraoni, o ancora quelli dei cavalieri templari, tanto per nominarne solo alcuni? E più il tempo si consuma in quella che sino ad ora si è rivelata una impresa quasi del tutto inutile , più la fama e la grandezza dei tesori stessi viene tramandata con sempre maggiore interesse e costantemente ingigantita. Così è per quello che è passato alla storia come il mistero della "Camera d'ambra".

Nel 1699 Federico I di Prussia decise di ricostruire il Palazzo Reale di Berlino senza badare a spese, e nel fare questo accolse la proposta di un architetto (Andreas Schluter) di realizzare una cosa mai vista prima, e cioè di rivestire una intera stanza di circa 36 metri quadrati utilizzando esclusivamente ambra e diaspro. Ne venne fuori un "oggetto" enormemente prezioso e sicuramente unico al mondo. Tale rarità colpì la fantasia dello zar Pietro I il Grande, che nel 1717 in occasione di una sua visita a Berlino per sancire un'alleanza militare contro la Svezia, la accettò in dono, per altro in cambio di armi, da Federico Guglielmo I di Prussia, e provvide a smontarla e a farla trasferire, prima per mare e poi per terra ( vennero usate 18 slitte trainate da cavalli) sino a San Pietroburgo. Qui la camera venne rimontata, arricchita di ulteriori 50 metri quadri di pannelli d'ambra e collocata nel palazzo della residenza estiva degli zar. Si calcola che al momento della sua ultima ristrutturazione, intorno al 1775, la stanza misurasse quasi 100 metri quadrati con sei tonnellate d'ambra , pietre preziose d'arredamento, specchi e lamine d'oro con pavimenti di legno pregiato. Il tutto facente parte a pieno titolo del patrimonio della corona degli zar, e talmente affascinante da essere definita "l'ottava meraviglia del mondo". Il suo valore veniva stimato intorno ai 250 milioni di dollari.

Per molto tempo, e nonostante la sua fragilità, la stanza resistette, tra un restauro e l'altro, sino alla seconda guerra mondiale. Quando i tedeschi assediarono San Pietroburgo, (chiamata poi Pietrogrado e in seguito Leningrado), pur non riuscendo a piegarla nemmeno dopo un lungo e sanguinoso assedio, tuttavia si impadronirono della residenza estiva e non facendosi ingannare da un puerile tentativo dei russi di mascherare le pareti della stanza con cartoni e carta verniciata, la smontarono per portala là dove Hitler la voleva, nel suo luogo di nascita all'interno del Reich tedesco.
La camera d'ambra rimase esposta fino al 1944 nel castello di Konisberg ( città della Prussia orientale, teatro di un famoso assedio da parte delle truppe sovietiche in una delle ultime operazioni militari in quel fronte) dove erano state ammassate enormi collezioni d'arte, ma quando le truppe alleate conquistarono la città della camera non fu trovata traccia. Per la verità qualche frammento è comparso qua e là in mano a vari collezionisti privati, ma nel 1979 i sovietici decisero di rifare una nuova versione della camera, basandosi su vecchie foto e disegni dell'epoca fino a quando nel 2003 la nuova camera venne inaugurata in occasione del trecentesimo anno della fondazione di San Pietroburgo e lì è oggi aperta al pubblico. In seguito ai bombardamenti alleati sembra che la camera (quella originale) sia stata smontata e conservata nei sotterranei del castello di Konisberg insieme a molti altri tesori, ma in realtà è dal 1945 che risulta ufficialmente dispersa.

Molti sono gli indizi che dimostrerebbero l'esistenza di una vasta rete di grotte e caverne scavate in profondità al di sotto del castello (una di queste avrebbe unito lo stesso con la cattedrale), e sembra che molte siano ancora esistenti nonostante i molteplici crolli dovuti a incendi e bombardamenti e continuerebbero a custodire nelle varie nicchie svariati oggetti di valore. Sulle macerie del castello Leonid Breznev avrebbe fatto costruire la casa del Soviet (per altro mai terminata). In realtà alcuni pezzi della camera (un mosaico e un cassettone), trafugati da un ufficiale prima della guerra, erano stati proposti alla vendita per un prezzo vicino ai tre milioni di dollari ma la transazione fu scoperta e i reperti sequestrati e restituiti alle autorità russe. Essi vengono ormai considerati gli unici pezzi originali della fantomatica camera.
Esistono altre ipotesi oltre a quella che vuole che il tesoro di ambra sia sepolto in profondità misteriose sotto a quella che ora sarebbe la fortezza dell'odierna Kalinigrad (oggi russa a tutti gli effetti) , e sono in molti a sostenere che i nazisti siano riusciti, in qualche modo, a nascondere questo e altri tesori e ad imbarcarli in una nave fatta salpare con direzione Sud-America. Che poi la nave sia effettivamente giunta a destinazione è tutto un altro discorso, in quanto gli alleati, si dice, potrebbero averla affondata, rendendo i tesori contenuti a bordo irrecuperabili per sempre. In ogni caso, supposto che la "camera d'ambra" si trovi effettivamente sepolta e quindi presumibilmente esposta a umidità e buio perenne, dato il carattere di estrema fragilità dell'opera, quand'anche venisse trovata , è molto alta la probabilità che i fenomeni di corrosione l'abbiano ridotta ad un cumulo di deludenti macerie.

L'INTERVENTO

di Gilormino Casali (Berlino)

Caro Bartolino, spero tutto bene, ho finito di leggere l'articolo scritto dal Dott. Lelio Finocchiaro sulla "Camera D'ambra". Questa è una foto della camera tutta in ambra. Alcuni pezzi sono stati ritrovati anche in Italia. Un caro saluto a te tua moglie e al dott. Finocchiaro! Un abbraccio.

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IL GATTO

Capita, a volte, che la storia di un animale possa identificarsi in maniera stupefacente con l'evoluzione dell'uomo e della sua civiltà. Nel tempo sono migliaia le specie che si sono estinte o che sono cambiate così tanto da non avere più riferimento con la loro antica progenie. Animali prima considerati pericolosi o addirittura da eliminare, sono in seguito divenuti parte integrante della nostra vita di tutti i giorni . Il gatto, oggi normale partecipe della nostra quotidianità, per lungo tempo ha sofferto stenti e fame per poi ,però , entrare a fare parte della nostra vita, mantenendo intatta la propria dignità e la propria indipendenza.

Il Felino Dinictis, derivato da un animale selvatico denominato "Miacis", pare che sia comparso sulla Terra almeno 10 milioni di anni fa, quindi ancora prima dell'uomo. Fu il gatto selvatico africano, Felis Lybica, il primo ad accostarsi ai centri abitati, ma quando accettò di partecipare alla vita dei Faraoni la sua stirpe aveva sulle spalle un fardello di svariati milioni di anni. E' quindi il gatto africano originario della terra del Nilo ad avere dato origine al gatto domestico attuale.

Ha sempre colpito il fatto che il gatto, e in particolare quello nero, fosse padrone della notte nella quale si muoveva silenzioso ed invisibile con i suoi occhi scintillanti. In Egitto il gatto,data la convinzione che molte divinità prendessero sembianze di animali, assume, nel 3000 a. C., una connotazione divina ed addirittura ad una importante dea di nome Bastet (ed anche alla sorella Sekmet) che godeva di numerosi templi a lei dedicati come dea della fertilità e della preveggenza, si attribuirono testa , arti e coda di gatto nelle sue rappresentazioni. Si tratta di un mondo in qualche modo al femminile, legato al mito di Iside.

Sempre in Egitto i gatti venivano tenuti in alta considerazione e alla loro morte, cui seguiva un pomposo cerimoniale di sepoltura nella necropoli di Bubasti (venivano addirittura mummificati come gli umani), la famiglia che li aveva posseduti usava radersi le sopracciglia. Inoltre, se qualcuno ne uccideva un esemplare, rischiava la pena capitale. Figurarsi che in caso di incendio salvare i gatti era preminente anche sulla vita dei familiari. Nella sola città di Beni Assan sono stati ritrovate 350.000 mummie di gatto. Questi felini erano apprezzati per la caccia ai topi, portatori di epidemie, e quando i Greci se ne accorsero (per lo stesso scopo in Europa si usavano donnole e puzzole, non altrettanto efficaci), e visto che gli egiziani non intendevano venderli perchè considerati sacri, dovettero letteralmente "rubarne" diverse coppie. Dopo un lasso di tempo nemmeno troppo lungo furono in grado di venderli ai Romani, ai Galli e così via, determinando la diffusione del gatto in Europa.

Anche fra gli Arabi e persino in Giappone il gatto è sempre stato visto con favore e come portatore di buona fortuna. Purtroppo tempi duri attendevano inaspettatamente questo simpatico animale. Con l'avvento del Cristianesimo per un lungo periodo, rappresentato dal Medioevo e a causa della cieca ottusità della Chiesa di allora, il gatto nero, forse per il suo colore che richiamava l'idea della notte e del mistero, fu associato al Diavolo e alle donne in quanto streghe. Con la necessità di estirpare sempre e comunque le credenze pagane non assimilabili con la nuova religione e coinvolti loro malgrado nei riti satanici , gatti e donne furono sterminati a centinaia (in realtà c'è chi dice che arrivarono a otto milioni i gatti bruciati in quel lungo periodo), tanto che si ebbe a dire che la Chiesa, "per eliminare i riti pagani usava seppellire i gatti". I missionari cristiani diffusero la credenza che per ottenere un buon raccolto occorresse durante la semina seppellire un gatto, e sacrificarne un altro per il ringraziamento finale (finendo per sostituire una superstizione con un'altra).

Sempre l'odio misogino clericale ha accomunato donna e gatto, come testimoniano anche numerose tele di quel periodo. Però si ricorderà anche, in epoca più recente, lo scalpore che suscito' la famosa tela "Olympia", di Eduard Manet, nella quale ad una splendida e bianchissima donna nuda (una prostituta, ovviamente) faceva contrasto un gatto nero simbolo del peccato. Quanto lontani i tempi in cui l'imperatrice Teodora faceva portare il cibo alla sua gatta in una scodella d'oro tempestata di gemme preziose! In ogni caso, allontanandosi dai tempi bui dell'oppressione della Chiesa medievale,quando i gatti costituirono l'unica difesa contro la pestilenza, mentre la Chiesa si affannava a distruggerne il maggior numero possibile, contribuendo alla sua diffusione , ne vennero fuori come immagine indistruttibile di fierezza , indipendenza e libertà. Famoso il locale "Le Chat Noir" di Parigi dove intellettuali della Belle Epoque si riunivano sotto l'insegna di un gatto che, ovviamente, non poteva che essere nero.

Alla figura del gatto si sono collegate credenze e superstizioni di tutti i tipi ed ancora adesso c'è chi considera segno di sciagura se un gatto nero attraversa la sua strada, giungendo a fermarsi per aspettare che qualcun altro passi attirando così su di sè le supposte sventure. Nel tempo il gatto ha ispirato pittori, scrittori (come dimenticare "Il gatto nero " di Edgar Allan Poe) e artisti vari, ed ha alimentato storie indimenticabili ( "Il Gatto con gli stivali"), nonchè leggende, film e fumetti (Il "Gatto Felix" modellato sulla figura di Charlot), sempre adattandosi agli alti e bassi degli umori (e della stupidità) di quegli uomini con cui , finalmente in pace, si è abituato a convivere.

 

 

 

 

 

LE LEGIONI SCOMPARSE

I Romani sono rimasti celebri nella storia perchè hanno fondato la loro fortuna militare su una invenzione tattica che si impose in battaglia e che si rivelò altamente difficile da superare e sconfiggere: la Legione. Composta da circa 6.000 uomini armati di plito,scudo e gladio, la legione (evoluzione della falange macedone) si muoveva come fosse un tutt'uno, un'enorme e semovente macchina di morte organizzatissima, dove ogni soldato sapeva di potere contare sui suoi commilitoni e dove l'orgoglio di servire "Roma" poteva avere la sua consacrazione. Spesso non si muoveva da sola , ed era integrata da squadroni di cavalleria ,di frombolieri ,di arcieri e di fanti ,tutti uomini disposti a morire per la gloria delle proprie insegne. Non fu un caso che il declino dell'impero romano cominciò quando l'esercito dovette ricorrere a mercenari che combattevano solo per il soldo e non per l'onore. Roma giunse ad avere anche 60 Legioni, e ad ognuna erano affidati il presidio e la difesa di un territorio. Eppure, nonostante l'importanza e la rilevanza assunta da questa particolare armata, Roma riuscì a perdersene qualcuna ogni tanto. E questo nel senso che ogni tanto qualche Legione semplicemente spariva senza lasciare traccia di sè. Che un manipolo di uomini in arme potesse essere sconfitto, che i suoi uomini venissero uccisi o fatti prigionieri in fondo era nell'ordine delle cose, ma che all'improvviso sparissero e che non se ne sapesse più nulla, questo non solo costituiva una rarità ma faceva nascere teorie strane per spiegarne i motivi. Questo è il caso, ad esempio ,della VIIII legione Hispana (solo successivamente si scrisse IX ),cosiddetta perchè i suoi uomini erano stati reclutati da Cesare in Spagna. La Nona Legione faceva parte dell'esercito che aveva conquistato la Britannia nel 43 d.C. dopo di che, credendo ormai pacificato quel territorio, fu la sola ad essere lasciata a presidio. In realtà questo si rivelò un tragico errore perchè i romani dovettero subire l'abilità guerriera e il desiderio di vendetta della regina degli Iceni, Budicca (o Boadicea). Budicca era la moglie di Prasutago ed aveva tutti i motivi per avercela a morte con i Romani. Infatti suo marito, morendo,aveva lasciato la sua eredità alle figlie e a Roma (per motivi diplomatici), ma i romani, non contenti, occuparono il regno ed umiliarono Budicca costringendola, nuda davanti a tutti, ad assistere allo stupro delle sue due figlie. La vendetta fu tremenda. Uno stuolo di barbari piombò sulle truppe romane guidate da Quinto Petilio Ceriale, arrivando a conquistare Londra nel 60 d.C. La Nona fu annientata. L'avventura di Budicca non durò a lungo, ma l'imperatore Adriano in persona fu costretto a recarsi in Britannia, portando con sè un'altra legione, la Sesta , e si convinse che fosse necessario costruire un muro che dividesse le terre romane dalle altre. In questo modo la civiltà al di qua e al di là del muro (detto "Vallo di Adriano") ebbe uno sviluppo diverso, dando origine a quelle che in futuro divennero Inghilterra e Scozia. Vent'anni circa dopo Budicca la Nona, su cui aleggiava lo spettro della sconfitta, fu inviata a sedare una rivolta dei Celti e dei Pitti, ed è a questo punto che di lei non si sa più niente, dissolta tra le brume del nord, senza lasciare tracce ne' cadaveri. Tra gli storici fiorirono tante più o meno fantasiose teorie,nessuna delle quali, a tutt'oggi riesce a dar conto della scomparsa di una intera Legione composta di 6000 uomini. Questa storia è splendidamente narrata nel romanzo "The Eagle of the Ninth" di Rosemary Sutcliff, importante best-seller del 1954, e anche la cinematografia non è restata insensibile al fascino della "Legione scomparsa".

Ma il caso della nona non è il solo. Nel deserto del Gobi, a ben 7000 Km.da Roma esiste un villaggio di nome Liquian (nome molto simile a Lijian con cui i cinesi indicavano l'impero romano), nella regione del Gansu, dove la popolazione ha inequivocabilmente tratti occidentali. Inoltre mura e fortificazioni ritrovate nella stessa zona indicherebbero un modo di costruire molto simile a quello dei Romani, e anche approfonditi test genetici proverebbero una notevole influenza occidentale (addirittura del 48%). Andando indietro nel tempo tutto questo si fa discendere dalla pesante sconfitta che un esercito agli ordini di Licinio Crasso (uno dei triumviri insieme a Pompeo e Cesare) avrebbe subito dai Parti a Carre nel 53 a.C., durante la quale lui stesso sarebbe stato decapitato, e dal fatto che di una intera legione non si sarebbe più saputo nulla. Successivamente, nel 36 a.C. lo storico cinese Ban Gu racconta di soldati che nella guerra degli Han contro Zhizhi erano disposti a lisca di pesce e facevano uso di scudi rotondi, e dice anche che gli Han, vincitori, avrebbero portato con sè circa 1500 di questi soldati a Fanmu (oggi Gansu)

Vi sono altri indizi della presenza di romani nella zona , (e ricordiamo che si tratterebbe di cose avvenute circa 13 secoli prima di Marco Polo, che sarebbe così stato anticipato da un intero esercito),e uno di questi consiste nel fatto che ancora in quei luoghi si pratica la tauromachia, molto amata presso i romani.

La teoria prevalente è che dopo la battaglia di Carre circa 5000 soldati siano riusciti a salvarsi ma non volendo tornare a Roma da vinti, avrebbero preferito mettersi in viaggio verso la Cina arrivando sino a Gansu.

Anche se queste notizie potrebbero far pensare a contatti tra l'impero romano e quello cinese, in realtà non vi sono prove che questo sia accaduto, essendo documentati solo scambi commerciali attraverso la famosa "Via della seta".

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