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Categoria: Cultura

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di Massimo Ristuccia

Giuseppe Iacolino – Destinazione Panarea. Rivista Sicilia maggio 1982.

Per un itinerario così interessante qual è quello che per la rotta di NE ti porterà da Lipari (capoluogo dell’arcipelago eoliano) a Panarea sceglieremo un accompagnatore d’ec¬cezione, quell’abate Lazzaro Spallanzani, na¬turalista e professore emerito, che talvolta alle sue pagine di scienza seppe aggiungere deli¬ziosi tocchi di poesia.

Un facile slittamento nel tempo, come in sogno, ed eccoci immersi nell’incerta luce mattinale di una giornata dell’ottobre 1788, in Lipari. Attracco di Tramontana, detto pure di Sottomonastero. C’è l’occasione buona: una feluca pronta a salpare per Stromboli. « Era di buon mattino — narra lo Spallanzani — soffiava un forte ma spiegato libeccio accom¬pagnato da interrotte nubi temporalesche. Agi¬tato era il mare, ma, favorevole essendo il vento, per questa velata il padrone della feluca, che era altresì il timoniere, sperar mi fece che non incontreremmo disastri, e sol mi disse, scherzando, che avremmo ballato. Spiegate erano tutte le vele, e l’andar nostro non era un correre, ma un volare.

Nonostante che il vento e il mare ingagliardissero sempre di più e che or ci vedessimo sospesi sulla punta di un’onda, or sprofondati come su una voragi¬ne, nulla avevamo a temere per essere sempre stato il libeccio intavolato per poppa. Per qualche tratto di viaggio fummo accompagnati da una torma di marini animali che ci fecero una specie di corteggio. Questi erano delfini che, preso in mezzo il nostro legnetto, si die¬dero a scherzarvi attorno e a trastullarsi guiz¬zando da prora a poppa e da poppa a prora, d’improvviso profondandosi nell’onde, poi ri¬comparendo e, fuori cacciato il muso, lancian¬do a più piedi d’altezza il getto d’acqua che a riprese espellono dal forame che sul capo si apre.

E in quegli allegri lor giochi appresi cosa mai da me veduta nelle migliaia di questi piccoli cetacei in altri mari osservate. Ciò fu l’indicibile loro prestezza nel vibrarsi dentro l’acqua. Uno o più delfini talvolta movevano da prora a poppa. Ad onta di dovere allora
rompere' l'impetuoso scontro del fiotto, vola¬vano con la rapidità d'un dardo".

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NOTIZIARIOEOLIE.IT

23 APRILE 2021

Da Ravenna in linea Massimo Ristuccia "I ricordi del passato..."

20 DICEMBRE 2021

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16 OTTOBRE 2023

Da Ravenna in linea Massimo Ristuccia. "I ricordi del passato: 1° Maggio...". La nota

7 GENNAIO 2025

SPECIALE. Da Ravenna in linea Massimo Ristuccia. "I ricordi del passato..." "L'Odissea..."..."

 

Il contatto di simpatia tra il visitatore e l'isola di Panacea s’instaura assai prima dello sbarco al molo di San Pietro perché l'abbrac­cio che quel corpo roccioso tende al forestiero s’anticipa a notevole distanza facendosi ampio e molteplice. Mentre il battello piega a Nord per venire a rada, da levante fanno gioiosi am­miccamenti una mandria di isolotti e di scogli bizzarri di forma, strani nei colori e nei nomi, disseminati qua e là, ora raggruppati ora di­spersi, alcuni lontani oltre due miglia: è un formicolio ridente di onde e di spume, di ri­flessi di mare e. di frammenti di rupi immobili. Ma anche queste masse, nel resistere che fanno alle folate di brezza che increspano la marina, paiono tutte muoversi in unica direzione, come le formiche. E Formicole, appunto, chiama­rono i pescatori panarioti di moltissimi anni fa le quattro o cinque pietre lisce che, lì presso, affiorano, dall’acqua. C’è poi Lisca Nera e Li­sca Bianca, Dàttilo e Bòllaro, più in là ancora Panarelli e, sullo sfondo ceruleo, quasi addos­sati a Stromboli, Spinazzola e Basiluzzo.

È un arcipelago, dunque, Panarea, un ar­cipelago in miniatura facente parte di un altro arcipelago più esteso, un minuscolo sistema inglobato in una più dilatata galassia.

Ma può pure considerarsi un pianeta a sé stante il comprensorio di Panarea, un pianeta in fase di declino e di dissolvimento, un cam­pionario di residuati di rocce, tutto mozziconi, spuntoni, slabbrature; un pianeta che, da al­meno settecentomila anni, ha subito per prima le violenze dei fuochi e dei sismi, poi le in­giurie dei venti e delle tempeste. Ora, « addo­mesticato ». giace nel profondo assopimento che gli deriva dalla sua lunga e sofferta gio­vinezza.

Per la sua posizione amena e per i suoi ter­razzi naturali facilmente difendibili Panarea fu prescelta come punto ideale da insediamento da gruppi neolitici del III millennio a. C.. Evidenti affiorano le tracce di quella facies culturale in località Calcara, ma quanto mai significativi appaiono i resti del villaggi Punta Milazzese che risalgono all’età del bronzo, ad un tempo che va pressappoco dal XV al XIII secolo a. C..

Anche in età greco-romana Panarea e Basiluzzo ebbero nuclei abitativi e furono stazioni preferite da sofisticati nababbi liparoti. Taluni tratti di fondazioni di ville aristocratiche, benchè sommersi per via dei bradisismi, sono ancora oggi distinguibili nei fondali adiacenti. Avanzi ancor più cospicui notarono i naturalisti del nostro Settecento che visitarono questi luoghi. «Panarea — afferma l’Houel — ha avuto edifici superbi come Lipari, Stromboli e Basiluzzo, sia al tempo dei Greci, sia al tempo quando i Romani, per il loro gusto del lusso si servivano di tutti gli elementi per le costruzioni ».

La frequentazione umana, a Panarea, praticamente si bloccò per oltre un millennio, dal V al XVI secolo della nostra era. Fu quello il millennio in cui qua da noi imperversò la pirateria più spietata, da quella vandalica a quella araba e, infine, a quella turchesca.

I primi a tornare nell’isola, alla fine del ’500, furono pochi anonimi coraggiosi contadini di Lipari i quali a Panarea e a Basiluzzo ci venivano a coltivar le terre che i vescovi davano assegnando al clan dei borghesi liparoti. Ci venivano solo per compiere i lavori stagionali e riposavano in misere capanne di frasche, senza né mogli né figli, perché vietato dalla legge portare nelle isole minori donne, vecchi e ragazzi.

Più tardi, come dimostra la chiesina S. Pietro la cui fabbrica originaria risale 1681, i colonizzatori ci fecero residenza stabile a Panarea rivestendo le colline di fitti uliveti e seminando tanto buon grano sui pianori soleggiati. Panarea — dicono le carte del 1691 somministrava « a Lipari non poco grano ed in abbondanza legumi e frutti ».

Pure a Basiluzzo ci prosperavano i legumi e varia granaglia.

Si lavorava sodo a Panarea nei secoli passati e, come se ciò non bastasse, si viveva come sul piede di guerra sotto l’incubo costante e mortale delle incursioni barbaresche. Ancora nel 1772 — riferisce l’Houel — per i cento abitanti di Panarea « gli attacchi dei Turchi e dei Barbareschi rappresentano la più grave calamità che possa colpire gli uomini ».

Fu in questo clima pionieristico — in cui il contadino si fa cacciatore e pescatore e di­venta anche guerriero — che i Panarioti si legarono tenacemente alla loro terra e si die­dero a scoprirne ogni angolo più riposto. E ad ogni zolla assegnarono un nome improvvi­sando, accanto a quella antichissima, una nuo­va toponomastica carica di significazione.

Drautto si disse il primo tratto abitato di Panarea, ma in origine questo era il nome della piccola rada antistante dove nel ’500 ve­nivano a mettersi alla posta gli sciabecchi del feroce corsaro Dragùt. Segue, poi, il settore di San Pietro con le due chiese, la vecchia e la nuova. S. Pietro, nel ’500, rappresentava il Cristianesimo trionfante, fortemente impe­gnato ad arginare l’invadenza del turco infe­dele. L’estrema frazione più a Nord fu chia­mata « i Ditedda » per via di certi funghi a forma ramificata come di una mano che pro­tenda in alto le dita ravvicinate.

Sarebbe lungo un discorso tutto centrato sulla toponomastica di quest’isola bella, bella nella sua natura e bella nella tormentata quanto umile ed occulta sua storia. Ma il fatto è che il turista che viene a Panarea non sa starsene tranquillamente a prendere il sole. Egli vuole anche vedere ed essere informato di tutto. Più specificamente la sua curiosità s’ap­punta su Basiluzzo, su Dàttilo e su Spinazzola. Tre scogli, tre meraviglie. E noi l’acconten­teremo.

Basiluzzo è la versione dialettale di una voce greco-bizantina, Basiliscos, che vuol dire piccolo re. Ma ciò non basta a spiegare. Oc­corre sapere che la cultura zoologica degli an­tichi favoleggiò di un animale che si diceva prolificasse nell’Africa incognita e che era il frutto dell’innaturale connubio di un gallo con una pitonessa. Ne nacque un mostriciattolo dalla schiena marcatamente gibbosa, con un capo turricefalo su cui, al posto della cresta, propria dei gallinacei, figurava una corona cir­colare. Perciò si disse basilisco o principino.

Ora, se ben si osserva lo scoglio di Basiluzzo chiaramente emerge la somiglianza strettissima tra la sua sagoma e quella del fiabesco animale. Il Dàttilo è connesso — chi non lo sa? –al dàctylos greco. Ma solo indirettamente Dàctylos vuol dire dito e ha dato nome del dattero da palma che ha appunto l ’aspetto della falangetta del pollice. Dal colore marrone del dattero gli antichi chiamarono dàttilo una pietra d’un certo pregio che gli odierni gioiellieri dicono occhio di tigre. Dall’analogia con questo colore venne al nostro scoglio il nome di Petra ’i Dattilu.

Spinazzola ci riporta alle tragiche storie dei Turchi. Fu così detta la massa rocciosa, isolata e irta di guglie, che sta di fronte all’immaginario basilisco. Ma la ragione di tal nome è spiegabile solo se rapportata alla spinazza o spinazzola che era solita acquattarsi in quei pressi. Era, la spinazza (dal francese èpinace, cioè fatta di pino), una minuta quanto agilissima imbarcazione a remi che i Panarelesi del passato inviavano in avanscoperta in caso di sospettata incursione piratesca.

Codesto fascino dei nomi antichi oggi non si avverte più. E del tutto dimenticato svanite sono le belle risorse di flora e — quaglie, conigli, uova di cavazze deliziose a sorbirsi, come attesta l’Hoeul — che consentivano ai Panarellesi d’una volta di mangiare carni bianche del tutto genuine.

Non si deve, dunque, credere a chi affermma che l’isola è giunta a noi “intatta” madre natura la fece.

Certo, la natura, quando può — e qui si vede che lo può — ripara ai dissesti provocati dall’uomo e si può ben dire che qui a Panarea la natura campeggi ancora onnipresente tutte le forme della sua benignissima nudità.

Ma la più squisita peculiarità di - l’« anima » vorremmo dire — resta adagiata nei recessi dei millenni, nell’obliata realtà di travaglio di una lunga serie di generazioni umane votate alla fatica e alla lotta mortale.

Una chiave per intenderla?

Forse, più che negli archivi polverosi, la vera dimensione interpretativa la si ritrova nella ricca e varia toponomastica. Le contrade, i pizzi, le balze, le innumerevoli rocce seminate nel mare senza confini.

 

GENTE ALLE EOLIE MARIAELISA DONVITO CASA EDITRICE CESCHINA 1959
…pagine palpitanti non solamente di ammirazione, ma anche dense di notizie interessanti.
Forse per la prima volta le Eolie hanno trovato in queste pagine la loro meritata, documentata esaltazione. Pensiamo che il lettore attento sarà lieto di apprendere la tranquilla ospitalità di queste isole, che domani saranno forse di moda, ma che sin da oggi offrono al turista l’occasione di serene e riposanti vacanze...

Stanno sul molo e sulla spiaggia di marina Corta, sparpagliati fra le barche e le nasse rovesciate: li unisce un ‘attesa silenziosa e appena mi vedono mi corrono incontro con la gioia di un desiderio che si avvera. E io che quasi cercavo di dimenticarmi della promessa.

Sono tornata a Lipari per fotografare tutto e loro riempiono gli angoli più imprevisti, dilagano ovunque. Ieri mentre inquadravo uno scorcio del molo di Marina Corta con la piccola chiesa del Purgatorio, le gambette impazienti di Bastiano scalpitavano per prepararsi a saltare, ma gli occhi gli si erano inchiodati sull’immagine che vedeva nel riflesso della macchina fotografica.
- Si vede che si muovono…e ci sono tutti: che bello!
Gli altri “tutti” (tanti piccoli Bastiano) giocavano col mare e con le barche già armate per la pesca, ma un richiamo dell’amico mi volarono intorno: le loro testine si urtavano sopra l’immagine riflessa come un mazzo di palloncini scompigliati dal vento.

- Signurina, mi fai ‘a fotografia?
- Domani, Bastiano.
E ora me li ritrovo davanti con la promessa intatta nel cuore.
Mi tocca liquidarli.
- Avanti, a cinque per volta: mettetevi lì vicino a quella barca. Bastiano, i gemelli e altri due si tengono allacciati e dritti.
Metto a fuoco e scatto. Gli altri mi straripano davanti come una marea, le testine e gli occhi si accavallano, si sospingono via l’un l’altro, perché ognuno vuole esserci, e……..”entraci tutti”.
- Signurina, due fotografie a me, Di Flavia Paolo.
- A me, Laglisi Sebastiano di Mauro.
- Signurina, tre a me, Salvatore……..

E’ una raffica sommessa di nomi, cognomi e timide pretese.
Poi mi si stringe intorno l’assedio delle bambine: erano rimaste in disparte, silenziose e quasi rese gravi dai marmocchi che portano in braccio. Ma dai loro occhi di minuscole donne che ignorano il sorriso viene inesorabile la preghiera: “Anche a me”.
Continuo a scattare.

Soddisfatti, leggeri, i piccoli Bastiani si spargono a ventaglio e esplodono di gioia sui muretti e sulle barche: riempiono la spiaggia di improvvise rapidissime fughe. Gridando come passeri si infilano nell’acqua. Gli allegri naufragi si susseguono alla capriole, alle risate.
Solitarie come isole, le bambine assistono immobili.
Si ritrovano infine tutti in piedi sul muretto più alto del molo e scandiscono una canzonetta a tempo di marcia...

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FOTO 1 Giuseppe Berte: da sx Franco Licastro, sopra un amico pescatore di cui non ricordo il nome,Michele Pisagatti, la sorella Anna e sotto la sorella più piccola,x, la signora Lo Surdo, sorella di Minicuzzo, che abbraccia la piccola Mangano, moglie di Oscar !!!

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La Patria Geografia dell’Italia SICILIA VOL. 7 1893 Strafforello Gustavo  (vari stralci dal testo)
…. Girata la punta del Faro — il promontorio Peloro degli antichi — si entra in quella parte del Tirreno detta Mare Siculo, ed offresi allo sguardo una costa sinuosa, alta e dirupata la quale procede in direzione da est a ovest. Il primo golfo che si presenta prima di superare il capo Milazzo è quello di Milazzo: v'è pure una buona rada appena superato il suddetto Capo e la cui traversia è prodotta dai venti greco e levante.
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Varcato il capo Milazzo, schiudesi allo sguardo il golfo di Patti o di Tindaro, assai più vasto del primo, ma privo di porti. È chiuso a ponente dal capo di Calavà e gli sta in faccia a maestro-tramontana l’isola Vulcano una delle Eolie.
Dal suddetto Capo e dalla punta d’Orlando la marina piega a grado a grado verso libeccio sin circa verso Caronia e volgesi poi di bel nuovo a ponente e maestro sino al capo di Cefalù: ma in tutto questo tratto non ha porto veramente sicuro segnatamente per le grosse navi. 
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Lo stesso accade nel golfo che si apre successivamente di là del capo di Cefalù sino al capo Zaffarana, ossia il golfo di Termini Imerese…

V.— Isole annesse e dipendenti dalla Sicilia.
Le isole Eolie e le Egadi, dipendenti dalla Sicilia, meritano per più rispetti una succinta descrizione con un sunto conciso della loro storia antica.

La Patria Geografia dell’Italia SICILIA VOL. 7 1893

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Isole Eolie (fig. 2). — Le isole Eolie — dette anche Arcipelago Eolio o Vulcanico o di Lipari — sono schierate dirimpetto alla costa settentrionale della Sicilia. Generate tutte dal fuoco sotterraneo, in alcune di esse arde ancora intensissimo; e se nella più parte di esse più non divampa alla superficie, tuttavia la copia delle acque bollenti, la varietà delle mofete, il tepor delle rocce, i muggiti sotterranei, la frequenza dei tremuoti ed altri siffatti fenomeni vulcanici attestano che le Eolie hanno sempre vivo nelle viscere ed attivo l'incendio.
 
L’immensa fucina vulcanica su cui posano non le eruttò tutte ad un tratto, anzi alcune di esse emersero in epoca che, relativamente all’antichità di altre, può dirsi recentissima. In prima non ne esistevano per avventura che cinque fra tutte quelle che annoveransi nell'arcipelago e pare fossero: Lipari, Vulcano, Salina, Stromboli ed Ustica. Tutte le altre, Alicuri, Felicuri, Panaria, Basiluzzo, Lisca Bianca, Lisca Nera, ecc., sorsero successivamente in epoca posteriore.
Gli autori antichi, Strabone, Plinio, Diodoro, Mela, Dionisio Periegeta, ecc., concordano generalmente nel ragguagliarle a sette, ed è corretto ove si omettano
gli isolotti. Ma v'ha una grande diversità rispetto i loro nomi e la confusione fu grandemente accresciuta da alcuni moderni geografi. Gli antichi le vengono così dinumerando :
1. Lipara, ora Lipari, la maggiore di tutte e l’unica che contenesse una città di qualche importanza. Di quest'isola tratteremo distesamente giunti che saremo al Mandamento di Lipari Isola, nella provincia e circondario di Messina, ove si trova.
2. Hiera, detta dai Greci ‘Ispà ‘Hoziorov, perchè la consideravano come sacra a Vulcano pe’ suoi fenomeni vulcanici, ed anche Vulcania dai Romani. E l’odierno Vulcano, la più meridionale delle Eolie, situata fra Lipari, da cui dista poco più di un chilometro, e il capo Milazzo, da cui è separata da un tratto di mare di circa 22 chilometri. È un'isoletta di 7 chilometri di lunghezza per 2 a 3 di larghezza, coperta di vegetazione ed abitata nella sua parte meridionale, disabitata e costituita da balze scoscese e aride sabbie nella parte settentrionale, ove un vasto cratere, detto la Mossa di Vulcano, manda da tempo immemorabile fumo e boati.
L’isola intiera è un antico gran cratere vulcanico squarciato verso nord e nord-est, ed ivi nell'interno spuntarono due altri coni più recenti e più piccoli, che sono la Fossa di Vulcano e Vulcanello. Infatti, la parte periferica dell’isola è formata da un gran recinto montuoso composto intieramente di lave antiche, scorie, lapilli e ceneri vulcaniche, il quale circonda a ovest, sud e est la suddetta Fossa o cratere attivo, come il monte Somma ricinge il cono presente del Vesuvio.
 
Anche qui una-squallida valle corrispondente all’Atrio del Cavallo del Vesuvio separa la ossa dal recinto, il quale dirupato verso l’interno ed, a ovest, anche verso l'esterno, scende altrove al mare con dolce pendìo, segnatamente a sud verso il capo Bandiera. In questa parte dell’isola, che è anche la più lontana dal cratere attivo, dimorano circa 250 abitanti disseminati in casette campestri ed occupati nella coltivazione del suolo ferace come tutti i terreni risultanti dalla decomposizione delle antiche rocce vulcaniche.
Nella parte nord-est dell’isola, ove sorge il cratere attivo, si è sempre escavato, sin dai tempi dei Romani, zolfo ed allume e, nel secolo nostro, anche una discreta quantità di acido borico. Una sola casa ed alcuni piccoli magazzini esistono in questa parte dell’isola sempre squallida e deserta. La Fossa di Vulcano al presente è proprietà di una Compagnia inglese, rappresentata dal signor Narlian, direttore dei lavori, il quale, con circa 80 operai, fuggì spaventato dall’isola nella recente eruzione che, incominciata nella notte del 2 al 3 agosto 1888, continuò, con esplosioni più o men forti, per tutto l’anno.
La Fossa di Vulcano è un cratere attivo ab immemorabili e le notizie più antiche risalgono al V secolo av. C. Le troviamo in Tucidide, il quale narra che l'isola Vulcano appariva a’ suoi tempi fiammeggiante di notte e fumante di giorno. Circa un secolo dopo Aristotele parla, nel Libro delle Meteore, di una forte eruzione avvenuta nell'isola Vulcano, per la quale la vicina Lipari rimase coperta intieramente di cenere. Callia, contemporaneo di Agatocle (317-289 av. C.), narra che in un colle levato di Vulcano eran due crateri, uno dei quali aveva un circuito di 3 stadii; questo cratere mandava una gran fiamma che illuminava buon tratto intorno ed eruttava pietre incandescenti d’immane grossezza, e tanto è lo strepito, diceva egli, allorquando Vulcano lavora, che il suono si ode alla distanza di 500 stadii. Nel 183 av. C. avvenne presso la Sicilia una spaventosa eruzione, durante la quale si formò un’isola nuova che con tutta probabilità è Vulcanello.
Ma andremmo troppo per le lunghe se tutte togliessimo a pur accennare le eruzioni di Vulcano registrate dagli autori antichi e moderni; basti il dire che nelle forti e numerose eruzioni del secolo XVIII pare abbia avuto uno sfogo sufficiente a tenerlo poi in calma relativa per 85 circa anni, vale a dire dal 1786 al 1872.
Si ridestò nel 1873 con eruzioni di maggiore o minor intensità sino al gennaio 1886, quando, nel giorno 10, scoppiarono nel suo cratere violente esplosioni con ceneri e grossi massi infocati. Dall’aprile 1886 al luglio 1887 mandava fumo e specialmente boati spaventosi, sentiti talfiata sino a 7 chilometri di distanza.
La surriferita ultima eruzione di Vulcano nel 1888 non sarebbe che una fase del periodo eruttivo incominciato nel 1873 e proseguito con un continuo crescendo sino al presente, non ostante intervalli di apparente calma.
Vulcano — come bene osserva il signor G. Mercalli — non presenta quei periodi di lunga e perfetta quiete come l’Etna e particolarmente il Vesuvio, e d’altra parte esso non è in attività incessante come lo Stromboli. In sostanza, anche sotto questo aspetto, è un vulcano sui generis che tiene il mezzo fra lo Stromboli e i vulcani del genere dell’Etna e del Vesuvio.
 
3. Stronayle, ora Stromboli, così detta in greco per la sua forma quasi rotonda, la più settentrionale e insieme la più orientale delle isole Eolie, è un cono regolare che sorge repente dal grembo del mare ed ergesi sino a 920 metri. In cima è il cratere od altro sfogatoio del vulcano, che avvampa del continuo, fiammeggia, gitta pioggia di ceneri e tempesta di sassi: di giorno non si vede che il fumo, il quale sorge a sbuffi frequenti; ma la notte, in grazia del buio, veggonsi in mezzo a quel fumo sassi infocati che a brevi e regolari intervalli il vulcano vomita e lancia ad altezza ragguardevole. Codesto fuoco d’artifizio della natura dura perennemente da migliaia e migliaia d'anni.
Lo Stromboli (fig.3), nelle sue eruzioni ordinarie, lancia bombe, scorie, lapilli, arene, ceneri, e tutte queste materie altro non sono che strappi della lava fluida che ribolle e si agita nella sua gola e solo in via secondaria e in picciol numero scaglia anche pezzi di antiche lave già solidificate od altre rocce avvulse dalla parete del camino vulcanico. Lo stesso accade nel Vesuvio, nell’Etna e negli altri vulcani quando si trovano in quello stato di ritmica e moderata attività che suolsi chiamare stromboliana. Ma codesti vulcani eruttano anche non di rado lava in corrente, ossia in massa, fluida, incandescente, la quale è composta mineralogicamente e chimicamente la stessa cosa delle scorie e dei lapilli del vulcano. Il cratere dell’isola Vulcano non lancia per solito che proietti, vale a dire massi più o meno voluminosi di lave antiche di diversa natura e sempre incandescenti.
Stromboli fu considerata dagli antichi qual vera sede d’Eolo, da Strabone e da Plinio principalmente ; i venti infatti regnano con violenza straordinaria nel mare che la circonda, segnatamente quei di ponente e di libeccio; e pare obbediscano alle ire capricciose del vulcano, posciachè nè levansi, nè mutansi, nè rinforzano senza che la cima di Stromboli non l'abbia, per mezzo di qualche fenomeno, presagito.
Con tutto che sempre infocata e scossa dai fremiti sotterranei, l’uomo ha tuttavia posto dimora anche in quest'isola. A nord di essa è uno scoglio deserto, detto Strombolicchio o la Petra.
4. Dipyme, ora Salina o Isola delle Saline, a maestro da Lipari, si compone
di due gruppi di alture vulcaniche, che formarono forse anticamente isolette distinte, ma sono oggidì riunite da una valle lunga e depressa, l’unica nell'isola. Per questa conformazione fu chiamata dai Greci Didyme, ossia gemella ; la più australe delle due suddette montagne ergesi a 962 metri.
Lave di natura particolare incrostano i fianchi dei monti di quest’isola e sono disposte a gradi, per modo che si ascende per essi agevolmente dalla spiaggia alla vetta e scendesi di lassù in fondo alla valle sovraccennata, tutta ingombra di ceneri antiche e di scorie.
Chiamasi delle Saline per l'abbondanza del sale che ricavasi per naturale svaporazione nell’estate da una lagunetta di acque marine sul lido. È coltivata dovunque il suolo mostrasi tale da rispondere favorevolmente alle cure dell’agricoltore e produce, fra le altre cose, una malvasia squisita.
5. Proenicussa, ora Filicudi, a ovest di Salina, fu così chiamata, forse dalle palme che vi abbondavano. La sua maggiore altezza è di 775 metri. Sulle coste occidentali evvi una caverna bellissima, detta del Vitello Marino. Felicuda è deserta, non così
6. Ericusa, od Alicudi, la più occidentale del gruppo, così detta probabilmente perchè coperta di brughiera, elevata a 666 metri. Ambedue queste isolelte servono per pascoli.
7. Euonymus, ora Panaria, la maggiore e la sola abitata e fertile delle Dattole, 4 o 5 isolette o, a meglio dire, scogli (Basiluzzo, probabilmente l’ Hicesia di Tolomeo, Lisca Bianca, Lisca Nera, ecc.) strettamente aggruppati fra Stromboli e Salina. Per la loro giacitura e natura codesti scogli mostrano non esser altro che le cime del labbro di un cratere vulcanico sottomarino presentemente in riposo, ma non estinto affatto.
8. Osteodes, l'odierna Ustica, annoverata erroneamente dal Mela fra le isole Eolie, sorge a nord del capo Gallo, presso Palermo. Narra Diodoro (v, 11) che essa fu chiamata Osteodes (isola delle Ossa) dai Greci per la circostanza che i Cartaginesi, volendo disfarsi di un corpo di 6000 mercenari turbolenti, li trasportarono in quest'isola sterile e deserta, lasciandoveli perir di fame. Rilevasi da certi avanzi che Ustica fu abitata anche dai Romani come ancor di presente.
Del resto niuna delle Eolie, trattane Lipari, pare fosse estesamente abitata nell’antichità. Afferma chiaramente Tucidide (mm, 88) che, a’ dì suoi, solo Lipari era abitata, e le altre isole, Stromboli, Salina e Vulcano, erano coltivate dai liparèi; ciò è confermato da Diodoro (v, 9). Strabone però parla di Panaria come inabitata in un modo che pare implichi che le maggiori tali non fossero; e i ruderi di antichi edifizi rinvenuti non solo in Salina e Stromboli, ma anche sull’isolotto roccioso di Basiluzzo attestano ché i Romani le frequentavano, probabilmente per farvi cure termali o bagni nei vapori vulcanici.
Vulcano per contro rimase probabilmente sempre disabitata; ma l'eccellenza del suo porto (Luci., Aetn., 442) la rese importante quale stazione navale, e noi troviamo così Vulcano come Stromboli occupate dalla squadra d'Augusto durante la guerra con Sesto Pompeo nel 36 av. C. (Appran., B. C., v, 105).
Tutte le isole Eolie pativano, come oggi ancora, di siccità per mancanza d’acqua, cagionata dalla natura leggiera e porosa del suolo vulcanico (Tucid., 1. c.; Smth’s, Sicily, p. 249). Ma quantunque poco atte alla coltivazione, abbondavano di allume, zolfo e pietra pomice, che esportavansi in grande quantità, come il mare abbondava di pesce e di finissimi coralli.

 

 

Gita scolastica a Salina in particolare al Santuario di Valdichiesa 09.05.1962.
Io pubblico con piacere queste foto perché oltre che ricordare mia madre credo che posso fare piacere a tanti rivedere un loro parente, amico, insegnante se non se stessi giovani alunni di allora.

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The Brooklyn Daily Eagle 20 febbraio 1950 Marc Desiderio Oh mio Dio!! Questo è il mio prozio Charles!!! Suo fratello Dominick DeNave era mio nonno. A quanto pare Charles era un personaggio
GRAZIE per aver pubblicato!!! Charles DeNave Marc Desiderio è così selvaggio che me lo sto prendendo ora, visto che sono a Firenze al momento. Mi piacerebbe visitare l'isola e pianificarlo in futuro. Grazie per questo. Ho la pellicola di mio nonno sull'isola e questo spiega molte cose.
Angele Marzi

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Marc Grazie! Questo è un articolo meraviglioso. Grazie per la condivisione. Lorraine Paul Arlene Questo era tuo nonno, credo
Angele Marzi
Marc Salvatore era mio nonno e suo fratello.
Charles DeNave
Marc Desiderio ho anche una foto di mio nonno e Ingrid Bergman insieme sulla spiaggia. Questo è fantastico! Ne pubblicherò alcuni quando torno negli Stati Uniti.
Grazie a Charles De Nave: nella foto Mio nonno Charles Angel DeNave e Ingrid Bergman.

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1) Grazie alla Biblioteca Comunale di Lipari dal Notiziario delle isole Eolie, alcuni ritagli del giornale anni 50/60 riferiti al Carnevale a Lipari.

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2) Grazie alla Biblioteca Comunale di Lipari dal notiziario delle isole eolie del febbraio 1967.
IL CARNEVALE A LIPARI E A CANNETO
Anche quest'anno diverse iniziative sono state prese per rendere allegre le giornate di carnevale. Particolare interesse hanno suscitato quelle rivolte ai bambini, che l'affetto e le attenzioni delle mamme ci hanno mostrato in mascherine veramente belline.

A Canneto, dopo il rituale giro delle due vie cittadine, accompagnate dal-
l'infaticabile parroco d. Gennaro Divola, le mascherine si sono fermate nel salone del cinema, ove l'ing. Rodriquez, presidente dell'azienda soggiorno e turismo, ha consegnato a tutti un dono

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Grazie ad Angelo Manfre della Società Isole Eolie di Melbourne. bella festa con picnic giochi ecc dei nostri eoliaustraliani...

Un caro saluto a Jannette Ziino ambasciatrice della società ed a tutti.

VIDEO

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