di Massimo Ristuccia
Giuseppe Iacolino – Destinazione Panarea. Rivista Sicilia maggio 1982.
Per un itinerario così interessante qual è quello che per la rotta di NE ti porterà da Lipari (capoluogo dell’arcipelago eoliano) a Panarea sceglieremo un accompagnatore d’ec¬cezione, quell’abate Lazzaro Spallanzani, na¬turalista e professore emerito, che talvolta alle sue pagine di scienza seppe aggiungere deli¬ziosi tocchi di poesia.
Un facile slittamento nel tempo, come in sogno, ed eccoci immersi nell’incerta luce mattinale di una giornata dell’ottobre 1788, in Lipari. Attracco di Tramontana, detto pure di Sottomonastero. C’è l’occasione buona: una feluca pronta a salpare per Stromboli. « Era di buon mattino — narra lo Spallanzani — soffiava un forte ma spiegato libeccio accom¬pagnato da interrotte nubi temporalesche. Agi¬tato era il mare, ma, favorevole essendo il vento, per questa velata il padrone della feluca, che era altresì il timoniere, sperar mi fece che non incontreremmo disastri, e sol mi disse, scherzando, che avremmo ballato. Spiegate erano tutte le vele, e l’andar nostro non era un correre, ma un volare.
Nonostante che il vento e il mare ingagliardissero sempre di più e che or ci vedessimo sospesi sulla punta di un’onda, or sprofondati come su una voragi¬ne, nulla avevamo a temere per essere sempre stato il libeccio intavolato per poppa. Per qualche tratto di viaggio fummo accompagnati da una torma di marini animali che ci fecero una specie di corteggio. Questi erano delfini che, preso in mezzo il nostro legnetto, si die¬dero a scherzarvi attorno e a trastullarsi guiz¬zando da prora a poppa e da poppa a prora, d’improvviso profondandosi nell’onde, poi ri¬comparendo e, fuori cacciato il muso, lancian¬do a più piedi d’altezza il getto d’acqua che a riprese espellono dal forame che sul capo si apre.
E in quegli allegri lor giochi appresi cosa mai da me veduta nelle migliaia di questi piccoli cetacei in altri mari osservate. Ciò fu l’indicibile loro prestezza nel vibrarsi dentro l’acqua. Uno o più delfini talvolta movevano da prora a poppa. Ad onta di dovere allora
rompere' l'impetuoso scontro del fiotto, vola¬vano con la rapidità d'un dardo".
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Il contatto di simpatia tra il visitatore e l'isola di Panacea s’instaura assai prima dello sbarco al molo di San Pietro perché l'abbraccio che quel corpo roccioso tende al forestiero s’anticipa a notevole distanza facendosi ampio e molteplice. Mentre il battello piega a Nord per venire a rada, da levante fanno gioiosi ammiccamenti una mandria di isolotti e di scogli bizzarri di forma, strani nei colori e nei nomi, disseminati qua e là, ora raggruppati ora dispersi, alcuni lontani oltre due miglia: è un formicolio ridente di onde e di spume, di riflessi di mare e. di frammenti di rupi immobili. Ma anche queste masse, nel resistere che fanno alle folate di brezza che increspano la marina, paiono tutte muoversi in unica direzione, come le formiche. E Formicole, appunto, chiamarono i pescatori panarioti di moltissimi anni fa le quattro o cinque pietre lisce che, lì presso, affiorano, dall’acqua. C’è poi Lisca Nera e Lisca Bianca, Dàttilo e Bòllaro, più in là ancora Panarelli e, sullo sfondo ceruleo, quasi addossati a Stromboli, Spinazzola e Basiluzzo.
È un arcipelago, dunque, Panarea, un arcipelago in miniatura facente parte di un altro arcipelago più esteso, un minuscolo sistema inglobato in una più dilatata galassia.
Ma può pure considerarsi un pianeta a sé stante il comprensorio di Panarea, un pianeta in fase di declino e di dissolvimento, un campionario di residuati di rocce, tutto mozziconi, spuntoni, slabbrature; un pianeta che, da almeno settecentomila anni, ha subito per prima le violenze dei fuochi e dei sismi, poi le ingiurie dei venti e delle tempeste. Ora, « addomesticato ». giace nel profondo assopimento che gli deriva dalla sua lunga e sofferta giovinezza.
Per la sua posizione amena e per i suoi terrazzi naturali facilmente difendibili Panarea fu prescelta come punto ideale da insediamento da gruppi neolitici del III millennio a. C.. Evidenti affiorano le tracce di quella facies culturale in località Calcara, ma quanto mai significativi appaiono i resti del villaggi Punta Milazzese che risalgono all’età del bronzo, ad un tempo che va pressappoco dal XV al XIII secolo a. C..
Anche in età greco-romana Panarea e Basiluzzo ebbero nuclei abitativi e furono stazioni preferite da sofisticati nababbi liparoti. Taluni tratti di fondazioni di ville aristocratiche, benchè sommersi per via dei bradisismi, sono ancora oggi distinguibili nei fondali adiacenti. Avanzi ancor più cospicui notarono i naturalisti del nostro Settecento che visitarono questi luoghi. «Panarea — afferma l’Houel — ha avuto edifici superbi come Lipari, Stromboli e Basiluzzo, sia al tempo dei Greci, sia al tempo quando i Romani, per il loro gusto del lusso si servivano di tutti gli elementi per le costruzioni ».
La frequentazione umana, a Panarea, praticamente si bloccò per oltre un millennio, dal V al XVI secolo della nostra era. Fu quello il millennio in cui qua da noi imperversò la pirateria più spietata, da quella vandalica a quella araba e, infine, a quella turchesca.
I primi a tornare nell’isola, alla fine del ’500, furono pochi anonimi coraggiosi contadini di Lipari i quali a Panarea e a Basiluzzo ci venivano a coltivar le terre che i vescovi davano assegnando al clan dei borghesi liparoti. Ci venivano solo per compiere i lavori stagionali e riposavano in misere capanne di frasche, senza né mogli né figli, perché vietato dalla legge portare nelle isole minori donne, vecchi e ragazzi.
Più tardi, come dimostra la chiesina S. Pietro la cui fabbrica originaria risale 1681, i colonizzatori ci fecero residenza stabile a Panarea rivestendo le colline di fitti uliveti e seminando tanto buon grano sui pianori soleggiati. Panarea — dicono le carte del 1691 somministrava « a Lipari non poco grano ed in abbondanza legumi e frutti ».
Pure a Basiluzzo ci prosperavano i legumi e varia granaglia.
Si lavorava sodo a Panarea nei secoli passati e, come se ciò non bastasse, si viveva come sul piede di guerra sotto l’incubo costante e mortale delle incursioni barbaresche. Ancora nel 1772 — riferisce l’Houel — per i cento abitanti di Panarea « gli attacchi dei Turchi e dei Barbareschi rappresentano la più grave calamità che possa colpire gli uomini ».
Fu in questo clima pionieristico — in cui il contadino si fa cacciatore e pescatore e diventa anche guerriero — che i Panarioti si legarono tenacemente alla loro terra e si diedero a scoprirne ogni angolo più riposto. E ad ogni zolla assegnarono un nome improvvisando, accanto a quella antichissima, una nuova toponomastica carica di significazione.
Drautto si disse il primo tratto abitato di Panarea, ma in origine questo era il nome della piccola rada antistante dove nel ’500 venivano a mettersi alla posta gli sciabecchi del feroce corsaro Dragùt. Segue, poi, il settore di San Pietro con le due chiese, la vecchia e la nuova. S. Pietro, nel ’500, rappresentava il Cristianesimo trionfante, fortemente impegnato ad arginare l’invadenza del turco infedele. L’estrema frazione più a Nord fu chiamata « i Ditedda » per via di certi funghi a forma ramificata come di una mano che protenda in alto le dita ravvicinate.
Sarebbe lungo un discorso tutto centrato sulla toponomastica di quest’isola bella, bella nella sua natura e bella nella tormentata quanto umile ed occulta sua storia. Ma il fatto è che il turista che viene a Panarea non sa starsene tranquillamente a prendere il sole. Egli vuole anche vedere ed essere informato di tutto. Più specificamente la sua curiosità s’appunta su Basiluzzo, su Dàttilo e su Spinazzola. Tre scogli, tre meraviglie. E noi l’accontenteremo.
Basiluzzo è la versione dialettale di una voce greco-bizantina, Basiliscos, che vuol dire piccolo re. Ma ciò non basta a spiegare. Occorre sapere che la cultura zoologica degli antichi favoleggiò di un animale che si diceva prolificasse nell’Africa incognita e che era il frutto dell’innaturale connubio di un gallo con una pitonessa. Ne nacque un mostriciattolo dalla schiena marcatamente gibbosa, con un capo turricefalo su cui, al posto della cresta, propria dei gallinacei, figurava una corona circolare. Perciò si disse basilisco o principino.
Ora, se ben si osserva lo scoglio di Basiluzzo chiaramente emerge la somiglianza strettissima tra la sua sagoma e quella del fiabesco animale. Il Dàttilo è connesso — chi non lo sa? –al dàctylos greco. Ma solo indirettamente Dàctylos vuol dire dito e ha dato nome del dattero da palma che ha appunto l ’aspetto della falangetta del pollice. Dal colore marrone del dattero gli antichi chiamarono dàttilo una pietra d’un certo pregio che gli odierni gioiellieri dicono occhio di tigre. Dall’analogia con questo colore venne al nostro scoglio il nome di Petra ’i Dattilu.
Spinazzola ci riporta alle tragiche storie dei Turchi. Fu così detta la massa rocciosa, isolata e irta di guglie, che sta di fronte all’immaginario basilisco. Ma la ragione di tal nome è spiegabile solo se rapportata alla spinazza o spinazzola che era solita acquattarsi in quei pressi. Era, la spinazza (dal francese èpinace, cioè fatta di pino), una minuta quanto agilissima imbarcazione a remi che i Panarelesi del passato inviavano in avanscoperta in caso di sospettata incursione piratesca.
Codesto fascino dei nomi antichi oggi non si avverte più. E del tutto dimenticato svanite sono le belle risorse di flora e — quaglie, conigli, uova di cavazze deliziose a sorbirsi, come attesta l’Hoeul — che consentivano ai Panarellesi d’una volta di mangiare carni bianche del tutto genuine.
Non si deve, dunque, credere a chi affermma che l’isola è giunta a noi “intatta” madre natura la fece.
Certo, la natura, quando può — e qui si vede che lo può — ripara ai dissesti provocati dall’uomo e si può ben dire che qui a Panarea la natura campeggi ancora onnipresente tutte le forme della sua benignissima nudità.
Ma la più squisita peculiarità di - l’« anima » vorremmo dire — resta adagiata nei recessi dei millenni, nell’obliata realtà di travaglio di una lunga serie di generazioni umane votate alla fatica e alla lotta mortale.
Una chiave per intenderla?
Forse, più che negli archivi polverosi, la vera dimensione interpretativa la si ritrova nella ricca e varia toponomastica. Le contrade, i pizzi, le balze, le innumerevoli rocce seminate nel mare senza confini.
GENTE ALLE EOLIE MARIAELISA DONVITO CASA EDITRICE CESCHINA 1959
…pagine palpitanti non solamente di ammirazione, ma anche dense di notizie interessanti.
Forse per la prima volta le Eolie hanno trovato in queste pagine la loro meritata, documentata esaltazione. Pensiamo che il lettore attento sarà lieto di apprendere la tranquilla ospitalità di queste isole, che domani saranno forse di moda, ma che sin da oggi offrono al turista l’occasione di serene e riposanti vacanze...
Stanno sul molo e sulla spiaggia di marina Corta, sparpagliati fra le barche e le nasse rovesciate: li unisce un ‘attesa silenziosa e appena mi vedono mi corrono incontro con la gioia di un desiderio che si avvera. E io che quasi cercavo di dimenticarmi della promessa.
Sono tornata a Lipari per fotografare tutto e loro riempiono gli angoli più imprevisti, dilagano ovunque. Ieri mentre inquadravo uno scorcio del molo di Marina Corta con la piccola chiesa del Purgatorio, le gambette impazienti di Bastiano scalpitavano per prepararsi a saltare, ma gli occhi gli si erano inchiodati sull’immagine che vedeva nel riflesso della macchina fotografica.
- Si vede che si muovono…e ci sono tutti: che bello!
Gli altri “tutti” (tanti piccoli Bastiano) giocavano col mare e con le barche già armate per la pesca, ma un richiamo dell’amico mi volarono intorno: le loro testine si urtavano sopra l’immagine riflessa come un mazzo di palloncini scompigliati dal vento.
- Signurina, mi fai ‘a fotografia?
- Domani, Bastiano.
E ora me li ritrovo davanti con la promessa intatta nel cuore.
Mi tocca liquidarli.
- Avanti, a cinque per volta: mettetevi lì vicino a quella barca. Bastiano, i gemelli e altri due si tengono allacciati e dritti.
Metto a fuoco e scatto. Gli altri mi straripano davanti come una marea, le testine e gli occhi si accavallano, si sospingono via l’un l’altro, perché ognuno vuole esserci, e……..”entraci tutti”.
- Signurina, due fotografie a me, Di Flavia Paolo.
- A me, Laglisi Sebastiano di Mauro.
- Signurina, tre a me, Salvatore……..
E’ una raffica sommessa di nomi, cognomi e timide pretese.
Poi mi si stringe intorno l’assedio delle bambine: erano rimaste in disparte, silenziose e quasi rese gravi dai marmocchi che portano in braccio. Ma dai loro occhi di minuscole donne che ignorano il sorriso viene inesorabile la preghiera: “Anche a me”.
Continuo a scattare.
Soddisfatti, leggeri, i piccoli Bastiani si spargono a ventaglio e esplodono di gioia sui muretti e sulle barche: riempiono la spiaggia di improvvise rapidissime fughe. Gridando come passeri si infilano nell’acqua. Gli allegri naufragi si susseguono alla capriole, alle risate.
Solitarie come isole, le bambine assistono immobili.
Si ritrovano infine tutti in piedi sul muretto più alto del molo e scandiscono una canzonetta a tempo di marcia...
FOTO 1 Giuseppe Berte: da sx Franco Licastro, sopra un amico pescatore di cui non ricordo il nome,Michele Pisagatti, la sorella Anna e sotto la sorella più piccola,x, la signora Lo Surdo, sorella di Minicuzzo, che abbraccia la piccola Mangano, moglie di Oscar !!!
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V.— Isole annesse e dipendenti dalla Sicilia.
Le isole Eolie e le Egadi, dipendenti dalla Sicilia, meritano per più rispetti una succinta descrizione con un sunto conciso della loro storia antica.
Gita scolastica a Salina in particolare al Santuario di Valdichiesa 09.05.1962.
Io pubblico con piacere queste foto perché oltre che ricordare mia madre credo che posso fare piacere a tanti rivedere un loro parente, amico, insegnante se non se stessi giovani alunni di allora.
The Brooklyn Daily Eagle 20 febbraio 1950 Marc Desiderio Oh mio Dio!! Questo è il mio prozio Charles!!! Suo fratello Dominick DeNave era mio nonno. A quanto pare Charles era un personaggio
GRAZIE per aver pubblicato!!! Charles DeNave Marc Desiderio è così selvaggio che me lo sto prendendo ora, visto che sono a Firenze al momento. Mi piacerebbe visitare l'isola e pianificarlo in futuro. Grazie per questo. Ho la pellicola di mio nonno sull'isola e questo spiega molte cose.
Angele Marzi
Marc Grazie! Questo è un articolo meraviglioso. Grazie per la condivisione. Lorraine Paul Arlene Questo era tuo nonno, credo
Angele Marzi
Marc Salvatore era mio nonno e suo fratello.
Charles DeNave
Marc Desiderio ho anche una foto di mio nonno e Ingrid Bergman insieme sulla spiaggia. Questo è fantastico! Ne pubblicherò alcuni quando torno negli Stati Uniti.
Grazie a Charles De Nave: nella foto Mio nonno Charles Angel DeNave e Ingrid Bergman.
1) Grazie alla Biblioteca Comunale di Lipari dal Notiziario delle isole Eolie, alcuni ritagli del giornale anni 50/60 riferiti al Carnevale a Lipari.
2) Grazie alla Biblioteca Comunale di Lipari dal notiziario delle isole eolie del febbraio 1967.
IL CARNEVALE A LIPARI E A CANNETO
Anche quest'anno diverse iniziative sono state prese per rendere allegre le giornate di carnevale. Particolare interesse hanno suscitato quelle rivolte ai bambini, che l'affetto e le attenzioni delle mamme ci hanno mostrato in mascherine veramente belline.
A Canneto, dopo il rituale giro delle due vie cittadine, accompagnate dal-
l'infaticabile parroco d. Gennaro Divola, le mascherine si sono fermate nel salone del cinema, ove l'ing. Rodriquez, presidente dell'azienda soggiorno e turismo, ha consegnato a tutti un dono
Grazie ad Angelo Manfre della Società Isole Eolie di Melbourne. bella festa con picnic giochi ecc dei nostri eoliaustraliani...
Un caro saluto a Jannette Ziino ambasciatrice della società ed a tutti.
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