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di Ennio Fiocco

Alexandre Dumas e il bambino senza nome.

Esploratori, scrittori e viaggiatori con i loro scritti ci hanno fatto conoscere luoghi remoti e poco frequentati. La letteratura senza confini, di viaggio, di esplorazione e d’avventura, è mossa dalla curiosità di approdare ad altre visioni. In tale contesto Alexandre Dumas (padre) - 1802 + 1870 - con la sua opera “Impressions de voyage. Le capitaine Arena”, pubblicato a Parigi nel 1854, ci offre un diario di bordo in un itinerario attraverso le Isole Eolie, che rivestono nel Mediterraneo un carattere strategico sia dal punto di vista commerciale che militare.

Il Dumas intraprese nel 1835 un viaggio in mare da Napoli fino a Palermo e poi per le isole Lipari che visitò per alcuni giorni. L'itinerario dei tre francesi come quello di Ulisse: Dumas, l'amico pittore Louis-Godefroy Jadin e il cane Milord. Si discute che ad accompagnare lo scrittore ci fosse anche Ida Ferrier, ma in effetti era l'attrice Marguerite Joséphine Dumas, in arte Ferrier, moglie dello scrittore, che viaggiava pure lei in incognito. Nell'opera viene descritto uno spaccato di vita sconosciuta, anche tragica, come quella che presento ai lettori, tradotto dal francese. “Eravamo appena arrivati al porto di Lipari che cominciammo a cercare una locanda; purtroppo questa era una cosa sconosciuta nella capitale di Eolo. Abbiamo cercato da un capo all'altro della città: non il più piccolo segno....

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Eravamo lì, Milord seduto sulla schiena, Jadin ed io che ci guardavamo, entrambi molto imbarazzati, quando vedemmo una folla numerosa davanti ad una porta; ci siamo avvicinati, ci siamo fatti largo, e abbiamo visto un bambino di sei o otto anni, morto, su una specie di pagliericcio. Tuttavia, la sua famiglia non sembrava colpita diversamente; la nonna era intenta nelle faccende domestiche, un altro bambino di cinque o sei anni giocava rotolandosi per terra con due o tre maialini da latte. La madre sola era seduta ai piedi del letto e, invece di piangere, parlava al cadavere con una loquacità tale che non potevo sentirne una parola.

Ho chiesto a un vicino il motivo di questo discorso, e lui mi ha risposto che la madre incaricava il bambino delle sue commissioni per il padre e il nonno, morti un anno fa...; queste commissioni erano piuttosto singolari; il bambino aveva il compito di dire all'autore della sua vita che sua madre stava per risposarsi e che la scrofa aveva generato sei maialini belli come angeli. In quel momento entrarono due francescani per portare via il cadavere.

Fu messo su una barella aperta; la madre e la nonna lo baciarono un'ultima volta; il fratello minore fu distolto dalle sue occupazioni per fare lo stesso, cosa che fece piagnucolando, non perché suo fratello maggiore fosse morto, ma perché veniva disturbato dalla sua occupazione; poi deposero il corpo del bambino su una barella, gettandogli addosso solo un lenzuolo strappato, e lo portarono via. Appena il cadavere aveva varcato la soglia della porta, la madre e la nonna cominciarono di nuovo a rifare il letto, e a cancellare l'ultima traccia di quanto era accaduto. Noi invece, volendo vedere compiuta la cerimonia funebre, abbiamo seguito il cadavere. Fu condotto nella chiesa francescana, attigua al convento dei buoni padri, senza che alcun parente lo seguisse. Gli dissero una piccola messa, poi sollevarono una pietra e lo gettarono in una fossa comune, dove ogni mese, sopra lo strato di cadaveri, veniva gettato uno strato di calce.

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Terminata la cerimonia, eravamo occupati ad esaminare la chiesetta, quando un monaco, avvicinandosi a noi ci chiese se eravamo francesi, inglesi o italiani: noi gli rispondemmo che eravamo francesi, ed essendo iniziata la conversazione su questo punto, non ci abbiamo messo molto a spiegargli l'imbarazzo in cerca di una locanda. Ci offrì subito ospitalità nel suo convento...”. L'episodio di cui sopra è avvenuto il 6 ottobre del 1835. All'epoca era consuetudine discutere con i defunti. A tal proposito, in una mia pubblicazione di qualche anno fa sullo scienziato Lazzaro Spallanzani che si era recato nel 1788 per visitare anche Filicudi per le sue ricerche vi era stato un caso simile e tale usanza popolare (tra cui quella di buttarsi addosso al morto scuotendolo e parlando con lui per le commissioni) veniva contrastata dal nuovo parroco dell'isola.

Ho pensato di dare un nome al bambino ed ho eseguito personalmente delle ricerche due giorni fa sui c.d. registri cartacei on line della c.d. restaurazione, custoditi presso l'Archivio di Stato di Messina ed ho rinvenuto i dati. Il bambino aveva otto anni quando è deceduto il 5 ottobre 1835 e si chiamava Giuseppe Fazio, figlio di Vincenzo e di Maria Basile, domiciliato alla marina di Lipari. Un'anima che è volata in cielo e che grazie al racconto, anche se triste, del Dumas è stato possibile attribuirne il nome. Immagino Giuseppe intento nei suoi giochi, con il sorriso e pieno di gioia.

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