di Alessio Pracanica
Giovanni Brusca, detto scannacristiani, capomandamento di San Giuseppe Jato e killer condannato per un’infinità di omicidi.
Più di cento, meno di duecento, per usare le sue stesse parole.
Tra questi, Giuseppe Di Matteo (12 anni) strangolato e sciolto nell’acido, l’attentato del 29 luglio 1983, che costa la vita a Rocco Chinnici, alla sua scorta e al portinaio dello stabile in cui abitava il magistrato.
Sempre sua la mano che aziona il telecomando della strage di Capaci. 500 kg di tritolo che cambiano per sempre la storia di questo paese.
È comprensibile che la scarcerazione di un simile personaggio, indifendibile, al netto di ogni possibile pentimento, abbia suscitano un polverone di polemiche.
C’è chi ha parlato di resa o vergogna per lo Stato, di insulto alle vittime. C’è chi, come Salvini, promette di modificare la legge sui pentiti e chi, come il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra, ricorda che Brusca, a soli 64 anni, ha ancora la piena capacità di guidare sodalizi mafiosi.
Affermazioni e valutazioni, ripetiamo, più che giustificate per uno come Brusca, che però si limitano a interpretare, e in qualche caso a strumentalizzare, il comune sentire dell’opinione pubblica.
Verrebbe da chiedersi, per esempio, se il prode Matteo Salvini e la ruspante Giorgia Meloni nutrano la stessa severità nei confronti dei clan di Ostia o di certe famiglie della piana di Gioia Tauro.
Chi oggi, tra le forze politiche, si dice indignato dalla scarcerazione di Brusca, ha avuto decine di anni a disposizione per modificare o cancellare la legge sui pentiti fortemente voluta da Giovanni Falcone. Chi oggi ciancia di pugno nello stomaco, scandalo e quant’altro, avrebbe forse potuto e dovuto esercitare maggior controllo sulle proprie liste elettorali, se è vero che si contano a decine i comuni sciolti per infiltrazione mafiosa e i politici indagati per affiliazione alle cosche.
Al mondo c’è poco o nulla che non sia migliorabile, ma non vi sono dubbi che quella norma abbia fornito alla magistratura uno strumento affilato, per incidere il tessuto delle mafie e rompere il tradizionale muro di omertà.
Perciò, invece di strepitare, avrebbe più valore interrogarsi sul senso reale di una condanna. Sul vero scopo della detenzione.
Vendetta? Protezione della società? Tentativo di recupero del condannato?
La prima è certo più immediata e viscerale. La seconda più realistica. La terza, per molti, idealista e velleitaria.
Tre diverse risposte alla stessa domanda di sicurezza che ogni comunità umana, da sempre, rivolge al proprio Stato.
Risposte che ognuno di noi dovrebbe valutare con coscienza, scegliendo quella più opportuna e vicina alla propria sensibilità. A ciò che ritiene più utile per la costruzione di una società civile. Ricordando che un eventuale codice di Hammurabi sarebbe applicato anche per un suo errore e non solo per quelli altrui.
Giovanni Brusca si è realmente pentito? C’è qualcosa di autentico nella sua richiesta di perdono alle famiglie delle vittime?
Chi lo sa. Come per il pentimento dell’Innominato, ognuno è libero di credere alla verosimiglianza di questa o quella trama letteraria.
La sua collaborazione si è rivelata di una qualche utilità per la magistratura e lo Stato? Ha evitato che il già sterminato elenco di vittime si allungasse ancora?
Dovremmo ritenere di sì.
O che, in caso contrario, a sbagliare non sia stata la legge, ma gli uomini chiamati ad applicarla.
Nutrendo parimenti la certezza che la politica può combattere e battere la mafia solo in due modi. Con gli strumenti della legalità e con una ferrea sorveglianza al proprio interno. Chiudendosi ai concorsi esterni, ai fiancheggiamenti, ai comodi procacciatori di pacchetti di voti.
Non certo con facili, pubbliche e roboanti dichiarazioni di sdegno.(antimafiaduemila.com)
Siete stanchi della solita routine? Annoiati dal lockdown? Desiderosi di contribuire alla ripresa? Vi sentite chiamati, dalla Storia e/o dal Destino, a grandi compiti e mirabolanti imprese? Volete, insomma, concorrere anche voi alla carica di segretario progressista di un grande partito, ma non sapete da dove mentula cominciare? Tranquilli! Noi di Kulturjam abbiamo redatto per voi poche, semplici regole che, se osservate con scrupolosa attenzione, vi garantiranno il successo.
Le 10 regole del perfetto segretario progressista
Vademecum del segretario progressista: le 10 regole
1) Ricordate sempre: in qualsivoglia discorso, non importa se si sta parlando di moviola in campo, pesca con l’esca finta o manutenzione delle fognature, che la formula “care amiche elettrici” deve sempre e obbligatoriamente precedere “cari amici elettori”.
2) Auspicate più volte, a ogni piè sospinto, la pronta ripartenza del sistema paese.
3) Affermate perentoriamente, a chiare lettere, che “gli ultimi non verranno lasciati indietro”. Anche a costo, se necessario, di accompagnarli nelle prime file a calci in culo.
4) Ribadite dolorosamente l’ormai inderogabile necessità di profonde riforme strutturali. Di Tutto.
5) Sfruttate, quando occorre, l’insita ambivalenza della frase “ce lo chiede l’Europa”, utilizzabile per introdurre radicali innovazioni, quanto per giustificare coriacei cetrioli da far digerire alla pubblica opinione.
6) Elogiate a intervalli regolari il perfetto funzionamento della macchina organizzativa a tutti i livelli. Seppur con i comprensibili errori, figli dell’urgenza e della drammaticità del momento.
7) Snocciolate con aria noncurante i prezzi al consumo di beni di prima necessità, quali pane, latte, uova e Ipad.
8) Se le cose si mettessero male, tuonate con sguardo obliquo contro i c.d. poteri forti, colpevoli di ostacolare la vostra ascesa di incorruttibili galantuomini antisistema.
9) Esibite una vita familiare serena e tranquilla. Se non ce l’avete, procuratevela su Amazon. Ci sono offerte per tutte le tasche.
10) Last, but not least… Anche se foste, per assurdo, laureati in Filologia Romanza alla Normale di Pisa, cercate ogni tanto di cannare qualche congiuntivo. Vi umanizza. (kulturjam.it)
I cannoni di Pordenone hanno stroncato un covo di pericolosi pennuti ma non è stato un caso, come riportato da più fonti…
Nome in codice: omelette
Quando sei vicino, fingi di essere lontano.
Quando sei lontano, fingi di essere vicino
Così, quando sei capace, fingi di essere incapace.
(Sun Tzu – L’arte della guerra)
Due giorni or sono, nel corso di un’esercitazione in quel di Pordenone, un plotone di carri armati dell’Esercito Italiano ha aperto il fuoco contro un pollaio di galline ovaiole. Annientando senza pietà alcuna il pericoloso centro di resistenza e con esso, gli infelici pennuti ivi albergati.
Nome in codice omelette (I cannoni di Pordenone)
L’increscioso accadimento potrebbe sembrare, a occhi frettolosi e inesperti, grottesco episodio da cinepanettone, roba da Alvaro Vitali alle Grandi Manovre.
Trattasi invece di diabolico und cinico espediente, degno di figurare ne L’Arte della Guerra, mirabile trattato di strategia militare attribuito al cinese Sun Tzu.
Per comprendere meglio, facciamo qualche passo indietro nel tempo.
El Alamein, novembre 1942.
L’Armata Italo-Tedesca, comandata dal maresciallo Erwin Rommel, soprannominato La Volpe del Deserto, trovatasi in netta inferiorità di uomini e mezzi, sta per essere sconfitta da soverchianti forze nemiche.
Costante quanto proverbiale definizione d’ogni nemico, nella storiografia italiana. Giacché a quanto pare, da Canne in poi, il Nemico si presenta con schieramenti soverchianti, ridondanti, abnormi.
Sempre così. A Lissa, a Custoza, a Villafranca. Trovando di volta in volta opposizione solo in qualche pugno di bersaglieri scompagnati e in alcune migliaia di ufficiali di Stato Maggiore.
Senza dimenticare la madre di tutte le sconfitte: Caporetto. Ove gli Alpenjager tedeschi, comandati dall’allora capitano Rommel, si scontrano con i soci della Bocciofila di Faenza, frettolosamente arruolati e spediti al fronte con palle e birilli.
Una lunga teoria di disfatte dovuta al Caso, al destino cinico e baro, ma soprattutto alla perfidia del suddetto Nemico, che è uso invaderci senza badare a spese, ricorrendo al soverchio anche quando è superfluo.
Giammai, sia chiaro, a una qualche inadeguatezza del sistema-paese, dei suoi quadri dirigenziali, politici e militari. I quali, anzi, brillano per capacità manageriali e virtù eroiche, come i recenti fatti della pandemia hanno ampiamente dimostrato.
Ma torniamo a El Alamein.
In quel disgraziato frangente le forze nemiche, com’è noto, erano comandate dal maresciallo Bernard Law Montgomery, bizzarra figura di generale dalle molte idiosincrasie, che ogni mattina era uso consumare a full English breakfast. Una colazione all’inglese completa.
Nome in codice: omelette (I cannoni di Pordenone)
Parte integrante ed essenziale di ogni breakfast che si rispetti sono, ovviamente, le uova. Strapazzate, all’occhio di bue, a omelette.
Immaginiamo ora che un plotone di carri dell’Asse, superate arditamente le linee nemiche, penetrasse nelle retrovie, devastando tutti i pollai britannici.
Fine dell’English Breakfast. Il povero Montgomery costretto a strafogarsi di black pudding, fagioli in salsa e bacon fritto nel burro.
Digestione difficoltosa, pirosi post-prandiale, arsura, flatulenze, forse anche sonnolenza.
Piani di battaglia che vanno a rotoli. Fuggi-fuggi generale. La croce uncinata che sventola sulle piramidi. La sottile linea rossa costretta a ripiegare verso le sorgenti del Nilo, le grandi savane, gli arenili di Timbuctu.
Churchill costretto alle dimissioni. Un governo di coalizione che tratta frettolosamente la pace, consegnando alla Germania le colonie, la flotta e l’intera produzione di birra del Northumberland.
La Storia capovolta per sempre.
È un bene, per la libertà e per il mondo, che una simile idea non sia mai stata partorita dall’intelligence nazi-fascista.
Ma adesso i tempi sono cambiati e sotto l’alveo della democrazia si può osare ciò che in altri tempi non sarebbe stato auspicabile.
Bisogna dunque leggere l’eccidio avicolo di Pordenone non come un disgraziato incidente, ma come un preciso disegno strategico, volto a fiaccare il morale e la logistica del Nemico.
Inutile argomentare, come certo faranno certi pseudo-pacistifi nostrani, che il nemico di ieri è l’alleato di oggi. Dopo la Brexit, hai visto mai.
Saggio e legittimo che i nostri alti comandi si preparino a ogni evenienza. A 360° d’orizzonte e 100° di cottura, per tre minuti esatti.
Non uno di più, non uno di meno.
Specie adesso ch’è assurto nella stanza dei bottoni il generalissimo Francesco Paolo Figliuolo, già Comandante Logistico dell’Esercito, soprannominato la volpe del dessert.
Nome in codice: omelette (I cannoni di Pordenone)
Inutile nascondere che il momento è difficile e periglioso. La pandemia dilaga, l’economia è in ginocchio, il Pil carponi.
Il sistema-paese boccheggia, mal cautelato da un’economia che è coperta troppo corta per poter provvedere a tutto.
Corta quanto si vuole, ma per fortuna elastica e allungabile, se per l’anno 2021 si trovano quasi 25 miliardi di euro per il bilancio della Difesa, ovvero un miliardo e seicento milioni in più, rispetto all’anno scorso.
Arrivando a sfiorare l’1% del Pil, percentuale mai raggiunta negli ultimi dieci anni. Creando addirittura un apposito Fondo Pluriennale per gli investimenti nella Difesa, del valore di circa 10 miliardi di euro, spalmati in un quindicennio.
A cui vanno aggiunti i tradizionali fondi del MiSE (Ministero dello Sviluppo Economico) puntuali e affettuosi come i doni di Babbo Natale. Altri 2,8 miliardi per l’anno in corso.
Congruo ristoro per la nostra industria bellica, per altro nemmeno sfiorata dai provvedimenti di lockdown.
Ma come, diranno i soliti panciafichisti, mancano i vaccini, i posti letti in rianimazione, il personale negli ospedali e questi vanno a spendere vagonate di miliardi? Per bombardare i pollai del nord-est?
Tacete o stolti, che il Nemico vi ascolta!
Nubi minacciose s’apprestano all’orizzonte e non sempre è disponibile, tra le pieghe della Storia, un Badoglio, un Persano, un Ramorino che s’addossi ogni colpa della disfatta, assolvendo il sistema-paese e sgravandone la coscienza.
Può darsi che, mirabile dictu, qualcuna delle battaglie future si sia costretti addirittura a vincerla, infrangendo così una lunga e onorata tradizione.
Estote parati, dunque. Si vis pacem para bellum.
Meglio l’uovo oggi che la gallina domani.
Periscano tutti i pollai, purché la Patria viva!
Com’ebbe a dire uno che di sconfitte se ne intendeva.
Plaudiamo quindi all’Operazione Omelette, consumata sugli altipiani del Friuli, sacro topos dell’identità nazionale e al rinnovato riarmo del paese.
Basta con i piagnistei, i ristori a pioggia, le spese sanitarie, la messa in sicurezza del territorio, i macchinari per la rianimazione.
Armi ci vogliono. Freddo acciaio che imponga ai tempi la volontà dello spirito.
Per gettare oltre l’ostacolo il cuore, o qualsivoglia organo impari.
Un cinico blu come Giovanni Giolitti spiegava certe carenze del nostro apparato militare, con l’abitudine nelle famiglie italiane di spedire all’Accademia i figli discoli o i deficienti.
Episodi come quello di Pordenone, con l’insito e lucido machiavellismo già spiegato, ci dicono che, per fortuna, non è più così.
Nome in codice: omelette (I cannoni di Pordenone)
Ricetta del giorno
Pollo all’Ariete
Costruire un piccolo pollaio.
Inserire all’interno un pollo in a.b.s. (apparente buona salute)
Salare e pepare il pennuto q.b. (quanto basta)
Irrorare con abbondante olio EVO (ExtraVergine d’Oliva)
Spargere al suolo un trito di cipolla, carota e sedano.
Se gradita, aggiunger qualche fogliuzza di alloro.
Procurarsi un carro armato del tipo Ariete Fiat-Iveco-Oto Melara.
Raggiungere, alla guida dello stesso, le vicinanze del suddetto pollaio.
Caricare nella volata del pezzo un proiettile da 120 mm del tipo Heat (High Explosive Anti-Tank)
Bombardare accuratamente lo stabile fino a completa deflagrazione.
Consumare caldo.(kulturjam.it)