di Ennio Fiocco
Ho trattato in due articoli precedenti la colonizzazione dell'isola di Ustica del 1762 da parte degli eoliani che sono stati resi schiavi dalle scorrerie tunisine, ripercorrendo un tema poco conosciuto e cioè la tratta degli schiavi bianchi nel mediterraneo. Il fenomeno, continuato fino ai primi decenni del 1800, è stato vasto e con interessi economici alquanto consistenti.
In particolare, i Genovesi e i Veneziani non avevano mai smesso di trafficare in schiavi (sopratutto se donne), che nei loro contratti indicavano in “teste”, nonostante l'opposizione del Pontefice. Gli schiavi (e schiave) arrivavano anche dalla colonie del Mar Nero e dall'Asia centrale (soprattutto tartari e circassi). Da sempre il Mediterraneo grazie alla sua “privilegiata” posizione geografica è stato centro di attività marinaresche, di commerci e di migrazioni tra le molteplici popolazioni che vi si affacciano e con esse si è sviluppato anche un intenso traffico piratesco, amalgamato al commercio delle merci e degli schiavi.
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L’indole dei genovesi ad essere mercanti e a commercializzare e trasportare qualsiasi cosa è insita nel loro d.n.a.. anche perché parlando di schiavismo occorre dire che i predetti sono stati tra gli ultimi nell’800 ad abbandonare questa tipologia di merce da trasportare quando ormai in quasi tutto il mondo la pratica veniva abolita. Intanto, non dovevano essere cristiani (questo in generale, ma nel trasporto ci poteva essere qualche “svista”) ma di altra fede religiosa principalmente ebrea o musulmana. Schiavizzate al momento della conquista della loro città, oppure vendute come schiave dalle stesse famiglie di origine le donne erano richieste più che gli uomini per essere utilizzate nei lavori domestici. Queste, giovanissime, arrivavano dalle colonie e per l’epoca potevano essere una novità esotica molto attraente per i genovesi. Bionde o scure di pelle a seconda della provenienza, il loro compito dietro la dicitura “lavoro domestico” era assai ben più complesso. Intanto, gli scopi “palesi” ovvero quello di dedicarsi ai lavori domestici e eventualmente fare da balie ai neonati, l’altro era quello di concubine. Gli aristocratici genovesi per evitare il più possibile malattie, ma anche di esporsi all’interno delle mura di Monte Albano, il quartiere a “luci rosse”, preferivano avere una schiava sotto il tetto domestico che potesse soddisfare comodamente i piaceri del “pater familae” o di svezzare il giovane rampollo che non era il caso andasse a mischiarsi con il volgo tra le braccia di chissà chi nella zona del porto. Questa mia breve ricerca che presento ai lettori scaturisce anche dalla lettura di uno scritto del prof. Geo Pistarino (1917 + 2008) in “Tratta di schiavi tra Genova e la Spagna nel secolo XV” anno 1987 in cui ho rinvenuto il nominativo di un liparoto per come dirò appresso. Va precisato che alla fine del XV secolo sul mercato di Genova la maggioranza degli acquirenti di schiavi proveniva dalla penisola iberica. Le contrattazioni erano numerosissime e gli schiavi di diverse etnie. Vi erano anche richieste di schiavi russi con nettissima prevalenza di donne rispetto agli uomini. Quel che si rileva nel periodo sopra indicato è l'addensarsi delle compravendite per la Spagna, come risulta dagli atti dell'epoca, dove appunto i mercanti ispanici si susseguono interrottamente a Genova nel corso del quattrocento. I dati relativi alla tratta Genova-Spagna si evincono dai registri ufficiali del Comune di Genova e dai c.d. “Cartolari”. Dai registri appaiono anche delle vendite da parte degli iberici a Genova. Va evidenziato che la città marinara di Genova occupa alla grande un mercato schiavistico dove operano sia genovesi che forestieri e che tra i venditori vi sono professionisti ed artigiani, pur essendo nel complesso il commercio nelle mani delle maggiore famiglie della città, operandovi anche le donne in tale campo. La “merce” è composta esclusivamente di schiavi e schiave orientali fino ai primi degli anni settanta del 1400 e successivamente quasi esclusivamente di mori e turchi. In particolare, sebbene esiste ben poco o quasi nulla per quanto concerne i traffici con Lipari, tenuto conto del sacco dell'isola ad opera del Kheir-ed-Din Hayreddin nel 1544, ho rinvenuto notizie dallo scritto sopra citato del prof. Pistarino sulla piazza degli schiavi di Genova dove “Lodisio Ropolli, commissario del re d'Aragona, vende il moro Cristoforo a Nicola de Franco da Lipari nel 1491”. Il moro alle dipendenze dell'eoliano Nicola, come schiavo in un epoca in cui ciò non faceva scandalo, ma era cosa comune e segno di distinzione.