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di Ennio Fiocco

Elisée Reclus, il geografo anarchico e l'isola di Vulcano

Elisée Reclus nasce il 15 marzo 1830 in una cittadina sulle rive della Dordogna, Sainte-Foy-la Grande, nella Francia sud occidentale, da pastore protestante. Il padre, avendo deciso di lasciare la Chiesa Riformata francese per diventare pastore d'una «Libera Chiesa» rinunciò anche alle possibilità di carriera personale e di sicurezza economica per sé e per la sua ampia famiglia, influenzando fortemente i suoi figli, grazie alla sua dedizione ai principi, alla «messa in pratica del comunismo» nella sua vita quotidiana e all'essersi palesato, tramite la sua indipendenza dalla religione ufficiale, come un «precursore dell'anarchismo”. Il pensiero di Elisée e la sua ricerca di una comunità giusta furono così condizionate dal retaggio paterno di dissenso religioso. In un certo senso il suo anarchismo può essere visto come l'estrema rivolta protestante contro le religioni dominanti dell'era moderna: il capitalismo e lo Stato. Su Elisée agirono anche altre influenze familiari.

Anche se a un certo punto Reclus ruppe con i suoi genitori a causa delle loro concezioni religiose conservatrici, entrambi lasciarono una traccia durevole sul suo carattere e sui suoi ideali. Inoltre, i suoi legami con tutta la famiglia restarono straordinariamente forti per tutta la sua vita. Il che è particolarmente vero per quanto riguarda il fratello maggiore Elie ,con cui mantenne una profonda relazione personale, politica ed intellettuale per tutto il corso delle loro lunghe vite. Pur se Reclus ebbe più tardi a lanciare un fiero attacco alla famiglia autoritaria patriarcale, la famiglia come comunità amorevole di mutuo appoggio e solidarietà ebbe una forte influenza sulla sua successiva concezione di una buona società. Reclus venne principalmente educato in istituzioni protestanti Queste esperienze contribuirono a far crescere in lui un costante impegno per la giustizia universale e per la solidarietà umana. Man mano che sentivano le notizie che arrivavano da Parigi: dapprima di «lotte politiche» e poi «all'improvviso, della Rivoluzione stessa».

La crescente riottosità dei fratelli Reclus venne palesata dal fatto che l'anno successivo vennero entrambi espulsi da Montaubanper aver lasciato senza permesso la scuola per andare sulle rive del Mediterraneo. Per Elisée questa vicenda espresse contemporaneamente il suo rifiuto delle istituzioni stabilite e la sua nascente passione per l'esplorazione del più vasto mondo. Nonostante la sua irrequietezza, Elisée riuscì a tornare a Neuwied, dove insegnò per breve tempo, dopo di che completò la sua educazione formale con un semestre di studio all'Università di Berlino. Questo periodo, per quanto breve, fu cruciale per il suo sviluppo, poiché fu proprio a Berlino che seguì le lezioni del famoso geografo Carl Ritter, che contribuì notevolmente a sviluppare in lui l'interesse per il suo futuro campo di specializzazione. Arriva a definirsi esplicitamente come anarchico. Egli dichiara che «la libertà politica non è nulla senza altre libertà.» e che la libertà è priva di significato per «coloro i quali nonostante il sudore della loro fronte non possono comperare il pane per le loro famiglie e per quei lavoratori che solo s'offrono a nuove sofferenze con le rivoluzioni cui partecipano».Per Reclus la comunità e la solidarietà non possono mai separarsi dalla libertà e dall'individualità. Dopo molteplici viaggi in Europa, infuriato con il coup d'état di Luigi Napoleone del 2 dicembre 1851, ritenne necessario lasciare la Francia e rifugiarsi in Inghilterra.

Per Reclus questa fuga fu l'inizio d'un viaggio all'estero di cinque anni che influenzò profondamente la sua futura vocazione di geografo. Numerose ed interessanti sono le sue opere, tra cui L'Homme et la Terre (L'uomo e la Terra). Questa impressionante impresa, che comprende sei volumi e tremilacinquecento pagine, costituisce un'ampia sintesi delle idee di Reclus sulla geografia, sulla storia, sulla filosofia, sulla scienza, sulla politica, sulla religione, sull'antropologia e su molti altri ambiti disciplinari. A 75 anni, per quanto malato e sempre più debole, era ancora capace di scrivere di due «forti attrattive» che gli infondevano voglia di vivere. La prima era «l'affetto, la tenerezza, la gioia di amare, la felicità di avere degli amici e di far loro sentire che sono amati, che non si chiede altro da loro se non di lasciarsi amare, che ogni segno d'affetto è un piacere liberamente donato...

La seconda, dice, è «lo studio della storia, la gioia di vedere la connessione reciproca delle cose. C'è indubitabilmente un forte elemento d'immaginazione in questo studio, e l'ingannevole Maya ci porta spesso su falsi sentieri. Ma è un'altra grande gioia quella di riconoscere i propri errori.. Reclus morì in una località di campagna, a Thourout nei pressi di Bruxelles, il 4 luglio 1905. Si dice che i suoi ultimi giorni furono allietati dalle notizie sulla rivoluzione popolare in Russia. Esalò l'ultimo respiro poco dopo avere saputo della rivolta dei marinai della corazzata Poténikin. In particolare, intendo esaminare l'opera del maestro Reclus e cioè “La Sicilia e la Eruzione dell'Etna”, del 1865 “Relazione di Viaggio”, nella parte trattata “LE ISOLE EOLIE”. La relazione di Reclus dedica un capitolo alle isole Eolie e alla provincia di Messina. Reclus, aveva all'epoca 35 anni e il racconto del suo viaggio alle Eolie è talmente realistico da assumere i colori del romanzo: “Ordinariamente è da Milazzo che i viaggiatori salpano alla volta di Vulcano e di Lipari, i due più grandi isolotti del Gruppo Eolio. Io spesi non poco tempo davanti al porto per passare in rassegna non già le barche ma i battellieri; moltissimi, senza dubbio fiori di galantuomini, erano di aspetto poco rassicurante, né ci fu verso che mi lasciassi lusingare dalle loro proposte. Infine, messi gli occhi sopra un robusto vecchio dai bianchi capelli, la di cui fisionomia dolce e arguta mi andava a sangue, in un attimo fu concluso il contratto.

Il vecchio pescatore fece prestare un comodo battello più solido della sua barca mezzo sfasciata, radunò le provvisioni necessarie per la escursione, e in mezz'ora tutto era pronto: Gaetano mi fece conoscere il suo compagno di remo, infelice sordo-muto che mi diede subito segni di benevolenza e mi complimentava con grida inarticolate; presi posto nella barca e si sciolse la corda che ci riteneva nel porto di Milazzo… La traversata durò circa otto ore, tanto che mi colse il sonno, il sordo-muto prese dalle mie mani il timone, mentre il vecchio marinaio spiegava una vela sulla barca per proteggermi dalla malefica rugiada notturna. Quando il battello fece sosta vicino alla spiaggia di Vulcano io mi ridestai bruscamente, e balzando in piedi contemplai la scena cha avevo dinnanzi tra il velo incerto dei primi albori.

Alla vista dell'enorme rovina, che tale apparisce l'intera isola, la mia prima impressione fu di terrore. Da Tindaro e dal Capo di Calavà già m'ero formato un’idea dei scoscesi dirupi delle pendici meridionali di Vulcano; ma da quella banda l'isola mostra qua e là varipinti lembi di verzura; vigneti, oliveti, e come punti bianchi vi si distinguono perfino tre o quattro casupole abitate da coloni provenienti da Lipari. La regione orientale dell'isola, ove noi eravamo approdati, non offre invece che il simulacro della distruzione e della morte.

Su quelle balze nude nessuna traccia di vegetazione; sembra essere al cospetto di una di quelle contrade dell'emisfero lunare ove il telescopio non mostra che precipizi vulcanici, spaccature del suolo, obelischi di lave. Nere sono quasi tutte le rocce o di un colore bruno vermiglio come il ferro arrugginito; ne vedi di sanguigne, di gialle, di biancastre; ogni colore ha un rappresentante in questa bolgia spaventosa, eccettuatone il verde, ristoro degli occhi. Tutto è un ammasso di lave e di scorie come quando l'isola tumultuosamente fu sollevata dalle profondità misteriose del mare.

A dritta sorge un immenso cono vulcanico rinchiuso in un cratere diroccato; a sinistra, sovra un'altra montagna eruttiva, il Vulcanello; perfino il porto, nel quale si culla la barca, è un antico cratere sottomarino...un uomo sbucò fuori dalla caverna che si spalanca alle basi del Vulcanello, affrettandosi a venire incontro. Era il cicerone di Vulcano... Gli abitanti di Lipari considerano il fumo di vulcano come un infallibile barometro...ma a Spallanzani e ad altri naturalisti non fu possibile confermare la tradizione con osservazioni dirette...Quantunque la superfici di Vulcano si estenda per cinquanta chilometri quadrati, non è stabilmente abitata che da sei o sette operai intenti a farvi raccolta si solfo e di acido borico o a fabbricarvi l'allume...

Ogni settimana deesi aspettare da Lipari una scorta di vino; se per malavventura il battello delle provvisioni mancasse ad uno solo dei suoi viaggi, la piccola popolazione di Vulcano sarebbe condannata a perire di fame...la tristezza e il patimento sono i caratteri fisionomici di quei poveri lavoranti...”.

Questa è la parte relativa a Vulcano descritta da Eliseo Reclus. L'ulteriore, relativa a Lipari, verrà trattata successivamente.

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