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di Tecla Bolognini

Un itinerario antico, un viaggio con un alone di mistero, un luogo dove il tempo si è fermato. Alicudi, l'isola più ad ovest dell'arcipelago delle Eolie, il cui nome significa "ricca di erica" è tutto questo.

Una piccola comunità, in simbiosi con la natura, che accoglie visitatori e li accompagna nelle escursioni, si dedica all'agricoltura ed alla pesca, cucina talvolta il pesce in spiaggia. Circa 700 abitanti in estate, turisti compresi, che in inverno si riducono a 100.

La superficie dell'isola è di 5 km quadrati, con coste ripide, parte emersa di un vulcano spentosi circa 150 milioni di anni fa e rimodellato poi dalle eruzioni. Diversamente dalle più affollate e modaiole Lipari e Salina, non sono presenti autoveicoli o illuminazione stradale. Le strade, vista la conformazione del territorio sono rare, si utilizzano mulattiere che dal porto arrivano fino alla cima montuosa.

Un succedersi di gradini e gradoni i pietra, che spesso si possono percorrere unicamente a piedi, ma vale la pena per ammirare lo stupendo mare e la macchia mediterranea. Immergendosi in erica, ginestra, carrubo, olivo, felci e transitando anche per l'area del vecchio cratere. I turisti devono muoversi con attenzione, o accompagnati da persone del luogo, perché c'è il rischio della caduta di pietre, smosse dal vento o dalle capre brade, e spesso occorre l'aggiramento a nuoto di taluni tratti. Alcune formazioni rocciose costituiscono opere d'arte, cambiando il colore dal bruno-arancio, al rosso, al grigio scuro.

Le spiagge sono a ciottoli e scogli e le mareggiate invernali le fanno arretrare o avanzare. Pochi sono i negozi ad Alicudi, piccole botteghe vicino al porto, un bar, un albergo, un ufficio postale ed una centrale elettrica. Niente banche e farmacie, solo un eliporto per le emergenze.

Per le altre isole Eolie, la Sicilia o Napoli, si utilizzano traghetti ed aliscafi, mentre nel vecchio porto si usava la tecnica del "rollo", facendo raggiungere la terraferma ad una imbarcazione a remi che caricava a bordo persone e merci.

Nell'isola si possono ammirare anche uccelli migratori, come il pellicano, l'airone rosso, l'airone cenerino, il fenicottero rosa. Tra le specie stanziali il corvo imperiale, il piccione selvatico, il germano reale, ed alcune tipologie di falco.

L'isola è abitata solo sul versante sud, degradante verso il mare in appezzamenti con muri a secco. L'altro è ventoso e soggetto ad erosione e frane. Le case tradizionali hanno il tetto piano per la raccolta dell'acqua piovana, convogliata poi in cisterne. Per conservare gli alimenti all'interno delle abitazioni, si usano piccoli vani con una porticina, posti allo sbocco di cunicoli di comunicazione, da cui fuoriescono soffi d'aria fresca. Vicine alle case ancora costruzioni di pietre naturali a secco, usate in passato per gli ovini.

Alicudi risulta abitata fin dal neolitico, lo attesta in ritrovamento di sepolture a lastre di pietra lavica. Successivamente è stata teatro saccheggi e minacce di predoni, tanto da rendere maggiormente conveniente l'attività agricola rispetto alla pesca, nei secoli. Un isola fertile in cui si possono ammirare i terrazzamenti sul versante vulcanico. In alto la chiesa del Carmine, dalla particolare torre campanaria. Ad ovest, sono presenti stupendi edifici in stile architettonico delle Eolie. A quasi 400 metri, S. Bartolo era il principale abitato di Alicudi, con le campagne circostanti e l'omonima chiesa. Nella zona antistante è presente una comunità di lingua tedesca, senza acqua corrente ed energia elettrica.
La vicina frazione di contrada "sgurbio", sulle balze di un costone, ha 5 abitazioni, ognuna il nome dei cinque sensi.

La principale festa dell'isola è religiosa, e si svolge a metà agosto, quando la statua di San Bartolo, in ulivo, viene portata in processione lungo le mulattiere, con canti religiosi ed a sera fuochi di artificio sul mare.(umbrialibera.it)

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