''Attilio Manca, a Viterbo un sistematico assassinio dell’intelligenza''. Così commenta le ultime vicende processuali del tribunale della Tuscia, Luciano Armeli Iapichino, docente e scrittore di mafia che da anni lavora per difendere il nome e dare giustizia ad Attilio Manca.
Il caso del giovane urologo, trovato cadavere nella sua casa di Viterbo alla Grotticella il 12 febbraio 2004, dopo 7 anni ancora fa discutere. Da una parte la magistratura che imputa la morte di Manca ad un mix letale di sostanze stupefacenti e farmaci vari, dall’altra parte la famiglia del giovane che, da sempre, sostiene la tesi del delitto di mafia. Secondo loro infatti Manca sarebbe stato ucciso per coprire l’operazione chirurgica che Bernardo Provenzano aveva subito a Marsiglia. E ora, dal tribunale di Viterbo, arriva un altro duro colpo per la famiglia di Attilio Manca: in aula sfilano testimoni che dichiarano che il loro figlio era un drogato di eroina.
''L’avvicendarsi di nemici di Attilio – scrive Iapicino su Antimafia Duemila -, rigorosamente di Barcellona Pozzo di Gotto, a raccontare il 'verbo' della tossicodipendenza 'all’alta' corte, preconfezionando, pertanto, un suggestivo impianto testimoniale per la legittimazione di una morte per droga, imputata Monica Mileti, sventurato capro espiatorio di questa pièce teatrale, è la linea prevedibile lungo la strada di un’eventuale quanto vergognosa chiusura del caso senza traumi''. E poi l’accusa all’impianto processuale della Tuscia: ''La procura di Viterbo e l’élite investigativa hanno sempre avuto le idee chiare sulla morte del medico per inoculazione volontaria di eroina sull’avambraccio sbagliato. D’impronte, di verbali manomessi, di tabulati telefonici, di referti autoptici monchi e imbarazzanti, neanche a parlarne''.
''Ai giudici, Viterbo-Roma, l’ultima parola – conclude Iapicino su Antimafia Duemila -. Se c’è un giudice equo, la sentenza sarà equa. E lo sarà non solo per Attilio Manca, per la sua famiglia, per questa pseudo-forma di civiltà che il sistema-Italia è riuscito a instaurare. Lo sarà, anche, per la coscienza del giudice riflessa negli occhi dei suoi figli al suo rientro a casa da lavoro''.