di Antonio Fraschilla
Il Satiro danzante, che sembra librarsi nell'aria con il suo carico di mistica energia, è illuminato ma solo a metà. Il museo che lo ospita, creato apposta per lui nel cuore di Mazara del Vallo, non ha potuto chiamare un elettricista per installare l'illuminazione adatta perché non saprebbe come pagarlo. E il caso della statua in bronzo emersa miracolosamente dal mare nel 1997 non è isolato.
Al Paolo Orsi di Siracusa, uno dei più importanti scrigni di tesori preistorici, greci e romani del Mediterraneo, le telecamere di sicurezza si sono rotte da tempo ma è impossibile ripararle. La Regione, d'altronde, quest'anno non ha investito un euro per il funzionamento dei siti e delle aree archeologiche che ospitano i suoi gioielli. In compenso però ha a libro paga un esercito di dirigenti, che affollano a dismisura gli uffici dei beni culturali dell'Isola. Un esercito di comandanti, spesso solo di se stessi, promossi dal Duemila e man mano trasferiti nei musei, con il risultato paradossale di oggi: la Sicilia nei proprio beni ha più dirigenti del ministero — 306 contro 191 — comprese soprintendenze e siti.
«Colpa di una legge che in una notte del Duemila ha promosso mille funzionari a dirigenti», dice l'attuale responsabile del dipartimento Beni culturali dell'Isola, Salvatore Giglione. Tutti promossi e negli anni migrati verso i siti culturali, magari quelli più vicini a casa così da non allontanarsi troppo dalla famiglia. Una miriade di dirigenti che — per dirne un'altra — nel loro curriculum hanno di tutto fuorché lauree in storia dell'arte, antropologia o archeologia.
Nel piccolo museo di Aidone, che ospita la Venere di Morgantina, non ci sono brochure o guide perché la Regione, manco a dirlo, non ha i fondi visto che il capitolo di spesa per il funzionamento dei Beni culturali è stato azzerato dal governatore Rosario Crocetta, alle prese con un buco di bilancio di 3 miliardi di euro. Un gioiello, la Venere, che al Getty Museum di Malibù in poche settimane ha attratto 400 mila visitatori e che da quando è tornata in Sicilia è stata ammirata da non più di 30 mila persone in un anno. In compenso ad Aidone la Regione ha sul groppone ben tre dirigenti, con stipendi che variano dai 60 agli 80 mila euro lordi all'anno.
Due di loro sono agronomi. Si, proprio così, con un lungo curriculum di pubblicazioni sul grano e le coltivazioni autoctone della Sicilia. Ma d'altronde sembra esserci un particolare legame tra l'agricoltura e i beni culturali di Sicilia: un agronomo è stato appena nominato tra i dirigenti del parco di Selinunte, una delle aree archeologiche più grandi e importanti del Mediterraneo. E qui gli altri due colleghi graduati del sito sono un architetto e un ingegnere. Al parco archeologico di Agrigento, invece, i dirigenti sono otto ma nessuno è archeologo. Così come alla Villa romana del Casale di Piazza Armerina, un piccolo sito che però ha due dirigenti a tenersi compagnia.
In tutto il Polo museale fiorentino, che al suo interno ha la Galleria degli Uffizi, c'è un solo dirigente, la soprintendente Cristina Acidini. Così come al Polo museale romano che gestisce dal Colosseo ai Fori imperiali: «Nelle direzioni del ministero e nelle sedi periferiche, quindi anche nei poli museali da Pompei a Milano, c'è solo un dirigente dopo i tagli varati dai governi degli ultimi anni », dice il segretario della Funzione pubblica Cgil per i beni culturali, Claudio Meloni.
Nell'Isola del tesoro, invece, di dirigenti ce ne sono talmente tanti che non bastano le poltrone. Così a una dozzina di graduati il dipartimento ha pensato bene di affidare compiti di "studi e ricerca". Qualche esempio? C'è chi studia i teatri attivi in Sicilia, chi invece le feste popolari nell'Isola Orientale. Un esercito di superstipendiati, mentre i musei rimangono in abbandono.
A tutti i siti hanno staccato il telefono, perché da mesi la Regione non paga le bollette: «Possiamo solo ricevere telefonate — dicono dal museo archeologico di Enna — ma questo non è l'unico problema: non abbiamo fondi per pagare il gas e quindi niente riscaldamenti». Da Taormina a Segesta non c'è poi una sola brochure, né una caffetteria o un bookshop dove acquistare una guida oppure un volume sulle opere appena viste. Il "rivoluzionario" governo Crocetta, come ama ripete il presidente della Regione, ha bloccato le gare sui servizi aggiuntivi, sospettando "sprechi e malaffare come avvenuto in passato". Da due anni e mezzo tutto è fermo.
«Non abbiamo soldi», è il ritornello e soltanto in questi giorni, raschiando il fondo del barile, la Regione ha trovato 400 mila euro per pagare gli straordinari di dicembre ai custodi, e garantire così l'apertura nel festivi. Apertura fino alle 13, s'intende, e comunque oltre il normale orario dei custodi, che in Sicilia lavorano come i bancari: da lunedì a venerdì. Il resto è straordinario. Un altro paradosso, considerando i 1.545 addetti a libro paga, molti di più che nelle altre regioni d'Italia. Un altro record, nei beni culturali di Sicilia trasformati in carrozzoni salvastipendi.
di Emanuele Lauria
L'ultima sigla è nata proprio ieri: Sicilia democratica, nuova insegna della maggioranza che sostiene il governatore Rosario Crocetta. L'hanno abbracciata con entusiasmo — su input del capopopolo catanese Lino Leanza — sei deputati: tre dei quali eletti nelle file dell'opposizione.
È il tredicesimo gruppo parlamentare di un'Assemblea regionale che ha battuto ogni record di trasformismo. Sono già 43 su 90, quasi uno su due, i deputati regionali che hanno cambiato casacca in due anni, ovvero dall'inizio della legislatura. È un fenomeno inarrestabile, quello della transumanza politica all'interno dell'antico e glorioso Palazzo dei Normanni: sono 62, in tutto, gli spostamenti, perché non sono pochi i deputati che ne hanno fatto più di uno. In media, da quando è in vita il parlamento siciliano nella sua attuale composizione, una volta ogni dieci giorni un "onorevole" ha fatto i bagagli ed è passato in un altro partito.
Con contorsioni inimmaginabili. La più irrequieta Alice Anselmo, che oggi milita nel movimento "Articolo 4" dopo essere stata eletta nel listino del presidente Crocetta, essersi iscritta al gruppo "Territorio", avere abbracciato i "Democratici riformisti" e avere sposato l'Udc. E cosa dire dell'ex sindaco forzista di Ragusa Nello Dipasquale che, folgorato dall'ex comunista Crocetta, ha militato finora in tre gruppi diversi e si appresta ad approdare a quello dei democratici? Un percorso che si conclude solo due anni dopo un mitico comizio in piazza a Niscemi, ancora visibile su Youtube, in cui Dipasquale, lo stesso Dipasquale, urlava a squarciagola «Questo Pd mi fa schifo».
Per carità, la Anselmo e Dipasquale sono in buona compagnia, in un'Ars in cui la frantumazione politica ha prodotto ben tre gruppi di Forza Italia, e in cui può accadere che Salvatore Lo Giudice, un candidato eletto nella lista dell'ex Msi e An Nello Musumeci, passi nella coalizione del "rosso" Crocetta ancora prima della seduta inaugurale. Saltano le appartenenze, le ideologie.
Solo i gruppi di Pd e M5S hanno mantenuto, quasi per intero, la loro originaria consistenza. Con qualche clamorosa eccezione: l'ex pentastellato Antonio Venturino, che dell'Ars è vicepresidente, si è rifugiato sotto il garofano del Psi. Da Grillo a uno degli ultimi simboli della Prima Repubblica, un salto all'indietro da brividi.
In 14, d'altronde, hanno cambiato non solo partito ma schieramento. La testimonianza di una instabilità che non teme confronti. Né con il passato stessa Ars — nella scorsa legislatura lunga quasi 5 anni furono "appena" 34 i deputati saltafosso — né con il Parlamento: alla Camera, finora, la media dei cambi di casacca è stata di uno su 10 deputati, a Palazzo Madama di uno su quattro senatori.
«Tutto ciò è amorale», tuona Musumeci, che è presidente della commissione regionale antimafia. E che, per frenare questo frenetico via vai da un gruppo all'altro dell'Assemblea siciliana, ha pensato addirittura a disincentivi economici: una "multa" da 500 euro mensili ai gruppi che accolgono i transfughi. Ma il codice etico di Musumeci non è ancora stato esaminato neppure in commissione. Qualcuno ha obiettato che con questa norma, forse, si viola la libertà di mandato che la Costituzione riconosce agli eletti. E allora la transumanza continua.
---l partito che ha incassato più soldi è Forza Italia: 291 milioni di euro. Il personaggio politico più finanziato è Letizia Moratti, ex sindaco di Milano eletta in quota centrodestra (18,3 milioni), seguita dall'europarlamentare Vito Bonsignore, ex Fi oggi Ncd (5,6 milioni). Tra le società private, invece, la Publitalia 80 fondata da Silvio Berlusconi risulta al primo posto per denaro elargito, mentre tra i partiti spicca il Pdl con 212 milioni erogati (buona parte dei quali alla stessa Fi).
Secondo i dati forniti a Repubblica da Openpolis, in 21 anni - dal 1992 al 2013 - aziende, privati e singoli eletti hanno finanziato la politica con 1,5 miliardi di euro. Una cifra che si affianca ai 2,7 miliardi di soldi pubblici che le stesse forze hanno ricevuto a partire dal 1994, per un totale di 4,2 miliardi.
Il finanziamento privato ai partiti, infatti, è un groviglio di "dare e avere" che va ad affiancarsi ai rimborsi elettorali. A oggi la normativa impone di dichiarare gli importi superiori a una determinata cifra. Fino al 2003, il tetto stabilito era di 6.600 euro. Nel 2004 l'allora ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, alzò la soglia agli attuali 50mila euro.
Nelle scorse settimane il commissario per la spending review, Carlo Cottarelli, ha bocciato il decreto legge che ha rimodulato il finanziamento ai partiti e che è diventato norma dello Stato poco più di un mese fa. Quel testo prevede un atterraggio morbido per i partiti, che hanno ancora tre anni a disposizione prima di veder sparire l'afflusso di soldi pubblici nelle tesorerie delle sezioni. Come compensazione riceveranno - su base volontaria dei cittadini contribuenti - la quota del 2 per mille del reddito Irpef.
Ma "chi ha pagato chi" in questi 21 anni? Si va dalle aziende ai privati (come il finanziere americano George Soros che ha dato 2 milioni alla lista Marco Pannella, l'ex presidente Abi Giuseppe Mussari con quasi 700mila euro ai Ds di Siena e il proprietario del Palermo Calcio Maurizio Zamparini con 460mila euro spalmati tra Msi, An e Udc) fino alle singole associazioni di categoria. Costruttori, imprese edili, banche, società immobiliari e di pubblicità, pianeta agricolo e mondo farmaceutico sono tra i principali finanziatori.
Nella classifica spicca la Publitalia 80 Spa (43,7 milioni di euro divisi negli anni tra Psi, Dc, Pli, Pri, Msi, Lega Nord e Forza Italia).
A ruota, figurano Gianmarco Moratti (12,3 milioni a Letizia Moratti) e la Beta Immobiliare Srl (11,5 milioni al Pds) seguiti, tra gli altri, dalla Mec Spa di Torino, holding legata alla famiglia Bonsignore (4,8 milioni allo stesso Vito Bonsignore) Banca Intesa (3,1 milioni ai Ds), Fininvest (3 milioni a Forza Italia), il conte Giannino Marzotto (2 milioni di euro tra Forza Italia e Lega Nord), famiglia Caltagirone (1,5 milioni di euro in buona parte all'Udc),
Autostrade Spa (1,1 milioni ad An, Forza Italia, Lega Nord, Udc, Udeur, Prodi e Margherita), Mondadori (485mila euro a Forza Italia), Manutencoop (470mila euro tra Ds, Margherita e Ulivo), Confederazione generale dell'agricoltura (377mila euro divisi
tra Ppi e singoli politici), Farmindustria (374mila euro tra Lega Nord, Forza Italia, comitato Rutelli e Pietro Folena), ed Esselunga (335mila euro perlopiù a Forza Italia e Ccd).
Nella lista, con 467mila euro spalmati tra Lega Nord, Ds, Pd, Udc e Pdl, c'è anche la Progetto 90 Srl di Sergio Scarpellini, immobiliarista romano che da anni affitta appartamenti alla Camera dei deputati.
Più in basso, anche la Pizzarotti Spa di Parma (315mila euro) che nel 2008-2009 ha finanziato Forza Italia e Pdl. Sempre a Forza Italia, nel 2004 sono stati erogati 330mila euro dalla famiglia Riva (Ilva), dalla Merloni elettrodomestici (41mila euro) e dalla Air One di Carlo Toto che con 90mila euro complessivi ha sostenuto anche An, Pierluigi Bersani e Massimo D'Alema.
carlo cottarellicarlo cottarelli
A guidare la classifica delle forze politiche "riceventi" è Forza Italia che inizia a incassare soldi nel 1994 (2,7 milioni) e raggiunge il culmine nel 2005 (18 milioni). A partire dal 2007 la cifra comincia a scendere drasticamente (726mila euro) ma inizia a lievitare quella del Pdl, nato per volontà dello stesso Berlusconi dalla fusione tra Fi e An.
Il miliardario George SorosIl miliardario George Soros
La situazione tornerà a ribaltarsi nel 2013, quando la scissione interna tornerà a dar vita a Forza Italia (con la contestuale nascita del Ncd di Angelino Alfano): al Pdl andranno 13,5 milioni, alla rinata Fi ben 15 milioni. A seguire, sul podio si piazzano i Ds (con 175 milioni) e la Margherita (con 117 milioni).
Roney Simon e Marco PannellaRoney Simon e Marco Pannella
Ma a finanziare sono anche i singoli politici: guida la lista Paolo Vigevano, ex tesoriere del Partito radicale ed ex deputato Fi, che ha versato 4,2 milioni alla lista Pannella. Fausto Bertinotti (Prc) ha finanziato il proprio partito con 1,7 milioni di euro, Emma Bonino (Radicali) ha fornito 1,5 milioni alla lista Pannella e Nichi Vendola (oggi Sel) ha dato 980mila euro al Prc.
---Francantonio Genovese, parlamentare del Pd, ex segretario regionale del partito, ex sindaco di Messina, accusato di truffa, peculato e riciclaggio, saprà a giorni, forse una settimana, se la Camera accoglie o respinge la richiesta di arresto. Il gip Giovanni De Marco, infatti, nei giorni scorsi ha firmato la misura cautelare in carcere per il parlamentare messinese indagato nell'ambito dell'inchiesta Corsi d'oro. Intanto Genovese è già in viaggio per Roma, dove domani il suo caso sarà all'ordine del giorno della riunione della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera. Mentre a Messina, dalle 10 di stamani,il gip Giovanni De Marco, firmatario delle misure cautelari che lo scorso 19 marzo hanno raggiunto lo stesso Genovese, tre suoi fedelissimi, Roberto Giunta, Domenico Fazio e Salvatore Lamacchia, ed il commercialista Stefano Galletti, interrogherà questi ultimi 4 indagati agli arresti domiciliari.
E' al quotidiano Repubblica che l'ex sindaco di Messina oggi inquisito rilascia una lunga intervista, ripercorrendo la sua storia politica ed amministrativa.
"So di aver messo in imbarazzo il Pd e mi dispiace- dice Genovese - ma penso che una persona dotata di un minimo di intelligenza, e soprattutto chi mi conosce, non possa credere che io in questi anni abbia emesso o ricevuto solo fatture per prestazioni inesistenti, così come mi viene contestato. O che sia al centro di un'organizzazione criminale che quasi quasi può competere con Cosa nostra".
Non chiede clemenza, il parlamentare messinese, "ma solo che si tenga conto - dice - anche delle mie ragioni, e dei fatti inconfutabili portati a sostegno. Poi, accetterò qualsiasi verdetto, della giunta per le autorizzazioni e del Parlamento".
"I soldi di cui si parla- aggiunge- sono quelli dei canoni pagati dagli enti di formazione regionali a società del mio gruppo per l'affitto di immobili e attrezzature. Il sospetto dell'accusa è che, attraverso prezzi gonfiati, io abbia tratto illecito profitto, comunque per un ammontare che non supera i 500 mila euro. Ma ho cinque consulenti d'alto profilo che dicono il contrario"-
Nello sfogo di Francantonio Genovese non può mancare un passaggio alla presenza dei parenti negli enti di Formazione: "Se il riferimento al 'sistema criminale' equivale alla presenza dentro questo settore di alcuni parenti, a prescindere dalla liceità delle condotte, lo accetto e sono pronto a dire che mi ha portato probabilmente anche un ritorno elettorale. E' evidente che il mio consenso ha dato fastidio a molti". E infatti parla della necessità di "distinguere il fuoco amico da quello nemico".
Riguardo i milioni della Formazione che per l'accusa sarebbero confluiti nelle società di famiglia, Genovese dice: " Quei soldi, altro non sarebbero che "canoni pagati dagli enti di formazione regionali a società del mio gruppo per l'affitto di immobili e attrezzature".
E i prezzi gonfiati? "Un ammontare che comunque non supera i 500 mila euro"-spiega.
Infine, una sorta di mea culpa: " Chi non ha commesso errori nella vita e nella politica?".
E a tal proposito ammette che avrebbe dovuto accostarsi più guardingo al mondo della Formazione professionale.
E' un fiume in piena, l'indagato Genovese,che risponde, punto per punto, alle domande di Emanuele Lauria, anche alcune scomode.
Lo yacht?
"Non c'è mai stato. E' un gommone di 11 metri".
I gioielli ?
"Erano gadget da 25,30 euro ciascuno".
Lo scompiglio nel Pd? Il colpo che l'inchiesta messinese ha inferto al neo premier Renzi?
"Si. So di averlo messo in imbarazzo e mi dispiace".
Infine parla un Genovese fiducioso nell'opera di coloro che dovranno giudicarlo: "Una persona dotata di un minimo di intelligenza- dice - e soprattutto chi mi conosce, non può credere che io in questi anni abbia emesso o ricevuto solo fatture per prestazioni inesistenti. Così come mi viene contestato. O che sia al centro di un'organizzazione criminale che quasi quasi può competere con Cosa nostra". E ancora: "Io mi sento a posto, anche se provato da un'inchiesta che coinvolge pesantemente me e i miei cari. E non ho perso neppure la fiducia nella magistratura. Certo, in questo momento è messa a dura prova."
---Il gip di Messina De Marco, su richiesta dei pm, ha autorizzato il sequestro per equivalente di somme di denaro e altri beni per un ammontare di circa 5 milioni di euro ad alcuni degli indagati nell'operazione di ieri sui finanziamenti dei corsi di formazione, compreso il deputato del Pd Francantonio Genovese per il quale è stata chiesta l' autorizzazione all'arresto. A finire nel mirino, oltre a quindici indagati, anche quattro società loro strettamente legate. Ognuno dei soggetti raggiunti dal provvedimento dovrà rispondere in base all'ingiusto profitto accumulato negli anni, tra cui rientra l'appropriazione illecita di denaro pubblico, l'evasione dalle imposte e, più in generale, i vari reati finanziari contestati. Per l'on. Francantonio Genovese la cifra si aggira sui 733mila euro, mentre per la moglie Chiara Schirò ammonta a circa 119mila euro. Per il deputato regionale Francesco Rinaldi, anche lui del Pd e cognato di Genovese, la somma è di 81mila euro. Il provvedimento colpisce anche Elio Sauta (681mila euro), Carmelo e Natale Capone (53mila euro ciascuno), Roberto Giunta (333mila euro), Giovanna Schirò (74mila euro), Stefano Galletti (307mila euro), Giuseppina Pozzi (354mila euro), Concetta Cannavò (95mila euro), Natale Lo Presti (661mila euro), Graziella Feliciotto (20 mila euro), Orazio De Gregorio (71mila euro), Salvatore (307mila euro). Tra le società, figurano la Sicilia Service (307mila euro), la Na.Pi. Service(354mila euro), il Centro Servizi 2000 (235mila euro) e la Caleservice (235mila euro).
-----Riserva sviluppi clamorosi l'inchiesta "Corsi d'oro" sulla formazione professionale a Messina. Nel nuovo capitolo di indagine della Procura di Messina c'è la richiesta di arresto, firmata dal gip Giovanni De Marco, per il deputato del Pd, Francantonio Genovese, già segretario regionale del partito democratico ed ex sindaco di Messina.
E' accusato assieme a quattro suoi collaboratori arrestati stamattina dagli agenti della Squadra mobile, Salvatore La Macchia, Domenico Fazio e Roberto Giunta e il commercialista Stefano Galletti, di una serie di reati che vanno dall'associazione per delinquere finalizzata alla frode sui corsi di formazione professionale, peculato e frode fiscale.
L'ordinanza di custodia cautelare del Gip per Genovese è stata già depositata alla Camera dei deputati per l'autorizzazione a procedere. Si tratta della prima richiesta di arresto per un deputato eletto in questa legislatura: Genovese è al suo secondo mandato.
Nell'indagine coordinata dai sostituti procuratori della Repubblica di Messina Fabrizio Monaco, Liliana Todaro, Antonio Carchietti e dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita sarebbero emerse speculazioni sui noleggi, sulle attrezzature e sull'acquisto di immobili per svariati milioni di euro.
Nella prima tranche dell'indagine furono arrestati e ammessi agli arresti domiciliari Daniela D'Urso, moglie dell'ex sindaco Giuseppe Buzzanca, Chiara Schirò, moglie di Genovese, e altre otto persone. In quell'inchiesta, la Procura di Messina aveva scandagliato la partita dei finanziamenti per la formazione professionale regionale nel periodo dal 2007 al 2013. Gli investigatori tentarono di fare chiarezza sui corsi organizzati da enti professionali legati ai due parlamentari e su compravendite o cessioni di rami d'azienda tra questi enti.
Emerse anche il metodo che riguardava gli affitti: una società prendeva in locazione un immobile per una certa cifra e poi lo subaffittava ad altri enti con un sovrapprezzo, caricati sui costi della formazione professionale e sostenuti dalle casse pubbliche. Lo stesso veniva fatto per gli acquisti di mobili e per le forniture di servizi. Dalla documentazione emersero anche fatture gonfiate del 600% per affitti o prestazioni di servizi, un metodo questo per accaparrarsi decine di milioni di euro destinati agli enti della formazione professionale.
All'esecuzione dei provvedimenti restrittivi ha partecipato anche la Guardia di finanza, da mesi impegnata nelle indagini. La gran parte degli indagati, in questa come nella prima fase dell'inchiesta, sono risultati legati tra loro da vincoli di parentela o comunque di assoluta fiducia.
Il deputato del Pd Genovese viene ritenuto dagli inquirenti come "l'unitario centro di interessi cui fanno riferimento una ragnatela di enti e società, uniti tra loro da una trama volta a consentire, attraverso meccanismi di fatturazione in tutto o in parte inesistenti, la sistematica sottrazione di consistenti volumi di denaro pubblico".
Il parlamentare, sostiene chi indaga, "nel corso del tempo, ha acquisito, grazie ad una rete di complici riferibili anche alla propria famiglia, il controllo di numerosi enti di formazione operanti in tutta la Sicilia e, parallelamente, di una serie di società che gli hanno permesso di giustificare le appropriazioni, così da lucrare illeciti profitti".
L'attività di indagine, nella prima fase, si era concentrata sugli enti Lumen, Aran e Ancol. Ora l'indagine si estende a Enfap, Enaip, Ial Training Service, L&C Training and consulting, Cesam, Ecap, Cesofom, Apindustria e Reti. All'attenzione degli investigatori i corsi organizzati da enti professionali legati al parlamentare del Pd e alcune compravendite o cessioni di rami d'azienda tra gli stessi enti.
«Per comprensibili ragioni di opportunità, non disgiunte dall'alto senso di rispetto che ho sempre avuto nei confronti delle Istituzioni, dei Colleghi di Partito e dei Parlamentari tutti, anticipo la mia determinazione ad autosospendermi dal Partito Democratico e dal Gruppo Parlamentare». Così in una nota Francantonio Genovese. «Con riferimento alla richiesta di autorizzazione a procedere presentata alla Camera dei Deputati dalla Procura della Repubblica di Messina - scrive il deputato del Pd - mi preme chiarire che, al momento, ho avuto contezza solo dei capi di imputazione e non delle ragioni a sostegno delle accuse mossemi. Sin da ora, tuttavia, anche alla luce di quanto emerso, in questi ultimi mesi, nel corso di un parallelo procedimento penale ed avuto riguardo alla documentazione già depositata agli inquirenti dai miei difensori, sono certo di poter fornire ogni chiarimento utile ad escludere la sussistenza degli addebiti che mi vengono contestati. Ciò farò, con serenità, in ogni sede, non esclusa quella Parlamentare».