Un nuovo studio scientifico condotto da ricercatori catanesi fa luce sulle modalità con cui si verificano i cicli eruttivi dell’isola di Vulcano, una delle più suggestive dell’arcipelago eoliano.
La ricerca è focalizzata sull’ultimo ciclo eruttivo, risalente ormai a 135 anni fa. Attraverso lo studio integrato di dati acquisiti su cristalli di clinopirosseno nei prodotti eruttati nel 1888-90 e dei dati derivanti dal monitoraggio dell’anidride solforosa emessa durante gli ultimi 46 anni - ovvero da gennaio 1978 a settembre 2024 - gli autori hanno fornito un quadro sulle modalità e tempistiche di ricarica cui è sottoposto il sistema di alimentazione di Vulcano. I cristalli di clinopirosseno, come peraltro altri tipi di cristalli presenti nelle rocce vulcaniche, possono essere considerati infatti come veri e propri registratori dei fenomeni che avvengono nelle viscere della Terra. Analizzando la storia di crescita di questi cristalli si sono dunque potute ricostruire le dinamiche magmatiche precedenti all’eruzione del 1888-90.
La pubblicazione dal titolo “Multiple magma recharges over prolonged period ultimately trigger eruptions at Vulcano, Aeolian Islands” è stata recentemente inserita su Scientific Reports, rivista multidisciplinare di primo livello appartenente al circuito Nature. Coordinatore della ricerca è il prof. Marco Viccaro, ordinario di Geochimica e Vulcanologia nel dipartimento di Scienze biologiche geologiche e ambientali dell’Università di Catania, attuale presidente dell’Associazione Italiana di Vulcanologia e componente della Commissione Grandi Rischi. Alla ricerca hanno contribuito la dott.ssa Marisa Giuffrida, ricercatrice in Vulcanologia al Dsbga, e il dott. Giuseppe Salerno, ricercatore dell’Osservatorio Etneo Ingv e Responsabile dell’Unità funzionale di Vulcanologia e Geochimica.
L’applicazione di modelli di diffusione intra-cristallina, inoltre, ha consentito di ricavare informazioni fondamentali per la comprensione delle tempistiche con cui il sistema vulcanico è stato in grado di riattivarsi. La ricerca ha messo in evidenza che il ciclo eruttivo del 1888-90 è stato preceduto da tre principali fasi di ricarica da parte di magmi profondi che sono stati trasferiti verso la superficie in tre momenti ben distinti, ovvero 85-140, 16-35 e 2-7 anni prima dell’inizio dell’eruzione.
«E’ pressoché indubbio – osserva il prof. Viccaro - che queste fasi di ricarica profonde siano state accompagnate da fasi di degassamento intenso osservabile in superficie. Non è infatti casuale che nel periodo precedente all’eruzione del 1888-90, in particolare a partire dal 1771, si siano verificati cicli minori di esplosioni freatiche al cratere di La Fossa, a testimonianza di come il sistema di alimentazione sia stato perturbato da un profondo disequilibrio in quel periodo. Altrettanto rilevante ai fini dello studio è stata l’analisi dei volumi di SO2 emessa a partire dal 1978, anno dal quale è possibile avere un record continuo grazie alla rete di monitoraggio dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia».
L’inversione dei volumi di SO2 emessa ha consentito di ricavare una stima dei volumi di magma intruso nel sistema di alimentazione nel corso degli ultimi 46 anni, volume che oscilla tra i 26 e gli 80 milioni di metri cubi. L’analisi condotta diventa cruciale anche alla luce delle tre principali crisi di degassamento avvenute a valle del ciclo eruttivo del 1888-90, crisi che sono state caratterizzate da cospicui innalzamenti delle temperature delle fumarole e da incremento dei flussi di gas. Sebbene di queste evidenze non ci sia certezza per la prima crisi (avvenuta negli anni ’20 del secolo scorso), ciò è stato direttamente osservato per le ultime due crisi, avvenute nei periodi 1988-1993 e settembre 2021 - dicembre 2023.
«Lo studio– conclude il prof. Viccaro - suggerisce che alle tre crisi di degassamento osservate dopo l’eruzione del 1888-90 sia associata movimentazione di magma profondo che, anche in considerazione dei volumi calcolati, sta progressivamente pressurizzando i magmi residenti nei livelli di stoccaggio più superficiali.
Questo permette di avere altri elementi a dimostrazione del fatto che la risalita dei magmi a Vulcano avviene attraverso ricariche multiple di piccoli volumi non sufficienti per innescare singolarmente una crisi eruttiva, ma che sono comunque in grado di interessare a cascata e su tempi anche molto lunghi vari livelli del sistema di alimentazione. In esso le ricariche di magma riescono ad essere accomodate fin quando non viene superata una soglia critica di pressurizzazione, oltre la quale si entra di fatto in una nuova fase eruttiva».