Del piccolo Comune di Tripi, terz'ultimo del messinese per numero di abitanti (poco piu' di 700) lo storico Maurolico asserisce che "una volta si chiamava Tripium o Steropium da uno dei fabbri di Vulcano chiamato Sterope".
Di questo nuovo abitato non si hanno notizie fino al 1300 quando, sotto il regno di Pietro d’Aragona, Tripi fu concesso in feudo all’ammiraglio Ruggero di Lauria, che ne divenne signore.
Successivamente costui, poiché fu privato dei suoi possedimenti, cedette il paese a Ruggero di Brindisi, cavaliere templare. Intorno al 1340, il paese fu soggetto a Matteo Palazzi che, costretto a lasciare la Sicilia, divenne possesso di Giovanni Infante. Poco tempo dopo, Matteo Palazzi fu richiamato in patria, e si rimpadronì dei suoi possedimenti.
Nel frattempo era giunto a Messina Luigi D’Angiò, principe di Napoli, che, morto Palazzi, affidò i possedimenti di Tripi e di altri paesi a Niccolò Cesaro, come ricompensa per alcuni favori.
Nel 1392 Raimondo Guglielmo Montecateno chiese in dono ai Martiri, della casa d’Aragona, il paese, ma non avendo egli ottemperato ai suoi doveri, perse il possedimento, che fu concesso nel 1408 a Luigi Aragona, in qualità di feudatario.
Tripi successivamente passò dagli Aragona ai Villaraut, infatti nel 1438 divenne proprietà di Giovanni Villaraut, pretore di Palermo, e nel 1470 di suo figlio Ludovico. In seguito si avvicendarono Federico Ventimiglio, Stefano Gaetani e suo figlio Pietro, che, nel 1570, vendette il paese a Giacomo Antonio e Porto Sarniniali.
Nel 1600 Tripi è di proprietà dei Marino, duchi di Gualtieri, che, in seguito alla contrazione di alcuni matrimoni, lo cedettero ai Grifeo, principi di Partanna, che a loro volta lo vendettero, nel 1760, a Ludovico Paratore, principe di Patti e signore di Oliveri.
Il paese esportava vino, olio e seta, nel 1813 fu fondato anche un peculio frumentario che, nel 1839 fu mutato in monte agrario per frumento.
Il resto è storia moderna. Il paese ha subìto nel tempo una lenta ed incessante migrazione; i più nel periodo estivo ritornano per amore del loro paese e contribuiscono, assieme alla gente del posto, a renderlo vitale e accogliente.