di Giuliano Balestrieri
Niente fondo ristoro per gli evasori fiscali. Il decreto non lo dice in modo brutale, ma lo lascia capire con grande chiarezza quando si legge che il “contributo a fondo perduto spetta a condizione che l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 sia inferiore ai due terzi dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019”. Tradotto: il fatturato dichiarato deve essere inferiore al 66% di quello d’anno precedente. E in un Paese che si sostiene in larga parte sull’evasione fiscale non è scontato riuscire a dimostrare il calo del giro d’affari per aver accesso ai fondi perduti. Un circolo vizioso che alimenta le polemiche e le proteste di piazza, ma che ha radici profonde.
A cristallizzare la situazione è il “rapporto sui risultati conseguiti in materia di misura di contrasto all’evasione fiscale e contributiva” allegato alla Nadef 2020, dal quale emerge come imprese e lavoratori autonomi drenino alla casse del fisco tricolore oltre 30 miliardi di euro l’anno: un terzo dell’evasione totale. Peggio, il tax gap ammonta al 68,8%. In sostanza significa che all’Erario manca quasi il 70% dell’incasso dovuto in un regime di perfetto adempimento da parte dei contribuenti. Una vera e propria Caporetto del Fisco, anche perché ormai la stima del tax gap pubblicata dal ministero dell’Economia riguarda oltre il 93% delle imposte, come a dire che la mappatura è quasi completa.
Ma se manca quasi il 70% del dovuto, vuol dire che il fatturato dichiarato è all’incirca il 30% di quello reale. Di conseguenza un’azienda che chiedesse il ristoro della quota “dichiarata” rischierebbe con le restrizioni in arrivo di arrivare a perdere – all’incirca – quel 70% di “nero” che faceva. Ed ecco perché le proteste verso la stretta governativa sono sempre più intense.
“Un po’ di nero lo faccio, non sono certo un santo – racconta un ristoratore milanese -, ma ormai quasi tutti i miei clienti pagano con carta di credito o bancomat e grazie a un affitto ragionevole e a un buon fatturato dichiarato con il decreto ristoro posso stare tranquilli per un po’. Certo mi manca la gioia di lavorare e stare in mezzo alla gente, ma quella tornerà. I problemi veri li avranno quelli dichiaravano al fisco la metà di quello che guadagnavano”.
Nel complesso, nel triennio 2015-2017, l’ultimo per il quale si dispone di un quadro completo delle valutazioni, si osserva un gap medio complessivo pari a circa 107,2miliardi di euro, di cui 95,9 miliardi di mancate entrate tributarie e 11,3miliardi di mancate entrate contributive. Il tax gap viene stimato sulla base della misurazione dell’economia non osservata, per la parte relativa al “sommerso” che viene stimata dall’Istat in circa 195 miliardi di euro l’anno. Di conseguenza, l’ammanco viene calcolato per l’Irpef (distinguendo tra lavoratori autonomi, imprese e lavoratori dipendenti irregolari, ndr), l’Ires, l’Iva, l’Irap, la cedolare secca sulle locazioni, il canone Rai, le accise sui prodotti energetici, l’Imu e la Tasi sui fabbricati diversi dall’abitazione principale e le addizionali locali Irpef.
A conferma dei dati raccolti dal ministero dell’Economia, è arrivato anche uno studio di Itinerari Previdenziali da cui emerge come a fronte di 60.359.546 di residenti in Italia, i contribuenti dichiaranti sono stati 41.372.851. Peggio, i paganti, quelli che hanno versato almeno uno euro, sono stati 31.155.444. Numeri che mettono di fronte a una cruda verità: il 48,38% dei residenti non genera alcun reddito. E d’altra parte solo così si spiega come mai l’82% dei possessori di uno dei 57 milioni di immobili intestati a persone fisiche in Italia sia pensionato o lavoratore dipendente. Gli unici che non possono scappare dal fisco e che finiscono per essere tartassati. Con buona pace di quanti protestano per il decreto ristoro.(businessinsider.com)