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di Felice D'Ambra

Antiche Leggende, Credenze Popolari, Riti e Superstizioni:

Nella Sardegna più antica, e forse anche in altre parti del mondo, questa pratica era già in uso sin dai primi dell’ottocento.  Fu il Generale Alberto Della Marmora a parlarne nel suo libro “Vojage en Sardaigne” quando era ancora in uso la straordinaria pratica di soffocare una persona moribonda senza speranza di guarigione. Questo gesto, era richiesto nel momento in cui la famiglia, chiedeva l’intervento di una persona “speciale” chiamata, s’accabadora, una donna che pone fine alla sofferenza del malato.. 

Un’azione caritatevole era definita dagli abitanti dei paesi, giudicato anche come un gesto di profondo rispetto umanitario, fatto a fin di bene, e per agevolare il trapasso del malato. Quest’atto sicuramente terrificante, fu “forse” abolito negli anni cinquanta da un  missionario, quando aveva visitato questi luoghi sperduti tra le montagne del Gennargentu barbaricino e non solo. Eppure, c’è qualcosa d'incomprensibile in questa figura femminile vestita di nero e nei suoi spostamenti notturni silenziosi.

C’è una cultura misteriosa che accompagna questa donna, che come un’ombra di rapace che accende negli occhi di chi raramente la incontra di notte. Ci sono uscite notturne che Maria la giovane (fille’anima), figlia adottiva nota, ma non intuisce di cosa si tratta. E’, una sapienza quasi millenaria che riguarda le storie della vita e della morte.

Aveva appena otto anni la prima volta che Maria, si accorse, che la mamma usciva di notte.. Era un inverno molto rigido, da poco era passata l’Epifania e Maria aveva avuto il permesso di stare a giocare fino al tocco dell’Ave Maria. Poi, la mamma l’aveva accompagnata in camera per dare inizio al buio in anticipo, chiudendo le imposte e riempiendo il braciere di cenere calda. Quello che in paese sanno e che Maria non immagina, che la madrina (tzia Bonaria), fa la sarta, cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario, è pronta a entrare in scena nelle case, per portare sollievo ai vivi, e una morte pietosa al moribondo. Il gesto "amorevole" dell’accabadora, l'ultima madre, che, con un sol colpo, o con un lindo cuscino, decreta la fine delle sofferenze del malato. 

La femmina accabadora, da “Acabar” in spagnolo, significa finire. In sardo “accabadora” è colei che finisce, che toglie la vita. Stando alle leggende e ai silenziosi “Contos de foghile” (racconti del focolare), questa è una pratica antica, misteriosa.

L’accabadora è una donna vestita di nero che gli anziani conoscono come la sarta del paese, che come le monache di clausura, ha un’età indefinita. Il ruolo dell’accabadora è coperto da assoluto riserbo, rientra nella cultura del silenzio tipico della Barbagia: l’atavico mondo della misteriosa Sardegna dell'interno. La femmina accabadora come un’ombra furtiva notturna, attraversa campagne, boschi per raggiungere luoghi dove è chiamata per portare la pace ai vivi e porre fine all’agonia del moribondo.

Quando l’accabadora arriva sul posto, le porte di casa devono essere chiuse, nessuno presente, nessuno deve vederla, nessuno deve sapere, mentre deve essere illuminato il portone d’ingresso e la porta della stanza del moribondo, e soprattutto liberata da tutte le immagini e altro di sacro. Lei, silenziosa si avvicina all’ammalato mentre dorme profondamente, e quando accanto al letto trova un candido cuscino, lei agisce di conseguenza e con delicatezza lo appoggia sul viso e accorcia la sofferenza. Lei, non uccide, mette solo fine a un'agonia, che è considerata un’altra cosa. La femmina accabadora dopo aver esaudito il suo compito, nel silenzio più assoluto, si allontana velocemente accompagnata soltanto dalla gratitudine dei familiari del defunto.

La femmina accabadora, è conosciuta come la sarta del paese, solo gli anziani sanno chi è, e dove trovarla, in caso di necessità. Forse, ancora oggi, in quell’atavico mondo barbaricino e gallurese, dove tutti sanno e nessuno vede, rispettano silenziosamente quest’antica usanza e, forse, anche la chiesa, che nel profondo tace, poiché l’accabadora ha un compito ingrato ma, umano.

Nella comunità dell’entroterra, non ci sono espressivi episodi sull’esistenza dell’accabadora, perché le denunce presentate ai Carabinieri dai familiari che dissentivano questa pratica, sono nulle. L’accabadora, era di sicuro innocente per la gente del posto ed è probabile che qualche volta sia stata chiamata anche, per accelerare la morte per motivi di un’eredità o di vendetta. Forse, non si sa se sia giusto o no, il compito della femmina accabadora, che non è molto diverso dal gesto di chi stacca la spina del respiratore di un malato terminale.

Un libro di un'autrice nuorese, edito alcuni anni fa, non si ferma ai generici “sentito dire", ma, porta la testimonianza diretta di un video, che scava nella religione pre cristiana, alla ricerca dell’origine di quest' antica pratica, alla quale vi era sempre la violazione di un tabù. Per quanto la suggestione sia orribile, la figura della femmina accabadora che nel passato, abbia alleviato le sofferenze ai malati terminali, ancora oggi ha un fascino sinistro.

Felice D’Ambra

Qualcuno mi ha detto che in in angolo delle magnifiche Isole Eolie a Lipari piove. Quale migliore canzone "Piove" dei Beans di una volta, é più indicata.

Nonostante la pioggia, auguro una buona giornata.

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