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di Enza Scalisi
 
Intendo dare un seguito al mio post sull'incuria in cui versano le tombe dei confinati politici morti a Lipari. L’obiettivo è dare un nome, un’identità,  ricostruire una storia, conferire visibilità a quei sepolcri.
Si dovrebbe intanto rendere dignitoso quel luogo, segnalare un percorso con indicazioni e lapidi.
 
L’eventuale coinvolgimento delle scuole in un progetto didattico sarebbe altamente educativo e risveglierebbe nella comunità l'orgoglio di essere stata “testimone della storia “.
Chi volesse collaborare con informazioni  ricordi, racconti può contattarmi via Facebook o al mio indirizzo enza.scalisi12@gmail.com  Grazie
 
NOTIZIARIOEOLIE.IT 1° PUNTATA 

Durante una recente visita al Cimitero di Lipari, dopo aver partecipato al rito funebre familiare, mi sono recata nella zona alta, alla ricerca delle tombe dei confinati politici, morti a Lipari.

Non un’indicazione, un segno, una lapide. Ho vagato in una landa deserta sotto un sole implacabile, che sembrava voler accendere gli arbusti e le erbe alte che ricoprono le pietre e arroventano ringhiere contorte e arrugginite. Tante le tombe senza nome, appartenenza, senza pietà. Nessuna possibilità di identificazione. La morte assoluta.

E se è gravemente offensivo per una civiltà il senso di abbandono e di incuria che dissacra qualunque sepolcro, ancor più grave è l’oblio per chi ha pagato con il carcere e il confino la fede nella libertà e ha combattuto per tutti noi contro la dittatura.

Una comunità che ha accolto con simpatia e ospitalità i confinati, non può rimuovere la memoria del passato, l’orgoglio di essere stata testimone della storia.

“ A egregie cose il forte animo accendono l’urna de’ forti…”

Quei sepolcri meritano rispetto e gratitudine

Lipari - Il portellone di prua del traghetto "Vesta" della Siremar non si apre e passeggeri e mezzi sono sbarcati con circa 2 ore di ritardo

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Lipari - Problema tecnico nel portellone di prua del traghetto "Vesta" della Siremar e dopo circa due ore di ritardo passeggeri e mezzi sono potuti sbarcare dal portellone di poppa. 

 
Non riesco a cogliere i vantaggi della riapertura al traffico del Corso Vittorio Emanuele. Se l’obiettivo era evitare capannelli è del tutto fallito: il movimento specie di mattina è giustificato dai negozi aperti, fruttivendoli, tabacchi, panifici...
Prima l'isola pedonale consentiva il distanziamento. Ora il traffico automobilistico, intenso, contende gli spazi ai pedoni, imponendo la scelta di rischiare di essere investiti o non rispettare le distanze. Confesso che scelgo la prima.
 
Inoltre la temperatura ancora mite incoraggia crocicchi, saluti, scambi di opinioni…e perché no, una salutare sigaretta, (fumata coram populo di fronte a un bar), che autorizza l’abbassamento della mascherina con relativo spargimento di fumo e tutto il resto.
 
Un auspicio: se e quando riapriranno le scuole dell’obbligo, fare uno screening agli studenti consentirebbe di cogliere in tempo eventuali positività . Sappiamo che i bambini sono per lo più asintomatici ma portatori. Nel caso, estendendo il controllo ai rispettivi nuclei familiari, si otterrebbe una mappatura del territorio che, al momento appare l'unica soluzione di contenimento del contagio.
 
 
 

Il silenzio avvolge gli spazi nell'ora di fine delle lezioni.

Ricordi nostalgici l’irruenza festosa dei bambini, gli sguardi attenti, scrutatori delle mamme (eccolo!), gli zaini scaricati sulle spalle dei genitori in un gesto liberatorio e appagato (per oggi ho dato), gli appuntamenti per il pomeriggio.

Mancano gli ingorghi di macchine di genitori iperprotettivi nelle strade adiacenti. Di contro, segno di vitalità, il traffico caotico e rumoroso che invade tutte le strade, riversandosi nell’ex isola pedonale, contendendo spazi e distanziamenti.

L’edificio scolastico incombe col suo spazio inerte, solitario, orfano. Patetici fiori dipinti nelle finestre serrate.

Il silenzio dei bambini ci interroga sulle nostre paure, ci ricorda la resa, la sconfitta.

 
IL PESO DELLA LIBERTÀ
 
Non c’è libertà senza responsabilità.
Abbiamo avvertito il limite dei vincoli, dell’obbligatorietà “è consentito” “non è consentito”, ora siamo emancipati dalla tutela, ci tocca fare scelte responsabili, siamo tutti coinvolti: regioni, comuni, associazioni, cittadini.
 
Il paradosso è che si fatica ad accettare quei vincoli residui, vitali, ineliminabili, che limitano il profitto, (pandemia governo ladro). Dobbiamo dimenticare spiagge brulicanti, ristoranti pieni, mezzi pubblici affollati: ne va della vita ma anche della sua qualità. Il vittimismo dovrebbe lasciare il posto all’iniziativa, all’inventiva, all’arte di arrangiarsi, se vogliamo rinascere, se non vogliamo vivere di assistenzialismo e prebende, se vogliamo innescare un nuovo stile di vita.
 
Tutti, chi molto di più, chi meno abbiamo dato: in termini di sopravvivenza, di salute, di economia, di affetti.
Quasi sicuramente non potrò assistere alla nascita del bambino di mia figlia. Spostamento in altra regione, nel mio caso non contemplato nei motivi urgenti.
Ma va bene così. C’è chi ha pagato molto di più.
 
 
Viaggi virtuali
Nei miei viaggi, virtuali, oggi sono in India, nello slum. (ho ripreso la lettura di Shantaram di G.D Roberts, in passato più volte interrotto) “Il ghetto era un organismo vivente: combatteva le aggressioni esterne con anticorpi di coraggio e solidarietà, e con quella meravigliosa e disperata forma d’amore che di solito si chiama istinto di sopravvivenza.
 
Se lo slum soccombeva, i suoi abitanti non avrebbero avuto alternative.”
A parte la differenza esteriore, noi siamo isolati, nello slum c’è una mirabile promiscuità tra umani e animali, il messaggio è analogo: siamo parte integrante di un Tutto, la cui sorte dipende da quella di ciascuno di noi.
 
 
LEZIONI DI UMILTA’
Cosa resterà ai sopravvissuti come testamento dell’esperienza del coronavirus?
E’già in atto una trasformazione un adattamento ad un ambiente che muta, forse una palingenesi.
 
Sta cambiando la visione del lavoro: la vecchia critica marxiana all’economia capitalistica, espressa nella formula DMD, ossia il denaro che produca denaro, è più che mai valida nell’attuale società, che sta ora riscoprendo il volto etico del lavoro, la sua sacralità non solo di quegli eroi nella trincea dell’agonizzante sanità, ma di quelli che giornalmente si espongono, rischiando, per tutelarci e rifornirci del necessario.
 
Abbiamo perso certezze, sul tempo, sul futuro, naufragano gli assiomi che orientavano la nostra vita. Ma fortunatamente stanno crollando anche le verità apodittiche, le chiusure dogmatiche, le visioni unilaterali e quindi distorte.
 
Esemplari le scuse della Lagarde, ferrigna vestale delle divine finanze, dello spread, del pil, della stabilità, concetti che hanno deformato l’economia reale.
O il passo indietro di Boris Johnson, fautore di uno scellerato darwinismo sociale, inammissibile nel moderno stato sociale. E comincia a barcollare anche l’ottusa incrollabilità di Tramp, di fronte all’incalzare tragico dei numeri.
 
Cambia il volto dell’Europa: forse stiamo tornando all’idea mazziniana di un’Europa dei popoli, uniti nella disgrazia e nella solidarietà.
Ma la lezione più nobile é quella dell’umiltà della scienza, ultimo faro nella notte che incombe, che ci insegna il suo metodo: procedere per ipotesi, verifiche, mettendo in conto l’errore e la sua correzione, per approssimarsi ad una verità, sempre provvisoria e perfettibile, umana.
 
 
Parlamentarismo e populismo
 
Mi preoccupa il ricorso alla piattaforma Rousseau e non solo per i limiti di attendibilità e di funzionamento, ma per il suo ruolo, che contraddice l'impianto costituzionale di una Repubblica parlamentare.
L'esito della consultazione non dovrebbe né confermare né contraddire trattative garantite dal Presidente della Repubblica. Come non può condizionare il ritorno alle urne.
Le elezioni sono la caratteristica della democrazia, ma quando vengono indette su base emotiva sono un rischio. Basti ricordare gli anni trenta in Germania e il ventennio in Italia.
Il popolo é sovrano ma anche "è nudo", come il re. I suoi bisogno, desideri, volontà, devono decantare nel dibattito parlamentare, unica vera garanzia delle libertà.
 
Riflessioni “al caldo”.
Mentre è in corso l’incontro Mattarella- Conte, un pensiero provvisorio.
Ritengo che il penoso fallimento del 2013 Bersani-5stelle sia stata un’occasione perduta, anche e soprattutto per il conseguente inevitabile connubio contro natura con Salvini.
Checché se ne dica, ritengo i 5stelle molto più a sinistra di chi di dovere. Le loro idee, disordinate e spesso approssimative, sarebbero potute sedimentare in un progetto politico coerente incanalate in una struttura di partito, introducendo nuova linfa.
Ora, sperando sia finita l’era Renzi, anche con la sbiadita figura di Zingaretti, si possono ricomporre trame abortite. Perché la politica non è una scienza esatta e incontrovertibile: è l’arte del possibile, da costruire con i pezzi a disposizione e non in iperurani. Bisogna saper tornare indietro per andare avanti. Auguri a Conte e a noi.
 
Sbruffoni e sbruffoncelle
La risonanza mediatica di drammatiche testimonianze di morti innocenti acuisce il dibattito pro e contro migranti.
L’ipocrita dichiarazione di Trump, condivisa dai suoi compari di pensiero, secondo cui con regole più severe si scoraggerebbero le partenze e i morti, non regge. Non c’è regola più tragicamente severa della consapevolezza di rischiare la morte in mare.
E poi ci sono i puri del “rispetto delle regole”: certamente sarebbe una bella utopia la conformità assoluta alle leggi, ma queste sono sempre perfettibili, spesso scellerate, e l’evoluzione dell’umanità è avvenuta grazie alla trasgressione di queste. C’è un diritto naturale, universalmente valido e una Costituzione, in particolare la nostra che ad esso si ispira. E’ la Costituzione la madre di tutte le regole, il loro imprescindibile riferimento normativo.
Quanto alla capitana “sbruffoncella” direi solo che esistono coglioni e chi i coglioni ce l’ha.
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zingTalete, (V sec. A.C, Mileto), l’acqua principio di tutte le cose…

Siamo fluidi, immersi in un mondo “liquido”, come le vespe di Panama siamo “sciame” che ha sostituito il “gruppo”, senza capi, senza centro o direzione se non quella indicata dal leader di turno; siamo liberi e quindi responsabili, ma la paura “liquida” fa oscillare il pendolo tra libertà e sicurezza.
La struttura che “include e racchiude, trattiene, mantiene, limita, contiene” è sostituita dalla rete, in perpetuo interscambio tra connessione e disconnessione.
La popolazione è “una somma di diaspore…un aggregato di differenze etniche, religiose e di stile di vita, dove la differenza tra insider e outsider è tutt’altro che palese.” Siamo condannati al dialogo: “…è una questione di vita o di morte: o ci capiamo o toccheremo il fondo insieme”.
Riemergere e tornare all’acqua, non a quella avvelenata dei fiumi corrotti, ma all’archè, principio ancestrale e metafisico, che scioglie le incrostazioni, lava le ferite del mondo, unifica nella differenza, distingue nella unicità.

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