di Felice D’Ambra
Verona la città dell'antica Arena, di Piazza Dell'Erbe, da molti anni è ormai la Capitale mondiale dell'amore.
Una Rosa virtuale e Buon San Valentino, per tutti gli innamorati del mondo!
Dalla Sardegna Una Ragazza "No all'omertà"
Su Orune paese dell'entroterra barbaricino tra il Goceano e il Gennargentu, sono state scritte molte pagine di cronaca nera. Molti efferati omicidi sono avvenuti in aperta campagna, nei locali bar, per strada e davanti a testimoni. Uomini e non solo si sono ostinati a tenere la bocca cucita, perché non ha visto, né udito, e continuano a coltivare nel paese del malessere, quel disvalore votato all'unisono come: "La voce del silenzio".
Questa non è una storia di mafia o di faida, è il racconto di un omicidio come tanti avvenuto nel passato, con una feroce audacia nella più antica terra nuragica. Quanto è avvenuto, è paragonabile a un terremoto di elevata potenza. Una bomba a orologeria che ha fatto tremare le case, i templi marmorei del cimitero, la chiesa di Santa Maria della Neve e tutto il paese di Orune. Un atto talmente audace, azzardato, da far rizzare i capelli, persino alla grande e amata scrittrice nuorese Grazia Deledda, che si è rivoltata nella tomba.
Un paese ricco di lutti efferati, arroccato in cima alla montagna, chiuso da secoli al mondo, spazzato da quei venti impetuosi che sferzano la Sardegna, dove in questo territorio silenzioso e selvaggio per concezione, tutti sanno, sentono, ma nessuno vede e nessuno parla. E' stata una notizia a ciel sereno che ha infiammato l'incredula provincia nuorese, il tribunale; la Questura, la Prefettura, il mondo ecclesiastico e l'Europa intera.
Una sofferta metamorfosi moderna che ha avuto la più eloquente espressività, la domenica delle Palme del 2004, quando la dolcissima, addolorata e tremante Pina Paola, fragile ragazza dagli occhi scuri come le more mature, ha avuto il coraggio di rompere il muro dell'omertà. Con un atto eroico, la giovane nativa in questo paese, ha denunciato pubblicamente in tribunale, gli assassini di Pasquale, il suo adorato fidanzato e di un suo caro amico, uccisi come cinghiali, davanti ai suoi occhi, in un bar del paese. La notizia è balzata ovunque, ha sbalordito l'intera Sardegna. Quel gesto così eclatante segnò la svolta, mandava in frantumi falsi miti radicati in una società refrattaria al dialogo; lasciando presagire alla speranza di un cambiamento. Tutto sembrava apparire che l'audace gesto della sventurata ragazza, avesse potuto portare un incoraggiamento per tutti, e un cambiamento al paese, ma così non è stato.
Dopo la testimonianza del duplice omicidio di Pina Paola, nel paese che domina l'altipiano di fronte a Nuoro, la città natale di Grazia Deledda, premio Nobel 1926, una gelida sera del 2005; un'auto civetta della polizia di Stato inviata dal Ministero dell'Interno, preleva la ragazza e la famiglia, per portarla lontano dalla Sardegna, e proteggerla in un luogo sicuro della Penisola. Quando la notizia dell'allontanamento della famiglia, si seppe in paese, durante la stessa notte, grosse minacce sono apparse sui muri imbrattati da una scritta che non lascia spazio a fantasie: "E' inutile che scappi tanto ti troviamo". L'episodio delittuoso che costò la morte dei due giovani orunesi, al processo col rito abbreviato fu proclamato la condanna a 19 anni di reclusione, al reo confesso, e l'atro inquisito in primo grado, fu condannato all'ergastolo. La morte violenta di quei ragazzi ammazzati fece piombare gli abitanti del paese nella paura che potesse avverarsi il ritorno di faida, scomparsa cinquant'anni prima, quando i morti ammazzati furono numerosi.
Dopo gli anni di lontananza lo Stato italiano ha deciso di cancellare la protezione, giudicando che la ragazza ormai, non corre più pericolo di vita. La coraggiosa Pina Paola assieme alla sua famiglia che ha subito l'allontanamento, al ritorno ha trovato una lunga catena di solidarietà e affetto da tutta la Sardegna, dalle scuole, consigli comunali, Sindaci, esponenti del mondo politico, sindacale, clero e da tanti semplici cittadini. Ad accoglierla con un mazzo di fiori e tanti libri, anche alcune esponenti del Governo della Regione Sardegna, che recandosi a casa sua a Orune, hanno voluto manifestare a questa piccola grande donna, la loro vicinanza e quella dello Stato Italiano.
"L'Importanza della Strategia nel Successo di Una Località".
Quando negli anni sessanta Sua Altezza Principe Karim AGA KHAN, e iniziò la costruzione della Costa Smeralda, in un territorio dove non pascolavano neppure le capre, egli arrivò, via mare. Si rese immediatamente conto dell'importanza di come arrivare più in fretta possibile.
La cittadina di Olbia era solo la porta della Sardegna del Nord e con l'arrivo di una sola nave che la collegava a Civitavecchia.
da questa piccola località di lusso, che per esserlo veramente necessita di alcuni accorgimenti. Non faccio paragoni con la Costa Smeralda o Porto Rotondo, lungi da me questa idea, poiché io amo il mio paese dove sono nato e poiché sono cresciuto nel mondo del turismo. Panarea è nata dalle ceneri di una dolorosa emigrazione, ma nel tempo, grazie all'intervento dei forestieri e non solo, è divenuta l'Isola da salvaguardare. Quando la Sig.ra Pina Cincotta Mandarano, Lamenta la trascuratezza del luogo, ha tutte le sue ragioni, poiché lei è veramente l'unica che sa dimostrare con cortesia e la fierezza di "noblewoman" che ama veramente la "Sua" Isola. Secondo il mio parere l'Isola di Panarea potrebbe con piccoli accorgimenti, essere più curata, soprattutto per le meravigliose viuzze, dove non dovrebbe esserci neppure una cicca di sigaretta per terra, mentre i contenitori o pattumiere dovrebbero essere mimetizzati agli occhi dei visitatori.
L'attenzione per un turismo di lusso e non solo, ci deve essere ovunque, anche nei piccoli dettagli, mentre ogni azione negativa si ripercuote sulle località. Come scrive Lino Natoli: la raccolta della spazzatura dei pontili, è un obbligo dei gestori, e se a Panarea non ci sono pontili, lo sbarco dei rifiuti, dovrebbe essere sotto controllo del Comune, Guardia costiera, carabinieri o vigili urbani. I sistemi esistono, basta applicarli.
Figure Ricercate:
1 Vice Direttore
1 Room Division Manager / Vice Direttore
2 Addetti Back Office Ricevimento
1 Bar Manager
1 Restaurant Manager
1 Economo con buon francese
1 Amministrativo con buon francese
Ti ringrazio in anticipo
Un caro saluto e abbraccio a tutti voi
Gianni Mannai
Il Vino Rosso & La Civiltà del Bere.
Il nostro Bel Paese è uno dei maggiori produttori di vini, soprattutto di quelli pregiati, conosciuti e apprezzati nel mondo; ma pochi parlano di quanto faccia bene alla salute, un buon bicchiere di vino soprattutto, rosso ai pasti principali. Parlare di vino di pregio non si può non parlare dei grandi vini rossi, come parlare, della vite del vino, e per farlo è necessario tornare indietro di migliaia di anni a.c. , da quando è stato adottato l’addomesticamento della varietà selvatica “Vitis vinifera sylvestris”.Tale pratica pare, sarebbe avvenuta nella Turchia Orientale, considerata la culla dell’agricoltura di allora. Si potrebbe anche dire che la pianta della vite, ha sempre accompagnato l’uomo sin dall’inizio della sua storia. La vite è una pianta immemorabile, ed è coltivata nelle Regioni temperate del Pianeta. Il principale prodotto dell’uva è il vino, noto fin dall’antichità ai popoli del Mediterraneo. E’ quindi da migliaia di anni l’uomo ha un rapporto privilegiato con la vite, che è una pianta molto delicata la cui coltivazione richiede conoscenze approfondite. La cultura della coltivazione della vite e l’ampelografia che è di origine molto antica, furono considerate la “carta d’identità” di un vitigno, già praticata nei tempi dai Sumeri, Egizi, Greci, Etruschi e Romani, che si è affermata quasi ovunque a partire dal, 19mo secolo. Nel tempo ha assunto un’importanza strategica per tutelare e valorizzare diversi vitigni, anche quelli rari e in via di estinzione. Secondo il mio parere, per fare un buon vino ci vuole un'ottima terra, uva di primissima qualità, una buona esperienza del vignaiolo, e forse per taluni vini, anche la collaborazione dell’enologo per darle una” ritoccata”. Chi di noi giovanotti di una generazione un po’ lontana, e anche di quei giovani di oggi, non ricordi la prima sbronza presa, che è come quella del primo amore, che non si scorda mai. Bere non dovrebbe significare rovinarsi la salute per forza, secondo me se lo si, fa con buonsenso, non succede nulla, anche se le serate che si trascorrano in discoteca o al Pub con gli amici, quelle soprattutto alcoliche che sono le più belle, sono quelle in cui si riesce a mantenere una certa lucidità e anche una certa gradevole allegria. Da una ricerca americana (lo storico popolo che predilige le grandi ricerche), risulterebbe che le persone intellettualmente più dotate, sono proprio quelle più disposte ad alzare il gomito. Purtroppo come avviene da alcuni anni, i fumi dell’alcool e non solo quelli dal vino, hanno causato e causano, incidenti stradali, disastri, tragedie familiari, violenze sulle donne, stupri continui e perdite di vite umane, che spesso non hanno alcuna colpa, se non quella di trovarsi sulle strisce pedonali, per strada in casa, negli ospedali e via di seguito.
Le strade della vite e del vino costituiscono la millenaria storia di ricchezza della terra che ha sempre rappresentato una continua ricerca di quei valori di qualità garantita, senza la quale sarebbe stata impensabile lo sviluppo di una moderna vitivinicoltura, e l’affermazione di un mercato sempre in crescita, più agguerrito, più esigente e sempre più competitivo tanto che da alcuni anni da fare interessare molte donne manager in carriera. Importanti manifestazioni, degustazioni, esposizioni, fiere italiane sono in continua ascesa e con la grande, partecipazione di un selezionato e attento pubblico, come avviene al “Vinitaly”. La più importante 51ma Edizione Fiera del vino, la più caratteristica, la più seguita da migliaia di visitatori e operatori vignaioli internazionali che si esibiscono prima della prossima festività pasquale dal 9 al 12 aprile p.v. a Verona. La Città dell’Arena, di Giulietta e Romeo, gli eterni innamorati, i più amati al mondo; dove gli amanti dell’amore, si trovano uniti per la più grande manifestazione dedicata al mondo del vino. Un punto d’incontro importantissimo che fornisce occasioni per degustazioni e opinioni a confronto con altri vini provenienti da tutte le Regioni a grande vocazione vitivinicola tradizionale Nazionale ed estera.
---La tormenta di neve sulle montagne del Gennargentu al centro della Sardegna era attesa da giorni: era il 23dicembre del 1985, mi trovavo a Cagliari quel giorno, in via Famagosta, sede della Società S.T.A.M.S., proprietaria dell’ Hotel Sporting Club. Quando l’albergo era chiuso venivo quasi tutte le settimane negli uffici di Cagliari. Quel giorno sì era fatto tardi e dovevo rientrare per l’apertura delle feste di Natale. Come d’abitudine, prima di partire dall’ufficio di Cagliari m’informavo sulla situazione stradale e quel giorno i miei collaboratori dell’albergo mi avvertirono che era in corso una nevicava. Salutato tutti, augurando loro il Buon Natale, mi misi in viaggio cercando sempre il tragitto più breve per arrivare a Fonni e poi su verso Monte Spada distante circa 10 km. A Cagliari il tempo era normale e lungo la superstrada Carlo Felice nessun problema, allora avevo una macchina della Opel, una Manta Coupè, eccezionale, solida potente e confortevole. Dopo circa 1 ora e 20 avevo superato la cittadina industriale di Ottana e dopo pochi minuti il Lago di Gavoi.
Dopo aver bevuto un caffè e lasciato il paese, mi avviavo lungo le salite per Fonni, il tempo non mi piaceva più di tanto e siccome all’ora i telefoni cellulari non esistevano, mi fermai in paese, all’ Hotel Cualbu per telefonare ai miei collaboratori dello Sporting. Mi comunicarono che la situazione era peggiorata e che persisteva una nevicata lenta e continua. Io, ero titubante ma tranquillo. A Fonni feci montare le catene da neve e poi non era la prima volta che circolavo su strade innevate, dopo tanti anni mi sentivo un veterano e sapevo anche sciare. Raffaele (Lellei), il mio collaboratore, abile sciatore come quasi tutti i fonnesi, nei giorni feriali mi aveva insegnato tutti i trucchi per sciare , come cadere e come rialzarsi. Comunicai comunque di considerare il tempo necessario di percorrenza ed in caso di ritardo mandare qualcuno lungo strada a cercarmi. Lasciato lo svincolo di Desulo a destra, iniziai la salita verso Monte Spada, percorsi qualche km. , lasciai l’altro bivio a destra che porta alla stazione sciistica di Bruncu Spina e al Ristorante Su Ninnieri degli amici Mario Crobu e Nanda, la moglie.
Dopo qualche altro chilometro, sempre insalita su una strada stretta, vengo investito da una autentica tormenta di neve e una bufera intensissima impressionante. La tormenta non mi dava scampo, un vento fortissimo mi bloccava, mi faceva andare avanti con molta lentezza, il vento impetuoso scuoteva tutto, le maestose querce si piegavano alla sua violenza, mi sono visto imprigionato, la macchina era coperta da uno spessore di neve, solo dal lunotto anteriore riuscivo a mala pena a rendermi conto di quello che avevo intorno, ma dovevo a tutti costi andare avanti, conoscevo molto bene la strada ma si vedeva pochissimo, facevo qualche km a stento, il tergicristallo dalla troppa neve si stava bloccando, accesi subito tutti i riscaldamenti del lunotto anteriore e posteriore, i fari antinebbia, per darmi coraggio urlavo, non potevo e non dovevo cedere alla tormenta che era sempre più tumultuosa ed inoltre dovevo stare attento perché tutto il lato sinistro della la strada era precipizio, non avevo via di scampo ed a tutti i costi dovevo andare avanti se mi fossi fermato, non sarei più ripartito ed in quella situazione neppure i miei collaboratori non avrebbero avuto alcuna possibilità di venirmi incontro in quanto lo Sporting Club si trova a 1385 metri, molto più in alto di dove mi trovavo io in quel momento e sarebbe stato assurdo cercarmi.
Mi feci coraggio e proseguii, era l’unica soluzione, la bufera continuava e non mi lasciava alcuna alternativa, ero sfinito, stremato, ma dovevo resistere e mentre urlavo, ad un tratto vidi le ombre delle luci accese del viale e il grande cancello aperto, ero salvo, ma non potei più proseguire, una altezza invalicabile di quasi due metri di neve in salita ostruiva ogni mia possibilità di andare oltre, mi fermai, urlai come non ho mai fatto in vita mia, con tutto il fiato che avevo in gola, ho premutoripetutamente il Clacson per farmi sentire dai collaboratori che mi stavano aspettando. Sfinito, scoppiai in un pianto infinito che durò sin quando non vennero ad aiutarmi e tutti premurosi mi abbracciarono come se non mi vedevano da molto tempo. Mi buttarono una coperta e subito mi accompagnarono in albergo distante circa duecento metri. Mi fecero accomodare davanti al caminetto acceso con un gran fuoco accogliente. L’indomani mattina mi ripresi in fretta, non c’era tempo da perdere, erano previsti degli arrivi ed a Fonni sapevano che dovevano sgombrare la strada dalla neve. Quel Natale del 1985, vi fu un grosso afflusso di clientela, cosa che normalmente succede quando c’è neve. Riprese a nevicare ininterrottamente dalla notte del 25 e la nevicata durò 36 ore. La mattina del giorno 27 dicembre erano previste molte partenze, ma non è stato possibile sgombrare la strada, il nostro spazzaneve in dotazione in albergo, durante la notte aveva gelato e il motore era praticamente fuori uso, impossibile portare il gatto delle nevi dal nostro rifugio di Bruncu Spina, in quanto la strada era letteralmente bloccata. Nessuno poteva partire e nessuno poteva arrivare.
L’unica mia alternativa e scelta è stata quella di fare arrivare una ruspa con Benda trasportata da Cagliari, mezzi chela Società possedeva in quanto erano costruttori di grande rilievo. Il giorno dopo il 28, gli ospiti con tutte le nostre scuse per i disagi provocati, poterono ripartire e gli altri poterono arrivare per trascorrere il Capodanno sulla neve delle montagne del Gennargentu e della Barbagia di Ollolai, l’unica stazione sciistica omologata per gare nazionali esistente in Sardegna, che guarda caso, dove l’unico grande complesso alberghiero era diretto da un Eoliano, di Lipari nato in Vico Volpe a cento metri dal mare di Marina Corta. La mia avventura della neve è ormai passata, dimenticata, l’ho considerata un brutto sogno durante la mia carriera alberghiera e ancora oggi dopo 25 anni , non so a chi devo la mia vita, ma certo è, che qualcuno lassù mi ha aiutato. Quando l’albergo era chiuso e restavamo da soli, io ero solito sedermi davanti al caminetto che Mario, il mio angelo custode e guardia del corpo) manteneva sempre acceso. Spesso quando ero stanco mi assopivo, lui silenziosamente con passo felpato si allontanava senza dirmi nulla. Poi mi raccontava che aveva sentito in lontananza il rumore di una macchina che si avvicinava allo Sporting Club. Mario era il mio uomo fidato, un personaggio, fumatore accanito, molto taciturno, era la mia ombra, il mio custode, il mio protettore, con lui in albergo, dormivo sonni tranquilli.
Da quel lontano 1985 giorno della grande nevicata, per mesi non volli più guidare la mia auto, mi facevo accompagnare. Mario, all’indomani della grande nevicata la portò su la parcheggiò e rimase sommersa dalla neve per parecchio tempo, sino a quando il giorno 24 del mese di febbraio del 1986, ripresi la macchina per essere trasferito alla Diran Alberghiera di Cagliari, a dirigere l’Hotel Diran & Centro Congressi di Quartu Sant’Elena, con la qualifica di Direttore Generale /Dirigente. Dopo quella avventura sulla neve, da 25 anni, non ho più indossato scarponi da sci , né salopette, né doposci e ancora oggi non ho più in macchina catene da neve. Quella volta me la sono visto talmente brutta e penso anche che San Bartolo da Lipari abbia voluto salvare la mia vita. Da allora, ho deciso di dirigere solo alberghi di Città e di mare e non sono mai più tornato in montagna dove vi è neve abbondante e si debbano montare catene.
---Storia di Emigranti & La Ragazza della Porta Accanto.
“Welcome Back To Lipari Bartolina and Carolina Puglisi”
“Migliaia di testimonianze hanno caratterizzato un’epoca della storia italiana dell'immigrazione verso mondi sconosciuti, soprattutto dal meridione d’Italia, Sicilia e Isole Minori. Ricordi lontani che fanno parte della società moderna. Non è un aneddoto quello che sto per raccontare, poiché narra la storia vera di una famiglia di emigranti liparota, che nei lunghi anni di lontananza, ha generato la terza generazione”.
Alcuni giorni fa pubblicata sul Notiziario Eolie di Bartolino Leone, vidi la foto di Bartolina e Carolina Puglisi. Gentilissime e carissime Signore originari di Lipari che vivono, nella meravigliosa Sidney in Australia. I miei ricordi di Bartolina Puglisi di una volta, mi portano tanto indietro in quel lontano tempo, quando ero appena un ragazzotto, quasi un giovanotto, quando lei assieme alla mamma Signora Virginia Marino, sorelle e il fratello Mario, venne ad abitare affianco di casa mia, a due passi da Marina Corta. Lei era un passerotto, una bella ragazza, una signorinella appena accennata, con un esile corpo slanciato da donna allo sbocciare della femminilità. Tra noi nacque subito come un colpo di fulmine, una simpatia, quasi un feeling che durò fino al giorno della partenza dal mio paese.
Era il mese di ottobre di tantissimi anni fa, ero da poco tornato dalla stagione turistica passata al Villaggio francese “La Connaissance du Monde” di Vulcano, quando Mario il fratello, mi confidò che era arrivata l’attesa notizia della partenza di tutta la famiglia per l’Australia. La notizia mi stravolse, ma non dissi nulla a Bartolina, e così feci di tutto per lasciare prima io Lipari. Quella sera, era il 14 gennaio, il mio ultimo mio giorno a Lipari, andai a casa sua a salutare mamma Virginia, le sorelle e Mario, Bartolina era in cucina. Tremante mi avvicinai a lei e guardandoci negli occhi tristi, silenziosi ci abbracciammo ed emozionati ci scambiammo affettuosamente un bacio sulle guance come due cari amici. Prima di andar via, le promisi che il giorno della loro partenza, sarei andato a salutarli a Messina. Erano i tempi di quando la nostra bella Lipari era un grande paese, in ogni casa si udivano le urla gioiose di tanti bambini, di mamme che la domenica e per le feste raccomandate preparavano i maccheroni fatti in casa col sugo di carne di maiale.
Mamme che cucivano, nonne che rammendavano le calze e altre che chiacchieravano davanti all’uscio di casa. Erano altri tempi quelli di una volta, che noi giovani di quella generazione usiamo ripetere sempre con tanta nostalgia, a ricordare di quando le case non si chiudevano mai a chiave. La soddisfazione per le piccole cose era grande, come le tenerezze quotidiane, i baci che si usavano dare ai genitori, agli anziani e a quei tanti ragazzi che se anche chiassosi per i giochi semplici, innocenti, erano perdonati. Le carezze delle mamme non mancavano mai, i racconti dei carismatici anziani, la sera davanti all’uscio di casa, sotto la luce dei fiochi lampioni, dove tutti seduti su sedie e scalini dei portoni, ad ascoltare in silenzio le storielle e racconti degli adulti. Le nonne filavano e facevano le calze di lana da indossare durante le fredde e umidi notti del lungo inverno, mentre le mamme, mai stanche, continuavano a rammendare indumenti che erano riciclati e con cura conservati con la naftalina per essere riusati.
Lipari di allora era come una coperta di stracci unita con un filo di ricordi lontani, e quando uno di questi fili si strappava, non c’era più il modo di ricucirla e il ricordo svaniva nel tempo, come se facesse parte di un altro tempo, di quel passato che non c’era più. Ricordo quando da giovanotto, ho cominciato a capire e a prendere in considerare che Lipari fosse un paese senza futuro, e non era più possibile per me viverci, e così, acquistai una valigia di cartone, e lasciai il mio paese. Come tanti altri paesi, anche la grande Isola di Lipari fu coinvolta dalla grande crisi, e tutti hanno conosciuto tempi bui, e in pochi anni l’Arcipelago Eoliano fu stravolto dalla miseria, dalla fame, dalla desolazione e migrazione. In pochi anni, la disoccupazione aumentò in modo pauroso, costrinse migliaia d’isolani a lasciare il proprio paese, le loro famiglie e figli. I disperati della ricerca del lavoro, quelli validi che poterono, s’imbarcarono su quei piroscafi che carichi di emigranti si sparpagliarono per il mondo. La tristezza, il distacco, la nostalgia degli emigranti (oggi chiamati profughi), è il pensiero più doloroso della sofferenza umana.
Quel giorno quando mi recai al porto di Messina, rimasi sbalordito nel vedere quella gigantesca nave chiamata “Oceania” che attraccata al molo, attendeva d'imbarcare nella sua immensa pancia, le migliaia di persone che disperati attendevano di salire a bordo. Per alcune ore assistetti a uno spettacolo straziante, disumano, terribile. Salutai tutta la famiglia e per ultimo Bartolina. Ebbi solo il tempo di abbracciarla fortemente, di darle un bacio e dirle solo“Bartolina ti amo" che lei sparì, inghiottita da quella marea umana che urlando, piangendo e con le lacrime agli occhi, saliva a bordo di quella nave in partenza per un mondo sconosciuto. All’improvviso si udirono gli agghiaccianti e acutissimi fischi di sirena della nave che echeggiarono nell'aria come un violento uragano, lacerando l’aria e ancora di più il tumultuoso cuore di quei poveri famigliari, parenti, amici e presenti che ammutoliti guardavano col viso verso l'alto; quella gigantesca nave che lentamente si dirigeva verso lo stretto tra Scilla e Cariddi e allontanarsi nel Mare Mediterraneo e poi verso Porto Said e Canale di Suez, portandosi appresso gioie, dolori e amori.
Quella grande nave, non si è portato via soltanto Bartolina, ma si è portato appresso con sé, i nostri innocenti sentimenti e sogni di un acerbo amore, che non ebbe mai il tempo, di maturare, poiché come un tifone si è portato via i nostri sogni, e così il destino, fece il suo corso. Di quella ragazzina della porta accanto, che mi piaceva tanto, non seppi mai più nulla, sino a quando alcuni anni fa, era il 2007, mi trovavo come lavoro a Lipari e mentre ero a cena al Ristorante Al Pescatore, di Marina Corta, mio cugino Felicino Monte che conosceva il mio amore per lei, mi chiamò e mi presentò senza dirmi il nome, una bella ed elegante fascinosa Signora. Nonostante il mio istante di grande imbarazzo, guardandola negli occhi, era lei, proprio lei, Bartolina Puglisi, il mio primo grande amore, che quella grande nave Oceania si era portato via con se.
---“L’Incredibile Storia della Ragazza di Tunisi” (seconda parte).
Quando i padroni di casa come d’abitudine uscivano, usavano chiuderla col lucchetto, sola come una prigioniera e senza la compagnia dei cani che venivano chiusi in giardino.
Quando la costringevano a uscire con loro, era solo per continuare a fare pulizie alle case dei parenti e appartamenti di altre famiglie, probabilmente a scopo di lucro.
Era un giorno d’estate, fu un miracolo per Karima, quando si rese conto che la famiglia uscendo dalla casa per recarsi a una sagra paesana, dimenticarono di mettere il lucchetto all'apparecchio telefonico. Karima presa dalla paura, incredula e in lacrime, tremante e col cuore in gola che le batteva forte, forte come una campana impazzita, senza esitare un istante e come una saetta, chiamò il 113, il numero della Polizia di Stato.
Il poliziotto del centralino telefonico incredulo all’ascolto del racconto della sventurata ragazza, avvertì immediatamente la pattuglia della volante della zona che in pochi minuti piombò nella villetta, liberandola. Karima non credeva ai propri occhi, era libera e piangendo senza riuscire a frenarsi e per paura che i padroni sarebbero potuti ritornare, chiese disperatamente ai poliziotti di portarla immediatamente via da quella casa prigione, dove lei aveva vissuto da schiava.
La ragazza fu accompagnata in Questura a Nuoro. Dopo essere stata tranquillizzata, rifocillata e assistita da una Psicologa, dopo aver raccontato la sua incredibile e terribile storia, ha firmato il verbale di denuncia. Successivamente come da sua richiesta, la ragazza di Tunisi, fu accompagnata al porto di Cagliari e con la stessa nave che l’aveva portato alcuni anni prima in Sardegna, fu rimpatriata al suo paese.
Era il mese di giugno del 1989, aveva trascorso in quella casa prigione e in schiavitù, quasi quattro anni d'incubi. Ne passarono altri quattro anni quando Karima, convocata dal suo avvocato, ritornò in Sardegna per deporre al tribunale di Nuoro. Nell’attesa di comparire davanti al Giudice, la ragazza si trova in una stanza a stretto contatto con i suoi aguzzini ex datori di lavoro, che la guardavano con odio razziale, mentre lei smarrita si guardava intorno terrorizzata al pensiero di averli vicino, che la riportava indietro in quella casa a ricordare l’atroce sofferenza che distrusse la sua fragile esistenza.
La vicenda processuale fu complessa e sbrigativa nello stesso tempo, tanto che il Presidente che doveva giudicare quella famiglia per percosse e maltrattamenti, ha dichiarato la propria incompetenza, rinviando gli atti alla Corte d’Assise con l’iniziale richiesta di condanna per “riduzione in schiavitù”. Non era mai successo nel nostro Paese, che in un'aula di tribunale si svolgesse un processo per reato di schiavitù.
La notizia fece tanto scalpore che vari giornalisti delle maggiori testate italiane, presenti a Nuoro, lanciarono la notizia in tutta la Nazione. Era l’otto marzo festa della donna del 1993, quando quel giorno un gruppetto di ragazze barbaricine di Nuoro, si avvicinò alla ragazza tunisina offrendole un mazzolino di mimose. Karima era emozionata, attonita non capiva quel gesto, era la prima volta che ragazze sconosciute, si rivolgevano a lei col sorriso e con gentilezza. Intimidita da tanto affetto, col suo poco italiano, (ben poco aveva imparato in quegli anni da incubo vissuti in Baronia); capì immediatamente il significato che racchiudeva quel semplice mazzolino di mimose che per le donne è il simbolo di solidarietà, che stava a significare che le femmine sarde e tutte le donne del mondo, erano con lei, al suo fianco a incoraggiarla.
Lei non sapeva cosa fosse la festa delle donne, che in Tunisia e non solo, è totalmente sconosciuta. Le ragazze di Nuoro le fecero compagnia per tutto il tempo necessario, con affetto e con grande solidarietà la ospitarono nelle loro case e non la lasciarono mai da sola neppure per un istante. Gli occhi di Karima, sembravano più quieti mentre sul suo dolce viso di fragile ragazza africana, apparve un timido sorriso e alcune lacrime bagnarono la sua faccia rasserenata.
Le ragazze si strinsero attorno a lei, e mentre guardavano con meraviglia questa ragazza venuta da Tunisi, che teneva sempre stretto fra le mani, quel mazzolino di mimose, come un tesoro, sono state travolte da un'insolita forte tempesta emozionale.
Karima oggi ultra cinquantenne, da quando lasciò la Sardegna, vive al suo paese, ricordando ancora la gentilezza e la solidarietà di quelle ragazze barbaricine, incontrate il giorno della “festa della donna”, e che grazie al loro aiuto lei, poté tornare a Tunisi ad attendere l’esito di una sentenza che ancora oggi, dopo oltre vent’anni, attende una risposta, che forse, non arriverà mai, forse, si è persa nel limbo dei misteri della giustizia.
Nella storia della nostra Penisola in nessuna aula giudiziaria è mai capitato di dover assistere a un processo per “riduzione in schiavitù”, anche se, l’Art. 600 del Codice Penale, prevede una pena che va dai 5 ai 15 anni di reclusione. Dalle ricerche effettuate a Nuoro e in Internet, nessuno si ricorda di una ragazza venuta da Tunisi.
Spero che quella ragazza dagli occhi color delle more mature, abbia trovato nel suo paese o in un’altra Nazione, quella serenità che cercava, e che abbia dimenticato la cattiveria e l’onta subita nel territorio dove l’ospitalità è sacra, come la vita. Il mostro“padrone” di casa che deteneva prigioniera la ragazza, non era di origine sarda.
“L’incredibile Disavventura di una Ragazza Venuta da Tunisi” (La dimenticanza).
Non era la Tunisia di guerriglia urbana quella egli anni scorsi violentata dai terroristi di Isis, che ha ferito e ucciso parecchi turisti di Nazionalità italiana e non solo; catapultando come un uragano, un popolo civile che da anni viveva di una fragile economia basata prevalentemente sul turismo.
Tra i viaggi della speranza di quei disperati migranti, che di continuo sbarcano ovunque all’affannosa ricerca di pace e di miglior condizione di vita, ci sono uomini, ragazze, ragazzi, bambini, mamme e donne incinte che partoriscono sulle navi carrette, su motoscafi o in riva al mare e non tutti hanno la fortuna di salvarsi, poiché tantissime sono le tombe che affollano il cimitero di Lampedusa, e non solo.
Era il 1986, quando una ragazza di Tunisi venuta dall'Africa settentrionale, come Colf, fiduciosa delle grandi promesse, venne in Sardegna con la nave di linea della compagnia di navigazione Tirrenia, che allora faceva rotta da Tunisi Via Trapani sbarcò a Cagliari. Non aveva portato con sé una valigia di cartone, né aveva alcun Dinaro, ma solo poche cose personali e tanta voglia di lavorare e vivere in pace e miglior condizione di vita. Il suo più prezioso bagaglio era costituito da un paio di grandi e meravigliosi occhi scuri di giovane gazzella, che brillavano. Occhi che parlavano e che in pochi anni tradirono la tempesta di emozioni che scosse la sua dolce anima di ragazza del mediterraneo. Aveva una montagna di capelli corvini e anche tanta voglia di vivere una vita in libertà, come tutte le ragazze del mondo civile. Lei desiderava viverla diversa di quella di Mahadia, il paesetto natio dell’altra sponda del Corno d’Africa. Karima Choucene questo è il suo nome, aveva appena diciassette anni quando fu prelevata dalla famiglia che l’aveva ingaggiata e portata a Siniscola, un paese a pochi chilometri dal meraviglioso mare del Golfo di Orosei, al Centro della Costa Orientale Sarda, in provincia di Nuoro, dove vi sono le spiagge di sabbia bianca finissima del Golfo di Orosei, le più belle del Mediterraneo. Karima la giovane ragazza tunisina dai capelli neri al vento e dagli occhi color delle more mature, non sapeva neppure cosa volesse dire, o cosa fosse l’Isola degli antichi guerrieri nuragici disseminati in tutto il territorio della Sardegna. Lei è una ragazza bellissima, tenera, timida e molto affettuosa, cresciuta nella povertà del suo paese, col senso del rispetto e nonostante la sua educazione, la sua disponibilità, il suo splendido sorriso, in quei quattro anni, lentamente si spense e nei suoi occhi lucidi, calò un pesante sipario fatto di un velo di tristezza infinita. Karima in quei terribili anni, fu segregata, bastonata, terrorizzata, trattata da schiava, costretta a lavare persino i piedi al figlio del padrone. I presunti padroni aguzzini la tenevano come una prigioniera e per ricattarla, le dicevano che se fosse uscita di casa sarebbe stata arrestata dalla Polizia e messa in prigione. Ha trascorso con questa famiglia gli anni peggiori della sua età di giovane ragazza tunisina, in quella casa che sarebbe dovuta essere la sua dimora, ma che divenne un luogo ostile, a lungo schiavizzata, come una prigioniera. Non ebbe mai il piacere di vedere le spiagge di sabbia bianca dell’oasi Bidderosa e della magnifica spiaggia di Capo Comino e di Berchidda. Non vide mai il bellissimo azzurro mare del Borgo di Santa Lucia, paesino poco distante da Siniscola, popolato da pescatori provenienti dall’Isola di Ponza, né ebbe mai tempo libero per lei. Nei pochi momenti di solitudine, quando non era maltrattata, il suo pensiero correva velocemente alla sua Africa, alla sua mamma che sicuramente assieme al padre e fratelli, erano in pensiero per lei. Terrorizzata dallo squillo del telefono, non poteva far nulla poiché era allontanata, mentre lei intuiva che potesse essere la sua mamma, che preoccupata per il lungo silenzio, la chiamava, mentre i padroni di casa rispondevano che aveva sbagliato numero, e chiudevano immediatamente la comunicazione. Karima non sapeva più cosa fare, non aveva neppure il tempo di pregare il suo Dio, poiché tenuta segregata, era anche prestata come servitù chiava ad altre famiglie del luogo che la sfruttavano. Lei non aveva alcuna possibilità, non aveva denaro poiché lo stipendio mensile di ottantamila lire pattuito prima della partenza, non le fu mai dato. Da qualche tempo Karima aveva deciso che sarebbe fuggita da questa famiglia di mostri che la torturavano e dal giovane figlio che la schiaffeggiava ripetutamente, brutalmente, con insulti e con maltrattamenti indicibili. La paura di Karima era diventata insostenibile, sempre sotto controllo, non aveva scampo, non sapeva come poter fuggire, e anche se avesse urlato a squarciagola, non l’avrebbe sentita nessuno e quando in quella casa arrivavano ospiti dei padroni, lei era chiusa in giardino con i cani, gli unici suoi compagni di sventura, che non la toruravano.
La Sartiglia di Oristano
Nel circuito dei Carnevali di Sardegna, voluto dall’Assessorato al turismo, non poteva di certo mancare la “Regina” la magica Sartiglia di Oristano, anche se, l’antichissima Sartiglia di Oristano, la città di Eleonora D’Arborea, la giudice di ferro, non ha nessuna parvenza simile al tradizionale carnevale, anche se si svolge nello stesso periodo. Voluta dagli spagnoli che per quattro secoli hanno dominato la Sardegna, la famosa Sartiglia menzionata già nel periodo cinquecentesco, conserva intatta una sua storia e tanta tradizione sin da quei tempi. Il mondo della Sartiglia non ha costumi né maschere animalesche e anche se lo può sembrare dai costumi dei cavalieri, è totalmente diverso, poiché la Sartiglia è fatta di un mondo vero fatto di cavalieri, di tornei equestri, di giochi a cavallo, di pariglie in corsa. Sarebbe veramente riduttivo considerare la Sartiglia di Oristano un buffo spettacolo carnevalesco, fatto di fantocci e maschere di pezza o di cartapesta. Nei documenti risalenti all’epoca si parla di giochi di abilità, spettacoli organizzati in onore dell’Imperatore e i cavalieri a cavallo pronti a tutto in uno spettacolo sbalorditivo, lanciati ad una velocità pazzesca e con spada in mano, per infilzare in corsa l’anello, il centro della stella, e strappare un applauso all’Imperatore Carlo V. Numerosissimo e proveniente da ogni angolo d’Europa, è il pubblico per assistere a questa meravigliosa e entusiasmante, cavalcata, che si svolge fra due ali di folla. Non è sicuramente il famosissimo palio di Siena che si svolge il primo di luglio e il giorno dell’Assunta del 15 agosto, nella grande piazza di Siena. La Sartiglia è immutata nel tempo e la pazzesca corsa alla stella è molto sentita dagli eleganti cavalieri in autentici costumi della tradizione sarda e da cavalli imponenti, fra il suono dei tamburini e trombettieri, da una folla appassionata e incitante applaude questi nobili cavalieri che a folle velocità è alla ricerca di infilzare in con la spada il cuore della tanto ambita stella, posta il alto in mezzo alla folla che emozionante assiste ammutolita.
Il principe della Sartiglia (Sortija) è colui che la rappresenta ed è chiamato “Su Componidori” (Conponedor). Solenne e magica trasformazione della vestizione del cavaliere, un privilegio assoluto per le bellissime ragazze del luogo che per l’occasione indossano il tipico e ricco costume, e dove solo pochissime persone hanno il privilegio di assistere. La trasformazione dell’elemento più importante è quando la maschera è assicurata sul volto da strisce e fazzoletti di seta che fasciano la nuca e il viso del cavaliere non esiste più, mentre il rullo emozionate dei tamburi si fa sempre più assordante, “il Cavaliere” è un semidio in terra senza gioia, dolore e senza sesso, mentre la maschera appare androgina, maschile e femminile allo stesso tempo. La meravigliosa Sartiglia di Oristano, la giostra equestre di medievale grandezza d’altri tempi, oltre all’evento Internazionale di gran prestigio per tutto il Campidano, ha il privilegio di saper offrire ai visitatori di tutta Europa l’accoglienza e l’ospitalità della gente del posto e del popolo di una Sardegna, unica. L’evento d'importanza Internazionale, richiama in Sardegna La bellissima maschera della Sartiglia, simile alle maschere della serenissima Venezia, sono di fatturazione di artigiani locali. La manifestazione richiama una moltitudine di troupe televisive, giornalisti e turisti da tutta Europa. In fondo, la Sartiglia e il simbolo della “Stella” centrate dall’abilità del cavaliere con la spada, trafigge il cuore della stella per portarla via, rispecchia il mondo della fertilità, paragonabile alla vita che dona la donna, Come gli altri Carnevali di Sardegna, la Sartiglia affonda le radici sulla fertilità della terra e il numero delle stelle vinte dai equivale ad una maggiore raccolta dei frutti della terra. Venezia e Oristano, anche se diverse fra loro, sono Città che vanno viste, apprezzate, amate, poiché con il loro fascino muto, e come le “Sirene” incantano.
Vignetta curata da Silvana Clesceri
Il Grande Carnevale Italiano.
L'incandescente situazione terroristica e il continuo afflusso di migliaia di migranti provenienti dal Corno d'Africa, Mar Mediterraneo che sta interessando l'Europa e soprattutto il nostro territorio, sminuiscono enormemente quella ch'era anche la caratteristica vita carnevalesca del nostro Bel Paese. Il Carnevale è tradizionalmente il periodo che precede la Quaresima, ed è festeggiato con feste mascherate, sfilate di carri allegorici, floreali, e danze. I festeggiamenti del Carnevale hanno un'origine lontana, risale alle feste religiose pagane in cui si faceva uso delle maschere per allontanare gli spiriti maligni. Nella Versilia del mar Tirreno, località all'avanguardia turisticamente e famosa Città del divertimento e per la movida notturna che non ha eguali in altre località, la prima sfilata di carri in maschera risale al 1873 a Viareggio. Molti anni sono passati e oggi La Capitale del Carnevale italiano, come da sempre, da il via ai cortei e sfilate mascherate, con tre colpi di cannone sparati dal mare. Entra così nel vivo a Viareggio alla sua 143ma edizione, la grande sfilata di carri sormontati di gigantesche maschere di cartapesta. Quest'anno gli artisti delle maschere hanno voluto premiare come madrina della sfilata, la Miss Italia Agnese Sabatini, e dedicando i carri al premier Matteo Renzi, nei panni dell'alchimista, al leader della Lega Nord Matteo Salvini, nobile settecentesco e al ministro delle Riforme Maria Elena Boschi. La Città di Viareggio regno una volta della Belle Epoque in Europa, per il periodo del Carnevale, si trasforma in località invernale del divertimento, ritrovo della mondanità Nazionale e Internazionale, di musica e balli in piazza, feste notturne, rassegne teatrali, spettacoli pirotecnici, veglioni e cenoni, eventi sportivi mondiali e di appuntamenti gastronomici che danno al palcoscenico di Viareggio, il riconoscimento dell'evento particolare tra i più belli e grandiosi del mondo. Nella nostra Penisola la festa più popolare burlesca e spettacolare dell'anno, va dai giganteschi carri di Viareggio alla battaglia delle arance a Ivrea, alla tipica maschera di Farinella del Carnevale di Fano (Pesaro - Urbino, il più antico, datato 1347), al Carnevale di Putignano tra i più antichi, al Carnevale di Cento di Ferrara, al famoso carnevale siciliano di Acireale, è un susseguirsi della grande celebrazione dei Carnevalesca italiana. Quello più romantico, più affascinante, anche se per l'allerta terrorismo e dell'Isis è senza dubbio, il Carnevale della Città lagunare che per motivi di sicurezza, è stato blindato, come quello di Colonia (Germania che dopo le molestie della notte di San Silvestro, 2000 poliziotti vigileranno sul Carnevale delle donne. E' di poco fa la notizia di ieri venerdì 5 febbraio, apparsa su tutta la stampa internazionale della 22ne ragazza di Colonia picchiata e stuprata da un profugo afghano, immediatamente arrestato. Il Carnevale della Serenissima, fatto di elegantissimi costumi e di meravigliose maschere, d'alta moda in stile veneziano, incantano un mondo di visitatori, che affolla San Marco. La Piazza definita il più bel salotto del mondo, che si trasforma in un immenso salone da ballo, capace di offrire uno scenario affascinante da stupire tutti i visitatori internazionali. Un altro mondo carnevalesco è invece il Carnevale in Sardegna, quello che si svolge nei paesi barbaricini dell'entroterra. "L'Isola che Danza" dove il "Carnevale", è di un altro mondo che non esiste altrove e che ha inizio subito dopo "Sa Festa de Su Fogu de Santu Antoni". In questi luoghi di silenzio, il Carnevale si perde nella notte dei tempi e con la prima vestizione e uscita in pubblico del gruppo dei "Mamuthones di Mamoiada, il paese del Museo delle antiche Maschere del Mediterraneo. Il Carnevale in Sardegna è un viaggio attraverso i luoghi più emozionanti, dove si celebrano le caratteristiche antiche tradizioni di questo "Su Carrasecare" così, è chiamato il Carnevale in buona parte dei paesi della Barbagia. Il Carnevale è anche terrore"Agonia", mistero, dramma umano che si consuma ovunque, e dove lo spettatore ammutolisce davanti a manifestazioni di grande impatto emotivo, dove il pensiero corre indietro nel tempo e si ritrova d'improvviso nella preistoria, quasi a risvegliare lontani mostri animaleschi. In Sardegna, il carnevale barbaricino, non ha niente in comune con coriandoli, maschere, fantocci vari, costumi di principesse e principi, o di Biancaneve. Il Carnevale che ha inizio con la danza attorno al fuoco, ha un significato e una valenza propiziatoria, come la vestizione dei Mamuthones e dei "Sos Issohadores", rito unico in Sardegna e forse nel mondo. Quella che è ostentata non è una goliardica allegria, ma è un'espressione di maschere di legno lavorate da artigiani del luogo. Un carnevale fatto di soli uomini che indossano cappotti e giacconi di pelli di animali, di visi anneriti, di maschere scure, cupe, orripilanti, che con le loro movenze, frastuoni, suoni lugubri fanno da contrappunto, incutono rispetto. Gli ammutoliti spettatori si trovano a diretto contatto con i terrificanti personaggi in maschera come quella dei Mamuthones. Mentre gli Issohadores, lanciano i lacci per afferrare lo spirito maligno. Varie sono le maschere di legno fra le quali: Sos Thurpos di Orotelli, s'Urthu e Buttudos di Fonni, Su Bundu di Orani, Sos Merdules e Sos Boes di Ottana, che nel loro insieme, rappresentano il mondo contadino. Sa Filonzana (la filatrice), rappresenta invece "Sa mala sorte", colei che recidendo il filo di lana che avvolge il fuso, decide la sorte di chi le manca di rispetto. Divertente e gradevole è invece la maschera dei tumbarinos di Gavoi, un gruppo di ragazze, ragazzi, adulti e anziani che uniti in cerchio e al suono di tamburini si esibiscono nel tradizionale e fantastico "Su Ballu Tundu". Assistere in questi paesi alle diverse caratteristiche manifestazioni carnevalesche, diverse in ogni paese barbaricino, sembra di vivere in un altro mondo, assaporare un'esperienza unica, che incide in maniera indelebile nell'animo dello spettatore che si trova ad assistere a queste emozionanti esibizioni.
Lipari & Luminarie.
Se i fratelli Grimm fossero ancora tra noi, ambienterebbero le loro fiabe a Lipari, la meravigliosa città, ricca d’arte, cultura, storia, panorami mozzafiato, un antichissimo Museo, meravigliose chiese e la spettacolare Chiesa del Purgatorio di Marina Corta sul mare.
Il Forestiero che viene da lontano alle Eolie, come il visitatore, il turista sa apprezzare le qualità e le bellezze naturali di ogni angolo dell’Isola Eoliana. Gli isolani di Lipari, cittadini dell’Europa, al contrario, secondo il mio parere, sono invece indifferenti, tanto da infischiarsene dell’importanza antropologica che riveste da secoli il Capoluogo Eoliano.Tra, qualche giorno è Natale, la Grande Festa della Natività, della famiglia, dei bambini, e ovunque nel mondo si festeggia, e in ogni angolo della terra, in ogni Località, si allestisce il presepe, simbolo della nostra tradizione, si addobba l’albero di abete, simbolo natalizio del Nord, s’illuminano piazze, strade, locali, negozi, e ovunque è gioia. Ovunque nel mondo la fanno alla grande gli allegri festaioli mercatini di Natale,delle tipiche casette di legno o bancarelle, che richiamano migliaia di visitatori e vacanzieri da tutte le parti. La chiesa richiama numerosi fedeli per la sentita Novena di Natale, mentre per strada pastori suonatori di ciaramelle e cornamuse allietano le serate intonando le musiche natalizie. Gli adulti e i bambini accompagnate dalle mamme vanno alla ricerca dell’ultimo e utile regalino per gli amici e parenti. I Re Magi seguono la Stella Cometa (simbolo dell’illuminazione) che indica loro la strada per recarsi alla grotta dove nasce Gesù Bambino. Così dovrebbe essere anche alle Eolie, soprattutto alla Capitale Lipari, ma così non è, e non lo è, neppure a Panarea, Isola dell’oro blu del turismo, la Costa Smeralda Eoliana, che per la festività natalizia lamenta l’assenza di luminarie, forse rimaste nel limbo di capo milazzese. Mentre la città di Lipari come un paese qualunque, illumina miseramente, soltanto il “Corso” Vittorio Emanuele, con luminarie ridotte al lumicino, mentre la maggior parte delle strade e negozi chiusi fanno da cornice al buio creando imbarazzo e brutta figura. Ma, è già qualcosa se si considera che tutte le altre strade, sono scarsamente illuminate, come il porto, arrivo di navi e aliscafi, il lungomare della baia di Marina Lunga, la Via Garibaldi, quella strada che una volta era la Via dello Shopping che come Via Roma sfocia nell’abbandonata Piazza Ugo Sant’Onofrio. Marina Corta, la più bella piazza, è illuminata soltanto dalla Stella Cometa della Chiesa del Purgatorio, che illumina anche l’ingresso per la visita al presepe del mare, unico cenno natalizio assieme alla chiesa di San Giuseppe, che grazie all’iniziativa di Padre Giuseppe Mirabito, è illuminata dalla stella Cometa e da tre luminari, per illuminare la discesa per il corteo dell’apertura della Porta Santa alla Cattedrale di San Bartolomeo. In questo periodo l’unica attrazione è quella caratteristica dei pescatori che riparano le reti e il ricovero delle barche che sono parcheggiati in tutta la piazza, persino nel gazebo del Ristorante al Pescatore, a ricordare la buon’anima di Federico Finocchiaro. Semibuia e priva di simboli è la“Grande Civita” Piazza Mazzini sede del Palazzo del Municipio e del famoso Centenario “Ristorante Filippino”, il Tempio della ristorazione. Mentre una vergogna assoluta, è l’abbandono di spazzatura, fatta ad arte da una incredibile inciviltà nella Via Barone, vicino agli alberghi: Aktea della famiglia Cassarà e alla Giara, il Residence di Eleonora Zagami, la “Signora” del turismo di Lipari. E’ solo un mio parere ma è una vera tristezza, ammettere che la città di Lipari, Patrimonio Mondiale Unesco, meravigliosa Località, si presenti scialba, quasi volutamente mortificata da una stupefacente rassegnazione collettiva, che non lascia spazio a commenti, anche se, qualche albergatore e alcuni ristoratori, accennano a voler mantenere viva la tradizione del pranzo di Natale (che in fondo la tradizione lo vuole in famiglia) o del Cenone di Capodanno, veramente ben poco per un’Isola come Lipari, a vocazione turistica.
Anais Nin & Il Delta di Venere (seconda parte).
Anais ha descritto tantissimi racconti, la maggior parte tutti veri, essendo lei stessa stata la donna del piacere per uomini e non solo. Si sentiva una donna libera, si guardava, si rivelava e di continuo si esponeva. Ha raccontato con chiarezza sconvolgente la sua vita sessuale dall’adolescenza in poi. Spregiudicata, disinibita e sicura di se, lei non cercava l’avventura, e tanto meno fosse una dominatrice, ma era una donna viva, vera che cercava il piacere nel rinnovare intensamente esperienze, solo alla ricerca del piacere che trovava nell’offrirsi completamente Anais Nin all’età di vent’anni, già scrittrice affermata, sposa un bancario americano. Un matrimonio che ben presto si rivelò un'amara prigione, poiché Anais si rifugiò in diverse relazioni adulterine, quasi a voler riscattare il senso di noia profonda che l’avvolgeva, e che in virtù del suo secondo matrimonio tenuto segreto per molto tempo, da lei invalidato, rimase sposata al primo marito fino alla morte,
Anais Nin, non dimenticò mai la sua origine francese e richiamata dal clima intellettuale che si stava instaurando a Parigi, Capitale della culla dell’arte che negli anni trenta frequentava la Francia, quella Francia che ammaliava, che usava l’arte della Liberté, Fraternité, Egalité, che sapeva ospitare, scrittori, artisti, pittori, poeti e musicisti di quell’Epoca. Così Anais ritorna in Francia e si stabilisce a Louvenciennes, alle porte di Parigi, dove inizierà a compilare la prima parte del suo diario che diventerà poi il famoso“ Diario di Anais Nin”. La scrittrice fu considerata una delle più controverse autrici del novecento: donna di grande fascino, cosmopolita e dalla raffinata eleganza orientale europea, che deve il grande successo soprattutto per le sue tante significative scappatelle libertine che regolarmente annotava nel suo diario.
Il Diario di Anais Nin, è il nome attribuito al corpus narrativo – letterario, dei suoi diari tenuti dalla scrittrice sin dal 1931 al 1964. Fu considerato una delle opere più importanti della scrittrice, conosciuta soprattutto per i suoi racconti erotici e per l’incontro con lo scrittore Henry Miller di origini americane e la moglie June Mansfield, avvenuto a Parigi. L’incontro segnò una svolta importantissima nella vita sentimentale e letteraria della scrittrice che fu attratta dal fascino geniale di Miller, che a Parigi trovò il suo (scandaloso“Tropico del Cancro” e il Tropico del Capricorno. Anais fu anche profondamente turbata dalla bellezza della ballerina June, giovanissima moglie di Miller. La storia del loro rocambolesco e inquietante triangolo, fu raccontata anche nel film del 1990 “Henry & June” tratto da Miller dal “Delta di Venere” di Anais Nin. Galeotto fu anche la tenera amicizia con la giovanissima June, moglie del suo amante, e con lei l’inquietante Anais inizia una specie di educazione erotico – sentimentale che la porterà a una decisiva maturazione personale e emotiva. Un mito e un poema allo stesso tempo, per la scrittrice che divenne famosa anche per i tanti capricci erotici, che lei viveva e descriveva con una naturalezza incredibile, ammettendo anche, che il sesso non prospera nella monotonia della coppia. Secondo lei, senza sentimento, invenzioni, stati d’animo, non ci sono molte sorprese fra le lenzuola degli amanti. Anais Nin scrive che il sesso deve essere innaffiato di lacrime, di risate, di parole, di promesse, scenate di gelosia, di tutte le spezie della paura, di viaggi all’estero, di facce nuove, di romanzi, di racconti, di sogni, di fantasia, di musica, di danza, di oppio e anche di vino”. Questa splendida citazione dell’autrice, ha lasciato un segno indelebile nella letteratura e nel cuore di milioni di lettori di diverse epoche e generazioni. Mai nessun uomo e neppure una donna avevano osato tanto, ma lei Anais, aveva molta classe, e trovava in ogni suo rapporto parole che mai erano state scritte, frasi come, “Si inarcava come un pitone, scattava in tutte le direzioni come se l’avessero bruciata o morsa”, percorse tutti i sensi. Mi scivolava addosso, come le note di un organo, facendomi vibrare, come corde di violino”. Il Delta di Venere libro edito dall’Editore Bompiani, in considerazione del tema trattato, suscita grande curiosità da parte di tanti lettori incuriositi dai diari di Anais Nin, incuriositi soprattutto le lettrici giovani donne e non solo, che sono alla ricerca di conoscere cosa voglia dire una libertà sessuale che da sempre, anche se, ostentata è sempre stata apprezzata dai grandi lettori, romanzieri e scrittori. Il diario racchiude molti racconti erotici importanti come: L’avventuriero ungherese, Matilde, L’Arabo, Artisti e Modelle, Il Basco e Bijou, la donna velata, Linda, Marcel, Elena, Pierre e tanti altri, usciti tutti dalla famosa penna di Anais Nin, commissionate a pagamento da un ricco e facoltoso Lord, collezionista, che si dilettava alla raccolta di racconti erotici. L’ultima parte dei racconti di Anais Nin, furono pubblicate nel 1977. Dalla prefazione del Delta di Venere, ho capito la ribellione di Anais Nin, una scrittrice, un' artista che non ha voluto rinunciare alla dimensione più poetica e femminile dell’eros.
Anais Nin all’età di 74 anni, muore a Los Angeles nel 1977Anais Nin & Il Delta di Venere.
Incominciai a interessarmi di Anais Nin, quando alcuni anni fa in un libro di antologia illustrata d’Arte e letteratura erotica, lessi un suo brano intitolato “Elena”,che mi ha molto incuriosito. In seguito mi capitò di leggere “Il Delta di Venere”. Grande imbarazzo, ma, nonostante tutto, lo lessi fino in fondo. Devo però anche ammettere che all’inizio ho saltato di leggere la prefazione. Consiglio comunque di leggere questo libro, per capire come mai una donna, una scrittrice come Anais Nin, abbia potuto scrivere tanto sull’erotismo, quasi porno.
Questo è il suo “Post Scriptum”. Ero già consapevole della differenza nel modo di trattare l’esperienza sessuale da parte dell’uomo e da parte della donna. Sapevo che c’era una grande disparità tra la chiarezza di Henry Miller e le mie ambiguità, tra la sua visione umoristica, rabelaisiana del sesso e la mia descrizione poetica delle relazioni sessuali nelle porzioni inedite del Diario. Come scrissi nel terzo volume del Diario, avevo l’impressione che il vaso di Pandora contenesse i misteri della sessualità femminile, così diversa da quella maschile, e per la quale il linguaggio dell’uomo era inadeguato. Le donne, mi pareva, erano più portate a fondere il sesso con l’emozione, con l’amore, e a scegliere un uomo piuttosto che stare con molti. Questo per me divenne evidente mentre scrivevo i romanzi e il Diario, e lo vidi ancor più chiaramente quando incominciai a insegnare. Ma, nonostante l’atteggiamento delle donne nei confronti del sesso fosse piuttosto diverso da quello degli uomini, noi donne non avevamo ancora imparato a scrivere sull’argomento. In questa collezione di racconti erotici, scrivevo per divertire, sotto pressione da parte di un cliente che mi chiedeva di “lasciar perdere la poesia”. E così mi pareva che il mio stile fosse un prodotto della lettura dei lavori maschili. Per questa ragione, per un lungo periodo ebbi la sensazione di essere venuta meno al mio io femminile, e misi da parte i racconti erotici. In molti passaggi avevo usato intuitivamente un linguaggio femminile, considerando l’esperienza sessuale dal punto di vista di una donna. Alla fine decisi di permettere la pubblicazione dei racconti perché mostrano i primi sforzi di una donna in un mondo che è stato di esclusivo dominio maschile.
Se la versione non purgata del Diario sarà mai pubblicata, questo punto di vista femminile verrà stabilito con maggiore chiarezza. Farà vedere come le donne (ed io, nel Diario) non abbiamo mai separato il sesso dal sentimento dall’amore per l’uomo come essere totale.
Loa Angeles – settembre 1976 < AnaÏs Nin >
Lasci perdere la poesia! Si concentri solo sul sesso, le ripeteva ogni volta quel facoltoso uomo d’affari gentiluomo (ma non troppo). Era l’anno 1940 quando il vecchio (era definito così dagli scrittori), che dietro compenso di 100 dollari al mese, le chiedeva di scrivere per lui, solo storie di sesso. E cosi Anais Nin accettò l’incarico passatole dal suo amante Henry Miller, che l'aveva a sua volta rifiutato poiché stanco di scrivere di erotismo (proprio lui che aveva già scritto “Il Tropico del Cancro). Fu così che Anais Nin, piena d’impegni affettivi compromessi che aveva nei confronti degli amici, problemi economici, accettò l’incarico. Iniziò subito a consultare libri, frequentare biblioteche, ascoltare avventure di amici, a studiare il Kama Sutra, e come lei stessa ha scritto, tutte le mattine, dopo la prima colazione, si sedeva a scrivere la sua dose di pornografia. Anais Nin era figlia di Joaquin Nin, un pianista e compositore di origine spagnole e di Rose Culmel, una cantante danese. Nasce in Francia a Neuilly - sur - Seine il 21 febbraio 1903.
Aveva undici anni quando il padre abbandonò lei, la madre e i fratelli. Un'occasione di grande dolore per una bambina sensibile che adorava il padre e che soffrì per molti anni del suo abbandono. La madre rimasta sola assieme ai figli, si trasferì a New York dove Anais, imparò a conoscere l’ambiente americano e dove da bambina ben presto smise di giocare con le bambole. Fu proprio a New York che Anais scrivendo una lunga lettera al padre che la abbandonò al suo destino, che lei ancora bambina inizia a scrivere il suo Diario e non smise mai di annotare giorno, dopo giorno, ogni sua emozione per tutta la sua vita, fino al giorno della sua morte.
(segue seconda parte).