di Martina Costa
“Tu non dici parole” il romanzo dell’autrice siciliana Simona Lo Iacono
Francisca è solo una piccola bambina quando viene affidata alla ruota degli esposti.
Bronte, corre l’anno 1638 e Francisca non ha un nome di battesimo, non ha un’età, non ha una casa. Nel cuore della sua innocenza e vulnerabilità, l'atto di rubare le parole, di appropriarsi di una lingua che non le appartiene, diventa il suo primo atto di autodifesa, un tentativo di sopravvivere alla brutalità e alla miseria che la circondano. Parole, parole, parole, cantava Mina. Parole, soltanto parole, che riescono a salvare Francisca dall’infelicità di vivere una vita che non sente di meritare. E con le parole arriva la bellezza, il mondo comincia a dipingere la vita con i suoi colori, e lei inizia finalmente a respirare. Così le ruba, queste parole, solo cento, anzi novantanove.
Le ruba durante le omelie della Messa, dalle pagine del Vangelo. Tutte in latino. E comincia, Francisca, a metterle in atto, senza conoscerne il significato, ma per sentire il riverbero della bellezza che il suono emana.
“Miserere, miserere, miserere”, e le parole hanno misericordia di Francisca, la aiutano, le permettono di scampare dalla morte violenta durante l’assedio per mano del Pilosa alla ruota delle esposte.
Si salva, Francisca, grazie alla “lingua dei ricchi” che le dona finalmente identità e dignità.
Purtroppo, quelle stesse parole saranno la sua condanna: Francisca sarà messa al rogo per mano della Santa Inquisizione. Lei che apre bocca solo per pronunciare le bellissime parole rubate che possono curare i cuori affranti, ora è definita “striga”, “figlia del demonio”. E così quelle parole che l’hanno salvata la condanneranno perché la loro ricchezza e il loro potere devono restare a chi da sempre comanda.
E giunge la morte, la Signora in Nero, silenziosa, lei che non dice parole, la centesima…
Il racconto di Francisca non è solo la sua storia, ma è il grido silenzioso di tutte le voci che sono state soffocate. Quante persone hanno pagato, stanno pagando o pagheranno sulla pelle il peso delle proprie parole? Bocche chiuse, zittite, con violenza, con l’emarginazione o con il silenzio imposto… quello che non dice parole.
Stefania Lo Iacono, autrice contemporanea siciliana, con una penna che scivola sulla carta, leggera, elegante e fluida e mai banale, ci ricorda, attraverso la storia di Francisca, il potere delle parole che possiedono in sé un potere immenso, tanto da potere elevare chi le pronuncia o distruggerlo.
Le parole possono liberare: pensiamo ai discorsi che hanno ispirato movimenti di cambiamento, ai poemi che hanno sollevato l’anima, alle dichiarazioni d'amore che hanno cambiato il corso di una vita. Le parole possono dar voce a chi è inascoltato, diventare il grido di chi è oppresso, l'invocazione di giustizia. Possono unire, raccogliere, e dare forza in momenti di debolezza. Sono la luce che squarcia il buio della solitudine, la chiave che apre porte altrimenti chiuse.
Ma le parole possono anche ferire: possono essere come lame affilate, in grado di penetrare nei cuori e nelle menti, lasciando cicatrici invisibili ma profonde.
Un’offesa, un malinteso, una promessa non mantenuta: parole che, come pietre, possono distruggere un legame, frantumare una vita, abbattere un sogno. Quando le parole vengono usate per mentire, per manipolare, per sminuire, perdono la loro bellezza e diventano armi di devastazione.
Ricordiamoci che ogni parola è una scelta, un atto di creazione o di distruzione. E non c'è modo di tornare indietro una volta che sono pronunciate o scritte: la loro forza agisce in noi e sugli altri, lasciando tracce che durano nel tempo.
Grazie a Simona Lo Iacono che con il suo romanzo d’esordio, “Tu non dici parole”, ha vinto nel 2009 il Premio Vittorini Opera Prima, rappresentando nella figura della protagonista la forza e la bellezza delle parole.
Per ricordarci che, se qualcuno cercherà di “non farci dire parole”, continueremo a parlare, a lottare e a farci sentire, perché la nostra voce è la nostra libertà!
