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di Michele Giacomantonio

Da lassù si spaziava sull'isola. Si scorgevano anche tutte le altre isole dell'arcipelago e spingendo lo sguardo, in quella bella giornata di maggio, si intravedevano anche le coste della Sicilia e della Calabria. Uno spettacolo da mozzare il fiato, lontano dai rumori, circondati dai colori vivi della natura ancora primaverile.
"È proprio bella Lipari, soprattutto da quassù", osservò la ragazza, indicando con un gesto ampio del braccio la cittadina adagiata nel pianoro vicino al mare, le colline circostanti, Vulcano sullo sfondo e poi – volgendo il capo – il bianco monte Pelato, Salina, Panarea e Stromboli.
"Sì, da quassù non si vedono i diversi guasti che sono stati recati all'ambiente, le brutture dei due porticcioli, lo scempio di alcuni tratti di Marina lunga...", commentò il vecchio con ironia.
"Non è che poi i guasti sono così gravi, in giro c'è di peggio. Vulcano ad esempio... – cercò di correggere la ragazza che qualche volta trovava eccessivo il pessimismo dell'anziano professore –. Piuttosto mi chiedo come mai posti così belli non abbiano generato anche anime splendide che si sono affermate divenendo famose..."
"Non sempre le anime splendide diventano famose. Per lo più rimangono nell'anonimato. È più facile che si impongano all'attenzione quelli che sanno apparire piuttosto che essere... Comunque, Lipari ha avuto un personaggio che ha saputo emergere a livello mondiale ed è nato proprio qui a poche centinaia di metri da Forgia Vecchia. Gli sono state dedicate strade, scuole non solo a Lipari, a Palermo, a Roma, ma anche in Brasile e in Perú".
"E chi è? Uno scrittore? Un poeta?".
"No. È una donna, una grande donna, una suora".
"Una suora?!".
"Sì, una suora. Se vuoi, te ne racconto la storia".
"Sarà madre Florenzia Profilio, so che qualche tempo fa è uscito un libro su di lei".
"Florenzia che ha svegliato l'aurora". È un libro scritto soprattutto sui documenti storici. Quella che voglio raccontare ora è, invece, una storia che va al di là dei documenti e delle testimonianze. È la storia della mia Florenzia, nel senso che ho cercato di ricostruire, con il cuore e la mente, anche momenti salienti della sua vita che non sono espressamente documentati.
"Quindi un racconto più libero ma sempre fondato e aderente alla realtà".
"Proprio così. Ho cercato di camminare lungo le linee certe della sua vita, riempiendo solo dei vuoti. Come quando un bambino colora un album: le figure sono tracciate e lui vi aggiunge solo i colori".

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LA GIOVINEZZA A LIPARI

Nella seconda metà dell'Ottocento a Pirrera, laggiù a est della chiesa, in quei terreni ai piedi del ripido sperone, viveva una famiglia di modesti contadini che, grazie al lavoro del padre, oltre a coltivare i campi e a produrre il vino e l'olio, aveva avviato un piccolo commercio. Infatti, il padre si recava spesso a Napoli, approfittando dei velieri di passaggio, per vendere il vino che produceva. Così la famiglia, che era diventata piuttosto numerosa, viveva, per quei tempi, una vita decorosa e serena.
Era la famiglia di Peppe Profilio, che nel 1881, quando voglio fare iniziare il racconto, aveva 50 anni. Papà Peppe era un gran lavoratore e, fino a quando ebbe salute, garantì alla famiglia, sempre in crescita, una discreta agiatezza come poteva essere quella di una famiglia di contadini di quel tempo. Oltre che un lavoratore, Giuseppe era un marito fedele e un padre affettuoso e aveva una particolare predilezione per Giovanna, la terza figlia, nella quale intravedeva un carattere forte e determinato. La moglie di Peppe era Nunziata, che di anni ne aveva dodici di meno, e poi vi erano quattro figli, dalla più grande Angelina, che però tutti chiamavano Rosa, e aveva 12 anni, fino ad Antonino chiamato Ninuzzo, il più piccolo, di solo 3 anni, gracile e malaticcio. I Profilio avevano avuto anche un altro figlio, il primo, che avevano chiamato Giuseppe come il papà, ma a poco più di un anno se l'era portato via una brutta malattia, e così il nome Giuseppe era passato a un altro fratellino, che era nato otto anni dopo la morte del primo.
Mamma Nunziata era una donna religiosa ma non bigotta, nel senso che sapeva armonizzare la pietà religiosa e i suoi doveri familiari che non trascurava mai. Era anche severa e persino rigida con i figli, e non tollerava disobbedienze. Questo non voleva dire che non fosse anche amorevole, ma il suo era un amore possessivo, geloso e forse, come vedremo, esclusivo.

Giovanna, è lei la protagonista della nostra storia, aveva a quel tempo 8 anni. Viveva la vita che si faceva nelle tranquille contrade di una Lipari, la cui cittadina capoluogo invece tranquilla non era perché ospitava una colonia di coatti, cioè di persone che si erano macchiate di reati comuni e per questo venivano mandate al confine. Più tardi al confine verranno mandate anche persone di tutt'altra educazione e formazione perseguitate per reati politici. Ma non erano queste persone il problema, il vero problema erano i <> che, ubriacandosi abitualmente, qualche volta lasciandosi andare ad azioni violente o molestando gli abitanti e soprattutto le donne, rappresentavano un fattore di turbativa, di grave degrado sociale e, per molti aspetti, anche un'emergenza igienico-sanitaria.
Nelle campagne, invece, la vita trascorreva serena, cadenzata dal ritmo delle stagioni. Si coltivava la terra, si accudiva al pollaio e agli animali domestici, come l'asino e qualche capra per il latte o un paio di pecore per la lana, una volta la settimana si impastava e infornava il pane e ogni tanto anche qualche dolce e, quando era il tempo, si pigiava l'uva per fare il vino e si spremevano le olive per ricavarne l'olio.
Giovanna, oltre a partecipare di questa vita, frequentava la scuola elementare. Tutti i lunedì mattina scendeva con le sorelle Angelina e Nunziatina da Pirrera a Lipari, a piedi, per un sentiero scosceso e sconnesso che, passando la Serra, a fianco della chiesetta della Madonna Assunta, l'accompagnava sino a Bagnomare e poi da lì, costeggiando la Marina San Nicolò, come si chiamava allora Marina Lunga, arrivava alla cittadina. Mezz'ora di strada a passo svelto a scendere, ma un'oretta buona a risalire il sabato dopo pranzo. E questo tutte le settimane, con qualsiasi tempo, col sole o con la pioggia e col vento.

Giovanna non amava molto la scuola non solo per la fatica che doveva sobbarcarsi tutte le settimane e per il fatto che a Lipari dovevano, tutt'e tre le sorelle, cavarsela da sole nella casa du strittu a Sena pressappoco dove oggi c'è la chiesetta del Pozzo, ma anche perché le cose che a scuola le insegnavano non la interessavano molto. Va bene imparare a scrivere e a leggere, va bene imparare a fare di conto, ma tutte quelle poesie da studiare che le sembravano un po' vuote e astruse, quelle letture francamente irreali, quei problemi assurdi, e non è che Giovanna fosse una ragazzina svogliata e pigra. Lei di interessi ne aveva tanti, ma non erano quelli che si affrontavano a scuola. Si stupiva di tutto quanto gli accadeva intorno e lo stupore la portava a farsi delle domande. Si stupiva che nel mese di marzo, al primo sole tiepido, i prati verdi si riempivano di fiorellini gialli che chiamavano "pratarole"; si stupiva e si entusiasmava a vedere i mandorli prima e i peschi poi mettere i fiori che annunciavano la primavera; aveva cominciato a stupirsi fin da bambina, quando da u bagghiu della sua casa osservava incantata il volo delle rondini, tutte in fila ordinate. 

Si soffermava a pensare come mai il mosto diventava vino, come mai il pane lievitasse, come sbocciavano i fiori e crescevano le piante, come nascevano gli animali domestici. Ecco, questo fatto che la natura si trasformava secondo una propria logica, un proprio disegno, dove sembrava che ogni cosa si collegasse a un'altra, l'affascinava. Sembrava un grande coro, più grande di quello che in chiesa organizzava il cappellano con le ragazze di Pirrera.

Nella natura ognuno faceva la sua parte senza stonare e non c'era bisogno che qualcuno intervenisse a richiamare chi se ne andava per i fatti propri. E Giovanna sapeva chi era a dirigere questo coro. Sapeva che era stato Dio a creare l'universo e a dare ad esso un ordine. Quando Giovanna pensava a Dio, lo vedeva come un signore molto lontano, là sulle nuvole. Più prossimi gli apparivano, invece, il suo figlio Gesù e la mamma di lui, la Madonna. Passava ore intere Giovanna a contemplare il quadro della Madonna degli angeli nella chiesetta di Pirrera e vi sarebbe rimasta anche più a lungo, se mamma Nunziata non l'avesse richiamata sgridandola, perché c'era tanto da fare in casa e, soprattutto, bisognava accudire al fratello più piccolo, Ninuzzo, che stava sempre male, mentre lei spariva, spesso, quasi per una mezza giornata.
"Dove sei stata?", le chiedeva un po' burbera mamma Nunziata.
"In chiesa", rispondeva quasi sempre Giovanna, "ho aiutato don Peppino a fare un po' di pulizia e a sistemare i fiori e, quando lui è andato via, mi sono seduta a guardare la Madonna".
"La Madonna sa che in casa c'è tanto bisogno e non è contenta, quando tu te ne stai lì seduta a correre dietro alle tue fantasie", concludeva la mamma.
Ma Giovanna non correva dietro fantasie. Da qualche tempo aveva intuito che il silenzio era importante per capire la natura non solo, ma che soprattutto Gesù e la Madonna nel silenzio parlavano. Il silenzio, per lei, era ascolto. Ascolto di un altro che esisteva anche se non lo vedevi. Un altro che voleva parlarti, ma che tu non sentivi perché avevi la testa piena di troppi pensieri, di troppe cose, cose tue spesso futili. Un altro che tentava di parlarti, ma tu non stavi a sentire.
Una volta suo padre gli aveva raccontato che ci sono suoni che sentono solo gli animali e non le persone. Glielo aveva detto uno scienziato che aveva incontrato in uno dei suoi viaggi. E a Giovanna, nella mente, improvvisamente si era dischiusa una porta.
Così aveva cominciato a pensare che forse anche Gesù e la Madonna cercavano di parlare con gli uomini, ma gli uomini non li sentivano perché il loro orecchio non li percepiva.
Più ci pensava Giovanna e più le sembrava che questo fosse possibile. E un giorno ne parlò a don Peppino. Don Peppino era un prete paziente e stette a sentire la bambina. Poi la guardò fisso e le disse con gli occhi che si erano fatti luminosi.
"Potrebbe essere. Anzi probabilmente è così. Di santi che sentivano la voce di Gesù e della Madonna ce ne sono diversi. Per esempio san Francesco, per esempio Giovanna d'Arco. A Lourdes, più di vent'anni fa, la Madonna è apparsa a Bernadette, una ragazzina di un paesino francese, e le ha parlato. Tu continua a parlare con Gesù e la Madonna e può darsi che un bel giorno essi ti rispondano. E poi, fra qualche mese, farai la prima comunione. In quell'occasione Gesù, comunque, parlerà al tuo cuore e forse... chissà, anche alle tue orecchie".
E così Giovanna si mise ad aspettare il giorno della prima comunione. Ora stava con le orecchie e il cuore aperto non solo in chiesa dinanzi al quadro della Madonna, ma in ogni momento della giornata che aveva libero. Ascoltava in silenzio e pregava. Pregava e ascoltava in silenzio. E allora sentiva intorno a sé una grande serenità, sparivano tutti i problemi e le preoccupazioni.
Così arrivò il giorno della prima comunione, una splendida mattina di maggio. Giovanna si recò in chiesa con i genitori, vestita del suo abitino bianco che già era servito alle sue sorelle e che la mamma le aveva adattato. E davanti alla chiesa aveva incontrato le altre bambine, tutte vestite di bianco, tutte eccitate per quella giornata di festa. C'era chi parlava dei regali che aveva ricevuto, chi del pranzo che a casa avevano preparato, ma Giovanna pensava all'incontro con Gesù. Le avrebbe finalmente parlato? Avrebbe sentito la sua voce? Ci aveva pensato tutta la sera precedente appena giunta a letto e aveva fatto fatica a prendere sonno. Ma poi il sonno era arrivato di botto.
La messa e le comunioni furono una bella funzione e don Peppino, alla predica, disse delle cose commoventi. Anzi, a un certo punto, le sembrò che si riferisse in particolare a lei quando soggiunse: "Parlate a Gesù e vedrete che egli vi risponderà".
Di ritorno a casa, mentre papà e mamma chiacchieravano con gli altri genitori, Giovanna prese in disparte Angelina, che era la sorella più grande e aveva già 12 anni.
"Gesù mi ha parlato, mentre facevo la comunione", le confidò Giovanna in un sussurro.
"Certo – le rispose la sorella –, Gesù parla sempre al nostro cuore".
"Io ho sentito la sua voce – insistette Giovanna –, come ora sento la tua".
"Ti ho detto che Gesù parla al cuore – ribatté la sorella con maggiore forza –, ma la sua voce non si sente".
"Ed io, invece, ti dico che l'ho sentita e mi diceva che, se io continuerò a parlargli, lui seguiterà a rispondermi", replicò Giovanna con altrettanta forza.
Angelina non se la sentì di ribattere. Era un po' strana quella sua sorella e spesso si fissava su delle cose. Così chiuse la conversazione con un suggerimento.
"Forse è meglio non dirlo troppo in giro, la gente potrebbe prenderti per pazza".
(Prima puntata continua)

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