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Il Centro “Sant’Óscar Romero”, nel quadro delle iniziative legate alla festa di Maria Santissima di Capo d’Orlando, si è fatto promotore di una nuova iniziativa ecumenica nella cittadina tirrenico-nebroidea. Infatti, giovedì 21 ottobre alle ore 17,30 presso la Chiesa di Santa Lucia del comune paladino (in via Consolare Antica 89/bis) il Reverendo Archimandrita Padre Alessio, nella vigilia della ricorrenza patronale, celebrerà l’Inno Acatisto in onore della Madre di Dio, bellissima espressione di quella fede dell’Oriente cristiano, un tempo comune in tutto il Valdemone, in cui furono allevati santi dei Nebrodi come San Cono di Naso, San Lorenzo di Frazzanò, san Nicolò Politi, san Luca di Demenna, insieme a tanti altri. Al termine dell’ufficiatura, il docente universitario Antonio Matasso terrà un breve intervento per ricordare il trentesimo anniversario dell’elezione del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Sua Santità Bartolomeo, alla cui giurisdizione appartiene lo stesso Archimandrita Alessio.

Sarà omaggiato, in particolare, l’impegno in favore dell’ecologia del capo spirituale della Chiesa ortodossa. In sala saranno presenti alcune copie del volume “L’ultimo romito”, di Diego Celi, Enzo Basso e Pino Privitera, con prefazione del professor Raffaele Manduca e postfazione di Susanna Valpreda, edito da Lithos e dedicato alla figura del celebrante, eremita a Santa Lucia del Mela nonché responsabile della parrocchia greco-ortodossa messinese. Di recente, all’Archimandrita Alessio è stato assegnato il Sacro Angelico abito monastico, considerato come la vetta del monachesimo orientale: un riconoscimento, conferitogli dal Metropolita ortodosso d’Italia Policarpo, che in Europa occidentale non veniva conferito da almeno cinque secoli. Il

professor Matasso ha più volte sottolineato, in diversi scritti, come «il rito orientale non sia un elemento esotico per i fedeli della zona tirrenico-nebroidea, dal momento che in tutta l’area il greco e la liturgia bizantina sono stati lungamente di casa, come elementi propri della popolazione locale: non a caso – ricorda l’accademico – i santi di Naso, Frazzanò, Demenna, Troina e degli altri paesi dei Nebrodi si esprimevano in greco e celebravano la liturgia bizantina, nata a Costantinopoli con il contributo determinante di San Giovanni Crisostomo». Chi desideri essere coinvolto in future attività ecumeniche, può contattare l’e-mail info@santoscar.it.

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La politica nella Comedia di Diego Celi

Prefazione di Enzo Basso

LITHOS Edizioni Castelvetrano

Nel tripudio di libri e testi che commemorano l’opera di Dante Alighieri, il Sommo Poeta, pochi hanno il pregio della chiarezza come La politica nella Comedia.
Diego Celi, da efficace divulgatore, in pochi e svelti capitoli, mette in luce il nervo scoperto dell’opera di Dante: il concetto alto di politica e la bassezza del tradimento mirato alla ricerca e alla conservazione del potere.In questo elastico morale, c’è tutta la statura dell’opera di Dante Alighieri che, esule per le città di Toscana ed Emilia, nelle sue Cantiche ci ha lasciato il lucido documento che indica la classifica dei vizi capitali e la pagella delle umane virtù.
Il pregio dell’opera è rappresentato dalla chiarezza espositiva di temi complessi e assai attuali. Dalla separazione dei poteri tra lo Stato e la Chiesa, la teoria dei due soli, per arrivare al nodo stesso della res publica, arte che non può essere amministrata senza la chiara tensione morale ed etica di chi si incarica di questo difficile compito.
Il breve saggio La politica nella Comedia andrebbe distribuito come una piccola Bibbia a quanti oggi popolano i Palazzi del Potere, senza avere chiara la responsabilità sociale della missione cui sono chiamati, antropologicamente tesi a riprodurre il loro mandato, ricalcando sistemi di clientelismo vecchi settecento anni.

Dalla Firenze del ’Trecento, con le lotte intestine tra Guelfi e Ghibellini, poco è cambiato nel panorama nazionale e nel libero arbitrio della politica. Prova ne sia il fatto che, a fare riscoprire Dante, sono stati, con diversi ruoli e funzioni, due comici.
Il primo, Roberto Benigni, davanti alle telecamere Rai – asciugandosi continuamente il volto con un fazzoletto, per il sudore – nel tentativo di fare comprendere la grandezza di Dante, ha avuto il pregio di snocciolare la bellezza dell’opera, la acuta analisi del ruolo degli ignavi, la portata storica di un poema, la Divina Commedia, che non ha eguali in tutto il panorama della letteratura mondiale, per costrutto e portata del messaggio.
Il secondo è un genovese, di nome Beppe Grillo, uno che ha fondato un movimento che ha a che fare con il firmamento stellare e la via lattea del populismo politico. Ha segnato lo smacco e la debolezza degli anticorpi politici, dimostrando come, con la cultura da Bar Sport del Vaffa… e la truffa aritmetica dell’uno vale uno, nella patria che fu anche di Niccolò Machiavelli, si possa assurgere a partito del trentatré per cento, per fare perdere poi credibilità alla speranza di cambiamento con una rappresentazione che trova i motivi più intimi nella Comedia umana di Dante; la funzione ridotta a finzione, il ghigno da opera buffa della politica, che ha conosciuto i primi mimi nel teatro di Sicilia e nella scuola siciliana di poeti come Cielo d’Alcamo. C’è nell’opera di Dante una architettura della vita che ricorda molto le cupole a volta di Brunelleschi, nella quale la bellezza di molti propositi si scontra con la cattiveria, l’invidia, la gelosia, il tradimento e perfino la golosità, che è grave quanto l’ingordigia degli uomini.Ma non si limita, Dante Alighieri, solo a denunciare i vizi e le empietà: ci dà una strada da seguire, la Retta Via, la rinascita possibile. Un percorso, ci indica, che si può raggiungere solo se l’uomo conosce se stesso, si batte per il bene pubblico e se sa scoprire dentro di sé la più grande delle virtù, quella della rinuncia ai vizi capitali.

Qui lo snodo: la separazione dei poteri e dei compiti. Il Papa e i vescovi, si occupino di religione; il monarca faccia il re, e lo faccia bene per il bene di tutti. Una visione illuministica, che viene dopo avere osservato l’azione di alcuni grandi condottieri; come Federico II di Svevia, uomo di origini nordiche, che aveva capito già allora la forza che viene dalla luce del Sud, terra dalla quale è partito per costruire l’impero.
Oggi tutti ricordano la suddivisione dell’Aldilà in tre categorie: l’Inferno, lambito dalle fiamme e dalle punizioni eterne, il Purgatorio, che è una dimensione mediana di chi si ritrova suo malgrado nelle terre di mezzo, infine la beatitudine del Paradiso.
Ma è contro gli Ignavi e i Traditori che Dante punta il suo dito. Quelli che fanno finta di niente, che seguono il vento, che sono disposti in un battibaleno a cambiare casacca e padrone.
Oggi non possiamo pensare in quale categoria Dante avrebbe inserito i cosidetti politici responsabili: hanno tradito sì, ma per un ideale maggiore, il bisogno di stabilità, non si capisce se politica, oppure dell’incarico parlamentare da loro ricoperto con i criteri della mobilità, senza il vincolo di mandato, che la Costituzione tradita assicura.
Non era diverso il principio seguito da un navigato toscanaccio come Dante, il giornalista Indro Montanelli. Quando lo chiamavano alle urne, dopo averne dette di tutti i colori ai democristiani della prima ora, beh, diceva che era meglio turarsi il naso e votare Democrazia Cristiana, male minore per gli elettori indecisi tra tanta mediocrità.
Ora, gli ultimi dati sull’affluenza alle urne in Francia indicano negli astensionisti il primo partito, come in Italia. Superano il 66% degli elettori aventi diritto. Si rinuncia ad andare a votare. Perché alla fine sul popolo francese, sceso in piazza con i gilet gialli, hanno trionfato due temi cari a due grandi letterati, la Peste di Albert Camus e la Nausea di Jean Paul Sartre. La peste l’abbiamo conosciuta ora con la nuova versione del Covid, la Nausea ci viene ogni qualvolta vediamo un telegiornale o leggiamo un giornale e ci rendiamo conto che dell’insegnamento e dell’esempio di Dante, pochi hanno fatto tesoro.
Per questo, La politica nella Comedia, andrebbe regalato ai politici. Ancora questo scritto evidenzia una profonda conoscenza del pensiero politico di Dante e manifesta una profonda tensione civile.

L’espressione sindrome rancorosa del beneficato nella descrizione del tradimento politico, è geniale non solo linguisticamente ma sopratutto da un punto di vista morale e psicanalitico: stimolo per una profonda riflessione su rapporto elettori-eletti e sul concetto manipolato di responsabilità politica. Per questo ritengo, che gli attuali 946 parlamentari nazionali e i 70 parlamentari della Regione Sicilia, dovrebbero leggere questo saggio con attenzione.
A distanza di settecento anni, il pensiero politico di Dante appare vivo ed attuale e ci indica la via per uscire dal pantano melmoso nel quale questa diciottesima legislatura è sprofondata. Né il rimpianto per la Prima Repubblica può essere considerato una bestemmia, se analizziamo con animo sgombro da pregiudizi ideologici le epiche gesta dei nuovi marziani atterrati a Roma!

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