mgiacomantonio1di Michele Giacomantonio

Salina e la Società Eolia di navigazione

 

Una borghesia vivace e intraprendente

Nel primo dopoguerra a Salina, grazie alle rimesse degli emigrati, fa la comparsa una banca. E’ la Cassa di risparmio Vittorio Emanuele per le provincia siciliane che apre  uno sportello a Santa Marina. Qualche anno dopo, nel 1920, nasce la Società anonima cooperativa di produzione e lavoro “Santa Marina” che diventa la più importante impresa di costruzione dell’arcipelago. La gran parte delle opere pubbliche dell’isola le vengono affidate e non sono poche  fra difese degli abitati, costruzione di banchine, e realizzazione della rotabile S. Marina- Lingua. Ma le opere pubbliche non sono che il volano capace di attirare anche investimenti privati. Così nell’arco di cinque anni l’impresa si consolida e da lavoro stabilmente a cinquanta dipendenti.

Ora i momenti della crisi sembrano veramente lontani e l’isola vive un momento di grande euforia che traspare nei discorsi ufficiali e nelle celebrazioni che accolgono la venuta nell’isola di Umberto di Savoia, principe di Piemonte, il 22 agosto del 1923. A fare gli onori di casa al  principe è il prof. Giuseppe d’Arrigo, clinico napoletano conosciuto a corte ed amico del colonnello Giuseppe Giuffré uno dei personaggi più in vista di Salina.

Il 30 novembre dello stesso anno – con circa tre anni di anticipo su Lipari -  a S. Marina si inaugura la prima centrale elettrica delle Eolie. Si tratta di  un regalo di Antonio Traina emigrato a New York a cui i salinari dedicano una lapide marmorea. Ma è l’occasione per spingere lo sguardo oltre l’orizzonte. E nei discorsi celebrativi si parla di riprendere le vie del mare in cui gli abitanti di Salina si sono distinti.

La cerimonia della targa ad Antonio Traina che ha donato una centralina elettrica: la prima nelle Eolie.

Forse è qualcosa di più di un auspicio e può darsi che chi parla sappia che qualcosa sta maturando in questo settore. Infatti poche settimane prima Gaetano de Luca, Carmelo Biscotto e Giuseppe Arena erano sbarcati a Napoli con una nave acquistata a Marsiglia di 273 tonn. di stazza lorda abilitata a trasportare 150 passeggeri d’estate e 62 d’inverno. Il 20 ottobre immatricolano il vapore in Italia col nome “Vulcano”. E’ il primo nucleo di un progetto che diventa subito  ambizioso: costituire una società che gestisca tutti i servizi di collegamento da e per le Eolie.

Ma per fare questo bisogna avere entrature nel governo a cui spetta decidere sulle convenzioni marittime. E come arrivarci? Il pensiero corre subito a mons. Paino, satamaritano e figlio di santamaritani, che  da poco è divenuto arcivescovo di Messina ed è in buona sintonia con il regime. A mons. Paino gli parlano del progetto il col. Giuffrè ed il cugino del prelato, Salvatore Re, l’estate, quando il vescovo torna a casa in vacanza. Ed al primo incontro ne seguono altri ai quali prenderà parte anche l’ammiraglio Luigi Rizzo, nativo di Milazzo, medaglia d’oro al valore e, nel 1918, con d’Annunzio e Ciano, protagonista della cosiddetta “beffa di Buccari”. E proprio Luigi Rizzo sembra la persona più indicata per caldeggiare il progetto a Galeazzo Ciano che è ministro della marina mercantile.

A sinistra, Mons. Paino con i maggiori azionisti della Eolia. A destra, l'amm. Luigi Rizzo.

Verso la nascita di una società di navigazione

Avuto un consenso di massima, mentre si segue a Roma presso il Ministero la trafila per la concessione, si cominciano a raccogliere i fondi per costituire la società. E quando il 3 novembre 1925 vengono firmate le concessioni con il Ministero ed il 9 dicembre viene pubblicato il decreto che ufficializza la concessione, nulla più si frappone alla sua costituzione.

Così, quattro giorni prima di Natale, nella casa di Bartolo Giuffré, uno dei promotori e dirigenti della cooperativa di produzione e lavoro, davanti al notaio, ben sessantadue soci sottoscrivono l’atto costitutivo della Società Eolia Anonima di Navigazione la solennità del momento è sottolineata anche da un espediente scenico. Il col. Giuffrè tira una cordicella e dal soffitto scende un grande telo con lo stendardo della nuova società: una ancora che incrocia la bandiera della Trinacria con sette stelle contornata da un ovale con il nome della impresa. L’ammiraglio Rizzo viene nominato per acclamazione presidente della Società.

La bandiera della Società Eolia di Navigazione

Costituita la società al piroscafo “Vulcano” si aggiungono l’”Adele”, il “Flora” e l’”Etna” che vengono acquistati.

 

A sinistra in alto il piroscafo Adele e a destra il piroscafo Flora. Qui sopra l'Etna.

Ora l’Eolia ha una sua flotta è può iniziare il servizio mentre vicino agli approdi delle isole, a Napoli e Messina si aprono le agenzie di riferimento. Toccherà all’Adele inaugurare i servizi il primo gennaio 1926 portando a Santa Marina l’amm. Luigi Rizzo.

Nella compagnia l’entusiasmo è alle stelle e dopo appena cinque mesi di attività – il 6 giugno 1926 – un’assemblea dei soci convocata nella nuova sede in via Risorgimento a S. Marina Salina, decide di  raddoppiare il capitale sociale e  di potenziare la flotta facendo costruire tre nuovi piroscafi. Il raddoppio del capitale pone un problema che peserà sul futuro della società anche negli anni a seguire. Dove collocare le nuove azioni? Rivolgersi al più ampio mercato col rischio di farsi sottrarre il controllo della società o limitare la sottoscrizione alle sole famiglie di Salina magari coinvolgendo quelle che sono emigrate? Così la campagna promozionale per la collocazione delle nuove azioni procede a rilento mentre incalza l’esigenza di attuare il piano di armamento. E mentre si ottiene dal Consorzio Governativo di credito un prestito di oltre 5 milioni, nel marzo del 1927 i cantieri di Palermo ricevono la commessa del primo piroscafo.

Si crea comunque un deficit di bilancio che si cerca di coprire vendendo nuove azioni. Il 28 aprile 1928 in una lettera circolare ai nuovi azionisti si fa il punto della situazione: occorre arrivare in fretta a completare la sottoscrizione di tre milioni di capitali per cui si invita chi è già socio ad acquistare almeno una azione a testa, ed a farsi propagandista della “bella iniziativa con i vostri congiunti ed amici sia in patria che all’estero perché sottoscrivano con voi”. Nel procurare nuovi soci  si raccomanda però “che essi siano tutti Eoliani, affinché questo potente organismo abbia sempre più a sviluppare la propria benefica attività, particolarmente a vantaggio della laboriosa famiglia eoliana[1]”.

Santamarina, primo piroscafo dell'Eolia

Il Santamarina

Il 19 novembre del 1928 viene varato a Palermo il primo piroscafo interamente nuovo della compagnia che viene battezzato “Santamarina”. L’entusiasmo nell’isola è alle stelle. In un elegante opuscolo il col. Giuffrè descrive le caratteristiche di questo modernissimo naviglio che ha una stazza lorda di 762 tonnellate ed una portata di carico nelle stive per 450 ton. I motori sono  dotati della potenza  di 1.080 cavalli capaci di imprimere alla nave una velocità oraria di 14 miglia. “Le cabine di prima classe e il relativo salone, al centro del piroscafo, offrono al passeggero tutto il confort per rendere piacevole il viaggio. Le due cabine di lusso, con annesso salotto sul ponte di passeggiata, sono arredate con signorile eleganza. Complessivamente i posti di classe superiore con letti sono 50. La terza classe è situata a poppa. Ha una comoda saletta, una passeggiata, cabine da 4 e 6 posti, per un totale di 36 letti, con reparto separato per le donne. Anche i meno abbienti possono, così, godere delle comodità necessarie. Una biblioteca di 80 volumi è stata offerta, con geniale, civilissima iniziativa, dal comitato di signore e signorine sorto in Santa Marina, che ha pure donato la bandiera sociale ricamata con volontarie offerte”.

 

 

Alcuni interni delle cabine e dei soggiorni del Santamarina

Sembra che lo sviluppo della società non debba mai arrestarsi. Non si é ancora spento il clamore per il Santamarina che il 7 ottobre del 1929 il quindicinale “Risveglio eoliano” annuncia che ad Ancona è stato varato il “Luigi Rizzo” piroscafo quasi gemello del Santamarina.

Aumenta l’esposizione economica e la passività di Bilancio mentre ancora non tutti i 3 milioni di capitale risultano coperti. I soci di minoranza che, si dice, siano sostenuti da gruppi finanziari del nord, scalpitano per acquistare loro le azioni rimanenti ma i soci di maggioranza resistono. La gestione del primo quinquennio degli anni trenta da risultati positivi e così si decide di completare il piano di armamento ed il 16 febbraio del 1936 da Palermo viene varato il terzo piroscafo chiamato “Eolo” che ha una stazza lorda di 703,84 tonn.

I buoni risultati della gestione e il mantenimento del piano hanno un effetto tonico sull’immagine dell’Eolia e la domanda di acquisto di azioni si intensifica. Il cav. Giovanni Alberto Giuffrè che ora rappresenta la maggioranza della compagnia dopo la morte del colonnello Giuffrè avvenuta il 10 maggio 1936, può eludere molte richieste di acquisto ma non  quelle dell’amm. Luigi Rizzo che non vuole continuare a svolgere solo una funzione onorifica ma desidera divenire anche lui azionista.

Ma quando nell’assemblea dei soci del 27 settembre 1937 la minoranza scopre che sono state cedute quote a Rizzo e altri ma è stata ignorata la sua precedente offerta contesta l’operato. Per tutta risposta la maggioranza fa votare dall’Assemblea una risoluzione che abbassa il capitale sociale a quota 2.300.000 cioè la quota sottoscritta. La minoranza si rivolge allora al Tribunale di Messina che però nel maggio del 1939 respinge il ricorso.

Nel 1938 il Santamarina partecipa alla produzione di un film “Traversata nera” della Sovrana film che ha fra i protagonisti anche Primo Carnera. Il film non ha successo ma la Società è soddisfatta ugualmente per avere mostrato a livello nazionale i lussuosi arredi della sua nave ammiraglia. Comunque a Salina nessuno vedrà il film perché non esistono sale cinematografiche.

    

In alto, una locandina del film e qui sopra Primo Carnera circondato da altri attori e fans.

La società della Malvasia

Ma Salina non vive solo per la Società Eolia. A metà degli anni 30 ha ripreso il commercio della malvasia e se ne spediscono 400 ettolitri. Ben poca cosa rispetto ai 3.700 hl degli anni 80 del precedente secolo, ma comunque un bel risultato se paragonato ai 50 hl degli anni 20.

L’11 gennaio 1930 era uscita una legge, la n.62,  che dava la possibilità di creare consorzi per la difesa dei vini tipici. E un paio di mesi dopo si incontrano  alla sede dell’ Eolia i principali produttori di malvasia di Salina e Stromboli. Dopo una scaramuccia sul nome giacchè diversi salinari non sono convinti di dover mantenere il toponimo Lipari,  si decide di chiamare il prodotto sulle etichette Malvasia delle Lipari.

Il compito di costituire il Consorzio viene dato ad una commissione interisole che però é troppo ampia ed un anno dopo non si è ancora riunita una volta. Lo costatano i produttori di Santa Marina che si sono autoconvocati e decidono di andare avanti senza perdere altro tempo. Ma le pastoie burocratiche sono notevoli e passeranno anni per avere il riconoscimento del nome che verrà sancito nel 1942 con decreto ministeriale del 23 settembre. Nell’immediato nasce una impresa denominata “Società della Malvasia”, ad opera di Nino Lo Schiavo, Giuseppe Re e Giuseppe Giuffré per l’imbottigliamento, l’etichettamento e la commercializzazione del prodotto. E nel 1939 la società riesce  a rilevare dai produttori 9.600 litri pari a circa il 50% della produzione dell’anno.

A sinistra Nino Lo Schiavo e a destra l'indimenticabile prima etichetta della Malvasia delleLipari.

Sull’esempio della “Società della Malvasia” sorgono altre iniziative a Santa Marina e a Malfa con centri di smistamento a Messina o Napoli.

La vitalità dei commerci stimola anche iniziative nei trasporti marittimi e nel 1938 il patron Salvatore Cincotta a Malfa mette in mare un nuovissimo motoveliero, il “San Lorenzo”, che  vuole riproporre l’attività mercantile come avveniva un tempo.

Il triste epilogo della società Eolia

Intano però a frenare e bloccare i sogni di gloria arriva la seconda guerra mondiale. Ed è l’Eolia a farne le spese. Nel novembre del 1940 la marina militare requisisce l’Eolo e lo spedisce nel mare Egeo: tornerà nell’arcipelago solo a febbraio del 1948. Dopo poche settimane viene requisito anche il Vulcano  che verrà affondato a Tobruck. Il 9 maggio del 1943 – come vedremo più avanti – viene silurato il Santamarina a largo di Vulcano ed affonderà con 43 vittime. Infine il 19 settembre dello stesso anno nello Stretto di Messina, il Luigi Rizzo ha una collisione ed affonda.

Il consiglio di amministrazione presieduto da Salvatore Re cerca di reagire a questa incredibile successione negativa riattivando i servizi attraverso piccoli motovelieri  e noleggiando il piroscafo Nesazio. Ma i traffici si sono molto ridotti. In più si aggiunge nell’estate del 1945 un drammatico incendio nel versante est dell’isola e quando, in autunno giungeranno alluvioni e frane verrà spazzata via i tre quinti delle proprietà coltivate a S. Marina. Si va avanti in qualche modo noleggiando altri piroscafi all’esterno – come il Pola e il Rismondo – o indebitandosi nel recupero del Luigi Rizzo e questo facendo leva su sovvenzioni e contributi governativi. Ma lo scenario rimane cupo. Di questa situazione di incertezza ne approfitta il dott. Francesco Santisi nativo di Scaletta Zanchea che tornato da Boston dopo un certo periodo in cui aveva insegnato inglese nelle scuole di Mesina si era impiegato alla Eolia dove nel 1944 era divenuto procuratore generale del gruppo con l’incarico di curare la liquidazione dei danni di guerra.

Dott. Francesco Santisi

Con lo sbarco degli alleati aveva collaborato col comando ed aveva cercato di recuperare il piroscafo Eolo guadagnando considerazione e prestigio nella società. Quando Gaetano de Luca diventa Amministratore delegato il Santisi stringe una alleanza di ferro con lui mentre prende a coltivare i rapporti politici con l’on. Gaetano Martino, deputato liberale di Messina. Ed è grazie a questo appoggio che tra la fine del 1947 ed i primi del 1948 riesce ad ottenere un primo contributo governativo straordinario per coprire le spese del recupero del Luigi Rizzo. Infine il 30 giugno del 1949 viene eletto Amministratore delegato della Società e poi anche presidente del Consiglio d’Amministrazione e presidente dell’Assemblea. Quando nel 1949 muore il suo socio De Luca riesce a farsi cedere la sua quota azionaria.  Ma è una situazione abbastanza delicata  perché è vivace l’opposizione dei salinari che gli rimproverano soprattutto il fatto di avere spostato la sede del la Società da S. Marina a Messina.

L’11 febbraio del 1952  giunge la legge n. 74 che autorizza la rivalutazione delle azioni fino a quaranta volte il valore nominale. Ed è facendo leva su di essa che Santisi  punta ad acquisire la grande maggioranza delle azioni e contemporaneamente  chiudere l’Eolia le cui convenzioni sono in scadenza. Santisi si allea con l’armatore liparese Giovanni La Cava, costituiscono una nuova società regolarmente iscritta all’Albo delle imprese mercantili e decidono di partecipare alla gara per acquisire le nuove concessioni. Alla gara partecipano anche la Navigazione Generale Italiana (N.G.I.) che ha come principale azionista Bartolino La Cava che è cugino di Giovanni e come presidente l’on. Stagno d’Alcontres, e la Compagnia Siciliana Marittima Navisarma con sede a Palermo e Trapani. La società di Santisi e La Cava viene esclusa dalla competizione perché incredibilmente Giovanni La Cava si  dimentica, malgrado se ne fosse assunto il compito, di versare la cauzione prevista; la NGI viene esclusa perché il suo presidente è un parlamentare e questo è incompatibile col bando e la gara la vincerà la Navisarma. Si chiude così la gloriosa e sofferta pagina dell’Eolia forse la più importante società promossa nell’arcipelago.(Archivio Storico Eoliano.it)



[1] M. Saija e A. Cervellera, Mercanti di mare, op. cit., pag. 221. Tutto questo paragrafo è ispirato a questo lavoro facendo riferimento, in particolare, alle pp. 201- 250.

Il fascismo combattente fra propaganda e sfilate

 

Le polemiche sulla fuga

Il 24 marzo del 1929 il fascismo volle la prova di forza delle “elezioni plebiscitarie” cioè quelle che dovevano essere un plebiscito per il regime. Anche a Lipari, come nel resto d’Italia esse furono celebrate in maniera , annota Lussu, “silenziose, ma solenni”.

“Al comizio del ‘gerarca’ venuto appositamente da Messina, prese parte poca gente, ma alle elezioni intervennero tutti. Lipari ha molti abitanti emigrati nell’Australia e nel Canadà: votarono anche quelli. Purtroppo negli ultimi anni, parecchi elettori erano morti. Anch’essi votarono. Immaginiamoci i viventi! Inquadrati da militi e da agenti, in varie colonne raggiunsero le urne. Allo scrutinio dei voti, si trovò che il numero degli elettori iscritto alle liste era stato superato di tre. La vitalità del Regime è innegabile[1].

Il sarcasmo di Lussu scolpisce duramente la tracotanza di un regime tutto teso ad apparire al di là della realtà. Ci furono più votanti degli aventi diritto e …”per una settimana non si parlò d’altro”.  Certamente fra i confinati ma forse anche fra molti isolani che, al di là dell’unità e della compattezza formale, covavano molti risentimenti e rancori.

Questo evento diede la stura a tutta una serie di denunce anonime ed alcune anche con tanto di firma come quelle a nome di Giovanni Caputo e di Giovanni Natoli dirette a contestare il comportamento delle “autorità” locali  prima e durante la fuga.

Un gruppo di confinati in un momento di svago.

“Nessun servizio di sorveglianza è stato mai fatto per mare, - scrive Giovanni Caputo direttamente a Mussolini il 30 luglio - i mezzi a disposizioni dell’Autorità ad altro non sono serviti che a fare delle più o meno lunghe gite per le isole, a cui prendevano parte talvolta anche dei privati dove non mancava l’elemento femminile, ed a fare da spoletta tra Lipari e Canneto per accompagnare e poi rilevare il Ragioniere Salvatore Saltalamacchia, mentre il personale di marina addetto ai motoscafi passava il tempo a fare baldoria negli alloggiamenti appositamente costruiti a porto Pignataro con donne più o meno equivoche. Qualora si dovessero interrogare i testi, si tenga presente che questi possono essere facilmente distolti per opera del signor Fiorentino Antonino uno dei facenti parte della comitiva delle gite di piacere[2]

Sempre di gite di piacere  parla in una lettera al prefetto di Messina del 29 luglio Giovanni Natoli, ma allarga il numero dei festaioli citando il Commissario di P.S., il Podestà, il Procuratore delle Imposte e del Registro, il Pretore, gli Ufficiali della Milizia, i Marescialli della P.S. e  dei carabinieri, il medico della colonia, il prete di S. Pietro, il direttore dell’Azienda elettrica sig. Zagami Bartolo, il capo dei sindacati sig. Fiorentino Antonino e spesso i vari membri delle relative famiglie, donne e uomini grandi e piccoli. Uno sperpero di benzina per gite a Salina, Vulcano e altrove[3]. E sono diversi a riferire il fatto che quel 27 sera mentre i confinati fuggivano le autorità si intrattenevano in baldoria fra i liquori e i rinfreschi ai tavoli del caffè di Marina corta.

Una lettera anonima del 31 luglio indirizzata direttamente a Mussolini va oltre la critica di  leggerezza e avventatezza e vuole vederci un atto proditorio: “Lussu, Nitti e il Prof. Rosselli seppero approfittare della odiosità contro V.E. del Saltalamacchia e del Fiorentino perché l’E.V. li ha revocati accorgendosi che han rubato in nome del Fascismo, e della loro posizione economica scossa e li hanno corrotti con denaro. E i tre funzionari pare siano stati complici necessarii perché troppo legati a Saltalamacchia e Fiorentino da complicità precedenti… Ecco il Fascismo di Saltalamacchia e Fiorentino, di Lipari e dei Funzionari. Chi scrive teme ancora il comm. Cannata e non può firmare![4].

Ci fu corruzione e connivenza nelle autorità locali? Carlo Rosselli lo esclude e probabilmente è vero.  Ma due cose giocarono a favore dei fuggitivi: l’eccessiva sicurezza nelle misure adottate e la rilassatezza che c’era in molti verso un compito di vigilanza che riservava più frustrazioni che ricompense. Quanto alla gente di Lipari il caso di Edoardo Bongiorno era più unico che raro mentre la grande parte della popolazione viveva il fascismo in maniera conformistica senza eccessivi trasporti anzi diffidando da quegli esagitati in camicia nera che si lasciavano andare a esternazioni chiassose ed anche ad atti di violenza nei confronti di gente inerme.  Vi era poi la classe dirigente formata da professionisti e gente in vista, apparentemente tutta votata al regime ma traversata da mille sospetti e grandi antipatie che li rendeva pronti – come abbiamo visto –a farsi le scarpe reciprocamente.

Fra propaganda e sfilate

Comunque gli anni trenta sono per Lipari quelli del consenso generale cadenzato prima dalle grandi opere come la bonifica delle paludi pontine e dalle grandi imprese di trasvolo dell’Atlantico e poi dalle imprese belliche che fecero scivolare via via l’Italia verso il disastro della seconda guerra mondiale mentre si sfilava per le strade in occasione delle ricorrenze patriottiche: i militi in camicia nera, i bambini vestiti da “balilla” e le “piccole italiane” con la camiciola bianca, accompagnati dai maestri. Militi, balilla, piccole italiane ed anche i personaggi più in vista del partito ogni sabato pomeriggio erano impegnati al campo sportivo nei saggi ginnici al suono delle musiche di regime e con cori dedicati alla Patria e al “Duce”. Il giovedì suonava in piazza la banda della milizia e la domenica quella cittadina.

Che sapeva Lipari del fascismo? Quello che dicevano i Giornali Luce che erano veri e propri documentari di propaganda fascista ed fornivano le uniche immagini che giungevano dall’Italia e dal mondo e venivano proiettati al cinema  Eolo, che si era aperto nel 1932, prima delle pellicole. In quegli anni arrivò anche  la radio ed il suo uso di massa.

L’ascolto collettivo nelle scuole elementari iniziò il 19 Aprile 1933. “L’ ERR costituito dal governo fascista – diceva il discorso inaugurale - si propone di far giungere a tutte le scuole l’eco degli avvenimenti più notevoli e delle creazioni più geniali della vita nazionale. … Voi, fanciulli d’Italia… sentirete la soddisfazione di servire l’Italia, di obbedire all’alto e sublime comando del Re e del Duce “.

Sui muri delle case di Lipari e di Canneto cominciarono a comparire scritte riprese dai discorsi di Mussolini sempre più di carattere guerresco, come :” Libro e moschetto, fascista perfetto”, “Noi sogniamo l’Italia romana”, “Molti nemici molto onore”,”E’ l’aratro che traccia il solco e la spada che lo difende”, “Credere, obbedire, combattere”,”Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se muoio vendicatemi”.

Allora la strada elegante di Lipari era ancora via Garibaldi dove c’erano il bar Eolo, l’edicola del vecchio Belletti, il negozio Bosco di stoffe e indumenti, il negozio Tonelli, il piccolo bazar Biancheri, la gioielleria Cappa, la calzoleria Perdichizzi, la cartoleria Andrioli, il ristorante Paino[5].

Agli inizi degli anni trenta, alcuni imprenditori genovesi, i Tissoni per esempio, impiantarono a Lipari una industria di conservazione ed esportazione di pesce a cominciare dalle “ciciredda” ma con la guerra l’esperienza finì. Quanto alle scuole oltre alle elementari vi erano i tre anni della complementare. La maggior parte dei ragazzi andavano a bottega o facevano gli apprendisti dal barbiere, dal calzolaio, dai falegname, dal fabbro. Per le strade ogni tanto si vedeva girare, annunciandosi a voce alta, l’arrotino, l’ombrellaio il riparatore di giarre e bauna di terracotta.

Chiesa patriottica e clima dell'impero

Della guerra in Etiopia che fu un grande disastro e dove gli italiani si macchiarono di crimini vergognosi a Lipari non si sapeva niente, se non che si combatteva per fare più grande la Patria e ricostruire l’Impero. Così tutti canticchiavano le canzonette “Faccetta nera, bella abissina/ aspetta e spera che già l’ora si avvicina” , oppure “Io ti saluto: vado in Abissinia/ cara Virginia, ma ritornerò”. E poi ascoltarono alla radio l’annuncio il 9 maggio 1936 della fondazione dell’impero. Intanto qualche mese prima anche a Lipari come in tutta Italia fu raccolto l’oro della Patria. Per rispondere alle “inique sanzioni” che erano state applicate al nostro paese per l’invasione dell’Etiopia, il regime pensò di coinvolgere la gente minuta chiedendo di cedere i pochi ori che avevano a cominciare dalla “fede nunziale”. E di questa raccolta si fece attivo promotore il Vescovo presso parroci e fedeli. Ed è ancora il Vescovo nelle Eolie a farsi promotore verso la gente per “la battaglia del grano” anzi mons. Re era il 9 gennaio 1938 fra i cento vescovi e 2400 parroci che a Roma recarono corone alla tomba del Milite Ignoto e poi nella Sala regia di Palazzo Venezia dedicarono a Mussolini una lunga ovazione. Tornato a Lipari volle dare lui stesso l’esempio incrementando la produzione nel terreno vescovile che si chiama la Chiusa ed è sopra Pianoconte. Per queste iniziative “patriottiche “ il vescovo si trovava a fianco il canonico Giovanni Barresi.

Mons. Re ad una manifestazione

E dopo l’Etiopia dove gli italiani andavano a portare la “civiltà”, arrivava la Spagna dove si andava a combattere contro “i comunisti” e per conquistare il governo per Francisco Franco e il franchismo. Ancora il 21 ottobre del 1936 si apprende dalla radio che l’Italia si è alleata con la Germania e questa alleanza si chiama “Asse Roma –Berlino”. Nell’aprile del 1939 l’Italia occupa l’Albania e la gente apprende che Vittorio Emanuele III ora si chiama re d’Italia e di Albania ed imperatore di Abissinia. Ma erano eventi lontani che la gente seguiva con relativo distacco anche se i più avvertiti comprendevano che ci si stava avviando a marce forzate verso un’altra guerra mondiale. Nel popolo invece più attenzione richiamavano le prime macchine che sbarcarono a Lipari e cominciarono a girare per le strade: una Alfa Romeo, una Topolino, una motocicletta e un autobus per un servizio di trasporto pubblico che durò poco tempo.

Quando nel giugno del 1929 viene revocato il podestà Salvatore Saltalamacchia al Comune si susseguono una decina di Commissari [6]che non durano mai più di un anno salvo il dott. Giacomo Furia che amministrerà dal 16 settembre 1930 al 12 dicembre 1935  e si devono al suo impegno una serie di opere pubbliche come il basolato di via Umberto, la mattonatura di Piazza Ugo di Sant’Onofrio, la ristrutturazione del muro del cimitero di Lipari con la realizzazione di una sontuoso cancello di ingresso; l’ampliamento di via S. Lucia e di via Diana.

Ma più dei commissari, regi o prefettizi che fossero, che andavano e venivano, un ruolo importante lo svolgevano a Lipari i segretari del partito che giravano per le strade sfoggiando la loro camicia nera, il fez e gli stivaloni di cuoio. Dopo Antonio Parasiliti che era di Tortorici e fu segretario per un anno nel 1926, toccò a Salvatore Saltalamacchia dal 1927 al 1928, poi a Pietro Morsillo dal 1928 al 1929, quindi a Francesco Vitale detto Checchino dal 1929 al 1933, a Bartolo Zagami il proprietario della SEL dal 1933 al 1936, ancora a Bartolo Zagami dal 1936 al 1942 e di nuovo a Vitale nel 1943 l’anno in cui a Lipari arrivarono gli inglesi.[7]



[1] L. Di Vito e M. Gialdroni, op. cit., pag. 236.

[2] Idem, pag. 269.

[3] Idem. Pag. 239.

[4] Idem, pag. 302.

[5] R. De Pasquale, Il mio tempo, Lipari 1990, pag. 24.

[6] Dal 6 luglio 1929 al 5 settembre 1930 ci sarà il cav. Antonio Brunelli, commissario prefettizio; dal 6 settembre 1930 al  16 dicembre 1933 il dott. Giacomo Furia prima come commissario prefettizio e poi come regio podestà;  dal 28 dicembre 1933 al 21 gennaio 1934  Antonio David come commissario prefettizio;  dal 29 gennaio 1934 al 18 dicembre 1935 di nuovo il dott. Furia  come regio podestà;  dal 29 dicembre  1935 all’11 febbraio 1940 il dott. Riccardo Rickards prima come  commissario prefettizio e poi come regio podestà;  da febbraio a luglio del 1940 il rag. Nazareno Saya come commissario prefettizio; dal 15 luglio 1940 al 20 giugno 1941 Bartolo Carnevale prima come vice commissario prefettizio e poi come commissario prefettizio; dal 9 al 28 settembre 1941 il dott. Roberto Siragusa come commissario prefettizio, dal 29 settembre 1941 al 30 gennaio 1942 il notar Giovanni Paino, come vice commissario prefettizio; dal 31 gennaio al 28 ottobre 1942 l’avv. Giuseppe Barreca come commissario prefettizio, dal 29 ottobre 1942 al settembre 1943 il dott. Francesco Napolino come commissario prefettizio.

[7] Alla redazione di questo paragrafo oltre a G.Iacolino, Strade che vai ecc., op. cit., hanno concorso R. De Pasquale,  Il mio tempo, op. cit..; R. De Pasquale, Momenti. Riflessioni e ricordi, Lipari 1993; A. Adornato, Due millenni di storia eoliana, op. cit.(Archivio Storico Eoliano.it)

Lipari ha un nuovo vescovo: Mons. Salvatore Bernardino Re

 

Il Sindaco e il Capitolo della Cattedrale chiedono un Vescovo

Lipari era senza vescovo da quando mons. Angelo Paino nel 1913 era partito per Messina, per allentare la tensione con i maggior esponenti locali, e non vi aveva fatto più ritorno. Nel frattempo mons. Paino era diventato arcivescovo di Messina e a Lipari era stato mandato un Amministratore Apostolico, mons.  Salvatore Ballo Guercio[1] che era prelato di Santa Lucia del Mela.   Ora diverso si  delineava il rapporto della classe dirigente con il Vescovado. Caduto il conflitto per il demanio pomicifero e sistemate, in qualche modo, le entrate della diocesi, esisterebbero finalmente le condizioni per un rapporto sereno e produttivo[2].

Ed era i Sindaco a proporre al Consiglio un voto perché Lipari riavesse il suo vescovo. “La sede vescovile – esordisce Salvatore Saltalamacchia nel Consiglio del 12 luglio 1925 – attraverso la quale noi costituiamo un popolo, è il nostro più legittimo orgoglio e tutti sentono il bisogno di una supplica e caldo voto perché la Santa Sede non voglia cancellare dalla nostra Storia questa pagina luminosa. Il popolo nostro abituato a vedersi il Vescovo accanto che, insieme con l’autorità cittadina collaborava al benessere pubblico; che in tutte le circostanze sapeva farsi tutto di tutti oggi che nonostante i supremi sforzi dell’Amministratore Apostolico, è costretto a vederselo a sbalzi, ne soffre come di una mutilazione vitale ed ha la penosa impressione del distacco completo dal Continente”[3].

Alla perorazione del Sindaco si aggiungono, in una lettera al Papa del 31 agosto 1925, quelle del  Capitolo della Cattedrale tanto più – sottolineano i canonici - che “oggi il Governo dello Stato è venuto in aiuto di tutte le sedi vescovili, fra queste non ha trascurato di aumentare anche le rendite di questo vescovado”[4].La Congregazione vaticana invece pensava ad unire , almeno “ad personam” cioè nella persona di un unico vescovo, le diocesi di Lipari e S. Lucia del Mela ed affidarle entrambe a Mons.Ballo.  Ma la risposta di questi e le antipatie che contava fra i preti di Lipari dovettero far cambiare idea a Roma tanto che il segretario della Congregazione Concistoriale il 14 dicembre 1925 scriverà a Mons. Ballo: “Al Capitolo e ai buoni secolari di quelle isole che desiderano la nomina di un Vescovo faccia conoscere la necessità di costituire una abitazione od una dote iniziale conveniente perché un vescovo possa ivi dimorare almeno un po' di tempo”.

Comunque bastano due anni e mezzo per fare cambiare opinione agli ambienti Vaticani. E così il 20 aprile del 1928 viene nominato il nuovo responsabile della diocesi nella figura del cappuccino fra Bernardino Salvatore Re di Favara[5] annunziato, come avveniva solitamente per i fatti importanti, dal banditore che girava per le strade della cittadina con al collo un grosso tamburo e introducendo la notizia con “Sintiti, sintiti…”.

Il nuovo vescovo è un cappuccino

In alto, la foto ufficiale del vescovo. A destra, una foto famosa. Il nuove vescovo fa le visite pastorali con l'asinello

                                                

Il nuovo Vescovo – oltre a rilanciare la vita religiosa locale - instaurerà dei rapporti di collaborazione con la classe dirigente  che era quella del fascismo, anche se nello spirito di contribuire al benessere dell'arcipelago e della diocesi[6].

Di particolare significato fra i primi impegni di rilievo civile è l’azione che profuse nella riapertura della scalinata che porta alla Cattedrale.

Quando misi piede per la prima volta in quest’isola – dirà nel discorso di inaugurazione avvenuto il 24 agosto del 1931 - , la Cattedrale con la sua ampia strada ostruita mi sembrò una signora decaduta in bassa fortuna: la luce fulgida di una storia di secoli, piovendo a torrenti dalle altezze vertiginose della vetusta mole della prima chiesa di Lipari, veniva come a perdersi fra i rottami e le macerie, di cui era ingombra questa via….Ora è un anno, la mattina del 24 agosto 1930, uscendo dalla Cattedrale , dopo il Pontificale, il Comm. Furìa mi venne incontro e mi disse:’Sono convinto della necessità di aprire la via della Cattedrale’”[7].

Acquisita la disponibilità del Comune, mons. Re non attende che si renda disponibile un finanziamento pubblico ma si rivolge al comandante della milizia fascista per avere le braccia  e la direzione dei lavori. Ed  anche qui trova piena disponibilità “Monsignore – dirà il comm. Frondini – se il Municipio mi dà la materia prima, io con l’aiuto delle mie Camice nere ne porterò a compimento l’opera”. E così il 24 agosto del 1931 fra discorsi, “alalà”, e la fanfara della milizia le autorità e la folla riprendono possesso della scalinata che si chiamerà via del Concordato per ricordare il concordata firmato nel 1929 fra lo Stato e la Chiesa ma anche, in qualche modo, un’epoca nuova di rapporti fra il Vescovato e il Comune. Infatti il 17 febbraio di quell’anno nella sede dell’episcopio vi fu una solenne cerimonia con  la partecipazione di autorità civili e militari, fascio , sindacati fascisti, confraternite, tutti con gagliardetti, vessilli, stendardi conclusasi con la messa ed il canto del Te Deum.

Marciamo avanti signori, - esortò mons. Re a conclusione - stringiamoci ordinati e disciplinati sotto i due vessilli: quello del Papa e quello dell’Italia, e saremo all’avanguardia di tutte le nazioni! Andiamo avanti, e facciamo si che la patria terrena ci spinga verso le vette e sublimi della patria celeste[8]”.

Le collette fra gli emigrati

Mons. Re in Australia con un gruppo di immigrati eoliani

L’anno prima il 14 settembre 1928  a Monte Rosa  si era eretta una croce in traliccio di ferro, alta 11 metri, quale monumento ai caduti della guerra 1915-18.[9]

Come abbiamo visto, fin dai primi anni del secolo, era invalso l’uso di promuovere collette fra gli eoliani emigrati in America o in Australia a favore di iniziative, soprattutto a carattere religioso, da realizzarsi nelle Eolie. Questa pratica fu sviluppata in modo particolare da mons. Re. Una importante colletta fu quella promossa a New York , a metà del 1929, proprio a ridosso del famoso “giovedì nero” della borsa newyorkese che inaugura il periodo della “grande depressione”.Obiettivo era  quello di finanziare l’orfanotrofio delle suore francescane che si era  inaugurato a Lipari nel giugno dell’anno precedente. Anche se i promotori - fra cui don Antonino Profilio fratello di madre Florenzia, la fondatrice dell’Istituto – incontrano delle difficoltà non solo per la situazione economica che andava precipitando ma soprattutto perché un’altra colletta avvenuta qualche anno prima a favore dell’Ospedale mandamentale di Lipari era rimasta senza riscontro da parte dei liparesi, verranno raccolti oltre 20 mila lire. Poco tempo dopo un'altra colletta sarebbe stata promossa, soprattutto in Australia, fra gli emigranti eoliani per pagare il “Vascelluzzo” in argento ed oro[10].



[1] Mons. Salvatore Ballo Guercio nacque a Palermo il 27 settembre 1880. L’8 marzo 1920 divenne vescovo titolare di Tripoli e prelato di Santa Lucia del Mela. Ricoprì la responsabilità di Amministratore apostolico di Lipari dal 1921 al 1928. Fu vescovo di Mazzara del Vallo dal 18 settembre 1933 all’8 agosto 1949. Morì a Roma il 12 agosto 1967.

[2] Ancora nel periodo in cui Mons. Ballo era stato amministratore apostolico non erano mancate le tensioni con il Municipio soprattutto a causa dell'antico palazzo vescovile , quello a fianco alla Cattedrale, che era adibito come sede delle forze di polizia ed i confinati e che invece il Vescovo rivendicava. Cfr. P. Agostino Lo Cascio da Giardini, Mons. Bernardino Salvatore Re, Messina, pag.112.

[3]  Dal verbale del Consiglio Comunale.

[4] Sarà poi il Concordato l’11 febbraio del 1929 che verrà a sanare definitivamente la situazione economica delle Diocesi . Cfr P. Agostino Lo Cascio, Mons. Bernardino Salvatore Re, Messina.

[5]  Mons. Bernardino Salvatore Re era nato a Favara in provincia di Agrigento da Calogero Re e da Carmela Lentini. Veste l'abito cappuccino il 17 aprile del 1901 e incomincia il Noviziato nel Convento di Caccamo in provincia di Palermo. Nel 1902 emette la professione semplice e inizia gli studi filosofici a Palermo. Il 2 dicembre del 1905 emette la professione solenne dei tre voti di povertà, ubbidienza e castità. Il 25 maggio è ordinato sacerdote nella Cattedrale di Palermo. Dal 1909 al 1912 è a Roma dove studia presso la Pontifica Università Gregoriana e si laurea in Filosofia. Subito dall'ottobre 1912 insegna filosofia allo Studentato Cappuccino di Palermo e l'anno dopo al Seminario Arcivescovile di Monreale.

Nel 1916 viene chiamato alle armi e presterà il servizio nel “Plotone di cura” della Compagnia di Sanità a Palermo specializzandosi in massaggiatore. Militare rimarrà fino al congedo nel 1919 quando riprenderà ad insegnare allo Studentato Cappuccino.

Nel 1920 era stato eletto Ministro Generale dei Cappuccini p. Giuseppe Antonio da S. Giovanni in Persiceto che il 14 luglio dello stesso anno chiama a Roma p. Bernardino e lo nomina Vice Segretario Generale per l'Italia Meridionale. In questo lavoro il frate di Favara conquista la fiducia del suo superiore che lo vuole come segretario nel viaggio che farà in Uruguay, Stati di San Paolo e del Paranà in Brasile, e nell'Argentina nella visita canonica alle case cappuccine dell'America meridionale. Il viaggio era iniziato il 7 dicembre 1923 e già il 20 dicembre la S. Sede nomina il Ministro Generale dei Cappuccini Visitatore Apostolico di 24 diocesi del Brasile accrescendo di importanza e di impegno la missione che era appena iniziata. Un'altra nomina a Visitatore Apostolico delle Case degli Scalabriniani del Brasile arriverà a metà di Agosto.

La missione durò 17 mesi ed i due visitatori rientrarono a Roma il 24 aprile del 1925 ma prima di essere passati da San Giovanni Rotondo per fare una visita a P. Pio da Pietralcina, cappuccino come loro, di cui cominciava a diffondersi la fama di santità.

Il 15 luglio 1925 p. Bernardino veniva eletto Ministro Provinciale dei Cappuccini di Palermo. E siccome a questa Provincia erano state affidate le Missioni di Candia p. Bernardino dal 9 giugno all'8 agosto del 1927 visiterà le case di Corfù, Santa Maura, Cefalonia, Chio Naxos, Creta e Sira. Durante il triennio di Ministro Provinciale si occupa del Santuario di Santa Rosalia sul Monte Pellegrino, della sistemazione degli studentati della provincia, dell'istituzione di un ambulatorio francescano a favore degli infermi poveri delle contrade dove operano i cappuccini, dell'ottenimento del riconoscimento giuridico del collegio missionario di Palermo.

Ora p. Bernardino salutava i cappuccini di Palermo e già pensava al suo nuovo impegno. Lo stesso Mons. Re raccontava che quando si incontrò per la prima volta col Papa Pio XI, prima dell'ordinazione sacerdotale, questi alludendo al suo cognome giovialmente lo salutò in latino:” Abbiamo trasformato le isole Lipari in un regno” e Mons. Re di rimando alludendo al confino politico: “Avete relegato un Ministro Provinciale in un isola”.

Fra le prime iniziative del nuovo vescovo: la pubblicazione a partire dal gennaio 1929 di un periodico mensile chiamato “Bollettino diocesano”; l'organizzazione di un pellegrinaggio a Roma , la visita pastorale in tutte le parrocchie a cominciare da quella più lontana di Alicudi.

L'1 dicembre del 1929 benedice la posa della prima pietra per la ricostruzione della Chiesa di San Pietro che era in rovina. Ma l'attenzione del nuovo Vescovo era soprattutto rivolta alla formazione religiosa e morale della gente a cominciare dai più giovani e per questo promuove il catechismo, sollecita l'organizzazione dell'Azione cattolica ed organizza pellegrinaggi.

Il 9 marzo 1930 scrive ai parroci perchè in ogni parrocchia in prossimità della Pasqua si dia vita ad una scuola di catechismo e soprattutto si promuova l'Azione Cattolica sia maschile sia femminile che nella diocesi manca completamente Quanto al pellegrinaggio, dal 22 maggio al 7 giugno si svolge quello a Lourdes passando per Roma all'andata e da Marsiglia al ritorno e quello a Valdichiesa dal 20 al 23 giugno con intensi momenti spirituali.

Ma questa forte volontà di rilanciare la presenza e l'attività della Chiesa nelle isole si scontra con le carenze storiche del clero eoliano. Il vescovo lo sa e subito pensa di riaprire il Seminario per il quale c'è il Palazzo ma non ci sono i seminaristi. Ne da notizia il 24 agosto nel Bollettino Diocesano ed infatti nell'anno scolastico 1931-32 si inaugurano le classi del Ginnasio inferiore. Ma il progetto non va in porto: Mancano le vocazioni e costa troppo, così nel 1936 verrà chiuso definitivamente.

A coronare questi primi anni di intenso lavoro pastorale giungono a compimento due opere che erano state avviate da lungo tempo ma non si era mai riusciti a completare: la realizzazione in oro ed argento del Vascelluzzo che ricordava l'arrivo a Lipari di un carico di frumento nella carestia del 1672 e conteneva una reliquia del santo; il completamento della gradinata di accesso alla Cattedrale.

Grazie all'interessamento del Vescovo il 22 agosto del 1934 il Convento dei Cappuccini al Camposanto tornava , con i mobili, gli arredi ed i libri dell'antica Biblioteca, alla Chiesa di Lipari; anche la Chiesa di Sant'Antonio, a piazza Mazzini, ed una parte del convento per l'abitazione del Rettore della Chiesa sarebbe dovuta retrocedere. Ma per quanto riguarda i locali della rettoria la consegna non è mai avvenuta perchè non si è trovato mai un accordo fra Vescovi e Municipio circa i locali da cedere.

Questa attenzione ai luoghi sacri si estese anche alle parrocchie ed alle residenze dei parroci che erano tutte in condizioni precarie e qualche volta addirittura inesistenti. Attraverso la “Commissione Pontificia delle Opere Parrocchiali “ Mons. Re fra il 1933 e il 1940 riuscì a far ottenere ad ogni chiesa parrocchiale una decorosa canonica.

Commossa fu la partecipazione del vescovo ai lutti ed alle difficoltà delle famiglie eoliane durante gli anni della seconda guerra mondiale come pure non mancò, tramite gli organi della S. Sede, di fornire notizie sui prigionieri liparesi e deportati politici.

Gli anni 50 si aprono per Mons. Re all'insegna delle visite agli emigranti eoliani in America ed in Australia con i quali era rimasto sempre in contatto e ai quali, come abbiamo visto, diverse volte aveva chiesto un contributo per opere religiose e caritative nelle Eolie.

L'ultima sua opera fu la benedizione solenne della chiesetta di Vulcano porto che avvenne il 29 luglio del 1962. Il 28 dicembre dello stesso anno egli lasciava Lipari per recarsi all'Ospedale Piemonte di Messina . Partendo da Sottomonastero e salendo sulla scaletta del piroscafo disse a chi lo salutava e gli augurava un pronto rientro “In nome di Dio” . Sarebbe morto il 15 gennaio 1963. Con la sua personalità e la sua cultura rimane una delle figure più significative del 900 eoliano.

[6]  . Nello stesso spirito, rapporti positivi instaurerà nel dopoguerra sia nel periodo del governatorato inglese sia con i dirigenti della nuova Italia democratica e repubblicana  Su mons. Re l'opera più completa è quella già citata di P. Agostino Lo Cascio da Giardini.

[7] Dal “Bollettino diocesano di Lipari”, in  Agostino Lo Cascio, Due saggi di storia liparitana,  Messina 1975, pag.56.(Archivio Storico Eoliano.it)

[8] A. Adornato, Due millenni di storia eoliana,  Messina 2000, pag. 168-169.

[9] Idem, pag. 167.

[10] M. Giacomantonio, Florenzia che ha svegliato l’autora, op. cit. , pag.219 e ss.

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