di Martina Costa
Oltre l'ombra: Il viaggio di Leopardi verso la luce
La miniserie Rai “Leopardi. Il Poeta dell’Infinito”, diretta da Sergio Rubini, ha riscosso clamore e plausi, riuscendo a consegnare agli spettatori un’immagine del poeta di Recanati, non patinata dal grigiore degli antichi stereotipi.
Giacomo Leopardi è il poeta del pessimismo, dell’odio verso la vita e dell’impassibilità nei confronti del genere umano. È questo che ci viene detto da tanti manuali -soprattutto, scolastici!-, da pseudo articoli storici (?), e da innumerevoli “insegnanti” che fanno fede all’unico credo per loro possibile: quello di ridurre la conoscenza alla mera trasmissione di nozioni scritte su un testo.
Per fortuna, non vivendo di generalizzazione, in aiuto, possono venire libri, film, documentazione, auto-conoscenza e una buona dose di curiosità, per indurci verso la verità.
Certo, non abbiamo vissuto con Leopardi, pensare di conoscerlo nei suoi lati più intimi, forse, è solo utopia. Ma possiamo farcelo amico, perché i suoi canti possono regalarci ancora la speranza di avere vicino qualcuno che, prima di noi, abbia provato le stesse sensazioni.
E pensare che in quel circolo frequentato da Giacomo molti non scommettevano niente sulla sua eterna celebrità: «Nel duemila nessuno più ricorderà nemmeno un tuo verso!». Oggi, cantiamo alla luna, non solo nei giorni dove le stelle sembrano essere più luminose, e nemmeno quando essa è piena e regala tutta la sua maestosità di regina della notte. No! Cantiamo, anche noi, alla Luna, per la semplice voglia di sentirci rischiarati da essa, perché speriamo che possa levare il nostro annebbiamento, che non ci permette di volgere uno sguardo limpido verso essa, alla graziosa luna.
A Rubini non interessa portare sul grande schermo il poeta dalla schiena ricurva, colui che si angoscia nel suo dolore fisico e dell’animo. Ma, con estremo coraggio, e strappando l’etichetta dello “sfigato” dall’ombra di Giacomo, dà vita all’inedito, al vero Leopardi vissuto. Un importante passo in avanti, questo, per donare al poeta una chiave di lettura più vicina a noi.
Ho trovato meraviglioso il ritratto di Antonio Ranieri, egregiamente interpretato da Cristiano Caccamo. È proprio lui la figura chiave nel personaggio di Leopardi: un uomo che, finalmente, oltre all’immensa bravura, vede nel poeta una persona di cui prendersi cura.
Niente era dovuto, soprattutto in quei tempi dove ognuno era ancor più focalizzato al farsi “individuale” anche sulle spalle di uomini chiamati “amici”; Antonio trova Giacomo e decide di restargli accanto per tutta la vita. Vita che è destinata a perdurare nel tempo, per sempre, all’infinito e nell’Infinito. E tra le pagine delle sue “Operette Morali”, che in questa miniserie, sono state messe in risalto: anche questa è stata una scelta intelligente del regista Rubini. Leopardi, non è soltanto il poeta che ha scritto “l’ermo colle e la siepe”, ma è stato anche filosofo, un grande letterato, dotato di una sottile, ma tremante, ironia.
Ed è stato, prima di tutto, un uomo, il nostro Giacomo, l’uomo di ieri, di oggi e che sarà “domani”: dotato della delicatezza necessaria per approcciarsi al mondo. La stessa delicatezza, eleganza, con cui compone i suoi versi e, con la quale, cerca di amare Fanny. Certo, le regole cinematografiche hanno delle regole sulle quali adattarsi, ma qui c’è stata la voglia di andare controcorrente e far vestire a Leonardo Maltese i panni di un poeta vitale. Una quasi rivincita sociale e letteraria!
Napoli, giugno 1837, Leopardi sta per lasciare, da qui a poco, la sua vita terrena. Sono quelli i giorni dove comporrà “La ginestra”, nella sua “ultima stanza” che si affaccia tra mare e Vesuvio. Ed è proprio lì, tra la cenere e il nero della lava, che immagina la sua ginestra, il suo “fiore del deserto”. Un giallo che spicca sul nero, e riporta colore all’oscurità. La compagna “dei destini sventurati”, un fiore che con il suo profumo dona consolazione a chi è solo.
«Un animo nobile è quello che, nella sofferenza, si mostra grande e forte e che non aggiunge ai suoi mali l'odio e la rabbia tra fratelli»: e tu, caro Giacomo, un animo nobile lo sei stato. Hai avuto la possibilità di viaggiare, non solo fisicamente, ma anche grazie al conte Monaldo, tuo padre, che se da una parte voleva “rinchiuderti” nella sua idea di ciò che per te poteva essere giusto, dall’altro ti ha aperto le porte della sua Biblioteca, dove, giorno e notte, hai preso carrozze, incontrato nuovi amici e imparato nuove lingue, grazie al tuo “matto e disperatissimo” studio.
Sempre alla ricerca di una felicità forse inarrivabile, cadenzata da ritmi filosofici e poetici. E di Vita reale. Grazia e delicatezza, fino alla fine: «Addio, Totonno, non veggo più luce». La luce, che ha ricercato per tutta la vita, la spinta gentile che conduce alla felicità, la ginestra tra la lava del Vesuvio… Una luce, che, ne sono sicura, anche solo per qualche istante, è riuscita a entrare nella vita del poeta di Recanati.