"Un bel gioco dura poco. E se non dura poco, finisce per annoiare."
"Un italiano a Lipari" sembrerebbe quasi il titolo di un film del genere "Un americano a Parigi"; Malaparte vi fu in quella Città, fu anche a Lipari, ma questa non era Parigi, e non è neanche una buona 'location' per girarvi dei film, a parte il buon documentario sulla 'fuga Rosselliana' e gli ottimi reportage estivi turistico/alberghieri-televisivi di "LineaBlu" condotto dalla bravissima Bianchi (Antonella, vorrei incontrarti, non tra cent'anni, per farti personalmente i miei complimenti e ringraziarti per la capacità che hai di farmi 'sentire', ogni volta, come se fossi ancora a Lipari) .
Può darsi che un vero film (non una fiction televisiva), o un buon documentario, sul periodo 'liparoto' di Malaparte prima o poi si facciano, il che non sarebbe affatto male (tutt'altro!); un film/documentario che potrebbe essere anche un veritiero affresco sulla vita socio-economica, relazionale e culturale, della Lipari di quegli anni (potrebbe interessare al regista Tornatore?). E a questo riguardo un'idea-chiave di impostazione e di lettura del 'protagonista'/ Malaparte, su quello che in realtà fu il suo vero e principale dramma, inesplorato e inedito, vissuto a Lipari, l'ho elaborata (a motivo del mio 'male' o 'vizio' di scrivere) ma che al momento preferisco tenere per me, riservandomi di pubblicarla in futuro.
Al di là delle simpatie o antipatie, della retorica vuota e delle banalità 'colte' scritte o dette sul suo conto e sul suo stile di vita, bisogna riconoscere che Malaparte fu uno strenuo lavoratore: scrivere, soprattutto la scrittura 'creativa', è lavoro, è fatica; non inganni quindi la sua vasta produzione letteraria, Malaparte trascorreva quotidianamente molto del suo tempo dedicandosi alla scrittura più che a vivere e a nutrirsi di mondanità. I suoi testi nascevano dopo lunghe, ripetute ed elaborate gestazioni e il cestino a lato della sua scrivania doveva essere colmo di fogli contenenti abbozzi e precedenti tentativi di scrittura. Lontano dall'immagine pubblica e dalle frequentazioni abituali, Malaparte, pur convinto di essere il più grande giornalista italiano, nel privato era consapevole dei suoi limiti di scrittore ammirando e avendo grande rispetto verso quegli autori che riconosceva come più grandi di lui,
A Lipari Malaparte non seppe cogliere delle grandi opportunità che l'Isola, pur "così piccola per uno spirito così inquieto", poteva
offrirgli. L'Isola, tranquilla solitaria e distaccata dai grandi avvenimenti oltre mare, poteva essere l'ambiente giusto anche per fare un
bilancio della propria vita vissuta e giunta fin lì e della sua intensa attività editoriale, giornalistica e letteraria. Era un ottimo punto di
osservazione, lontano dalle sue consuetudini abituali, per mettere a fuoco introspettivamente il suo 'io' più profondo, rivedere le sue
attività umane e professionali, la sua produzione letteraria. In realtà Malaparte giunse a Lipari solo fisicamente, il suo cuore e la sua
mente erano rimasti altrove, nei luoghi nei quali vi si riconosceva come frequentatore e, ancor più, come protagonista. Non seppe
neanche cogliere quel senso di intimità che solo un'isola può dare né mai entrò in sintonia con ciò che la medesima poteva suggerirgli o ispirargli: lì avrebbe potuto avere, finalmente, la possibilità di guardarsi 'allo specchio', confrontarsi e misurarsi con se stesso. A Lipari Malaparte ebbe solo un chiodo fisso: andare via al più presto possibile, scrivendo a tutti coloro che riteneva potessero aiutarlo ad ottenere un trasferimento. E non solo per vivere in un luogo più comodo e più facilmente raggiungibile dai suoi amici e perché il suo fisico debilitato mal sopportava il clima isolano. E alla fine fu proprio Mussolini a decidere il suo trasferimento ancor prima che Malaparte arrivasse a Lipari.
Quel "Robinson Crusoe circondato da una popolazione di Venerdì" temeva l'anonimato, temeva di perdere il suo 'pubblico', gli mancavano le frequentazioni delle elites e la spocchia dei circoli culturali e letterari, il clima delle redazioni dei giornali, le ruffianerie con la cerchia degli amici e le dispute con i suoi concorrenti o avversari. Gli mancava, soprattutto, la dignità della libertà vilipesa comunque da un regime oppressivo. Giuste o sbagliate, o quali che fossero le motivazioni di fondo implicate, Malaparte fu tendenzialmente uno 'spirito libero' ma sostanzialmente non sempre seppe mantenersi tale, non preoccupandosi all'occorrenza di addivenire a dei compromessi, contraddicendosi con disinvoltura. E non che a Lipari potesse lamentarsi di avere delle limitazioni visto che era controllato pochissimo e tutto sommato poteva fare quello che voleva. Lipari, per il suo istrionismo, era un palcoscenico anonimo e quella popolazione che manifestava poca simpatia e manteneva scarsi contatti con i confinati non poteva certo gratificare il suo bisogno di notorietà; e forse Malaparte aveva anche paura di ritrovarsi da solo con se stesso, a dover fare i conti con i suoi 'fantasmi' o i suoi 'mulini a vento' interiori.
Quello trascorso a Lipari fu un periodo brutto. Malaparte non riuscì a scrivere nulla di significativo. Colui che oltralpe veniva considerato come il più notevole e il più originale scrittore della prima metà del Novecento, sembrava essersi evaporato tra le
sciroccose foschie del mare eoliano. Dov'era finita la purezza del suo stile, la raffinata tecnica narrativa, la felicità delle immagini?
Lo Scrittore era ancora vivo e pieno di vitalità nella letteratura italiana o era diventato freddo e farraginoso? La sua vena artistica si era inaridita? Dov'era finita la sua ironia, il suo essere un bastian contrario? In ambito letterario, nel suo periodo trascorso a Lipari, l'attività più importante fu la Poesia; scrisse poesie ben lontane da quei generi stilistici e quei contenuti che gli erano più consoni e che bene si accordavano col suo spirito e col suo temperamento: satire, epigrammi, inni. A Lipari Malaparte scrisse vere e proprie poesie, per certi versi permeate da un senso di malinconia e da una ostinata ricerca linguistica. La malinconia è un sentimento che appartiene al mondo della poesia, dove può esprimersi ed esternarsi liberamente, e Malaparte non riuscì a contenerla.
E probabilmente fu a causa di quel sentimento 'debole' che di quelle poesie pubblicò ben poco: non avrebbe mai voluto 'dare sazio'
di mostrarsi prostrato e sconfitto, preferendo 'morire con gli occhi aperti'. Perfezionista ed esigente com'era, egli stesso fu molto critico verso quelle poesie, avendone fatte tante versioni, rivedute e corrette, infine scartandone tante. Se lette con distaccata obiettività e con onestà intellettuale, si può comprendere che Malaparte si 'prestò' o si 'autoconcesse' alla Poesia, ma non era e non
fu un 'grande' poeta e nemmeno un 'innovatore'.
Il "bel gioco" di Malaparte 'non durò poco': giocò con la Vita e i suoi intrecci, giocò col Potere e i potenti di turno, giocò con sé stesso, giocò nelle relazioni interpersonali con gli amici, giocò con le donne e scherzò con i loro sentimenti, nel contempo giocò 'con tanti mazzi di carte'... e finì con l'annoiare, oggi dimenticato e ben lontano dall'essere considerato quel 'punto di riferimento 'letterario/culturale per il quale aveva impegnato la sua vita.
( 2 - Fine )
Di Curzio Malaparte si potrebbe dire tutto e il contrario di tutto, come di "uno, nessuno e centomila (Malaparte)", come di "Un Autore in cerca di personaggi" e, per certi versi, a seconda di quanto riusciva ad essere scomodo o antipatico, "se lo conosci lo eviti". Affabulatore e dissimulatore, avventuriero senza (o con pochi) scrupoli nel rimescolare le carte e barare nel grande gioco delle parti e della vita. E forse la sua intera vita si rispecchia nel sottotitolo di "Don Camaleo": fu davvero il 'romanzo di un camaleonte', o fu, ancor più, un 'pavone' oppure un inguaribile 'narciso' ora incoerente ora contraddittorio? Parafrasando il titolo di un vecchio film con Dustin Hoffman
protagonista, di Malaparte si potrebbe ancora dire "Chi è il Signor Suckert, e perché parla male di me?"
La prima volta che sentii parlare e lessi di Lui fu negli Anni '70, al tempo in cui si credeva ancora che la 'Cultura' fosse l'arma giusta per migliorare il mondo (forse anche ubriacati dai falsi miti creati da quelli che hanno sempre gestito saldamente il 'business', quali le utopistiche stronzate dei 'figli dei fiori', la 'contro/cultura underground', le scempiaggini di Kerouac sull'essere 'on the road' e di Ginsberg col suo delirante 'juke-box all'idrogeno'!) e la lettura mi appassionava ancora prima che questa lasciasse il posto alla scrittura (col tempo mi accorsi che alla fin fine i libri o si leggono o si scrivono, data la vastità della produzione e la brevità della vita).
Sinceramente non ho mai amato gli autori italiani, soprattutto moderni e contemporanei, né le varie correnti letterarie, forse perché conosco quanto sia ipocrita e melliflua l'atmosfera che si respira nei circoli culturali ufficiali e riconosciuti, nonché l'intreccio delle relazioni, pur di arrivare a emergere, a farsi conoscere e potersi affermare.
Da quelle letture seppi quindi che Malaparte era stato anche ristretto, suo malgrado, a Lipari.
Pur con la sua vasta produzione editoriale, essendo stato un personaggio di spicco nel panorama giornalistico/ letterario, Malaparte riuscì a farsi amare e avversare, e oggi, ben lontano dall'essere un punto di riferimento per il giornalismo e la letteratura/cultura del Novecento, è trascurato, se non (volutamente) ignorato dagli 'autori vari' di testi antologici di 'Italiano' e di varie edizioni di 'Storia della Letteratura Italiana'.
Se in quegli anni giovanili lessi alcune sue opere ciò fu dovuto al mio tentativo di capire qualcosa sul 'ventennio fascista' e il Secondo Conflitto Mondiale, argomenti di conversazione con mio padre, durante il quale lui era imbarcato sull'Incrociatore "Trento", congedato poi per 'malaria' prima che quella Unità navale venisse affondata.
Ciò che in Malaparte risalta, ancor più dell'uomo e dello scrittore, è il narcisismo: provava per sé stesso una ammirazione e un amore senza limiti, ponendosi conseguentemente al centro di tutto. Rileggendo la sua biografia si comprende che ciò potesse dipendere, negli anni della sua infanzia, da una mancanza o carenza di gratificazioni, ma questo potrebbe interessare gli psicanalisti e non è certo il mio campo, ma è ovvio che tutto va a incidere nella vita di una persona e ne caratterizza le sue attività. Ad esempio i rapporti con le donne. Non tanto perché abbiano avuto una qualche importanza nella sua vita (tutt'altro!), ma perché esse hanno dato un notevole contributo a fare di lui un personaggio; ma è grazie a questo tipo di relazioni che la sua vera indole (il suo temperamento) si rivela pienamente. C'è da dire pure che nonostante sia possibile sapere pressoché tutto della sua vita privata, poco si sa, o nulla si dice, di una sua relazione omosessuale (una breve parentesi) con un uomo di Lipari, a suo tempo noto e
stimato artigiano. Si erano conosciuti nel quartiere di Via Roma avendo in comune la passione per i cani, si erano frequentati nella 'bottega' e nell'abitazione adiacente di quest'ultimo, si erano 'amati' nella casa di campagna del medesimo, "al Cappero", condividendo lunghe e interlocutorie camminate per la strada e i sentieri di quella panoramica e incantevole località spingendosi fino "al Semaforo", mantenendo per un po' una rispettosa e cordiale corrispondenza epistolare anche quando Malaparte, da libero, andò via da Lipari. Dopo quella temporanea relazione gay, è degno di nota il fatto che i due occasionali 'amanti', nelle loro scelte individuali di vita, non si sposarono (con donne) consumandosi, individualmente, in piena solitudine affettiva e sentimentale. Forse Malaparte non aveva bisogno di donne, o di una in particolare, da amare, ma probabilmente aveva bisogno che amassero lui; nulla si sa di qualche sua "pazzia" amorosa per una donna, mentre di certo gli faceva piacere che ne facessero per lui; e ne furono fatte: solo per i casi più eclatanti, dopo il tentativo di suicidio di "Titti" Masier ci fu quello, riuscito, di una ragazza. Il fatto è che "a Malaparte le donne non interessavano", come hanno detto quelli che avevano avuto modo di frequentarlo e di conoscerlo bene.
Di sicuro le donne come oggetto sessuale o come soggetto sentimentale erano per lui un fattore pressoché secondario e venivano dopo la sua professione, il successo, la vita mondana, il denaro, forse anche dopo gli 'adorati' cani. Da libero, nell'agiatezza economica, bello, famoso, pur avendo molte donne non aveva alcuna seria intenzione di innamorarsi o di sposarsi, ma solo la vanitosa gratificazione di essere corteggiato, amato, persino invidiato, intendendo, con questo, quel tipo di invidia e di ammirazione che si può suscitare negli altri quando ci si circonda di donne particolarmente belle, anche molto giovani. Per l'uomo ormai attempato, avuta la loro devozione, la loro gradevole compagnia e il prestigio che ciò gli procurava, più che compagne o amiche le considerava delle 'escort'. Scorrendo le pagine della sua vita non (mi) meraviglia il fatto che Malaparte non abbia mai avuto accanto
una donna che potesse impegnarlo intellettualmente. Ciò induce a ritenere che delle donne non avesse granché considerazione. A questo riguardo, se si va a rivedere la sua vasta produzione letteraria, nelle sue opere le donne sono pressoché assenti, non essendovi protagoniste né figure di secondo o terzo piano femminili. Malaparte preferì di gran lunga la compagnia degli uomini, anziché quella delle donne, proprio per la disistima intellettuale che aveva per la controparte femminile. In realtà, nonostante le frequentazioni, anche quelle 'liparote', non vi fu alcuna donna che riuscì ad averlo come amico, mentre gli uomini che ebbero con lui rapporti di amicizia furono tantissimi, riconoscendogli la prontezza ad aiutare, a consigliare, la sua disponibilità, la sua apertura, e di
come,alla fin fine, l'amicizia fosse per lui principalmente 'un mezzo per farsi amare', 'pur intendendo per amicizia una solidarietà che sconfinava, almeno nelle sue intenzioni, nella complicità; ma fintanto che durava.' E in quest'ottica, più che una morbosa e deviante passione "gay", andrebbe inquadrata la sua temporanea 'intima' relazione col 'liparese', essendo quest'ultimo caratterialmente mite, riservato e a tratti taciturno o parco di parole.
Di cosa pensasse dell'amicizia, Malaparte scrisse che chi vi crede "è un imbecille o un pazzo", Non dovrebbe quindi sorprendere che, temendo di essere tradito dalle donne e dagli amici, le sue amicizie preferite, paradossalmente, fossero i cani, i soli proverbialmente fedeli, gli unici a non tradire mai. Ma a monte dell'uomo, del giornalista, dello scrittore, della fama di 'avventuriero' che gli crearono addosso, al di là di ogni altro elemento, probabilmente primeggia su tutto il grande amore che Curzio ebbe per Malaparte.
( 1 - Continua )
IL COMUNICATO DEL CENTRO STUDI.
Abbiamo letto con piacere gli articoli pubblicati da Antonio Famularo su Curzio Malaparte alle Isole Eolie ed in tal senso "rompiamo" un riserbo che ci eravamo dati in merito alle iniziative successive alla pubblicazione del volume di Giuseppe La Greca "Curzio Malaparte alle Isole Eolie, vita al confino, amori e opere" (2012) con la prefazione di Gian Antonio Stella.
A seguito della pubblicazione del volume e delle successive attenzioni da parte dei mass media e di alcuni interventi dell'autore eoliano a Giardini-Naxos nell'ambito delle iniziative culturale "Naxos legge", nel 2012, ed alle conferenze del 2013 tenutesi presso la Sovrintendenza del Mare di Palermo, il Centro Studi è stato contattato per avviare una collaborazione, come già fatto con "Edda Ciano ed il Comunista" per la realizzazione di una fiction sullo scrittore-giornalista e sul suo periodo di permanenze nelle Eolie.
di Antonio Famularo
Sono rimasto alquanto sorpreso del Comunicato diramato dal Centro Studi ('Notiziario' di Lunedì 16 Marzo u. s.) in relazione ai miei due articoli su Curzio Malaparte ('Notiziario' Domeniche 8 e 15 Marzo u. s.) perché, al di là del 'piacere' (in astratto) della lettura fine a stessa, e della acclarata incontrovertibilità di dati biografici, i 'contenuti' e gli obiettivi dei miei due articoli sono diametralmente opposti alla Sua linea editoriale; essendo, pertanto, i miei articoli inconciliabili con le finalità che Esso si propone, il Centro Studi si contraddice.
Rompendo anch'io un riserbo che mi ero dato, preciso di non essere mai stato un frequentatore del Centro Studi, non avendo mai messo piede nella Sua sede in Via Maurolico. Il mio pensiero maturato su di Esso non è lusinghiero (ma, cribbio, sono sempre disponibile a cambiare opinione dato che 'non cambiare mai opinione è tipico dei cretini'): ciò è dovuto al fatto che alcuni anni fa, in due occasioni, mi sono trovato, per caso, nelle circostanze giuste per tastarGli personalmente il 'polso' scoperto e l'esito è stato indicativo delle Sue tristi condizioni di salute culturale (mi riservo, all'uopo, di circostanziare in merito a quanto appena detto).
Ritengo, altresì, che figure e biografie storiche di personaggi culturali di spicco, come Curzio Malaparte, appartengano a tutti, non essendo esclusivo appannaggio o prerogativa del Centro Studi, né che Esso abbia ricevuto un mandato divino relativo all'esclusiva di dispensare e diffondere 'il Verbo' Malapartiano solo ad Esso rivelato, né di gestire alcun turibolo acceso con l'incenso fumante. Né, tanto meno, che Esso, in quanto Centro Studi, abbia l'imprimatur su ciò che sia da considerarsi cultura o meritevole di attenzione in tal senso.
In relazione al mio desiderio di vedere realizzato un serio film/documentario (una 'fiction', nell'accezione del termine, non è una cosa 'seria'!) sul periodo 'Liparoto' di Malaparte, che Gli renda realmente giustizia (!), non concordo sul "riserbo" che il Centro Studi si era
dato in merito alle sue successive attività editoriali/promozionali, tra le quali l'essere stato contattato per avviare una collaborazione
per la realizzazione di una fiction sullo scrittore-giornalista e sul suo periodo di permanenza nelle Eolie, Ammesso che tale contatto
per una collaborazione fosse vero, resta comunque il fatto che la mia lungimirante proposta per un film/ritratto sul vero Curzio Malaparte alle Eolie, a tutt'oggi inesplorato e inedito (!), è arrivata per prima e ha spiazzato definitivamente il baricentro del Centro Studi.
Perché mai si era dato "un riserbo" (che per l'accezione del termine è contrario alle finalità divulgative di un qualsivoglia serio Centro Studi)? Forse perché il Centro Studi teme di fare, a Suo discredito, un'altra 'figuraccia', più brutta o più grande di quella già rimediata con la fiction sul "Comunista"? A me personalmente non interessava affatto sapere o vedere dove/come/quanto/e con Chi scopasse il mio emerito e caro Professore di Inglese alla Scuola Media di Santa Lucia! Nel caso del buon Leonida il centro Studi non si era dato alcun "riserbo": la sua vita intima e privata (pur essendo manifesti il suo desiderio e la raccomandazione che tutto rimanesse segretato e limitato nei ristretti ambiti della sfera familiare) doveva essere dato in pasto al pubblico, con squilli di tromba, pancia in dentro e petto in fuori di un gongolante Centro Studi! Che Si vergogni se ha una seria coscienza critica e una onestà intellettuale sulle finalità delle Sue iniziative e delle Sue attività editoriali, sulla Sua stessa ragion d'essere.
L'ostentato "riserbo" del Centro Studi giunge in ritardo, è fuori tempo massimo e fuori luogo, fa puzza di bruciato, non è credibile, e le Sue parole melliflue sui miei scritti, insincere e pronunciate a denti stretti, quasi come un mettere le mani avanti o fissare dei paletti, sono mortali come gli avvolgenti tentacoli di una piovra. Come mai un Suo "Comunicato" ufficiale su di me, che sono un 'Signor Nessuno' ('Nessuno mescolato con niente' o un 'Illustre Sconosciuto', il che fa lo stesso)? E comunque sia, il Centro Studi non ha i numeri per esprimere valutazioni sui contenuti dei miei scritti, sulle mie attività (amatoriali) di Compositore di musiche e canzoni d'Autore e di Disegnatore Artistico! Bastino su queste mie attività i giudizi di lode e apprezzamento di un Compositore come Renato Carosone (onorandomi con una Sua lettera scritta a mano) e la Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte di Roma (Ministero per i Beni Culturali), depositaria della mia Opera di Grafica Artistica " SCOGLI EOLIANI ", alla quale farà seguito la seconda Opera
" Le Rupi Erranti - Sulle orme del Mito alla ricerca di Eolo", che mi piacerebbe mostrare in anteprima alle Eolie.
L' 8 Settembre scorso ho compiuto 60 anni e 'cammino per i 61', la mia è l'età del disincanto e tante situazioni le osservo o le vivo con un certo distacco, sono stato giovane e sono pure invecchiato, sono sazio di anni e so pure come "sa' di sale lo pane altrui e com'è duro calle il salir e scendere per l'altrui scale", e ho conosciuto anch'io, sì, pure io, 'il bello della sorte e l'amaro della vita'.
Non tema quindi l'onorato e molto venerabile Centro Studi, non ho alcuna intenzione di intrufolarmi nel pollaio per rubare qualche uovo d'oro alla gallina. Lascio volentieri che siano i gatti e le volpi di turno a succhiarsi i suoi nutrienti 'coccò', magari con l'aggiunta di un po' di 'Marsala'.
Auguro lunga vita e tanti successi editoriali al Centro Studi. Se poi malauguratamente così non dovesse essere, addirittura con conseguente chiusura e cessazione della Sua attività, il 'Notiziario', com'è suo costume, annuncerà in grassetto "ll Centro Studi è morto!" E io, in linea da Padova o da chissà dove, dirò "Viva il Centro Studi!"...
Sic transit gloria mundi.
All’eolianpadovano Antonio un grande in bocca al lupo da tutti noi. A presto! (bl)