di Lelio Finocchiaro
IL GRANDE SCISMA
Tutti sappiamo che oggi esistono due grandi Chiese cristiane: La Chiesa cattolica d'Occidente e la Chiesa ortodossa d'Oriente.
Che siano due deriva dal fatto che pur rappresentando la cristianità unita, nel 1054 trovarono tante di quelle diversità e tanti di quei motivi di dissenso da portare ad una divisione epocale che prese il nome di Grande Scisma.
Certo le cose non avvennero contemporaneamente e tutte insieme, ma fu un lento digradare verso incomprensioni e attriti, nonché reciproche scomuniche, che ad un certo punto non fu più possibile ricucire.
Negli anni antecedenti, in effetti , il patriarca di Costantinopoli aveva più volte criticato Roma per “avere deviato dalla retta fede”, dando luogo a complicate riforme dottrinali e teologiche che avevano portato a snaturare il credo cristiano e che lui non era disposto ad accettare.
Inevitabile che prima o poi accadesse, come accadde appunto nel 1054, che Leone IX inviasse il suo legato cardinale Umberto di Silvacandida a Costantinopoli per consegnare la bolla di scomunica per Michele I Cerulario (questo il nome del Patriarca) e per chi lo volesse seguire.
Interpretando la scomunica non come personale ma rivolta a tutto il popolo bizantino, però, quest'ultimo reagì con forza disconoscendo da quel momento l'autorità papale negandone il primato.
In realtà bisogna precisare che il “Primato di Roma” era essenzialmente di carattere onorifico.
Il Papa ,infatti, ritenendosi depositario delle chiavi del regno dei Cieli come lascito di Pietro,reclamava la superiorità sugli altri patriarcati (Costantinopoli, Antiochia, Alessandria d'Egitto e Gerusalemme), che insieme davano luogo alla Pentarchia, ma Costantinopoli aveva man mano aumentato la sua importanza da quando proprio lì aveva stabilito la sua sede Costantino il grande. In pratica il Papa era un “primus inter pares”,il che voleva dire solo che se i patriatchi avessero deciso di andare a cena insieme, a lui avrebbero assegnato il posto di capotavola, niente di più.
In quel periodo, originato da una decisione della Chiesa Visigota di Spagna, alle molte controversie esistenti tra le due chiese,come quella dell'uso del pane azzimo nella liturgia orientale e alla pretesa del patriarca di Costantinopoli di essere chiamato “ecumenico” (cioè universale), si aggiunse la controversia del “Filioque”. Naturalmente si potrebbe ricordare il sacco di Costantinopoli ad opera dei crociati latini nel 1204 o la deposizione del patriarca Giovanni Crisostomo da parte dell'imperatore Arcadio e tanto altro ancora, ma la faccenda del Filioque fu la goccia che fece traboccare il vaso.
La Chiesa Occidentale stabilì, infatti, con una decisione non ritenuta canonica in quanto non adottata in un Concilio , che lo Spirito Santo provenisse e dal Padre e dal Figlio, stravolgendo il credo niceno che sosteneva che Padre e Figlio non fossero eterni allo stesso modo e quindi non uguali. Una questione teologica non presa di comune accordo e che i fedeli, non esperti di liturgia e normativa conciliare, si videro calare d'autorità dall'alto, dando luogo ad una interpretazione della Trinità (già complicata per i fatti suoi) che attribuiva allo Spirito Santo quella che veniva avvertita come una vera e propria “doppia paternità”.
Altri piccoli scismi erano avvenuti anche prima del 1054, come ad esempio nel 482 quando L'imperatore Zenone aveva cercato di comporre le divergenze tra monofisiti (che credevano che Gesù avesse la sola natura divina ) e la Chiesa Ufficiale che a Gesù attribuiva sia la natura umana che quella divina. Con qualche difficoltà si erano sempre superate molte divisioni, anche in occasioni di deposizioni di imperatori e patriarchi o lotte fra questi ultimi (famosa quella tra i patriarchi Ignazio e Fozio che era giunto, a sua volta, a scomunicare il Papa).
Come si può intuire non si lottava per ragioni “celesti”, ma per motivi interpretativi e per la voglia di imporre la propria superiorità dottrinale.
In ogni caso da quel momento la Chiesa cattolica d'Occidente e quella ortodossa d'Oriente rivendicarono solo per sé il titolo di “Chiesa una, santa, apostolica e cattolica”.
Nel tempo sono stati fatti vari tentativi per cercare di riunire le due dottrine, come nei concili di Lione nel 1274 e in quello di Firenze nel 1439, le cui decisioni furono disconosciute dal basso clero .
Attualmente, invece, diversi incontri tra i due patriarchi sembrerebbero mostrare l'intento di procedere ad un progressivo ravvicinamento. In questo senso da ricordare la presenza del patriarca ortodosso al funerale di Giovanni Paolo II o l'abbraccio dei due patriarchi a Gerusalemme nel 1964.
MONTEZUMA
Dopo la scoperta dell'America nel 1492, il Nuovo Continente subì l'inevitabile invasione delle potenze marinare europee di allora, essenzialmente Spagna e Portogallo, con lo scopo di raccogliere oro e ricchezze da mandare ai rispettivi sovrani e sponsorizzate dalla Chiesa in cerca di nuovi popoli da convertire. Era l'epoca dei “ conquistadores”.
Nel XVI secolo in Messico, sul popolo degli aztechi, regnava un re passato alla storia per il suo famoso tesoro e per essere riuscito, lui grande guerriero che aveva portato ai massimi fasti il suo impero , nel breve volgere di un anno circa, a perdere tutto e a rimetterci anche la vita.
Il suo nome era Montezuma.
La sua città , Tenochtitlan, oggi Città del Messico, era troppo famosa per le sue ricchezze e per i suoi palazzi coperti d'oro per non attirare la cupidigia dei nuovi arrivati, ed in particolare di Hernan Cortez, condottiero e nobile spagnolo, ansioso di arricchire se stesso ed il suo imperatore Carlo V di Spagna.
Gli Aztechi erano un popolo che aveva un profondo timore del futuro. Ogni 52 anni ( si attenevano al loro celebre calendario) credevano che potesse verificarsi la fine del mondo , che gli Dei si sottoponessero a grandi sacrifici per permettere al popolo di potere sopravvivere e che quindi bisognasse sostenerli offrendo loro la cosa più preziosa che avessero: Il loro sangue e la loro stessa vita.
I sacrifici umani erano quindi una accettata consuetudine. Quando i guerrieri aztechi combattevano, non uccidevano il nemico, ma dovevano farlo prigioniero per sacrificarlo agli Dei. Ogni nemico morto era un sacrificio perduto.
Montezuma, che aveva sottomesso tutti i popoli confinanti, che godeva di fama di giusto e che certo non mancava di coraggio, all'arrivo di Cortez, al contrario, dimostrò quella che molti scambiarono per codardia., quando con tutta probabilità altro non era se non la profonda convinzione nella natura profetica delle divinità.
In realtà egli si convinse che il barbuto marinaio venuto dal mare e sceso dalla montagna galleggiante (così apparivano i grandi vascelli spagnoli) altri non fosse che l'incarnazione del Dio piumato Quetzalcoatl che veniva a reclamare il proprio regno, in ossequio ad una antica profezia ed in seguito a diversi oscuri presagi, per cui occorresse non ostacolarlo ma tributargli onore.
Il condottiero spagnolo sbarcò in Messico nel 1518 con solo 550 uomini, ma aveva cavalli ,fucili e cannoni , tutte cose assolutamente sconosciute agli atzechi. Gli scontri non erano nemmeno proponibili, oltretutto, fra uomini che non usavano uccidere e altri che non ci pensavano due volte a farlo. Non c'era partita, e si era visto già contro villaggi e città incontrati lungo la strada verso Tenochtitlan.
Montezuma inviò i suoi maghi per tentare di fermarlo, ma gli spagnoli erano troppo disincantati per farsi fermare con così poco . Allora Montezuma inviò doni stupendi, scegliendo in gran quantità i gioielli ed i monili più belli , ottenendo il risultato che Cortez ebbe la conferma della presenza di grandi tesori e della opportunità di prendere possesso della città . Per la verità Montezuma inviò anche i fiori dei suoi giardini, il che veniva considerato l'onore più grande, ma gli spagnoli erano interessati ad altro.
Il sovrano fece di tutto pur di compiacere Cortez, arrivando a farsi battezzare (e non sapeva cosa fosse il battesimo), a giurare obbedienza a Carlo V (che non aveva idea di chi fosse), e a giurare su una Bibbia di cui non conosceva il significato, ma fu tutto inutile. Accettò perfino di sospendere la pratica dei sacrifici umani (Cortez voleva che le immagini degli Dei atzechi fossero sostituite da quella della Vergine Maria) Accampando una scusa, Cortez lo imprigionò insieme a 600 dignitari, ponendolo in catene.
A questo punto il popolo reagì circondando il palazzo e gli stessi spagnoli, e quando Cortez convinse Montezuma a mostrarsi per parlare loro e indurli a lasciare libero il passaggio, accusandolo di tradimento lo accolsero con un fitto lancio di pietre e sassi.
L'imperatore , gravemente ferito, si ritirò morente , rifiutando fino all'ultimo, però, di convertirsi al cattolicesimo per restare fedele ai propri Dei
Molti storici sono convinti, invece, che ad ucciderlo siano stati gli stessi spagnoli, prima di passare alle armi e distruggere la citta' mettendola a ferro e fuoco (1520).
Gli spagnoli fecero un autentico massacro, uccidendo anche donne e bambini, per non parlare delle conseguenze del contagio da vaiolo , malattia sconosciuta in quelle zone, che causò enormi perdite di vite umane .
A proposito delle atrocità commesse dagli spagnoli in quel periodo (che hanno alimentato la cosiddetta “leggenda nera”) restano i resoconti del vescovo Bartolomeo de Las Casas, nei quali le stesse vengono descritte nei particolari e dove si esorta a considerare gli indios come uomini e non già come animali servili.
Arriva ad invocare un trasferimento, mai in realtà avvenuto, di coloni europei nelle encomiende sud americane, per favorire un tentativo di integrazione.
I suoi scritti servirono enormemente ai movimenti illuministi per accusare di feroci crudeltà la Spagna , ma toccarono molto meno la Chiesa che giunse a fare uccidere chi rifiutava di convertirsi.
Tanto era grande il timore e la paura nelle popolazioni che, giusto per fare un esempio,nel trascrivere un racconto fattogli da un nobile messicano ,Las Casas riferisce come lo stesso gli abbia detto testualmente: “Noi aztechi diamo la morte a chi dice menzogne. I cristiani , invece, lo fanno abitualmente.
Quando anch'io saprò mentire, allora sarò un bravo cristiano”.
666 – IL NUMERO DEL MALIGNO
Da sempre ai numeri è stato attribuito un potere magico, e da sempre ad ognuno di essi si è legato un significato simbolico e rappresentativo.
Pitagora sosteneva che ogni cosa ,nell'universo, si può ricondurre ai numeri, ed ogni setta o comunità, in qualche modo, ha gestito le proprie credenze e i propri riti facendo uso di numeri da cui ogni adepto poteva derivare determinati significati.
Normalmente si crede che il numero 666 sia stato attribuito a Satana, inizialmente , per il fatto che se ne sia parlato nel libro dell'Apocalisse (ultimo libro del Nuovo Testamento, di scuola Giovannea), contestualmente al combattimento finale tra le truppe del Bene e quelle del Male, al Giudizio Universale e all' Armageddon biblico.
In realtà nell'Apocalisse si identifica il Male con la stessa Umanità, in quanto nel numero 6 si celerebbe l'imperfezione rispetto al numero 7 (la perfezione del numero dei giorni della creazione, essendo l'uomo stato creato durante il sesto giorno , ma non completato ,quindi rimasto imperfetto, perchè il settimo giorno, quello nel quale attualmente vivremmo, non è stato ultimato) ed il 6 indicherebbe, in conclusione, il tentativo non riuscito dell'uomo di raggiungere la qualità divina, sempre ricercata e mai conquistata. I tre 6 simboleggiano, perciò, il Drago Rosso, La Bestia che sale dal Mare e quella che sale dalla Terra, riunite insieme a rappresentare “La Grande Bestia” , detta anche Anticristo, e cioè quell'Umanità separata da Dio, col quale vorrebbe identificarsi senza mai giungere a realizzare questo scopo.
Essa imponeva a tutti un marchio sulla mano destra e sulla fronte, solo coi quali era possibile “comprare o vendere”.
Nell'Apocalisse si parla chiaramente di una Bestia che esce dal mare per devastare la Terra, come anche di una Bestia che sale dalla Terra per immergersi nel Mare dell'Umanità .Il mondo cristiano ha cominciato a parlare di Bestia e di 666 , come si diceva, appunto col Nuovo Testamento, ma il numero 666, anche senza riferimento alcuno al Maligno, compare anche nel Vecchio Testamento, allorquando indica in 666 talenti il peso dell'oro delle offerte annuali donate a re Salomone , che sedeva su di un trono posto su 6 gradini che avevano, a destra e a sinistra, 6 leoni per ciascun lato leoni .
Le interpretazioni dell'origine del 666 sono state, nel tempo, diverse e talora immaginifiche.
Molti hanno sostenuto che data la corrispondenza di ogni numero ad una lettera dell'alfabeto ebraico, 666 potesse riferirsi a Nerone (NRWN QSR -Neron Qesar-) primo torturatore dei cristiani, non tenendo però conto che l'Apocalisse è scritta in greco.
Altri pensano che debba riferirsi a Domiziano, altro formidabile persecutore (c'era lui quando l'Apocalisse venne scritta), ed altri ancora sono convinti che il numero esatto sia 616, facendo riferimento a quanto trovato scritto nel Papiro 115 scoperto ad Ossicorinco nel 275 d.C. ,che sicuramente è la copia più antica in assoluto delle “Rivelazioni”. Anche Isidoro di Siviglia, nel VI sec. , parla delle due interpretazioni, preferendo, però, il 666.
Del resto fu proprio il famoso teologo spagnolo, per primo, a definire il 666 come il “Numero della Bestia” o “dell'Anti-Cristo”.
Esiste anche una specie di giochino numerico, secondo il quale, essendo 3 il numero perfetto (La Trinità), ripetuto 3 volte (333) indicherebbe la perfezione, mentre moltiplicato per 3 (999) darebbe la perfezione divina. Questo numero, capovolto (666), indicherebbe l'opposto, cioè il male assoluto. Giochino pittoresco se non fosse che , ai tempi, i numeri arabi non si conoscevano ancora, (furono adottati in Occidente nel X sec.)
Sempre in tema di giochini 666 è il numero risultante dalla somma di tutti i numeri (dall'uno al 36) che compongono il cosiddetto “quadrato magico” di lato 6 .
Nel tempo il 666, cioè l'attribuzione di Maligno, è stato associato ,secondo le convenienze, a tutti quei personaggi importanti della storia che per qualche motivazione venivano indicati come assolutamente malvagi.
Seguendo questo criterio fu identificato con Napoleone Bonaparte (da Tolstoj in Guerra e Pace) e addirittura, da uno dei fondatori della “Chiesa avventista del settimo giorno” , con lo stesso Papa.
Non si creda che certe convinzioni siano caratteristiche di interpretazioni rimaste confinate nei secoli scorsi. Tutt'altro. Si pensi che non molti anni fa una setta religiosa ha identificato il 666 tra i riccioli della barba di una figura che componeva il marchio di una multinazionale. Può sembrare incredibile ma la società, per evitare pubblicità negative, è stata costretta a modificare il marchio.
Una leggenda metropolitana, in aggiunta, sostiene che il 666 si trovi nei moderni codici a barre (all'inizio, al centro e alla fine), e porta ad esempio la carta VISA il cui nome sarebbe
composto da VI (sei romano) S (sei greco o stigma) A (60 nella scrittura cuneiforme babilonese).
Naturalmente si possono trovare anche altre indicazioni, come quella che dice che il sei sarebbe un numero privo di potenza piena, essendo la metà di dodici, laddove quest'ultimo sarebbe un altro numero sacro che indica il numero delle tribù di Israele, o il numero degli apostoli di Cristo, e in conclusione, numero che possiede un potere almeno doppio.
Del resto spesso anche oggi nei giornali viene riportata la notizia di sette pseudo-sataniche che svolgono oscuri riti generalmente violenti circondandosi di segni e di numeri a cui attribuiscono poteri di evocazione per supposte forze infernali.
FUMO E TABACCO
La storia del fumo si perde nella notte dei tempi.
Durante gli antichi sacrifici, quando le offerte agli Dei venivano bruciate sugli altari, si era soliti accompagnare le invocazioni ai fumi odorosi che si alzavano verso il cielo diretti, gli uni e le altre , alla divinità cui si chiedeva protezione.
Gli Atzechi durante i loro riti sceglievano accuratamente quali erbe incenerire per soffiarne il fumo in direzione dei quattro punti cardinali.
Anche Greci e Romani si circondavano del fumo di erbe varie dal profumo forte e stordente (come le foglie del Pyrus – pero) e ancora oggi, del resto , si perpetuano queste pratiche (vedi l'uso dell'incenso).
Il fumo, quindi, ha sempre rivestito in qualche modo un profondo significato sacro , proprio per la caratteristica di “elevarsi” e di avvicinarsi a ciò “che sta in alto”.
Generalmente veniva soffiato e non inspirato.
In realtà nei tempi si è provato a fumare un pò di tutto. Gli antichi Sciti aspiravano il fumo da foglie bruciate di canapa (marijuana), i Sumeri deglutivano palline di oppio e probabilmente lo fumavano, l'oppio stesso fu una piaga della Cina coloniale e diede luogo alla famosa “guerra dell'oppio” nella prima metà dell'ottocento, mentre l'hashish era molto diffuso nel medioevo.
L'uso del tabacco in Europa, al contrario, ha un inizio ben preciso che si fa coincidere con l'avventura di Cristoforo Colombo nel 1492.
Gli “indiani” (così li chiamò il grande navigatore ,credendo di essere sbarcato in India) che abitavano l'isola delle Bahamas che oggi porta il nome di San Salvador , conoscevano bene il tabacco che loro usavano per molteplici usi. In effetti alle foglie della pianta di tabacco venivano attribuite diverse virtù. Veniva assunto, soprattutto masticandolo, per aumentare vigoria e come antidolorifico, ed anche per curare ferite se adoperato come impiastro.
Bartolomeo de las Casas racconta come le foglie arrotolate da fumare venissero chiamate “tobago”, da cui tabacco.
La storia del tabacco nelle Americhe ebbe un forte impatto economico e sociale.
La richiesta che le varie Compagnie delle Indie (sia quella francese che quella olandese) esercitarono a seguito della colonizzazione spagnola , estese enormemente le coltivazioni della pianta nei Caraibi, e solo quando vennero soppiantate dalla coltivazione dello zucchero (più redditizio), si ricorse essenzialmente alle piantagioni della Virginia.
I coltivatori americani in un primo tempo si servirono di mano d'opera servile a pagamento (servitù debitoria), ma poi trovarono più conveniente dare inizio alla così detta “tratta atlantica degli schiavi” la quale comportava servizio gratuito in cui il personale africano veniva trattato come animali (si parlava, invero, di “allevamenti” di schiavi) e su cui si aveva diritto assoluto di proprietà. il che diede origine a quella che tutt'oggi viene chiamata “razza afroamericana”. L'importanza del tabacco aumentò gradatamente e si giunse al punto di fissare un “tasso aureo”, rendendo possibile convertirlo in oro.
Il fumo veniva usato anche per cerimonie e riti di amicizia e alleanza (il famoso calumet della pace),e spesso tabacco posto in sacchetti veniva accettato come forma di pagamento.
La pianta in Europa prese diversi nomi (come quello di Erba di Santa Croce), e venne studiata e classificata da naturalisti del valore di Carlo Linneo (col nome Nicotiana).
Inizialmente usata solo come pianta ornamentale, assunse rinomanza quando l'ambasciatore in Portogallo Jean Nicot (da cui nicotina) ne fece regalo alla regina Caterina de' Medici per curare i ricorrenti mal di testa del figlio Francesco II.
In effetti nel tempo , a cominciare dal XVII sec. l'uso del tabacco si diffuse enormemente, malgrado la lotta di vari Papi (Urbano VIII nel 1l24 minacciò scomuniche e proibì che si fumasse nella Cattedrale di S.Pietro) e Re (come Giacomo I d'Inghilterra) che cercarono di proibire o limitarne l'uso.
Quando poi ci si accorse che dal tabacco poteva derivare un copioso guadagno, si trovò più conveniente tassarlo.
Le foglie di tabacco potevano essere fumate (all'inizio si fece uso abbondante di vari tipi di pipa), masticate ( le donne protestavano perchè i mariti avevano denti marci e fiato puzzolente), o annusate.
Ci fu un periodo in cui fu di gran moda fare sfoggio di tabacchiere per il tabacco da naso, e ce n'erano di tutti i tipi, d'oro e d'argento spesso recanti lo stemma nobiliare del proprietario.
Nonostante cominciassero a venire fuori i primi studi degli aspetti nocivi del tabacco, in pratica fumarono quasi tutti, dai marinai agli intellettuali. Persino le donne fondarono nel '700 l'Ordine della tabacchiera (giungendo ad affermare che al mondo l'unica cosa da amare non erano gli uomini ma il tabacco). La parola “ smoking” ,che oggi associamo ad un elegante abito da sera, in realtà sempre nello stesso periodo altro non era che la giacca che l'ospite prestava ai suoi invitati perchè in una apposita stanza potessero fumare senza che il loro indumento si impuzzasse. Addirittura il tabacco da pipa venne consigliato ai prelati per reprimere tentazioni di tipi sessuale.
Poi si scoperse l'assuefazione.
La sigaretta pare sia nata durante la guerra di Crimea (1850), quando i turchi riempirono cilindretti di carta ,originariamente contenenti polvere da sparo, con tabacco (da questo il detto “fumare come un turco”).
La sigaretta prese facilmente piede, e durante le guerre fu data gratis ai soldati perchè ne facessero uso e ne divenissero dipendenti ( doping).
Il commercio che ne derivò fu enorme e gli interessi incalcolabili. Si trovò anche qualche medico che sostenne che il fumo faceva bene alla salute, e negli anni del novecento non vi fu giornale o film che non ritraesse i divi del momento con la sigaretta in bocca.
Un business mondiale, e prima che la scienza mettesse in relazione l'uso del fumo con una sequela di malattie e soprattutto con il carcinoma delle vie respiratorie, lo stesso entrò pian piano in qualunque manifestazione umana, dalla musica (Bach compose “Lied in onore del fumatore”), alla pittura (i fumatori di Cezanne e Van Gogh), nelle canzonette (la celeberrima “Smoke in your eyes”). John Rolfe, il più famoso e ricco produttore in America di tabacco era nientemeno che marito di Pocahontas , da cui il ben noto fumetto.
Oggi, seguendo il tormentato desiderio verso l'autodistruzione, l'uomo ha affiancato al fumo altri numerosi vizi ben più pericolosi , ma al tabacco resta il dubbio privilegio di rimanere , comunque, una vera e propria DROGA DI STATO.
HEINRICH SCHLIEMANN
Nel 1800 ancora l'archeologia doveva muovere i suoi primi passi. Solo alcuni collezionisti erano in possesso di reperti storici che si procuravano in strani modi stringendo sotterranei sodalizi con mercanti d'arte che sfruttavano gente abituata a depredare tombe e siti archeologici. Ma prima ancora che scavi e ricerche venissero predisposte in maniera organica sotto la supervisione di Nazioni e Musei, l'interesse verso il passato lo si deve a uomini che , un po' per passione , un po' per profondo amore per l'avventura, hanno finito per segnare l'inizio della moderna archeologia.
Naturalmente non si può dimenticare Giambattista Belzoni (di cui abbiamo già parlato) e le sue scoperte egiziane, ma dopo di lui un altro personaggio ha dato un notevole impulso allo spirito di ricerca.
Parliamo di quello strano personaggio che fu Heinrich Schliemann.
La storia lo descrive come un uomo tenace e avventuroso, disposto al compromesso pur di raggiungere i risultati voluti, e forse anche ad imbrogliare un po' le carte.
Tutti conosciamo ed amiamo poemi come l'Iliade e l'Odissea. Ettore ed Achille hanno occupato le nostre fantasie da piccoli mentre la bella Elena ha rappresentato da sempre l'idea della bellezza e dell'amore per cui si è disposti a tutto.
Heinrich nasce in Germania nel 1822 e sin da bambino è come rapito dalle storie omeriche.
Questa passione non passa con l'età, ed anzi si rafforza sempre più, fino a quando non decide di ricercare la mitica Troia sulla base delle indicazioni contenute nell'Iliade.
Impara diverse lingue e viaggia molto, fino a quando, in America, ( dove viene anche processato per frode) , non riesce a guadagnare abbastanza prestando denaro ai cercatori d'oro. Al suo ritorno in Europa accumula altri guadagni procurando vettovaglie ed armi allo zar di Russia durante la guerra di Crimea .
A questo punto ritiene di avere risorse sufficienti per intraprendere il viaggio tanto agognato per scoprire le mura di Ilio.
Organizza quindi a sue spese una spedizione che, partendo da Itaca, lo porta in Anatolia (Turchia) dove, dopo avere scavato illegalmente e di nascosto, ottiene l'autorizzazione dalle autorità turche.
Ed è qui che nel 1870 ,sulle sponde asiatiche dello stretto dei Dardanelli, sempre seguendo le indicazioni dei testi omerici, comincia a trovare , oltre a reperti vari, (vasellame, oggettistica, armi...), i resti di più città costruite una sull'altra e si convince che il secondo strato si riferisca alla mitica Troia omerica. In realtà l'ansia della scoperta a tutti i costi lo porta a ingigantire la portata dei suoi ritrovamenti e ad essere frettoloso nelle attribuzioni. Già dai suoi primi scavi il reperimento di una moneta con la scritta “Hector Ilion” (Ettore di Ilio), lo convince di avere trovato la mitica Ilio, non rendendosi conto che la città da lui riportata alla luce, cosa di cui attribuirgli certo gran merito, è solo uno di nove strati risalenti ad epoche diverse, dall'età del bronzo al periodo ellenistico. Giunge al punto che edificazioni non corrispondenti alle descrizioni contenute nel canto II e VII dell'Iliade, sono da lui abbattute per cercare più in profondità. Non ha ovviamente idea di come si debba procedere per eseguire uno scavo archeologico, ma dati i tempi, non si può dare tutte le colpe a lui solo.
Naturalmente tutti i reperti, armi, oltre ottomila gioielli, oro, ecc.. furono dallo Schliemann attribuiti, secondo il suo desiderio, alla città di Troia, ed al tesoro, notevole per qualità e quantità, diede il nome di “Tesoro di Priamo”, che lo scopritore donò alla Germania, da cui fu trafugato dai russi alla fine della seconda guerra mondiale, e reso visibile al pubblico solo una cinquantina di anni dopo, alla fine dell'impero dei soviet.
Naturalmente analisi accurate fatte da esperti di tutto il mondo hanno dimostrato che ben poco di vero c'e nella ricostruzione dello Schliemann. Anzitutto oggi molti studiosi mettono in dubbio perfino l'esistenza del poeta Omero, e lo strato dissepolto nella costa della Turchia che “potrebbe “ corrispondere alla tanto cercata Troia sarebbe il settimo e non il secondo. Inoltre il tesoro stesso cosiddetto “di Priamo” non corrisponderebbe al periodo della famosa battaglia tra troiani e achei (che sarebbe avvenuta intorno al 1250 a. C.), ma risalirebbe addirittura a 1500 anni prima.
Ciò non toglie la bellezza e lo splendore del tesoro, oggi conteso da diversi stati, ma attualmente divido tra il museo Hermitage di San Pietroburgo e il museo Pushkin di Mosca.
In ogni caso l'ansia della ricerca portò il nostro Schliemann a continuare le sue ricerche, questa volta nella città di Micene, nel Peloponneso greco, luogo dal quale era partita la missione di guerra contro Troia guidata dal re miceneo Agamennone .
Negli scavi rinvenne svariate tombe nonché fra inestimabili corredi funerari, una particolare maschera, all'interno di una tomba, che, forgiata in lamina d'oro lavorata a sbalzo, riproduceva un austero viso provvisto di barba e baffi. In men che non si dica Schliemann l'attribuì al famoso re Agamennone, e con tale nome è conservata tutt'ora nel museo di Atene, nonostante datazioni ufficiali posteriori indicano che fu fatta almeno trecento anni prima della guerra troiana.ù
Schliemann, in ogni caso,tanto era saldo nelle sue convinzioni da chiamare Agamennone il figlio che ebbe nel 1878.
Oggi è facile pontificare sulla superficialità delle intuizione dello Schliemann, ma dobbiamo essergli grato per le ricerche da lui intraprese per puro spirito di amore per le storie omeriche (vere o false che siano è un dettaglio che si può lasciare agli storici) e senza inseguire alcun tornaconto personale .E questo, dopotutto, non può dirsi di molti altri:
IL CADAVERE RISPONDA
Spesso al Medioevo viene associata la parola “buio”. Ci si riferisce naturalmente al buio della ragione in attesa dell'arrivo della luce del rinascimento, ma si potrebbero trovare anche facili legami con il buio dell'anima, che non trova speranze e nell'imposizione di crudeltà spesso assurde e senza difesa. Spiace constatare che spesso le crudeltà più atroci abbiano trovato la Chiesa come assoluta protagonista, nel costringere con la forza a comportamenti che , anche secondo le sue stesse parole, sarebbe stato meglio indurre con la persuasione ed il convincimento. Ed anche prima delle atrocità commesse in nome di Dio durante i tristemente famosi periodi dell'Inquisizione, tale atteggiamento aveva dato ampia prova di se stesso.
Uno degli episodi più macabri che la storia vaticana ricordi si svolse nel 897, in Laterano.
Bisogna ricordare che in quel periodo il Vaticano era oggetto di liti profonde (nessun Papa poteva vantarsi di essere stato chiamato al soglio pontificio senza l'appoggio di questa o quella fazione politica). Nel 891 venne eletto Papa Formoso, filo -germanico, che appoggiava Arnolfo di Carinzia divenuto Re all'atto dell'abdicazione di Carlo il Grosso, ultimo della stirpe dei Carolingi. Ma a Roma, lontana dalla Germania,vi era un altro pretendente, anche lui imparentato con i Carolingi,che si era fatto avanti. Si trattava di Guido di Spoleto che era riuscito a costringere Papa Stefano V (predecessore di Formoso ), ad incoronarlo imperatore. Alla morte di Stefano venne eletto, dal partito filo-germanico, appunto, Formoso, già vescovo della diocesi di Portus (vicino Ostia) nonostante la norma , peraltro già infranta diverse volte, che un vescovo non potesse essere eletto papa.
Quando Guido morì ed il figlio Lamberto costrinse Formoso ad incoronarlo , quest'ultimo pregò nascostamente Arnolfo di Carinzia, che questa volta si decise all'azione, di intervenire a Roma. Lamberto , giudicando un odioso tradimento la richiesta di Formoso , lo imprigionò in Castel Sant'Angelo da dove fu liberato da Arnolfo. Ma un ictus che colpì lo stesso Arnolfo capovolse la situazione e Formoso venne ucciso.
Lamberto divenne il padrone di Roma e la Curia preda dell'aristocrazia romana finchè, nel 897, non venne eletto papa Stefano VI, naturalmente parteggiante per Lamberto. In un abisso di odio senza fine e di desiderio di vendetta, Stefano ordinò che la salma di Formoso, già morto da nove mesi, venisse esumata, rivestita dei paramenti sacri, portata in San Giovanni in Laterano e assicurata ad una sedia mediante lacci. Fu così che ebbe inizio quel processo che passò alla storia come “Il sinodo del cadavere” (Synodus horrenda). L'accusa era sostenuta dallo stesso Stefano VI, mentre la difesa era affidata ad un confuso e intimorito diacono che a stento riusciva a farfugliare qualcosa. La sentenza era già scritta, e Formoso venne condannato alla “damnatio memoriae”, mentre tutti gli atti da lui sottoscritti in vita vennero invalidati. Alla salma vennero letteralmente strappati i paramenti sacri, mentre gli vennero mozzate le tre dita della mano destra che servivano ad impartire la benedizione.
Successivamente il corpo fu portato in giro per le strade di Roma ed infine gettato nel Tevere.
Complice un crollo della basilica del Laterano, in cui molti ravvisarono il segno dello sdegno divino, dopo poco tempo sacerdoti e cittadinanza si resero conto dell'orrore a cui avevano partecipato, e finalmente il pentimento e il disgusto per il sacrilegio prevalsero portando ad una vera sollevazione contro Stefano VI, che alla fine, pure lui, venne catturato e rinchiuso a Castel Sant'Angelo dove qualcuno provvide a strangolarlo in cella.
Papa Giovanni IX nel 900 annullò tutti gli atti del “Concilio del Cadavere”, dandone alle fiamme la relativa documentazione, perdonò i vescovi che vi avevano partecipato riconoscendo che lo avevano fatto sotto minaccia e proibì che da quel momento in poi fosse possibile istruire processi contro i morti.
IL cadavere di Formoso, recuperato dal Tevere, oggi riposa a San Pietro.
LA SINDONE
La Sacra Sindone è oggi considerata la più importante reliquia del Cristianesimo.
Si tratterebbe, secondo la versione accreditata dalla Chiesa, del lenzuolo che avrebbe avvolto il corpo di Gesù all'atto della deposizione dalla Croce prima di porlo nel Santo Sepolcro.
In realtà le cose non sono così semplici. Nessuno può dire infatti di sapere con esattezza come si sarebbe prodotta l'immagine impressa nel lenzuolo, né a quale anno si possa fare risalire .
Si fronteggiano da un lato il desiderio dei fedeli di possedere qualcosa che sia appartenuta a Gesù, in questo favoriti dalle evidenti esigenze ecclesiastiche, e dall'altro il fatto che nessuna ricerca scientifica sia , a tutt'oggi, riuscita a confermare con dati scientifici i riferimenti storici necessari.
Il lenzuolo, di lino, ha le dimensioni di 4,41x1,13metri, e reca l'immagine di un uomo che avrebbe subito pesanti torture, compatibili con quelle di una crocifissione, visibile solo da un lato. Fa la sua prima comparsa nel 944 ad Edessa , nell'attuale Turchia, per “scomparire” nel 1200 e ricomparire circa 100 anni dopo. Nel 1532 subì gravi danni in seguito ad un incendio a Chambery. Venne rattoppato dalle suore Clarisse, ed infine Emanuele Filiberto lo portò a Torino, conservandolo nel Duomo. L'immagine fotografica è molto meglio visibile al negativo, apparendo come positiva in fotografia e se vista a meno di tre metri di distanza, sembra scomparire. Ricercatori cattolici sostengono che l'immagine si sia formata a causa del lampo di luce
che avrebbe accompagnato la resurrezione del Cristo.
Nel 1988 la Sindone viene sottoposta, da tre laboratori indipendenti, all'esame per la datazione col Carbonio 14, che le attribuisce un'età risalente attorno al 1325, con grande delusione della Chiesa che impedisce ulteriori accertamenti. Da questa data, in ogni caso, inizia la storia della Sindone ufficialmente documentata. Questo esame fa fiorire altre ipotesi, del tipo che il lenzuolo riporti la figura del corpo di Jacques de Molay, ultimo Maestro dell'Ordine dei Templari, che fu torturato e ucciso da Filippo il Bello re di Francia. Però il templare venne bruciato sul rogo, e quindi non ci sarebbe stato un corpo da avvolgere. La tela confermerebbe che Gesù portava una casco di spine e non una corona circolare e che non avrebbe portato sulle spalle, lungo la Via Dolorosa, la croce, bensì solo il suo braccio più lungo (patibulus). Inoltre mostrerebbe chiaramente come i chiodi siano stati messi ai polsi (come effettivamente facevano i romani) e non nei palmi, come riportato in quasi tutti i dipinti medioevali.
La Sindone è stata sottoposta a vari restauri di tipo conservativo, per rimuovere le parti bruciate nell'incendio, nonchè i rammendi fatti delle Clarisse E' stata inoltre pulita e stirata. Tutti questi procedimenti sono stati ferocemente criticati da molti ricercatori, in quanto avrebbero comportato l'eliminazione di materiale che poteva essere utilmente analizzato. Altri sudari riporterebbero la figura del volto di Gesù, come quello di Oviedo, quello di Manoppello e quello della Veronica. In realtà le tre immagini sono diverse tra loro e la Chiesa racconta storie alquanto complicate per giustificare la loro comparsa nel mondo moderno.
Tra il volto impresso nella Sindone e quello di Oviedo ci sono molti punti di somiglianza, anche se il secondo è dovuto alla presenza di sangue (gruppo AB), mentre il primo, come si diceva, ad un lampo di luce (riprodotto , per altro, dal team dell'Enea di Frascati).
Inutile dire che l'intraprendenza della nuova generazione di scienziati ha portato a porsi degli ambiziosi programmi. Quasi come in un film, si è ipotizzato di confrontare il DNA ricavato dalla Sindone (e conservato nella Banca mondiale del DNA), con quello recuperato dal telo di Oviedo, e addirittura con l'altro preso dall'Ossario di San Giacomo risalente al I sec, che , potendo contenere le ossa del Santo, avrebbe lo stesso DNA di Gesù, trattandosi di fratelli.
Questo quasi a prefigurare una possibilità di clonazione e quindi, riprendendo un tema caro ai nostri tempi, potere verificare una eventuale discendenza riscontrabile ai giorni nostri.
Abbandonando visioni avveniristiche e ipotesi senz'altro affascinanti quanto difficili da dimostrare, resta il fatto che al di là della veridicità delle reliquie, sempre si tratta di una professione di fede.
Nel mondo vi sono migliaia di reliquie , molte vere e molte false ( se si mettessero insieme tutti i pezzettini di legno che si dice provengano dalla Santa Croce, di croci se ne farebbero veramente molte), il che però, non fa che cercare di venire incontro al bisogno di “credere” che contraddistingue i fedeli.
E la fede, per sua natura, non cerca e non ha bisogno di conferme scientifiche. Ha bisogno, invece, anche di qualcosa di “materiale”, da toccare e davanti alla quale genuflettersi.
E bene lo sa la Chiesa che ogni anno accoglie a Torino migliaia di pellegrini ansiosi di potere vedere la Sindone (anche se viene esposta solo raramente), senza mai metterne in dubbio la autenticità.
MUOIA SANSONE CON TUTTI I FILISTEI
Muoia Sansone con tutti i filistei è una celeberrima frase dell' Antico Testamento, dalla quale si deduce facilmente che tra ebrei e filistei non correvano certo dei buoni rapporti, ma chi erano veramente i Filistei?
La Bibbia li nomina spesso e praticamente sempre in modo dispregiativo. Per gli ebrei il popolo filisteo rappresentava “il diverso, “il nemico”, “lo straniero”, coloro che sono ostili per definizione. Spesso li rappresentavano in modo caricaturale, sottolineandone le differenze per esaltare le proprie superiorità. Venivano comunemente indicati come i “non circoncisi”.
In realtà il popolo filisteo occupava, con cinque città (dette brevemente pentopoli), la zona costiera tra le odierne Gaza e Tel-Aviv, Si pensa che provenisse da Creta, o ancora, dalla Cappadocia. Era tra i popoli di origine indoeuropea “venuti dal mare”, che verso l'anno 1000 a. C. avevano invaso l'Egitto. Contro costoro Israele si propose come il popolo eletto voluto da Dio, pur se per lungo tempo ne aveva dovuto subire la dominazione.
I difficili rapporti tra i due popoli sono dettagliatamente descritti nelle prime fasi della storia di Israele , quella dei patriarchi, dei giudici e della prima monarchia.
Per la verità, almeno inizialmente, alcuni episodi narrano di rapporti pacifici, come quando Isacco trova riparo presso i filistei e presenta sua moglie come sorella. Scoperto, non viene punito. Del resto lo stesso Sansone , e Davide in fuga da Saul, hanno entrambi mogli filistee. Filistea era , però , anche quella Dalila che tradì lo stesso Sansone e ne causò l'accecamento.
Le città filistee,( oltre a Gaza ricordiamo Ascalona, Asdod ed altre), avevano ognuna un re diverso, ma in caso di guerra si riunivano in confederazione.
Erano superiori in battaglia perchè facevano uso del ferro per le armi, mentre gli israeliti erano ancora nell'età del bronzo. Famosi sono alcuni episodi come quello in cui i filistei riescono a sottrarre in combattimento l'Arca dell'Alleanza agli ebrei, portandola ad Asdod, ma colpiti dalla peste, la restituiscono per scampare alla vendetta divina. Per non parlare del duello tra Davide e il gigante filisteo Golia.
In ogni caso i Filistei non rappresentarono mai una realtà geo-politica propria, essendo costituiti da gente promiscua, e lo stesso nome ha origini oscure, provenendo, con tutta probabilità da fonti egiziane (il nome compare all'epoca di Ramses III , quando, a Medinet, alcuni rilievi narrano della loro avanzata). Ricerche archeologiche hanno rivelato l'uso di sarcofagi antropomorfi, dovuti, si pensa , ad emulazione della tradizione egizia, mentre si è accertato che si cibassero di carne suina, assolutamente vietata nell'uso biblico. Le fasi di installazione dei filistei nelle terre cananee sono state messe in relazione con le relative fasi di produzione della ceramica locale, prima monocolore, poi bicromica, e così via.
Nella Bibbia i Filistei sono descritti come un popolo bellicoso e sempre in armi, ma questo non è stato sempre vero.
Nel libro dei Re si narra come effettivamente i filistei abbiano assoggettato Israele dopo la battaglia di Aphek, ma la loro oppressione portò alla unificazione delle tribù israelite che ,sotto la guida di Saul, li sconfissero. Poco tempo dopo, però ,lo stesso venne a sua volta sconfitto e ucciso, a causa dell'allontanamento di Davide, che si era rifugiato, appunto, presso i filistei. Davide sarebbe riuscito in seguito a riunire sotto di sé tutta Israele e a ridurre in vassallaggio i filistei.
Nel tempo la pentapoli filistea subì la dominazione babilonese, poi quella persiana e quindi quella macedone.
I filistei progressivamente scomparvero subendo un processo di semitizzazione, già completato al tempo della invasione persiana. Il loro nome ( in ebraico Pelishtim) ha dato origine al termine Palestina , per indicare prima la sola zona costiera e poi anche l'interno.
Furono i Romani, all'indomani della rivolta giudaica, ad estendere il nome di Palestina anche alla Giudea in segno punitivo verso il popolo ebraico che tanti grattacapi procurava a Roma.
Il Dio nazionale filisteo era Dagon, padre di Baal. La denominazione Ba' al Zebul ( Signore dell'Aldilà) venne per sfregio cambiata nella Bibbia con quella di Ba' al Zebub (il signore delle mosche) , giungendo a identificarsi , nella tradizione cristiana, con il demone supremo Belzebù.
MADAME LA GUILLOTINE
E' capitato che la democrazia, a volte, abbia tentato, per imporsi, delle strane vie.
In Francia, nel XVIII sec. , la giustizia veniva applicata con metodi diversi secondo il ceto sociale. Un contadino che aveva commesso un crimine, ad esempio, veniva impiccato, mentre a un nobile si tagliava la testa con una spada. Esistevano poi altri modi per giustiziare i colpevoli, che andavano dallo squartamento al rogo. Erano tutti sistemi molto cruenti e, in un certo senso, spettacolari. Durante l'Ancien Regime si pensava infatti che occorresse spaventare dando esempi truculenti.
Nel 1789, però, accadde qualcosa destinata a cambiare radicalmente la Francia e che in un certo qual modo contribuì a dare inizio all'età moderna. In quell'anno scoppiò la “Rivoluzione Francese”.
Fu un fenomeno apocalittico che comportò la fine della monarchia , l'istituzione della Repubblica e l'introduzione dei principi di uguaglianza.
Non successe solo questo , ovviamente, anzi avvennero molti cambiamenti importanti. Un sentimento di rivolta pervase tutta la società francese, portato avanti dalla frangia più estrema e violenta della popolazione, i cosiddetti sanculotti, così chiamati sdegnosamente perchè indossavano pantaloni lunghi e non sotto il ginocchio come di moda a quei tempi. In nome della parità di condizione tutti vennero chiamati indistintamente “cittadini”, e si intraprese un'opera di scristianizzazione per liberarsi dall'oscurantismo religioso. Si adottò un nuovo calendario rivoluzionario, e si dedicò una Notre Dame spretata alla Dea Ragione, mentre il culto dei Santi venne sostituito con quello dei martiri rivoluzionari. Famosa resta la proposta di Fouchè di scrivere, all'ingresso dei cimiteri, la frase “La morte è un sonno eterno”. Diversi villaggi sostituirono i santi protettori, come a Ris, dove Bruto (l'assassino di Cesare) prese il posto di San Biagio.
Questa uguaglianza finì per riguardare anche il metodo con cui eseguire le condanne a morte. Non più differenza tra nobili e popolino. Anche nella morte si doveva applicare, democraticamente, lo stesso metodo per tutti. Il taglio della testa mediante una lama cadente fu proposto da un medico deputato di nome Joseph-Ignace Guillotin, anche se a realizzare praticamente la macchina fu un chirurgo di nome Antoine Louise.
A questa nuova attrezzatura furono attribuiti molti nomi. Ghigliottina, dal nome del suo inventore, la “Vedova”, perchè sola sul patibolo, il “rasoio nazionale”, o la “Louisette “, dal nome del progettista. Lo strumento riscosse immediatamente un successo travolgente. Anzi, addirittura superiore a quanto ci si sarebbe aspettato. Infatti divenne presto uno strumento di eliminazione politica degli avversari usato con enorme disinvoltura dai Giacobini (mediante la famigerata “legge del sospetto”, partorita dal “Comitato di Salute pubblica”) guidati dal famoso Robespierre e dall'implacabile Saint-Just (soprannominato “l'Arcangelo della morte”), per altro entrambi decapitati nel 1794. Con la fine di Robespierre termina quello che viene ricordato come il “Periodo del Terrore”, nonché la presa politica degli stessi sanculotti durata dieci terribili mesi, ma alcuni calcolano che il periodo della rivoluzione abbia causato la decapitazione di circa 30000 persone. Un vero e proprio fiume di sangue. Lo stesso dottor Guillotin rischiò di subire la stessa condanna salvandosi a stento .
La prima esecuzione avvenne nel novembre1792 e a farne le spese fu un ladruncolo di nome Jacques Pellettier, ma già nel gennaio dell'anno successivo iniziarono le esecuzioni aristocratiche. Luigi XVI, così, precedette di qualche mese la consorte Maria Antonietta, e tanti altri ebbero il discutibile “piacere” di constatare l'efficienza del terribile strumento di morte.
Personaggi famosi come Carlotta Corday (che aveva ucciso Marat), il Duca d'Orleans, Mirabeau, Danton, dapprima amico e poi considerato traditore, e così via.
Il popolo all'inizio sembrò gradire lo spettacolo offerto dall'esecuzione tramite Ghigliottina. Amava vedere arrivare i condannati sui carri che li trasportavano, per lanciar loro cascate di insulti, e si lamentava per l'esecuzione vera e propria che ,secondo lui, durava troppo poco e finiva con l'esibizione, da parte del boia, del capo reciso. Alla fine anche il popolo, però, si stancò di tanto sangue , desideroso di un percorso di conciliazione. Il periodo della Rivoluzione si considera chiuso con l'ascesa al potere di Napoleone, nel 1799.
L'ultima volta che la Ghigliottina è stata usata in Francia è stato nel 1977, nel carcere di Les Baumettes a Marsiglia. Vittima un tunisino accusato di assassinio.
Da allora, per fortuna, il macabro congegno figlio degli ideali illuministi di eguaglianza, protagonista negli anni di una gigantesca carneficina, giace inoperoso nei musei storici francesi, ispirando tutt'ora, a chi capitasse di guardarlo, sentimenti di paura e di terrore.
GARGOYLES
Milioni di persone ammirano ogni anno, e da tanti anni, lo splendore della cattedrale Notre Dame a Parigi. E' sicuramente la più famosa ed una delle più belle cattedrali gotiche che esistano.
E molti si saranno chiesto il perchè di quelle figure (se ne possono contare 54) rappresentanti mostri alati dalla faccia feroce posti lungo il perimetro della chiesa e che sembrano messe là per incutere terrore e spavento.
Anzitutto bisogna precisare che queste figure di pietra non c'entrano niente col gotico rappresentato dalla cattedrale. E' bene ricordare che , correva l'anno 1831, la stessa era ridotta in uno stato di tale abbandono che già si pensava di abbatterla completamente per sostituirla con altri edifici quando, proprio quell'anno , i parigini impazzirono per la storia di Quasimodo ed Esmeralda, protagonisti immortali del romanzo “Notre Dame de Paris” di Victor Hugo, tanto da contribuire alla decisione di ricostruirla. Il lavoro fu affidato al celebre architetto Viollet-le-Duc , e fu lui che volle inserire queste spaventose figure che nel gotico antico non erano presenti.
Il nome inglese Gargoyles (o gargouille-gola- in francese o gargolla in italiano) deriva dal latino gurgulio che fa ricordare il suono tipico del gorgogliare dell'acqua. In effetti l'utilità delle statue era quella di camuffare la parte terminale dei doccioni che servivano a scaricare l'acqua piovana limitando l'effetto corrosivo sulle pareti. Sul perchè si sia scelto questo tipo di travestimento vi sono diverse spiegazioni, alcune possibili altre addirittura sconfinanti nella leggenda.
In generale si pensa che il significato dei mostri, che guardano tutti verso l'esterno, simboleggi il male che doveva restare “fuori”, facendo passare il messaggio che “dentro” vi era riparo e salvezza.
Altri pensano che sia lo stesso male che , non potendo entrare, resta all'esterno in perenne attesa di poterlo fare.
Anche la scelta di rappresentare figure demoniache e fantastiche può essere stata ispirata dalle decorazioni operate a margine di molti libri che nel medioevo venivano classificati come “bestiari”, che descrivevano animali tratti dalla viva fantasia e dalle descrizioni di più o meno attendibili viaggiatori di ritorno dall'estremo oriente.
Del resto una interpretazione con la quale potremmo trovare agganci a fenomeni di tutta attualità , parla di come una certa classe borghese del XIX sec. vedesse con preoccupazione la grande espansione urbanistica e demografica di quel periodo. Quando Parigi divenne meta di grandi masse di popolani ed immigrati, questi furono dai benpensanti di allora considerati come una specie di “nuovi barbari”, e raffigurati quindi sulla pietra come “mostri e brutture” che indicavano quel popolino francese non in grado di integrarsi in una società colta che non era in grado di comprendere, anche se in fondo hanno contribuito a scrivere la storia di Parigi. Quei mostri, quindi, nelle intenzioni di Viollet-le-Duc, indicherebbero un importante periodo di transizione della storia e della cultura francese.
C'è inoltre una leggenda che racconta la nascita dei Gargoyles.
Nel VII sec. un drago alato ,di nome Gargouille, perseguitava i cittadini di Rouen, che ne avevano grande timore. Pare che la Gargouille non abbia approvato l'esecuzione sul rogo di Giovanna d'Arco, nel 1431, a cui assistette triste da lontano dall'alto della cattedrale. Dopo l'esecuzione avrebbe infatti volato minacciosa in tondo sulla città e durante la notte, poi, avrebbe compiuto la sua vendetta uccidendo tutti quei cittadini che avevano assistito al rogo.
Sarebbe stato l'arcivescovo Romano a sconfiggere la Gargouille e a bruciarla su una pira da cui si salvarono solo la testa e la gola del mostro, che furono impalate ed esposte all'esterno della chiesa a simboleggiare il trionfo della cristianità sul male.
Da questo racconto sarebbe derivata l'abitudine di porre i mostri alati al di fuori delle cattedrali pronti a prendere vita per la loro protezione.
Storicamente l'uso di doccioni per lo scolo era presente sia nell'antico Egitto che
successivamente in Grecia, anche se essi solitamente erano rappresentati da teste leonine che sputavano l'acqua dalle fauci.
I Gargoyles di Notre Dame sono senz'altro i più famosi, ma ne esistono anche in altre cattedrali in Francia e in Europa. Anche in Italia ve ne sono alcuni, come nel Duomo di Siena.
La Walt Disney negli ultimi anni del secolo scorso ha realizzato una famosa serie animata dal titolo “Il risveglio degli eroi” i cui protagonisti erano Gargoyles che prendevano vita di notte e tornavano di pietra alla prima luce del sole
Oggi, negli edifici moderni, non vi è più bisogno di questi camuffamenti artistici e simbolici, in quanto i doccioni stati sostituiti dai più funzionali ma senz'altro più prosaici tubi di scolo.
LA FALCONERIA
Il desiderio di volare è antico quanto l'uomo. E all'uomo essere il dominatore incontrastato della Terra non è stato mai sufficiente a soddisfare la sua voglia di potenza , e in qualche modo è sempre stato geloso di quegli uccelli che, dall'alto, dominavano i cieli. Potere adoperare i rapaci addestrandoli a cacciare per poi tornare a posarsi sul braccio del padrone è stata quasi una rivalsa per coprire la propria incapacità di librarsi nell'aria.
Non si sa con esattezza quando cominciò a diffondersi l'arte della falconeria, ma da ricerche archeologiche è venuto fuori che gia' intorno al 750 a. C. , in Mesopotamia, e più esattamente nel palazzo reale di Khorsabad, capitale del regno assiro di Sargon, alcuni bassorilievi raffiguravano cacciatori intenti ad addomesticare rapaci.
Fu però molto tempo dopo che questo uso venne introdotto in Europa, dove godette di grande successo durante il Medioevo. Tale fu la popolarità di quest'arte, che si arrivò a dire che ogni giorno passato senza cacciare coi rapaci era un giorno perduto.
La falconeria giunse ad essere uno status symbol. Più importante il volatile, più alto il blasone di chi ne faceva uso. La servitù poteva cacciare tutt'al più con un gheppio (che dall'alto individuava la preda e si lanciava in picchiata, -tecnica di alto volo-), il cavaliere poteva farlo con il falco pellegrino o lo sparviero ( che si gettavano all'inseguimento di una preda determinata -tecnica di basso volo-). Solo l'imperatore poteva adoperare l'aquila ( la più difficile da addestrare). Fu tale la smania per questo tipo di caccia da parte dei nobili, che Enrico I di Germania passò alla storia con il soprannome di “Uccellatore”.
Il fatto che solo le classi più abbienti praticassero la falconeria si spiega con la necessità di disporre di notevoli risorse finanziarie per il mantenimento e l'addestramento dei rapaci.
Pare che in Cina la falconeria fosse conosciuta anche 2000 anni prima di Cristo, mentre in Europa, benchè nota agli antichi Romani, la diffusione coincise con la conquista della Spagna da parte degli arabi nell' VIII sec. e ancora maggiormente con le guerre crociate.
In Europa nell'addestramento dei falchi si faceva uso della cosiddetta “ciliatura”, metodo crudele con il quale si cucivano le palpebre dell'animale per facilitarne l'obbedienza. Tale pratica venne abbandonata quando, seguendo la tecnica araba, si utilizzò il cappuccio.
Un grande appassionato di falconeria medioevale fu senz'altro Federico II di Svevia che addirittura curò la stesura di un ponderoso e dettagliato trattato in sei volumi dal titolo “De arte venandi cum avibus” (l'arte di cacciare con gli uccelli), e pare che la competenza in questa materia gli sia stata di aiuto ,durante le crociate, per trovare un comune terreno di dialogo con i nemici.
La Falconeria è praticata anche oggi e in Italia vi sono numerose scuole di addestramento ( come ad esempio a Gradara , nelle Marche). Una variante moderna è la “Guferia”, che addestra rapaci notturni, come appunto il gufo o il barbagianni.
Nel Medioevo la caccia col falco era praticata anche dalle donne, ma stranamente vigevano pure alcuni tassativi divieti. Ai Templari, ad esempio, era assolutamente vietato praticare la falconeria, mentre per L'Ordine degli Ospitalieri era l'unica forma venatoria permessa. Carlo Magno proibì che i chierici praticassero la caccia col falco ( nonché quella coi cani).
A volte la battuta di caccia veniva effettuata con l'aiuto di servi che battevano con lunghi bastoni i cespugli in modo che le prede si levassero in volo permettendo ai falchi di raggiungerle.
Questo sistema ha dato l'idea a quello che oggi viene chiamato “bird control”, che sfrutta, specie in prossimità di piste aeroportuali, la presenza di cacciatori alati per mettere in fuga stormi di uccelli potenzialmente pericolosi per i motori degli aerei in volo.
La nobiltà della figura del falco è stata spesso al centro di disegni murali , miniature e oggettistica varia. Federico II lo scelse come simbolo personale.
Se una volta l'andare a caccia mediante l'uso di uccelli rapaci poteva volere dire procacciarsi il cibo oltre al piacere, oggi, ovviamente, pur essendo abbastanza diffuso, si limita a soddisfare il desiderio di potere praticare un hobby particolare che si svolge in ambienti naturali, all'aria aperta, cercando di ricreare, ogni volta, le stesse sensazioni che dovevano provare gli antichi uomini del medioevo.
---L’assedio
Gli antichi Romani, così come, molto tempo dopo ,Napoleone Bonaparte, erano sostenitori di quella che chiamavano la battaglia risolutiva”. Ci si scontrava in campo aperto, e le forze contrapposte si davano battaglia secondo le disposizioni che valenti strateghi, dall'una e dall'altra parte, fornivano alle truppe a seconda del terreno, delle armi , del tipo di uomini e delle informazioni strategiche di cui potevano disporre. Il più bravo e il più forte vinceva tutto.
Una specie di “all in” antesignano. Però tra i romani e Napoleone ci fu un lungo periodo , il Medioevo,in cui le battaglie ebbero un andamento decisamente diverso. I Romani, mentre andavano in guerra ,costruivano contestualmente le strade che il loro esercito doveva percorrere (da cui il detto “tuttele strade portano a Roma), nel medioevo, invece, le vie di comunicazione praticamente non esistevano e si utilizzavano o i resti delle antiche vie romane o i corsi fluviali.
Questo fece sì che i vari signorotti preferirono costruire castelli fortificati grandi abbastanza da accogliere anche i cittadini del villaggio che in tal modo, in caso di guerra, potessero offrire aiuto e contemporaneamente ricevere protezione. In pratica il modo di combattere da scontro campalesi trasformò in “scontro posizionale”. Il nemico, insomma, se voleva appropriarsi di un certo territorio doveva necessariamente occupare il fortilizio e il modo di farlo era uno solo : l'assedio.
Esempi di assedio esistono, in verità, anche in passato, come quello della città di Alesia fatto da Giulio Cesare in Gallia, per non parlare di quello che resta forse l'assedio più famoso di tutti, e cioè quello di Troia mirabilmente descritto da Omero nell'Iliade. Ma erano l'eccezione e non la regolaNel Medioevo costruire mura e bastioni, dato l'enorme frazionamento del potere feudale, costituiva la maggiore garanzia di sicurezza possibile. Costruire le difese implicava la scelta di posti facilmente difendibili, in alto dove difficile era lo spiegamento di forze nemiche, o presso corsi d'acqua per i necessari approvvigionamenti idrici e comodi per la fuga o il soccorso di alleati.
Occorrevano anche molte risorse, però una volta ultimati i lavori, il maniero restava sempre lì pronto ad esercitare la sua funzione. Ogni castello proteggeva un parte consistente di territorio. Quando quest'ultimo era troppo grande, si procedeva a costruire più di un castello . Famoso è il caso di Folco III d'Angiò che per proteggere i suoi possedimenti lungo la Loira, arrivò a costruire un centinaio di castelli pronti, eventualmente, ad aiutarsi l'un l'altro. Inoltre, i castelli necessitavano, per la loro difesa, di un numero di armigeri ben più ridotto rispetto a quello di cui necessitavano gli eserciti attaccanti. Un castello poteva essere conquistato solo per fame, per sete, o combattendo.
O sperare nel tradimento di qualcuno che per denaro aprisse le porte della città (come successe durante l'assedio di Gerusalemme da parte degli Assiri). Il che comportava l'uso di molti uomini, molto tempo e molte risorse, il tutto non sempre disponibile.
L'assedio diveniva spesso l'unica opzione possibile perchè anche il devastare il territorio circostante non apportava un vantaggio duraturo ed esponeva a pressocchè certe ritorsioni. Tutto questo portò da un lato a sviluppare tecniche di costruzioni sempre più sofisticate, mura sempre più alte, sistemi di difesa sempre più difficili da superare, dall'altro, il nascere di una vera e propria scienza di guerra (l'arte ossidionale che studia le tecniche di assedio e quella poliorcetica che studia quelle di espugnazione) .
In pratica si divenne raffinati esperti sia dell'arte di difendere che in quella di distruggere ciò che si era costruito. Impressionante è il numero di macchine, spesso costruite in loco, adatte a sfondare mura e a creare quanto più danno possibile. C'erano scale munite di rampini per agganciarsi agli spalti laddove era consentito, come anche arieti provvisti di strutture di protezione per i manovratori, capaci di frantumare interi blocchi di granito, o anche torri mobili piene di soldati che venivano avvicinate alle mure mentre gli arcieri le proteggevano con fitti lanci di frecce. Naturalmente si cercava anche di minare i contrafforti o di scavare buche sotto le mura. E oltre a tutto questo non si può sottacere la perfezione raggiunta dalla macchine da lancio.
Famose le catapulte che lanciavano pietre, balle infuocate , nonché urina sterco e carni avariate per provocare infezioni. Derivati importanti delle catapulte sono le mangonelle (messe in tensione a mano) che potevano lanciare sino a 200 metri, o i trabucchi (funzionanti con contrappesi) che lanciavano sino a 400 metri .
Anche i difensori facevano uso di macchine, come ad esempio la springalda, specie di enorme balestra che con dardi infuocati tentava di incendiare le macchine avversarie. L'assedio aveva bisogno spesso di lunghi tempi. Federico Barbarossa fu sconfitto nella battaglia di Legnano, dopo essere stato fortemente indebolito militarmente dall'assedio fallito di Alessandria nel 1174.
In definitiva quello dell'assedio non si può considerare una scelta militare del medioevo. Al contrario fu una necessità dettata dalla creazione dei castelli che andavano espugnati uno dopo l'altro.