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Di Felice D’Ambra

La Pandemia & la Leggendaria “Vitti na Crozza”.

La Sicilia Orientale oltre ad essere la più vicina alla costa africana detiene meravigliose coste e città storiche che richiama il barocco siciliano di rara bellezza allo stato puro.

Oltre a tante bellezze naturali e panorami mozzafiato e con molte zone archeologiche di grande richiamo, la Costa Orientale è anche ricca di meravigliose Località, detentori di ben 18 Siti” Patrimonio Mondiale Unesco”. A parte Una vasta zona di miniere sparse e dove in una di zolfo, dell’antica valle dei templi di Agrigento, negli anni 50, nasce un autentico divertente ritornello chiamato: “Vitti na Crozza”.

Fu Proprio da questa allegra melodia cantata con appassionante espressione sentimentale da un minatore di zolfo, che quasi come un “inno”, ha tutta l’aria di uno scanzonato ritornello di sapore piacevole, ma che allo stesso tempo, ha un’aria di una struggente richiesta. Una richiesta che sembrerebbe essere fatta di allegria, ma ch’è, in realtà, vuole essere quasi di una preghiera, che sa di amara sofferenza, di dolore.

La richiesta di quest’uomo zolfataro, è causata dalla visione di un teschio umano, che egli mentre curvo era intento a scavare, ha visto un teschio quasi sepolto o forse abbandonato, chissà da quanti anni, sopra un piccolo torrione dentro la cava di zolfo  

Da questa tragica visione, potrebbe essere nato il canto dello zolfataro, che distrutto dal duro lavoro, dalla fatica, di una vita vissuta di stenti e a scavare lo zolfo dalle viscere della terra, e con la paura di poter fare la stessa morte; egli  nel canto chiede, implora che prima di lasciare la vita terrena,  di morire su un letto ornato,

la presenza del prete e della chiesa, che ha un sacrosanto orgoglioso sentimento, senza il quale, non si può morire dentro; poiché l’anima si ribella alla crudeltà umana, senza una degna onoranza funebre che possa accompagnare il defunto nell’aldilà, col suono delle campane e con una degna sepoltura, come da tradizione popolare cristiana.  

Anche se “Vitti na Crozza” sia una delle canzoni siciliane più amate e la sua melodia all’apparenza sia allegra e festosa che faccia venire anche voglia di cantare e ballare; in realtà, non lo è, e molti ignorano che dietro quelle note musicali, quella melodia festosa, nasconda una mortificante penosa situazione. L’impatto terrificante dell’emergenza Covd-19, ha mietuto centinaia di migliaia di esseri umani, tanto da sembrare una storia d’altri tempi, che ancora oggi continua nel mondo.

Questa sconvolgente pandemia, mi ha riportato indietro nel tempo a ricordare l’allegro motivetto che cantava il minatore ed anche a ricordare la sua richiesta come un’implorazione. Tutto il mondo ha assistito incredulo e sgomento ai continui funerei cortei di decine di camion dell’Esercito italiano che in fila indiana, nel silenzio dell’oscura notte, trasportavano quelle salme umane, nei luoghi di cremazione, senza famiglie, parenti, senza un fiore, senza “tocco di campane” e per pietà cristiana, con la sola benedizione del prete.

La canzone siciliana che a causa dell’attuale pandemia di questo terzo millennio, ci riporta indietro di tanti secoli a ricordare quando in quella Lombardia dei “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, a causa della peste durante la Repubblica Ambrosiana, i nobili lasciavano la città e per isolare le migliaia d’infettati, che attraverso il naviglio, venivano scaricati in un territorio chiamato “Lazzaretto”.

Tanti anni fa proprio negli anni cinquanta il famoso regista cinematografico Pietro Germi, si recò nel territorio della Sicilia Orientale per girare un film ambientato proprio sulle miniere di zolfo di Agrigento.  Durante le riprese il regista, sentì un anziano minatore zolfataro che in dialetto siciliano, incomprensibile per lui, canticchiava un simpatico e allegro canto. 

Pietro Germi rimase talmente affascinato da quella melodia, che chiese a quell’uomo il nome del brano che canticchiava. Il minatore perplesso ma incuriosito da tale richiesta e per nulla intimorito, gli rispose con molta cordialità, che il motivetto da lui cantato,  non era una canzone, non aveva nome e a lui  gli era venuto in mente,

mentre era al lavoro nel ventre della terra a scavare lo zolfo della miniera, teneva sempre la bocca chiusa per non affogare; e quando usciva fuori all’aperto per respirare aria pulita e per scaricare la fatica, canticchiava per passatempo e anche per un motivo ben preciso che lui chiamava “vitti na crozza”.

Felice D’Ambra (prima parte).

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