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di Emanuele Fontana

Dall'aliscafo scendono solo due tecnici dell'Enel. Mezzo paese, una quindicina di persone, sono lì a guardare. Aspettano di vedere chi arriva e indovinano il mare. In questo periodo non scende quasi mai nessuno, a parte il prete il sabato e il maestro di religione il venerdì.

Qualche volta due o tre tedeschi che vanno a insediarsi in cima all'isola, in una stravagante comunità dove si vive senza la corrente elettrica. Il lunedì scende anche la maestra Beatrice. Ma a quest'ora è già su, a mezza costa. Con le sue due bambine, nella classe più piccola d'Europa.

Se questi sassi potessero parlare, racconterebbero della maestra Beatrice che sale ogni mattina con i bastoncini da trekking comperati a Milazzo, partendo dal porticciolo quasi un'ora prima per non fare tardi. Racconterebbero di Sabrina, otto anni, che la maestra recupera fuori dalla porta di casa dopo una trentina di gradini e che ogni tanto protesta: «Maestra sei lenta!». E parlerebbero di Francesca, sette anni, che invece abita su, non proprio dai tedeschi, ma addirittura sopra la scuola, che viene accompagnata dalla mamma, per poi continuare a scendere da sola, finché non spuntano, dal basso, le mani di Sabrina e di Beatrice che la chiamano: «Francesca siamo arrivate!». La campanella non esiste: è l'aliscafo che scandisce i tempi delle lezioni, come il mare decide chi arriva ad Alicudi. Quando l'aliscafo riparte, alle dieci e un quarto, è l'ora dell'intervallo. Se non arriva, e non attracca nemmeno la nave, come è capitato per un mese intero, la maestra mette la sveglia sul telefonino, che non prende ma suona.

Nella scuola di Alicudi non c'è l'orologio. Per arrivare alla scuola bisogna soltanto salire. Non si può fare altro. Non esistono strade. Salire un gradino alla volta, dietro ai muli che trasportano materiale edile per preparare le case dei villeggianti, inerpicandosi lungo quest'isola a forma di guscio di riccio. «Sembra che in questo posto Dio abbia buttato dall'alto le case a occhi chiusi – ci dice il tecnico dell'Enel –. Sono tutte sparpagliate dal basso all'alto, senza un criterio logico». È più piccola delle più piccole isole Eolie, 53 miglia da Milazzo: quaranta abitanti, trenta in quest'inverno di maltempo, chiamati in dialetto arcudari , distribuiti da zero a 666 metri. Ma in questo posto dove Dio tiene gli occhi chiusi, il miracolo è la scuolina dei record. «Conta 300 gradini, prendi la circonvallazione e trova un sasso colorato», sono le indicazioni degli abitanti al porto. Il grande raccordo anulare di Alicudi è un piccolo sterrato largo appena per far passare un uomo e un mulo. Ed ecco il segnale: il sasso colorato di rosa.

La scuola è una casa in tipico stile eoliano, una grande terrazza bianca coperta da un tettuccio di canne. Intorno una giostra di mare. Sullo sfondo, Filicudi e l'ombra grande di Salina. Dall'interno si sentono le voci di due bambine che parlottano: «Hai scritto Fraci, ti dimentichi sempre la N», la corregge Sabrina. Sono sedute al loro banco, l'unico. Stanno finendo i loro disegni con le firme: Sabrina e Fraci. «Ecco la nostra squadra», dice orgogliosa la maestra. La scuola pluriclasse più strana che c'è: una bambina di terza e una di prima elementare. Quando Sabrina ripassa la poesia, Francesca fa il dettato. Mentre Francesca si chiede quante zeta, «due o tre!», abbia stra-paz-za-to , Sabrina studia la flora della montagna. Ogni tanto si guardano e si prendono in giro come una collaudata coppia di cabarettisti. A Natale hanno invitato tutti gli arcudari alla loro recita. Rischiava di essere un dialogo, invece hanno partecipato le loro famiglie e per l'isola è stato l'evento dell'inverno.

Senza saperlo sono le guerriere dell'ultima battaglia di Alicudi, la difesa della scuolina più piccola d'Italia. Con la maestra Beatrice Zullo, di Milazzo, supplente, perché è tornata all'insegnamento da pochi anni dopo una lunga pausa per allevare quattro figli, e che non sa se verrà riconfermata. Con la maestra in pensione Teresa che sempre vigila e con la preside dell'istituto comprensivo Lipari 1, Mirella Fanti, che nel 2009 riuscì a far arrivare ad Alicudi il satellite e una lavagna multimediale a dorso di mulo, difendendo la sopravvivenza della scuola davanti al ministero, e che ora si gode questo prodigio che sta attirando la curiosità di tutta Europa: «La chiusura della scuola significherebbe la morte della comunità». E così proprio la trincea del trecentesimo gradino ha incoraggiato alcune famiglie a rimanere ad Alicudi, e «qualcuna a ritornare». Per l'anno prossimo sono già due le iscrizioni per la scuola materna. Arriverà un terzo bambino per la primaria, uno per la media, e ci vorranno due professori per lui. La scuola resiste, si ingrandisce. Ma le bambine potrebbero perdere la loro maestra. Beatrice ha chiesto di rimanere. Se qualche collega però, soprattutto di ruolo fa domanda, «le graduatorie vanno rispettate». L'istituto Indire da anni chiede una continuità di almeno tre anni per gli insegnanti precari che lavorano nelle scuole isolate, pluriclassi come questa di Alicudi. E anche incentivi economici.

Ma la riforma della Buona Scuola non fa cenno a questa eventualità. Eppure «la squadra» è un corpo unico. Giovedì e venerdì la maestra ha dovuto sostituire la collega di Filicudi. E si è portata dietro Sabrina e Francesca. È la quinta volta in un anno che spezzano il ritmo della loro giornata arcudara: scuola, compiti, esplorazione dell'isola, raccolta di conchiglie e di sassi. «D'estate le conchiglie le vendiamo ai turisti – racconta Francesca – a un euro l'una, cinquanta centesimi quando chiedono lo sconto». Poi passa con Sabrina nell'altra stanza a finire il decoupage sui sassi. «Mi piace disegnare - dice Sabrina – ma qui non ci sono i colori e a Lipari costano troppo». Perché ad Alicudi gli acquerelli sono preziosi come una buona pesca. La colla, l'acquaragia e altre cose necessarie per i lavoretti li ha comprati la maestra a Milazzo. Le stanze sono quattro, una accanto all'altra. Nella terza c'è la lavagna multimediale, con cui le bimbe assistono qualche volta alle lezioni di classi normali, spesso con i ragazzini di Bergamo, in uno splendido incrocio di dialetti lungo milletrecento chilometri d'Italia.

Nella quarta stanza c'è una piccola cucina. Il venerdì arriva il maestro di religione Maurizio, ma dipende dal mare. L'insegnante di inglese, unica per quattro isole, non ce l'ha fatta più: «I collegamenti sono complicatissimi, poverina era impossibile», spiega la preside. Il pranzo dopo la scuola è velocissimo. Le bambine si ritrovano subito sotto, alla spiaggia dei sassi accanto al molo. «Ora andiamo a vedere un cormorano morto», annunciano. L'ha raccontato Cristina, la cugina di Sabrina. È nascosto dietro a una roccia. Una cosa eccezionale. E sarà questo il prossimo disegno sulla terra circolare, l'isola a forma di guscio di riccio, Alicudi.

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