Nella mole di materiale che ha esaminato per il documentario ha scoperto qualcosa di sua madre che non sapeva?
No, non c’erano segreti. Però mi aveva sempre colpito come avesse conservato tutto, foto, documenti, lettere, nonostante i suoi traslochi, dalla Svezia agli Stati Uniti all’Italia, di nuovo negli Stati Uniti… Mia madre è morta nel 1982, quando ancora non esistevano molti archivi dedicati al cinema. È sempre stata una persona umile, con i piedi per terra. Un giorno, mentre stava riordinando le sue carte (aveva un tumore, sapeva di non avere molto tempo) le chiesi perché avesse tenuto tutto quella roba: “Perché sapevo che la mia vita sarebbe stata importante” disse, e mi sembrò una risposta così strana da parte sua, così arrogante! (ride). Comunque siamo state fortunate: in quel periodo ero sposata con Martin Scorsese, uno dei piu grandi promotori del restauro dei film: ci ha aiutato a organizzare tutto quel materiale. Però sì, c’è una cosa commovente che ho scoperto, le lettere d’amore tra i miei nonni, che non ho mai conosciuto perché la nonna Frida è morta quando mia madre aveva tre anni, e mio nonno quando ne aveva 13. La famiglia di mia nonna non approvava la relazione perché lei era molto più giovane di lui. E invece morì prima di suo marito…
Che cosa ha significato per Ingrid Bergman, dal punto di vista professionale, incontrare Roberto Rossellini?
Mia madre è sempre stata molto indipendente. Si guardava attorno, ha lavorato con molti registi in vari generi di film. La lettera che scrisse a mio padre per dirgli che voleva lavorare con lui è stata molto romanzata, non era una lettera d’amore. Scrisse anche a Ingmar Bergman nel 1975, quando era presidente di giuria a Cannes: “Siamo entrambi svedesi, dobbiamo pur fare qualcosa insieme” . Gliela mise nel taschino quando lo incrociò. Quella generazione di donne non poteva essere troppo assertiva e lei aveva trovato il suo modo per esprimersi.
La relazione tra i suoi genitori fu scandalosa per i tempi: anche lei ne fu colpita in qualche modo?
Lo scandalo era stato mio fratello Roberto, io sono nata due anni dopo. Quando sono cresciuta abbastanza per capire era già tutto finito. Ma per la mamma fu molto doloroso, ne parlava sempre come di una ferita ancora aperta.
Che cosa ha donato sua madre al cinema?
Una naturalezza che le altre attrici non avevano. Quando lei arrivò a Hollywood, il produttore Davis Selznick voleva che cambiasse nome, Bergman suonava troppo tedesco; c’era anche la guerra contro la Germania in quel periodo. Voleva cambiarle le sopracciglia… Lei disse “assolutamente no, sono già famosa in Svezia, il mio nome è Ingrid Bergman e questo è il mio aspetto”. E lui: però, questa è una buona idea, sarai la prima attrice al naturale. Una incredibile conferma per le donne: si poteva essere belle, attraenti e talentuose senza artifici. E poi, trovo positivo come abbia assorbito la cultura di paesi diversi: in America è percepita come americana, in Europa come europea, e questo è molto inusuale. Parlava cinque lingue.
Lei ha trascorso con sua madre due anni interi a causa della sua malattia da bambina. Questo vi ha reso più vicine?
Sono nata con una deformazione alla spina dorsale e a 13 anni ho dovuto fare una intervento complicato. Ne ho subito un altro due anni fa e ho sentito tantissimo la mancanza della mamma perché era una infermiera perfetta. Ne parlavo qualche tempo fa con le mie sorelle, forse ho sentito meno la sua mancanza proprio perché l’ho avuta più vicina. Non era facile per lei conciliare lavoro e famiglia, come non lo è oggi per le donne, d’altra parte.
Che cosa ha imparato da Ingrid Bergman come madre e come attrice?
Ho visto entrambi i miei genitori lavorare su progetti che amavano, ed è importante, perché si passa cosi tanto tempo lavorando… Capire questo, e poterlo mettere in pratica, è un incredibile dono. Poi mi ha insegnato a stare con i piedi per terra, un altro aspetto della vita molto importante.
Anche lei conserva tutto, come sua madre?
No, non riuscirei, è già tanto il lavoro per conservare le sue cose… Con mio padre poi è ancora più mio difficile perché era completamente disordinato, un tipico esempio di carattere italiano contro l’ordine scandinavo di mia madre, e anche mio.
Le piace riguardare i film di sua madre?
Quelli che ha girato quando era giovane sì; con quelli più recenti è più difficile, sono quelli della mamma che io ricordo e mi fa un effetto strano, è più dura.
Quali sono i film di sua madre che preferisce?
Stromboli e Viaggio in Italia, che ho capito solo da adulta, con quella infelicità esistenziale che puoi provare anche se hai tutto; di Stromboli mi fa molto effetto la scena della mattanza dei tonni per la violenza e la crudeltà. Incredibile che solo una generazione fa mio padre fosse capace di filmare una scena del genere.
Si diverte ancora a recitare?
Sì, ma anche a scrivere o produrre. Per mia madre invece era una vocazione, diceva “non sono stata io a scegliere la recitazione, è stata la recitazione a scegliere me”.
Ha mai interpretato sua madre?
Avevo sempre pensato che fosse una pessima idea quando me lo chiedevano, poi in realtà l’ho fatto per in corto in occasione delle celebrazione del centenario di mio padre.
E’ stato un limite, forse, assomigliare cosi tanto a lei?
Un limite? Ci ho costruito sopra una carriera! Ho fatto la modella… è stato un dono.
Ha trasmesso la passione per il cinema ai suoi figli?
Sì. Mi ricordo che una volta mia figlia, da bambina, stava chiacchierando con una sua amica, Sophie, e a un certo punto mi disse: ma lo sai che Sophie non ha mai visto un film di Hitchcock? Era scandalizzata!
Ricorda quando fu scattata la foto scelta per il poster del Festival di Cannes?
È il dettaglio di una scattata al mare a Santa Marinella, vicino a Roma: la mamma spingeva il passeggino con me e mia sorella Ingrid. Però me l’ha ricordato un suo collega giornalista, io non avevo capito che era un dettaglio di quella foto lì…