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di Lino Natoli

La politica riguarda le persone ma non può diventare un fatto personale. Va bene l’ambizione, ma solo quando questa alimenta il desiderio di rimanere ricordati per aver fatto qualcosa piuttosto che per essere diventati qualcuno. Perché quando si decide di dedicarsi alla politica mossi dall’ambizione di diventare qualcuno, se poi ti senti considerato nessuno la faccenda acquista significati personali.

Subentrano i sentimenti di rivalsa, lo scontento, talvolta il desiderio di vendetta. Il riconoscimento negato annebbia qualsiasi ragione e tutta l’attività politica si risolve nell’unico obbiettivo di mettere in difficoltà, infine abbattere l’avversario, colui che pur sentendomi io qualcuno mi considera nessuno (secondo il mio metro di giudizio, il valore che pretendo gli altri mi attribuiscano e che in fondo, visto che sono stato eletto, che occupo quel certo ufficio, quel certo incarico merito). Tuttavia questi sentimenti fanno perdere di vista l’unico motivo per cui la politica dovrebbe avere un senso, operare per il bene della comunità.

Ciò ovviamente non significa che bisogna essere tutti d’accordo, che bisogna avere tutti le stesse visioni del mondo. I problemi si possono guardare da prospettive diverse e proponendo soluzioni diverse ma non si può, per dispetto, per amor proprio, impedire che i problemi si affrontino. I momenti fondamentali dell’azione politica rimangono tre: l’ascolto, la mediazione ed infine la decisione. Pensare di fermare tutto sull’ascolto o sulla mediazione per non arrivare mai ad una decisione è stata la pratica che ha caratterizzato gli ultimi decenni dell’amministrazione comunale.

Conclusa la fase dell’ascolto e della mediazione, chi ha la responsabilità di prendere delle decisioni deve farlo. I cittadini hanno il dovere di partecipare, il diritto di farsi ascoltare e di fare anche proposte alternative, poi però c’è chi deve decidere, non si può continuare all’infinito o pretendere di sostituirsi ad altri, assumere ruoli che non sono propri. La democrazia ha delle regole, stabilisce delle funzioni, ne delimita poteri e prerogative.

Definisce ogni singola fase della formazione della decisione, distinguendo nettamente le questioni tecniche da quelle politiche. Nessuno può decidere di testa propria ma, allo stesso tempo, nessuno può pensare, in nome del diritto di cittadinanza, di poter esercitare qualsiasi potere interdittivo. Esaurita la fase dell’ascolto, esaurita quella della mediazione, la decisione spetta a chi, secondo le proprie competenze, ne ha la responsabilità.

Può accadere, poi, che la decisone non piaccia, magari danneggi qualcuno, in questi casi la democrazia mette a disposizione altri strumenti per fare valere le proprie ragioni ed i propri diritti. Dico questo perché la disabitudine a fare le cose rischia di portare inesorabilmente a sospettare di chiunque voglia fare qualcosa. La paura che ci sia sotto un interesse illegittimo, una mente autoritaria e prepotente che vuole fare e disfare a suo piacimento indifferente ad ogni possibile conseguenza, è la morte di ogni attività amministrativa.

Sento, talvolta, soprattutto nei social, nostalgici e chiassosi auspici a tornare come prima. Prima, quando tutti almeno contavamo qualcosa, ma qualcuno contava più degli altri. I risultati mi sembrano evidenti.

L'INTERVENTO

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di Luca Chiofalo

Chi vuole dare un contributo alla serenità ed allo sviluppo delle nostre isole combatta e non alimenti le piccole e grandi miserie d’azione e di pensiero, i pettegolezzi squallidi, l’invidia feroce e la polemica a tutti i costi.

Anche in silenzio.

Lipari, ci ha lasciati Santino Profilio

 
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Ai familiari le condoglianze del Notiziario delle Eolie
 

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Segnalo questo articolo: spiega tante cose...

 

di Alessia Candito

Dai quindici ai venti punti sotto la media Ocse in termini di capacità di leggere e comprendere testi scritti e informazioni numeriche, come di raggiungere il proprio obiettivo in una situazione dinamica in cui la soluzione non è immediatamente disponibile. Oltre un terzo degli adulti è in una condizione di analfabetismo funzionale e quasi la metà ha grosse difficoltà nel “problem solving”.

Lo rivela l’indagine sulle competenze degli adulti (Survey of Adult Skills) realizzata nell’ambito del programma dell'Ocse per la valutazione internazionale delle competenze degli adulti. Da un decennio l’Italia rimane inchiodata in fondo alla classifica e non si muove da lì.

L’Italia va male, è lontana dai 260 punti che sono media Ocse, in classifica sta solo al quartultimo posto, seguita solo da Israele, Lituania, Polonia, Portogallo e Cile, a decine e decine di punti da Finlandia, Giappone, Olanda, Norvegia e Svezia, i paesi con le migliori prestazioni in tutti e tre i domini.

La situazione peggiore al Sud
E soprattutto al Sud la situazione è drammatica. I residenti nel Nord e nel Centro d’Italia – emerge dall’indagine - riescono spesso a raggiungere punteggi di competenza pari o vicini a quelli della media Ocse, al contrario di quanto accada nel Mezzogiorno che presenta valori sempre significativamente inferiori alla media. I migliori risultati arrivano dal Nord-Est, unica area in cui si raggiungano risultati sufficienti anche relativamente alla capacità di comprendere e usare i numeri.

“È evidente la stretta relazione tra competenze cognitive e sviluppo del Paese. I valori più bassi di competenze si concentrano nelle aree meno attrattive del Paese. Occorre investire per il recupero dei territori del Mezzogiorno”, dice Natale Forlani, presidente Inapp.

Le competenze e l’età
Pesa anche l’età. Le persone di 55-65 anni mostrano i valori di competenza più bassi rispetto ai giovani di 16-24 anni e le donne sono ancora lontane dagli uomini nella capacità di comprensione e utilizzo di informazioni matematiche e numeriche. Nelle competenze di problem solving adattivo la media italiana è di 231 punti, a fronte di una media Ocse di 251 punti. Per questo dominio, solo Lituania, Polonia e Cile conseguono punteggi più bassi del nostro Paese.

Un segnale positivo c’è. I giovanissimi (16-24 anni) in Italia raggiungono punteggi di competenze superiori al resto della popolazione e, nel caso della numeracy, anche dei giovani di 25-34 anni. Il divario di competenze tra 16-24enni e 55-65enni, in termini di valori medi di competenze, è sempre evidente qualsiasi sia il dominio preso in esame: ciò che si osserva nel caso italiano è una notevole perdita di competenze all’avanzare dell’età, ma con un buon bagaglio di partenza.

Gli analfabeti funzionali
Nella literacy il 35% degli adulti italiani (media Ocse 26%) ha ottenuto un punteggio pari o inferiore al livello 1 e rientra quindi nella categoria degli analfabeti funzionali. Nel senso che sanno leggere e scrivere, ma hanno difficoltà grandi (o addirittura insuperabili) nel comprendere, assimilare o utilizzare le informazioni che leggono. Nella definizione Ocse, al livello 1 (25% del campione in Italia) riescono a capire testi brevi ed elenchi organizzati quando le informazioni sono chiaramente indicate. Al di sotto del livello 1 (10%) possono al massimo capire frasi brevi e semplici. All'estremità opposta dello spettro (livelli 4-5), il 5% degli adulti italiani (contro il 12% medio Ocse) ha ottenuto i risultati più elevati, in quanto possono comprendere e valutare testi densi su più pagine, cogliere significati complessi o nascosti e portare a termine compiti.

Le difficoltà in matematica
Anche in matematica nell'indagine 2023, il 35% degli adulti italiani (media Ocse 25%) ha ottenuto punteggi pari o inferiore al livello 1. Sono in grado di fare calcoli di base e trovare singole informazioni in tabelle o grafici, ma sono in difficoltà con compiti che richiedono più passaggi (ad esempio risolvere una proporzione) al livello 1 (24% in Italia). Al di sotto (11%) possono solo sommare e sottrarre piccoli numeri. Sul fronte opposto, gli adulti 'high performers', ai livelli 4 o 5 delle competenze matematiche, sono il 6% in Italia, ma molto al di sotto del 14% medio Ocse.

Investire nell’istruzione
La soluzione, emerge dal rapporto, sta nell’istruzione, che ha ruolo fondamentale nell’accrescere le competenze viene confermato. In Italia, gli adulti di 25-65 con titoli di studio terziario ottengono punteggi di competenze superiori rispetto a chi ha un’istruzione secondaria superiore e, ancor di più, in relazione a quanti possiedono al massimo un’istruzione secondaria inferiore. Nonostante questo solo il 20% delle persone di 25-65 anni possiede un livello di istruzione pari o superiore alla laurea e ben circa il 38% ha un titolo di studio inferiore al diploma.

Gli uomini continuano ad avere migliori risultati delle donne in numeracy, mentre non vi sono differenze di genere in literacy e problem solving adattivo. E il divario aumenta quando le analisi sono circoscritte alle sole persone con istruzione terziaria, ma si annulla se si considerano solo gli adulti con un titolo di studio terziario in discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche. “La ridotta quota di donne con titoli Stem, che conferma le scelte selettive delle donne dettate da stereotipi culturali, pone ostacoli al raggiungimento della parità di genere nelle competenze di numeracy, ma anche alla crescita complessiva delle competenze del Paese”.(repubblica.it)

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