di Francesco Biancheri
Caro direttore Bartolino,
mi riferisco alla lettera pubblicata dal Sig. Ferlazzo, sulla situazione presso le cave di pomice a Porticello. Personalmente sono stato sempre contrario alla loro chiusura, perché esse rappresentavano un fiore all’occhiello dell’industria mineraria Siciliana, per qualità del prodotto e per antica storia. L’attività produceva ricchezza per il lavoro diretto e per l’indotto, che poi questa ricchezza fosse malamente distribuita è un argomento a parte. Inoltre, strano a dirsi, rappresentava con il suo esercizio o “coltivazione” come meglio si dice tecnicamente, un presidio territoriale. Gli eventi ambientali disastrosi che ne sono conseguiti sono la prova delle mie osservazioni. Purtroppo, concause malaugurate e non dipendenti “dalle stelle” ma dagli uomini ne hanno decretato la fine. Lo dico senza nulla di personale, ma perché per certi aspetti ho seguito direttamente questa vicenda, i fossori della Pumex sono stati la protervia della proprietà e l’arroganza del potere.
Si poteva andare avanti, riducendo la superficie della coltivazione ad aree più ristrette e redditizie e si poteva sopperire alla riduzione di superficie con investimenti in tecnologia che da decenni non sono stati mai fatti, e che avrebbero realizzato notevoli economie di gestione e quindi, una marginalizzazione uguale o migliore, a beneficio dell’ambiente circostante e rimanendo nei indettami dell’UNESCO. Con la chiusura della Pumex si sono disperse competenze, professionalità, e generato un danno ambientale forse maggiore se l’azienda avesse continuato nella sua attività, pur ridimensionata. Ho visto situazioni similari in Grecia, nell’Isola di Mitilini, dove le cave di pomice sono gestite nel rispetto dell’ambiente. Anche nel Lazio, le enormi cave di basaltina di Bagnoregio, candidato UNESCO, sono curate rispetto all’impatto ambientale.
Ciò detto, passo alla seconda parte dello scritto del Sig. Ferlazzo. La sua domanda ed atto di accusa rivolto ai responsabili della cosa pubblica e che condivido. “...dove eravate? Cosa avete fatto?“. E si perché sono decenni che nessuno si è posto il problema del territorio e del suo recupero, anche se i mezzi finanziari ci sono, derivanti dal PNR ed altro, anche prima. Salvo bei progetti la cui valenza si è rivelata molto teorica e poco pratica, nulla.
Si obietta che c’è una curatela fallimentare, ma il curatore non è una divinità impenetrabile ma un professionista che si relaziona con un Magistrato e con le autorità locali, se non anche, in casi come questi, con le associazioni portatori di interessi comuni al territorio. Adesso il compendio è passato di mano, lo ha acquistato un privato, a condizioni e con finalità chiaramente di investimento e tutti ad alzare gli scudi contro l’esproprio di fatto di un bene pubblico. Non sto qui a chiedermi come sia stata possibile una tale operazione alla luce di una situazione dove si combinano i vincoli imposti dall’UNESCO, situazioni di tutela di parti pubbliche, quali strade e ponti che attraversano la concessione, bonifiche radicali e costose che vanno in ogni caso eseguite ecc. Tutti problemi noti. Allora “dove eravate“?
Nessuna proposta alternativa dalla politica locale, nessuna attività da parte della Regione, e delle associazioni ambientaliste che tanto si sono adoperate per fare chiudere l’attività. Cosi, come sempre avviene in Italia, la Legge Basaglia chiuse i manicomi ed i matti (poveri) andarono per strada!
Non mi entusiasmo per i tycoon, veri o presunti che siano, perché la mia visione dell’economia sociale, ha una diversa idea della diffusone della ricchezza, ma questa è una opinione. Ma, ripeto nulla di personale. Ora si tratta, come al solito di salvare “capra e cavoli“. Chi ha fatto l’investimento, saprà il fatto suo ed avrà attuato tutte le procedure del caso e certamente andrà avanti per la sua strada. Ciò non toglie, che per rimediare al danno ed al vuoto sin qui esistente non si possano dalle opportune sedi proporre delle soluzioni che contemperino le esigenze dell’investimento a quelle dell’ambiente e della memoria storica. Immagino che la destinazione dell’investimento sarà di tipo recettivo di fascia alta, allora perché non ipotizzare una ospitalità in cui il viaggiatore viva nella storia dei luoghi con aree museali inserite nella struttura ricettiva.
Ho visto simili iniziative in giro per il mondo, che tra l’altro aumentano il “mark up“ dell’impresa, oppure il ripascimento delle cave con verde autoctono (macchia mediterranea) dove creare dei percorsi e dei “mirador”. Ho partecipato al progetto di recupero delle ex cave di marmo di Tivoli, che verranno trasformate in un auditorium all’aperto. Ne posso citare tante altre di soluzioni, ma il senso è: create un gruppo pubblico/ privato, una “cabina di regia” che preveda una soluzione ancora più avanzata ed innovativa rispetto al solito investimento, se mi si permettere "datato” da anni felici, ma trascorsi della Costa Smeralda.
Una iniziativa che presenti le caratteristiche della sostenibilità ambientale e della conservazione della memoria storica, che nulla toglierà alla attività di impresa, anzi, anche se non conosco chi ha fatto l’investimento, ho motivo di pensare sarà apprezzata. Ma vi prego, non state chiusi nella critica per poi gridare all’untore. Non serve a niente. Un complimento al Sig. Ferlazzo per la sua attenta disamina.
I link musicali...
Eolie, e pioggia fu... Il reportage del Notiziario delle Eolie
https://www.facebook.com/reel/728050162829673
https://www.facebook.com/reel/1160004898393057
Eolie, personaggi e non solo… il reportage del Notiziario delle Eolie
https://www.facebook.com/reel/537472022292113
Lipari, la processione della Madonna della Catena a Quattropani
foto e video dell'inviato Elio Benanati