di Francesco Biancheri
Tra qualche giorno sarà Natale. Frugando nel baule dei ricordi vengono alla luce un misto di eventi che lo precedevano e lo seguivano. Il periodo dell’Avvento era dominato dai giochi di società, tombolate e carte sia in casa, che nei luoghi collettivi specialmente le Parrocchie. Le tombolate richiamavano chiassose torme di ragazzini ma anche persone adulte e vivacizzavano il freddo torpore invernale dell’isola. Il ricordo del tempo di Natale è accomunato a quello dei temporali, che sentivi quasi “sin dentro le ossa “. Il cattivo tempo che si preparava e veniva avvertito prima ancora che arrivasse dalla sensibilità esperta dei pescatori e dei campagnoli. Era bello sentirsi parte degli elementi , la forza del mare in tempesta, che quando spirava il vento da sud si sentiva quasi come dentro casa, i “truona” e i “lampi” , la pioggia che faceva ingrossare i “ciumi” ovvero i torrenti che scendevano dalle colline verso l’abitato e che la cui acqua era spesso motivo di danni ed allagamenti, come il torrente di Santa Lucia , o quello “ du Ponti” che passava sotto il giardino della casa e che nella mia fantasia di bambino, mi sembrava il Rio delle Amazzoni . “Passa u ciumi e curri a la marina” recitava il Cantore Eoliano.
Intanto, per il Natale tornavano gli Eoliani della diaspora, almeno quelli che vivevano in Italia. Gli stessi che qualche tempo prima “scinnianu pi muorti“ un altro evento per me ricco di ricordi e di riflessioni che mi accompagnano ancora. Cosi la vita dell’isola si animava un poco. E nelle case c’era sempre un via vai di gente, a motivo del senso di socialità genuino e non dettato dai social o dagli influencer a cui oggi obbediscono gli stereotipi del comportamento relazionale. A casa mia non si faceva il presepe, ma solo l’albero… credo sulla traccia dello stile “anglofono” che caratterizzava la nostra vita, ma era lo stesso una festa addobbarlo con le palline colorate e le luci intermittenti che di notte emettevano un suono come un respiro. Mi viene in mente una scena del film “Così parlò Bellavista” di Luciano De Crescenzo, che faceva dire al protagonista che il mondo si divideva tra “presepisti” ed “alberisti” e questi ultimi calavano dal profondo Nord algidi e distaccati. Non so. Quell’Albero casalingo era comunque il luogo dove la mattina di Natale apparivano caldi ed affettuosi segni di amore. Tuttavia, ricordo bene le uscite verso la campagna alla ricerca del muschio da portare in Parrocchia, dove invece il presepe si faceva eccome! Piccole opere di artigianale scenografia fatte con la corale partecipazione di tutti e dove ognuno ci metteva la propria arte, ed ogni chiesa aveva il suo, in una gara di emulazione al meglio.
Ci fu un anno i cui i miei si dovettero assentare da Lipari per un lungo periodo, ed io, dovendo frequentare la scuola, fui lasciato per tutto l’inverno alle cure da “zza Sarina chi stava nto Strittu Luongo”. Già allora “a zza Sarina” era anziana , viveva in una grande casa dove il tempo si era fermato al secolo prima, e dove sotto una campana di vetro teneva su un comò un piccolo presepe, davanti al quale tutte le sere recitava le preghiere del novenario di Natale, in dialetto, cantando delle canzoni di cui non ricordo le parole, ma i cui suoni sono ancora nel mio più vivo ricordo, insieme al ricordo della figura di quella vecchina di un altro tempo , avvolta sempre in un nero scialle. Anche questo era il Natale. La Notte di Natale veniva celebrata solennemente dal Vescovo la Messa in Cattedrale. Il tempo era freddo, ma tanto anche in casa era freddo... I riscaldamenti non esistevano proprio e ci si teneva caldi stratificandosi di maglioni e con stufe dall’effetto improbabile se non sulla bolletta della luce, anzi è meglio dire “a bulletta i Zacami”. E così nere e silenziose figure salivano la lunga via che porta alla Cattedrale, addobbata magnificamente ed illuminata a giorno. Il ricordo più bello è quello di salire con dei miei compagni la lunga e buia scala a chiocciola che porta alla sommità del campanile e suonare le campane! Non ricordo vie particolarmente addobbate, ricordo il Natale invece come una festa sobria, intimista, casalinga e, tranne il panettone non i vengono in mente dolci di Natale particolari, forse “i spicchitedda”, ma non ne sono sicuro.
Insomma, una festa “minimalista” come si direbbe oggi, ma poiché c’era forte il senso della comunità, si avvertiva come festa di tutti e di tutto. Si avvertiva il senso interiore della festa, senso di pace che talvolta ci regalava anche la natura, tacendo il vento ed il mare sotto un cielo di ovatta. Era comunque la festa del “contenuto” e non del “contenitore”. Ed ora che abbiamo smarrito il senso, anche laico del Natale, ma ancor più quello religioso, è diventato il tempo di una triste gara all’acquisto, a celebrare attraverso il “contenitore” appunto senza considerare il ” contenuto“. E adesso che la crisi morde, non ci sembra più Natale, misurato da luci sfavillanti e addobbi eccessivi, che non ci sono più, segno di un vuoto interiore che distratti dal fatuo non sappiamo più come colmare. Era molto meglio il semplice Natale isolano, “ca tummula chi ciciri”, i tre maglioni ed il panettone come massimo segno del consumismo, e penso che se tornassimo a quello, ritroveremmo anche un poco di felicità. Ma io sono un vecchio.