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Il lavoratore con la 104 non deve assistere il parente nell’orario concordato con l’azienda
Secondo il datore i permessi richiesti per l’assistenza alla madre invalida non erano stati correttamente fruiti, in riferimento al turno 8-14,30

Il permesso legato alla legge 104 non costringe il lavoratore a fornire assistenza al parente in maniera rigida, ossia, in un certo orario. Il dipendente, infatti, può decidere di prestare assistenza in altro orario della giornata senza per questo commettere un errore tale da giustificare, come nel caso concreto, la misura del licenziamento. A chiarirlo la Cassazione con l’ordinanza n. 26514/24.

Rassegna Stampa Dagospia.com

ALBERTO, E FATTELA ‘NA RISATA! – IL DIVULGATORE IN CHIEF DELLA TV ITALIANA, ALBERTO ANGELA, È STATO PAPARAZZATO IN VACANZA A LIPARI CON LA FAMIGLIA: SGUARDO TORVO, ESPRESSIONE IMBRONCIATA, MA PACCO SEMPRE BEN IN VISTA PER LA GIOIA DELLE FAN – CHISSÀ SE L’UMORE DIPENDE DAGLI ASCOLTI NON PROPRIO BRILLANTI DEL SUO “NOOS”. QUALCHE TEMPO FA ANGELA RACCONTO' CHE, QUANDO ESCONO I DATI DELLO SHARE, LUI DORME. DI SICURO QUELLO DELLE ULTIME SETTIMANE NON DEVE ESSERE STATO UN BEL RISVEGLIO…

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I negozi con ampie vetrate partecipano alle spese per il cappotto
Il cappotto termico migliora l’efficienza dell’intero edificio e la sua spesa va divisa tra tutti i condomini comprese le attività commerciali situate a piano terra
Alla realizzazione del cappotto di un condominio devono partecipare anche i proprietari dei negozi al piano terra, che hanno ampie vetrate?

La risposta è affermativa. Il cappotto termico migliora l’efficienza energetica dell’intero edificio e non è un’opera destinata solo «all’utilità o al servizio esclusivo dei condomini titolari di unità immobiliare site nella parte non interrata del fabbricato». È a «vantaggio comune» e a godimento «dall’intera collettività condominiale», «inclusi i proprietari dei locali terranei» (ordinanza della Cassazione del 20 aprile 2021, n. 10371) o dei negozi al piano terra «con ampie vetrine»

Divieto di immissioni ex art. 844 C.C., esame della fattispecie e rilievi giurisprudenziali
Il criterio di tollerabilità, il rapporto tra interessi dei proprietari del fondo ed interessi industriali e l’operatività rispetto alle immissioni elettromagnetiche

Nella disamina della panoplia dei limiti al diritto di proprietà, assume preminente rilievo il divieto di immissioni che superino la normale tollerabilità ex art. 844 del codice civile che detta criteri per regolare eventuali conflitti tra fondi vicini (Cfr. De Santis, Quousque tandem, Catilina, abutere patientia nostra? Sul concetto di «normale tollerabilità» delle immissioni acustiche alla luce della l. n. 13 del 2009, in Giur. mer. 2009, 2670 ss.; Sesta, Rapporti personali di vicinato: immissioni.

I negozi con ampie vetrate partecipano alle spese per il cappotto
Il cappotto termico migliora l’efficienza dell’intero edificio e la sua spesa va divisa tra tutti i condomini comprese le attività commerciali situate a piano terra

Alla realizzazione del cappotto di un condominio devono partecipare anche i proprietari dei negozi al piano terra, che hanno ampie vetrate?

La risposta è affermativa. Il cappotto termico migliora l’efficienza energetica dell’intero edificio e non è un’opera destinata solo «all’utilità o al servizio esclusivo dei condomini titolari di unità immobiliare site nella parte non interrata del fabbricato».

È a «vantaggio comune» e a godimento «dall’intera collettività condominiale», «inclusi i proprietari dei locali terranei» (ordinanza della Cassazione del 20 aprile 2021, n. 10371) o dei negozi al piano terra «con ampie vetrine»

Bonifici truffa con sim falsa: banca e Tim condannate in solido dal Tribunale di Milano
I fatti avvenuti durante le vacanze di fine anno 2020, con danni per 163 mila euro
La responsabilità per la sicurezza dell’home banking è di tipo oggettivo, la banca può liberarsene solo provando che le operazioni contestate dal cliente sono dovute al suo specifico dolo o colpa grave.

Il Tribunale di Milano (VI civile, est. Anna Giorgia Carbone) condanna in solido la banca (Bper) e l’operatore telefonico (Tim) per non aver bloccato una serie di bonifici truffa, per circa 163 mila euro, subìti da due aziende milanesi durante le vacanze di fine anno del 2020.

Ad accorgersi di anomalìe nel funzionamento dell’interfaccia digitale era stata una dipendente delle due società durante il check di fine anno: non riceveva più sul cellulare aziendale gli Otp (one time pin) con cui vengono autorizzate le operazioni comandate una volta eseguito l’accesso sulla piattaforma.

Il dipendente che in ufficio fa riprese fotografiche non è licenziabile
Si tratta di un comportamento negligente punibile al più con una sanzione conservativaI punti chiave

Punita con una sanzione conservativa e non con il licenziamento la condotta della dipendente, consistita nell’effettuare riprese fotografiche del posto di lavoro senza autorizzazione datoriale, nel procedere alla stampa di un considerevole numero di pagine in spregio al buon utilizzo delle risorse aziendali e nel non fornire al datore di lavoro alcuna spiegazione al riguardo.

Tale condotta, infatti, integra un’ipotesi di violazione degli obblighi di cui all’articolo 220, 1° e 2° comma, del Ccnl,

Agenzia delle Entrate, conto corrente sotto controllo senza autorizzazione
L'autorizzazione non sarà più necessaria per la verifica dei movimenti dei conti bancari: ecco la sentenza della Cassazione

L’Agenzia delle Entrate ha carta bianca per i controlli sui conti corrente. Una storica pronuncia della Corte di Cassazione ha di fatto ridotto le tutele per i cittadini. Sarà possibile procedere con degli accertamenti fiscali, basati sulle movimentazioni bancarie, anche senza autorizzazione.

Controlli sui conti corrente
L’autorizzazione a procedere con le indagini su un dato conto corrente ha unicamente una finalità organizzativa. Ciò vuol dire che l’assenza di autorizzazione non va a inficiare il provvedimento. Lo ribadisce la Corte di Cassazione, che con tale principio va a limitare il diritto di difesa del contribuente in caso di atti di accertamento legati a controlli non autorizzati.

Attenzione rivolta all’ordinanza n. 4853 del 23 febbraio 2024. Nel caso specifico sotto esame il Fisco aveva recuperato con avviso di accertamento 144.332,77 euro per l’anno di imposta 2006. Un’operazione resa possibile da accertamenti bancari nei confronti del contribuente.

Il ricorso di quest’ultimo sta stato accolto parzialmente dalla Commissione Tributaria Provinciale di Taranto, che ha proceduto a decurtare parte dell’imponibile. In appello, invece, la Commissione Tributaria Regionale della Puglia ha dato ragione al contribuente, definendo nullo l’accertamento proprio sulla base di un’acquisizione di dati bancari illegittima. Tutto è cambiato, però, quando l’Agenzia delle Entrate ha fatto ricorso in Cassazione.

Quando un controllo è legittimo
Nell’ordinanza, la Suprema Corte ha evidenziato come la mancanza di autorizzazione, in materia di indagini bancarie, non implichi l’inutilizzabilità dei dati acquisiti. Ciò salvo il caso in cui si verifichi un effettivo pregiudizio al contribuente, ponendo in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale dello stesso, come l’inviolabilità del domicilio e della libertà personale.

Nel caso in questione non era stata chiesta l’autorizzazione del direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate. Da ciò deriva il fatto che la documentazione relativa non era stata allegata all’avviso di accertamento. Quest’ultimo era dunque manchevole ma la Corte di Cassazione valuta tale autorizzazione come attinente unicamente a quelli che sono i rapporti interni.

Si sottolinea, dunque, una differenziazione cruciale in materia tributaria, laddove non vige il principio dell’inutilizzabilità di una prova ottenuta in maniera irrituale, ma soltanto illegale. La mancanza di autorizzazione, che è prevista dal Dpr 600 del 1973, per ottenere l’acquisizione di una copia delle movimentazioni dei conti dagli istituti di credito, non inficia i dati ottenuti, salvo nei casi in cui ci siano delle previsioni specifiche.

Scendendo nel dettaglio, l’ordinanza specifica anche come non sussista l’obbligo di allegazione della suddetta autorizzazione. Ciò perché la sua funzione è puramente organizzativa. Il fatto che possa avere una forma di incidenza sui rapporti tra gli uffici non ha rilevanza nel procedimento di accertamento e, dunque, nel rapporto con il contribuente. Esibire l’autorizzazione non è indispensabile neanche per il controllo della motivazione dell’atto. Tutto ciò procede a far decadere, di fatto, un’intera linea di difesa che, come dimostrato soprattutto in appello in questo caso specifico, ha sempre dato i suoi frutti. L’accertamento fiscale relativo ai conti corrente dei contribuenti è dunque valido anche in assenza di autorizzazione alle indagini bancarie.

Cantù, il Comune vieta la festa pubblica del Ramadan: la sindaca Alice Galbiati condannata a pagare le spese legali
Il Tar di Milano aveva dato ragione all’associazione Assalam. La prima cittadina aveva cercato di impedire ai musulmani di celebrare il mese del digiuno sacro in un capannone alla periferia del paese
I giudici del Tar di Milano hanno condannato la prima cittadina di Cantù Alice Galbiati a pagare le spese legali ai fedeli musulmani

Il no al Ramadan in pubblico costa caro alla sindaca di Cantù. I giudici del Tar di Milano hanno condannato la prima cittadina di Cantù Alice Galbiati a pagare le spese legali ai fedeli musulmani dell’associazione Assalam per aver cercato di impedire loro di celebrare il mese del digiuno sacro in un capannone industriale alla periferia del paese. I magistrati del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia le hanno quantificate in 500 euro. Alla parcella si aggiungono però pure le spese generali e gli oneri fiscali e previdenziali dei due avvocati a cui si sono rivolti gli islamici, che sono Vincenzo Latorraca e Michela Luraghi.

La spesa quindi raddoppia.
La sentenza è stata emessa nei giorni scorsi. A rivolgersi ai giudici del Tar è stato Abella Bourass, il legale rappresentante del Centro islamico Assalam di Cantù, dopo che dal Comune, è stato emesso un provvedimento per proibire appunto ai fedeli musulmani di riunirsi in uno stabile di loro proprietà per l’ultimo Ramadan, che si è svolto dall’8 marzo all’8 aprile scorsi.

Per gli amministratori locali infatti il luogo prescelto non è un luogo di culto. Una linea mantenuta dall’Amministrazione cittadina che viene trascinata da anni. Secondo il presidente della Sezione Quinta Daniele Dongiovanni, con la collega Martina Arrivi e il relatore della causa Giuseppe Nicastro, si tratta tuttavia di un provvedimento illegale, perché non garantisce la libertà di culto.

"Nella comparazione degli opposti interessi, appare prevalente quello al libero esercizio dell’attività di culto rispetto a quello legato all’accertamento della compatibilità urbanistica del temporaneo mutamento di destinazione d’uso dell’immobile", si legge nel pronunciamento. Semmai dall’Amministrazione comunale avrebbero dovuto intervenire dopo aver riscontrato eventuali violazioni, compresa quella relativa al numero massimo di 99 persone che possono essere accolte contemporaneamente nel capannone trasformato in moschea per questioni di sicurezza e di salute pubblica, non prima invece a titolo preventivo.

Da qui non solo la bocciatura del divieto di Ramadan, ma anche la condanna "al pagamento delle spese della presente fase cautelare, nella misura di 500 euro, oltre spese generali, oneri fiscali e previdenziali, se ed in quanto dovuti".

La Corte di Cassazione, con sentenza (Pres. Sestini, Rel. Tassone), ha affermato ancora una volta, in tema di prova della cessione di crediti in blocco, che la cessione va provata attraverso la produzione del contratto di cessione, non essendo da solo sufficiente l’estratto dell’avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ex art. 58 TUB.

Questo il principio di diritto enunciato, richiamando altri precedenti della stessa Corte:

“In tema di cessione di crediti in blocco ex art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, ove il debitore ceduto contesti l’esistenza dei contratti, ai fini della relativa prova non è sufficiente quella della notificazione della detta cessione, neppure se avvenuta mediante avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’art. 58 del citato d.lgs., dovendo il giudice procedere ad un accertamento complessivo delle risultanze di fatto, nell’ambito del quale la citata notificazione può rivestire, peraltro, un valore indiziario, specialmente allorquando avvenuta su iniziativa della parte cedente”

Pertanto, non è sufficiente la produzione dell’avviso ex art. 58 TUB pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale: l’unico effetto di tale pubblicazione è quello di esentare il cessionario dalla notifica della cessione al debitore ceduto, ma non prova certo l’avvenuta cessione.

Quest’ultima presuppone che l’avviso anzidetto, per poter fungere da prova dell’avvenuta cessione dei crediti in blocco, contenga tutti gli elementi necessari a identificare con precisione il credito, in modo tale da poter affermare con certezza la sua inclusione nella cessione.

Nel caso affrontato dalla Corte, in particolare, la società cessionaria controricorrente, pur dando atto di aver stipulato ben tre contratti di cessione di crediti, si era limitata a produrre l’avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, non fornendo dunque una idonea prova dell’inclusione del credito oggetto di causa nell’operazione di cessione e, di conseguenza, della sua legittimazione sostanziale.

Ne è conseguita, pertanto, la declaratoria della Corte di carenza di legittimazione passiva, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, della società cessionaria

Una sentenza della Corte di Cassazione, ha annullato una multa per eccesso di velocità emessa nei confronti di Andrea Nalesso, un avvocato di Treviso. Nalesso era stato multato per aver superato di 7 chilometri orari il limite di velocità sulla tangenziale della città, che è di 90 chilometri orari. La Cassazione ha annullato la multa perché l’autovelox (marchio registrato di un’azienda fiorentina, la Sodi, con cui in Italia chiamiamo comunemente tutti i rilevatori che negli altri paesi vengono chiamati semplicemente “radar”) che aveva rilevato la velocità della macchina di Nalesso era stato approvato, ma non omologato come richiesto dal codice della strada.

Di questa sentenza si sta parlando molto perché potrebbe essere applicata a una gran quantità di casi. Le sentenze della Cassazione hanno un ruolo importante nell’interpretazione delle leggi e vengono spesso usate dai giudici come orientamento per decidere su altri casi simili, e potrebbe quindi avere molte conseguenze. In particolare, i giudici di pace – gli organi di primo grado nel caso di ricorsi presentati da automobilisti – potrebbero basarsi sulla sentenza della Corte per annullare le multe in tutti i casi in cui gli autovelox fossero approvati ma non omologati.

Assoluzione nel merito anche se il reato è prescritto
Lo hanno deciso le SU della Cassazione, con una decisione resa nota soltanto in forma provvisoria, confermando la sentenza a SU “Tettamanti” del 2009, in un caso di impugnazione anche agli effetti civili

di Francesco Machina Grifeo

A seguito della prescrizione del reato, il giudice di appello adito anche contro la condanna anche al risarcimento dei danni, può pronunciare l’assoluzione nel merito a fronte di “prove insufficienti o contraddittorie”, applicando la regola processual-penalistica dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”. Lo hanno deciso le Sezioni unite della Cassazione, con una decisione resa nota per ora soltanto sotto forma di informazione provvisoria, che conferma la sentenza a SU “Tettamanti” del 2009.

La questione è stata sollevata dalla IV Sezione penale che richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 182/2021 ha chiesto se tale impostazione dovesse ritenersi ormai superata. Secondo l’ordinanza di rimessione (n. 30386/2023), infatti, il giudice dovrebbe limitarsi a dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione, e proseguire unicamente il giudizio sulle statuizioni civili applicando la diversa regola processual-civilistica del “più probabile che non”.

Il caso era quello del capitano di una imbarcazione per il trasporto passeggeri che aveva travolto, all’interno del porto di Siracusa, una imbarcazione da diporto provocando la morte per annegamento del conducente. In primo grado il tribunale lo aveva condannato ad un anno di reclusione ed al risarcimento dei danni alle parti civile da liquidarsi in separata sede. Proposto appello, la Corte territoriale di Catania, premesso che il reato si era nel frattempo prescritto, “in considerazione della presenza delle parti civili, valutava i fatti nel merito, e perveniva alla conclusione che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, l’istruttoria dibattimentale non avesse consegnato la prova della penale responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio”. E pertanto assolveva l’imputato perché il fatto non sussiste, con revoca delle statuizioni. Contro questa decisione hanno proposto ricorso le parti civili.

Punto “nodale” della pronuncia (“interpretativa di rigetto”) della Consulta, si legge nell’ordinanza di rimessione, è la lettura dell’articolo 578 cod. proc. pen.. Per la Corte costituzionale «il giudice dell’impugnazione penale (giudice di appello o Corte di cassazione), spogliatosi della cognizione sulla responsabilità penale dell’imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione (o per sopravvenuta amnistia), deve provvedere - in applicazione della disposizione censurata - sull’impugnazione ai soli effetti civili, confermando, riformando o annullando la condanna già emessa nel grado precedente, sulla base di un accertamento che impinge unicamente sugli elementi costitutivi dell’illecito civile, senza poter riconoscere, neppure incidenter tantum, la responsabilità dell’imputato per il reato estinto».

Così operando, però, si legge nell’ordinanza, il tema che è “rimasto in ombra concerne la compressione dello spazio per l’assoluzione dell’imputato, pur in assenza dell’evidenza della prova dell’innocenza […], a fronte di un compendio probatorio che non consenta di superare il limite del ragionevole dubbio.” In altri termini, l’interpretazione costituzionalmente orientata “pare interdire la possibilità dell’assoluzione nel merito in luogo della declaratoria di prescrizione”.

Inoltre, una simile soluzione sarebbe in contrasto con le “Sezioni Unite Tettamanti”, dovendone disapplicare il principio secondo cui “all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, quando, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili”.

E allora si deve applicare la legge 23 giugno 2017, n. 103 che ha introdotto un’ipotesi di rimessione “obbligatoria” che scatta ogni qual volta una delle Sezioni semplici ritenga di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite. E la norma, prosegue l’ordinanza, “trova evidente applicazione anche nel caso di novum che dipenda da una sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale”.

In attesa delle motivazioni, il quesito è stato risolto nel segno della continuità dalle S.U. secondo le quali: “In coerenza con i principi sanciti dall’art. 27 Cost., dall’art. 6 della Cedu e dagli artt. 48 e 53 della Carta di Nizza, il giudice può pronunciare l’assoluzione nel merito.

Tar Campania: non serve il permesso di costruire per l’installazione di una tenda da sole facilmente smontabile

L’installazione di una tenda da sole facilmente smontabile, in funzione ornamentale ed accessoria del fabbricato e di protezione dalle intemperie, non integra i caratteri propri della costruzione e non necessita quindi di concessione edilizia.

Lo ha affermato il Tar Campania con la sentenza 1235/2018 dello scorso 31 agosto, che ha accolto il ricorso di una società gestrice di un locale commerciale, adibito a vendita di calzature, prospiciente al quale vi era uno spazio pubblico pertinenziale, coperto da una tenda ritraibile, che si era vista annullare l’autorizzazione comunale in precedenza concessa.

Secondo i giudici amministrativi, ai fini dell’illiceità dell’opera, non vale neppure argomentare sul vincolo di inedificabilità assoluta cui si trova assoggettata l’intera zona poiché detto vincolo concerne soltanto il rilascio di concessioni edilizie e, ai sensi del comma 4, non si applica agli interventi subordinati ad autorizzazione ed a quelli per i quali non sono necessari né la concessione, né l’autorizzazione (in terminis, cfr. T.A.R. Salerno, Sez. II, 27 aprile 2011, n. 748).

In definitiva, la tenda da sole appartiene al regime delle attività di edilizia libera (AEL) e non necessita di nessun permesso di costruire.

Conversazioni in vivavoce registrabili e utilizzabili in giudizio
Lo ha chiarito la Corte di cassazione

di Francesco Machina Grifeo

Non costituiscono intercettazioni le dichiarazioni telefoniche rese in vivavoce di fronte ai carabinieri, nella quali viene ammesso il reato di violenza sessuale ai danni della nipote minorenne, acquisite poi agli atti. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, dichiarando inammissibile e infondato il ricorso di un uomo condannato dalla Corte di appello di Brescia.

Le intercettazioni regolate dagli articoli 266 e segg. cod. proc. pen., spiega la decisione, consistono nella captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscano con l’intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee alla scopo, attuata da soggetto estraneo alla stessa mediante strumenti tecnici di percezione tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del suo carattere riservato.

Ne consegue che la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile, quantunque eseguita clandestinamente, alla nozione di intercettazione, ma costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo secondo la disposizione dell’articolo 234 cod. proc. pen., salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa.

Nel medesimo senso, ricorda la Cassazione, si è chiarito che la trascrizione della conversazione intercorsa tra la vittima e l’autore di condotte estorsive ed usurarie, portata a conoscenza delle forze dell’ordine per iniziativa della stessa persona offesa mediante l’inoltro della chiamata in corso sull’utenza della polizia, che provveda immediatamente alla sua registrazione tramite l’applicazione call recorder, costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, utilizzabile in dibattimento quale prova documentale, ai sensi dell’articolo 234 cod. proc. pen.

Principi, conclude la Corte, che trovano applicazione nel caso specifico in cui la conversazione si è tenuta in vivavoce

È reato affidare i migranti ai guardiacoste di Tripoli
Lo afferma la Quinta sezione della Corte di Cassazione nella sentenza numero 4557/2024

Affidare migranti ai guardiacoste di Tripoli è un reato perché la Libia non rappresenta un porto sicuro. E’ una condotta che infrange il Codice della navigazione in tema di “abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci, e di sbarco e abbandono arbitrario di persone”. È quanto chiarisce la Quinta sezione della Corte di Cassazione nella sentenza, la numero 4557, con cui ha reso definitiva la condanna del comandante del rimorchiatore Asso 28 che il 30 luglio del 2018 soccorse 101 persone nel Mediterraneo centrale e li riportò in Libia consegnandoli alle autorità locali.

La vicenda finita all’attenzione del tribunale di Napoli, ruota intorno all’intervento del rimorchiatore, nave di appoggio di una piattaforma, per oltre cento migranti che si trovavano su una imbarcazione salpata dalle coste africane. In base a quanto accertato dagli inquirenti dalla piattaforma sarebbe arrivata al comandante la richiesta di imbarcare un soggetto di nazionalità libica “ufficiale di dogana libico” che avrebbe suggerito al comandante di dirigersi verso le coste di Tripoli e lì sbarcare i migranti soccorsi.

I giudici affermano che l’imputato ha “omesso di comunicare nell’immediatezza, prima di iniziare le attività d soccorso e dopo averle effettuate, ai centri di coordinamento e soccorso di Tripoli e all’Imrcc di Roma, in assenza di risposta dei primi, l’avvistamento e l’avvenuta presa in carico”.

Operando in questo modo, per la Cassazione, il comandante ha violato “le procedure previste dalla Convenzione di Solas e dalle direttive dell’Organizzazione marittima Internazionale” mettendo in atto “un respingimento collettivo in un porto considerato non sicuro come quello libico”.

La Cassazione, inoltre, ribadisce che nel caso specifico il comandante “avrebbe dovuto operare accertamenti necessari sui migranti, verificare se volessero o meno chiedere asilo, effettuare accertamenti necessari sui minori, per verificare se fossero accompagnati o meno”.

Se la magistratura si concentra troppo su uova e pandoro
La gravità dei reati si misura, oltre che dalle pene previste, anche dall’allarme sociale che provocano. Ed è strano vedere la magistratura (e l’opinione pubblica) impegnata a perseguire ipotetiche truffe su pandori e bambole

di Federico Maurizio d'Andrea

Uno dei principi cardine della nostra cultura giuridica è l’obbligatorietà dell’azione penale. Lo sviluppo di questo principio ci porterebbe molto lontano e, di conseguenza, appare utile circoscrivere queste brevi considerazioni ricordando solo che la gravità dei reati si misura, oltre che dalle pene previste, anche dall’allarme sociale che provocano. Attualmente, l’ipotesi di reato giornalisticamente – forse – più gettonata è la «truffa aggravata» che due Procure della Repubblica sembrerebbero aver contestato a una nota influencer in merito alla campagna pubblicitaria di un pandoro ammantata, sempre secondo la ricostruzione delle Procure, da finti intenti di beneficenza: e le ipotesi si sarebbero anche allargate ad altre campagne pubblicitarie concernenti uova di Pasqua e bambole.

Infortunio sul lavoro causato dall’utilizzazione di un macchinario non conforme alle norme di sicurezza: è responsabile anche il venditore

Lavoro - Infortuni sul lavoro - Macchinario non conforme alle prescrizioni in tema di sicurezza - Responsabilità del venditore - Sussiste

Nel caso in cui un infortunio sul luogo di lavoro sia dipeso dalla utilizzazione di macchine o impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell’imprenditore che li ha messi in funzione senza attivarsi per eliminare la difformità alle prescrizioni in tema di sicurezza, non fa venir meno la responsabilità di chi l 'ha costruito.

Lo smartphone ci ascolta? Cominciano ad arrivare le prime evidenze
La società di marketing Cox Media Group (CMG) ha ammesso di monitorare le conversazioni degli utenti per creare annunci pubblicitari personalizzati in base ai loro interessi

di Marco Trabucchi

Lo abbiamo sospettato tutti, almeno una volta nella vita. D’altronde, come amava ripetere Agatha Christie, «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Dopo una conversazione in cui mostriamo interesse per qualcosa, un prodotto o un servizio, quel qualcosa magicamente si palesa subito dopo come pubblicità o consiglio per gli acquisti sulle pagine che frequentiamo.

Eppure, la tesi, contro ogni percezione, non ha mai avuto una prova, con alcune ricerche e prove sul campo che avevano dato esito negativo. Tra questi uno studio del 2018 condotto dalla Northeastern University, che aveva analizzato le 18mila app più diffuse sugli smartphone Android, senza individuare prove che facessero pensare che queste applicazioni attivassero segretamente il microfono.

L’ipotesi più prudente è che si tratti di un problema di percezione distorta causata dalla nostra attenzione selettiva verso gli annunci pubblicitari che ci interessano di più. Questo perché, da sempre, i nostri dati vengono tracciati in diversi modi su internet e sui social per creare annunci pubblicitari personalizzati in base ai nostri interessi: dai video che guardiamo di più, ai cookie e ai like che mettiamo sui social media, le impronte che lasciamo sul web sono tantissime.

Così è possibile che tra questi annunci ce ne sia uno di un argomento di cui abbiamo appena parlato con i nostri amici, ma questo non significa che il nostro smartphone abbia registrato la conversazione. Coincidenze che si possono riscontrare nel mare magnum del word wide web.

Cosa è l’active listening
Oggi, però, ci sarebbe la “smoking gun”, ovvero la prova che qualcuno o qualcosa spii le conversazioni o intercetti delle “parole chiave” che servono a creare annunci mirati. A mettere l’ennesima pulce nelle orecchie è la testata 404 Media, che ha individuato una pagina web (poi cancellata) della società americana Cox Media Group (CMG) che promuoveva il servizio “Active Listening”, ovvero la capacità di identificare “conversazioni rilevanti tramite smartphone, smart TV e altri dispositivi” utilizzando l’intelligenza artificiale per consentire alle aziende locali di targettizzare gli annunci a quelle persone.

La pagina sul sito CMG Local Solutions, che da allora è stata chiusa, non usava mezzi termini: “È vero. I tuoi dispositivi ti stanno ascoltando”, diceva. «Con Active Listening, CMG ora può utilizzare i dati vocali per indirizzare la tua pubblicità alle persone esatte che stai cercando».

Come funzionerebbe il servizio lo svela sempre la pagina di informazioni di CMG Local Solutions in un articolo informativo del 28 novembre (anch’esso cancellato). La sua tecnologia di «ascolto attivo» può riprendere conversazioni per fornire agli inserzionisti locali un elenco settimanale di consumatori che sono sul mercato per un determinato prodotto o servizio. Il servizio di CMG è in grado di personalizzare una campagna grazie all’ascolto di parole chiave/obiettivi pertinenti all’attività in cerca di clienti.

Così, se le persone che vengono ascoltate fanno affermazioni del tipo: «Forse dobbiamo cambiare casa», riceveranno immediatamente un’inserzione relativa a vari annunci di agenzie immobiliari su Google, YouTube, Bing e altri (sempre stando a quanto scritto sul sito di CMG). Altri esempi di ciò che l’ascolto attivo può rilevare includeva, «Abbiamo bisogno di un’auto più grande?» e “Mi sento come se il mio avvocato mi stesse fregando». Il risultato, ha affermato la società, è “L’efficienza e i tempi della pubblicità portati a un nuovo livello”.

La smentita di Cox Media
Dopo la scoperta di 404 Media, Cox Media Group ha precisato che le sue aziende “non ascoltano alcuna conversazione, ma hanno accesso ad un set di dati aggregati, anonimizzati e completamente crittografati di terze parti che possono essere utilizzati per il posizionamento di annunci pubblicitari”. In pratica, secondo la società, l’accesso di CMG Local Solutions ai dati pubblicitari basati sulla voce viene raccolto da piattaforme e dispositivi di terze parti “secondo i termini e le condizioni forniti da tali app e accettati dai loro utenti”.

In pratica, secondo quando dichiarato dalla società, i dati sarebbero raccolti attraverso applicazioni che scarichiamo e che hanno legalmente accesso al nostro microfono. Nel post del blog successivamente cancellato, CMG Local Solutions discute se l’ascolto attivo è legale. “La risposta breve è: sì. È legale che telefoni e dispositivi ti ascoltino. Quando il download o l’aggiornamento di una nuova app richiede ai consumatori un accordo sui termini di utilizzo di più pagine da qualche parte nelle clausole scritte in piccolo, l’ascolto attivo è spesso incluso”, ha affermato la società nel post, che ha dichiarato di lavorare fianco a fianco con Amazon, Microsoft e Google come partner pubblicitari

La posizione di Google, Amazon e Apple
Interpellati da 404 Media, Google ha dichiarato che con Android 11 e versioni successive, le app non possono accedere al microfono o alla fotocamera mentre sono in esecuzione in background, anche se gli utenti, con la loro installazione, hanno concesso l’autorizzazione esplicita per farlo (con i lunghissimi termini del servizio che non leggiamo mai). Amazon ha spiegato che «il prodotto descritto non sarebbe utilizzabile sui dispositivi Echo, perché non condividiamo le registrazioni vocali con terze parti».

Apple, che proprio sulla privacy ha costruito una forte narrazione, si difende affermando che nessuna app può accedere al microfono o alla fotocamera di un iPhone o iPad senza autorizzazione, affermando inoltre che i dati raccolti per l’assistente vocale Siri «non vengono utilizzati per creare un profilo di marketing e non vengono mai venduti a nessuno». Da parte di Microsoft non è pervenuta nessuna risposta.

Tirando le somme, dove starebbe la verità? A parte il servizio pubblicizzato da Cox Media, non ci sono notizie di altre società che utilizzerebbero questo servizio per vendere pubblicità profilate. Che sia una bufala orchestrata per attrarre potenziali clienti o un servizio sperimentale, la nostra pulce nell’orecchio continua a darci fastidio.

Omessa dichiarazione, confisca per equivalente della casa della figlia

di Antonio Iorio

Per il reato di omessa dichiarazione commesso dall’imprenditore è legittimo il sequestro per equivalente dell’appartamento intestato alla figlia che non ha disponibilità economiche idonee e che non abita effettivamente nell’immobile ancorché vi abbia la residenza anagrafica.

A fornire questo interessante principio è la Corte di Cassazione 

Volo cancellato, sì al danno morale se il pregiudizio è “grave”

di Francesco Machina

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 33276 depositata il 29 novembre, accogliendo (con rinvio) il ricorso di un uomo che non aveva potuto partecipare alle esequie del padre

Contenuto esclusivo Norme & Tributi Plus
La compagnia aerea deve risarcire anche il “danno non patrimoniale” se la cancellazione del volo ha comportato l’impossibilità di partecipare ai funerali di un genitore. Le “relazioni familiari” infatti sono tutelate dalla Costituzione e la mancata partecipazione all’ultimo saluto non può essere derubricata a mero “pregiudizio bagatellare”, superando, al contrario, quella soglia di gravità che rende il danno risarcibile.

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 33276 depositata il 29 novembre, accogliendo (con rinvio) il ricorso di un uomo che non aveva potuto partecipare alle esequie del padre ed affermando un prinicipio di diritto.

Il Tribunale di Busto Arsizio, in qualità di giudice d’appello, aveva confermato la condanna del vettore aereo Air Italy s.p.a. (già Meridiana fly s.p.a.) a risarcire la somma di 600,00 euro per volo cancellato (ai sensi del Regolamento Ce n. 261/2004), e l’ulteriore somma di 46,00 euro per spese. Aveva invece respinto le domande di risarcimento del danno patrimoniale per la “lunga attesa” in aeroporto, il pernottamento in albergo, i costi di bevande e mezzi di trasporto e soprattuto per il “danno esistenziale, rectius non patrimoniale, per non aver potuto partecipare a causa della cancellazione del volo alle esequie del padre”.

Il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, spiega la Cassazione, è risarcibile - sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 cod. civ. - anche quando non sussiste un fatto-reato, né ricorrono altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro, a tre condizioni: a) che l’interesse leso - e non il pregiudizio sofferto - abbia rilevanza costituzionale; b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità; c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità (n. 26972/2008).

Inoltre, siccome il danno non patrimoniale non è in re ipsa, in quanto il danno risarcibile si identifica non con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, tale danno deve sempre essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni.

E per la Corte di Giustizia UE quando la compensazione pecuniaria (Regolamento 261/2004) non copre interamente il danno materiale morale subito, i passeggeri possono chiedere il risarcimento supplementare (sentenza del 13/10/2011, C-83/10, Sousa Rodriguez e altri).

Il giudice di secondo grado invece “non ha fatto buon governo dei suindicati principi”, in quanto ha omesso di valutare se il pregiudizio non patrimoniale abbia superato quella soglia di sufficiente gravità individuata in via interpretativa dalla giurisprudenza e lo ha invece “sbrigativamente qualificato in termini di lievità e di totale irrilevanza”, senza considerare che le relazioni familiari godono di tutela costituzionale (articoli 29 e 30 Cost.) e che secondo la sensibilità comune la partecipazione alle esequie del proprio padre defunto “costituisce evento necessariamente unico ed irripetibile, tale da scandire il momento del saluto e della consapevolezza della perdita subita, per cui la sussistenza di forzati impedimenti, causati dall’altrui inadempimento, alla partecipazione ad un evento siffatto può ragionevolmente essere collocata nell’ambito della soglia della risarcibilità imposta dal diritto vivente, non potendo essere relegata sic et simpliciter, senza alcun apprezzamento da parte del giudice di merito, nell’ambito del pregiudizio bagattellare”.

Da qui l’affermazione del seguente principio di diritto: “premesso che il danno non patrimoniale, di cui si invoca il risarcimento, non è in re ipsa, in quanto si identifica non con la lesione dell'interesse tutelato dall'ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, l’impedimento alla partecipazione delle esequie di un genitore determinata da inadempimento (come nel caso di specie) o illecito altrui, giustifica il risarcimento del danno non patrimoniale”.

Ragionieri e uffici tecnici, dialogo difficile ma il problema sta nella normativa

Dal 2015 la Commissione ARCONET promuove l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali; la presenza dei responsabili finanziari comunali al suo interno è stata finora piuttosto rarefatta.

Da alcuni anni, il linguaggio dei contabili comunali si è così arricchito di concetti “di importazione”, fra i quali quelli di fondo pluriennale vincolato (FPV), di reimputazione degli impegni, di variazioni di esigibilità e così via.

Se, come noto, tali nozioni solo negli anni hanno potuto faticosamente trovare una certa comprensione ed attuazione nei servizi finanziari degli enti, figuriamoci quanto poco siano potute filtrare nei rispettivi uffici tecnici, presi da tutt’altre preoccupazioni. Il Dm 25 luglio 2023 sul processo di formulazione e deliberazione del bilancio di previsione degli enti locali sta esasperando in queste settimane le difficoltà dialettiche fra questi due mondi.

Prendiamo un caso frequentissimo: il ragioniere, come da Dm, segnala al tecnico la necessità di predisporre ed aggiornare i cronoprogrammi degli investimenti, richiedendo risposta entro il 20 ottobre 2023. Nel contempo, raccomanda al collega di procedere alle variazioni di esigibilità degli investimenti, con la costituzione dell’eventuale FPV, prima che l’anno solare 2023 si concluda.

Provate, oggi, a chiedere ad uno qualunque dei responsabili finanziari degli 8mila comuni italiani il riscontro che ha ricevuto dal proprio ufficio tecnico e potrete catalogarlo nelle seguenti tipologie, più o meno in ordine decrescente: silenzio totale;

risposta evasiva; richiesta di maggior tempo per l’esame; richiesta di chiarimenti ulteriori; conferma delle previsioni esistenti; affermazioni di incompetenza; riscontro negativo seccato; dichiarazione di assenza di indicazioni politiche. Solo in rari casi, il ragioniere ha ricevuto nei tempi fissati un dettaglio dei cronoprogrammi aggiornati e, magari, il dettaglio delle variazioni di esigibilità.

Mettiamoci subito dopo nei panni del tecnico comunale che incontra sul suo percorso il “semaforo” di una semplice variazione di esigibilità per un investimento previsto nel 2023. Dopo aver compreso, non senza difficoltà, di cosa si tratti, alza gli occhi e vede la luce “gialla”: il ragioniere gli suggerisce infatti di attendere il “verde” a novembre, perché così saremo più vicini alla fine dell’esercizio ed il nuovo cronoprogramma sarà senz’altro più realistico.

All’improvviso, però, vede scattare il rosso che durerà varie settimane, perché la Giunta ha appena approvato il progetto di bilancio 2024 e non è certo il caso di modificare l’FPV prima dell’approvazione in Consiglio. Verso Natale, il semaforo torna verde dopo il Consiglio Comunale…ma facciamo presto!, perché c’è tempo solo fino al 31 dicembre 2023 per assumere la determina.

Dal 1° gennaio 2024 scatta infatti di nuovo un rosso che durerà sostanzialmente fino al riaccertamento ordinario dei residui di febbraio/marzo 2024 (se va bene). E per il nuovo verde, attendiamo aprile…

Alla luce delle difficoltà ormai ripetute negli anni, acuite dal recente maggior volume degli investimenti, viene da chiedersi quale senso organizzativo abbia il mantenimento di disposizioni che l’esperienza pratica ha evidenziato come così poco razionali.

Il discorso ci porterebbe lontano: potrebbe certamente ampliarsi a numerosi altri aspetti critici della programmazione derivanti dall’insufficiente coordinamento fra Dlgs 267/2000, nuovo Codice Appalti Dlgs 36/2023, principi contabili allegati al Dlgs 118/2011, Dl 80/2021.

Tanto per dire, oggi abbiamo a che fare: con la programmazione del personale che deve stare sia nel DUP che nel PIAO; con la definizione degli obiettivi che sta nel DUP (a livello strategico) e nel PIAO (nel dettaglio) ma non è stata espressamente espunta dal PEG (articolo 169, comma 1 del Tuel), per cui alcuni commentatori ritengono che si debbano programmare gli obiettivi addirittura su almeno 3 livelli;

con le soglie di inclusione nella riformata programmazione triennale di 150.000 euro per i lavori e di 140.000 euro per i servizi; con l’importo che consente l’attivazione del FPV sugli investimenti inclusi nel PNRR e nel PNC di incerta quantificazione, dovendosi far riferimento al precedente codice dei contratti (Dlgs 50/2016); e l’elenco potrebbe continuare a lungo.

«Il principio del risultato – recita l’articolo 1 del recente Dlgs 36/2023 - costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità».

Se si vogliono centrare nei tempi i target del PNRR, sia in termini di investimenti che di riforme, non si può prescindere da una profonda ed urgente revisione degli strumenti di programmazione degli enti locali; e bisogna farlo nella direzione di una radicale semplificazione secondo quel “principio del risultato”, oggi enunciato da una importante norma statale ma troppo spesso contraddetto dallo stesso legislatore.

La scuola può essere scelta dal giudice se i genitori litigano

La tutela dell’interesse del bambino può portare alla compressione della libertà religiosa di padre e madre

Secondo la Corte di Cassazione (ordinanza n. 26820/2023), in caso di conflitto genitoriale sulla scelta della scuola dell’infanzia pubblica o privata per il figlio, il perseguimento dell’interesse del bambino può portare a provvedimenti sulla sua educazione, contenitivi o restrittivi della libertà religiosa dei genitori per evitare conseguenze pregiudizievoli sulla salute psico-fisica e lo sviluppo del figlio stesso.

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