immobili condonati: no a interventi di demoricostruzione e ampliamento volumetrico. Il carattere generale del divieto di concessione di premialità volumetriche per gli immobili abusivi si applica anche alle disposizioni del Piano Casa
Il Tar Sicilia con la sentenza del 19 febbraio 2024, n. 550, ha respinto il ricorso presentato contro il diniego di permesso di costruire richiesto per un intervento di demolizione, ricostruzione e ampliamento di un edificio, ai sensi dell’art. 3 della Legge Regionale n. 6/2010, relativa al c.d. "Piano Casa".
L’immobile, condonato ai sensi della legge n. 47/1985, non rientrava appunto nella sfera degli edifici sui quali erano ammessi interventi ai sensi del piano casa in quant la normativa dispone che “Gli interventi riguardano edifici legittimamente realizzati; sono esclusi gli immobili che hanno usufruito di condono edilizio”. Di conseguenza, “L’intervento di demolizione, ricostruzione ed ampliamento contrasta con i dettami della L.R. 6/2010 ed in particolare con l’art. 11, come aggiornato dalla L.R. 2/2022, poiché l’originaria consistenza è stata oggetto di rilascio di concessione edilizia in sanatoria ai sensi della L.R. sul condono edilizio n. 37/85”.
Secondo il ricorrente l’intervento sarebbe invece stato ammissibile perché sarebbe illogico che il Piano Casa escluda gli immobili condonati per ammettere quelli sanati mediante accertamento di conformità ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985, i quali vantano un regolare titolo edilizio in sanatoria e, pertanto, meritano di essere equiparati.
Il TAR ha confermato la decisione del Comune: ai sensi dell’art. 11, comma 2, lett. f) della L. R. n. 6 del 2010 - Norme per il sostegno dell’attività edilizia e la riqualificazione del patrimonio edilizio - “Gli interventi previsti dalla presente legge non possono riguardare…gli immobili oggetto di condono edilizio nonché di ordinanza di demolizione, salvo quelli oggetto di accertamento di conformità di cui all'articolo 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, introdotto dall'articolo 1 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37”.
Tale disposizione, stabilisce in modo inequivoco che l’intervento di demolizione e ricostruzione di cui all’art. 3 della stessa L.R. n. 6 del 2010, nnon possa riguardare un immobile oggetto di condono edilizio.
La tesi sostenuta dalla parte ricorrente, secondo cui l’esclusione opererebbe solo per gli immobili i quali, congiuntamente, abbiano usufruito del condono e siano stati raggiunti da un’ordinanza di demolizione, non trova conferma tanto nella lettera della norma quanto nella sua doverosa interpretazione logico-sistematica.
Spiega il TAR che l’ordinanza di demolizione trova il suo presupposto nella commissione di un illecito edilizio, così come nell’adozione di un diniego di condono (a fronte del quale, peraltro, l’ordine di demolizione può costituire un atto dovuto). Sarebbe illogico, conseguentemente, ritenere che con la norma in esame si sia voluto restringere l’operatività degli artt. 2 e 3 della L.R. 6/2010 alle astratte ipotesi in cui un immobile, dapprima sanato tramite condono edilizio, sia stata in seguito raggiunto da un’ordinanza di demolizione.
Non può sfuggire, peraltro, che nel fare “salvo quelli oggetto di accertamento di conformità di cui all'articolo 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, introdotto dall'articolo 1 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37”, si sia voluto innestare nella norma un’eccezione riguardante soltanto taluni degli immobili citati nella proposizione principale, ossia i soli immobili oggetto di ordinanza di demolizione.
Ricorda il TAR che l’accertamento di conformità, in definitiva, è da considerarsi quale forma di sanatoria alternativa a quella a cui si addiviene con il condono edilizio, e non può concorrere con essa (come invece implicitamente viene sostenuto dal ricorrente), in quanto i presupposti dei due procedimenti di sanatoria risultano non soltanto diversi ma anche antitetici, atteso che:
l'uno (condono edilizio) concerne il perdono ex lege per la realizzazione sine titulo abilitativo di un manufatto in contrasto con le prescrizioni urbanistiche (violazione sostanziale);
l'altro (sanatoria tramite accertamento in conformità) costituisce l'accertamento ex post della conformità dell'intervento edilizio realizzato senza preventivo titolo abilitativo agli strumenti urbanistici (violazione formale), da appurarsi sia al momento della realizzazione dell’opera che in quello della presentazione della domanda (c.d. “doppia conformità”).
A favore di tale interpretazione milita, del resto, anche il carattere generale del divieto di concessione di premialità volumetriche per gli immobili abusivi, espressivo della scelta fondamentale del Legislatore statale di disconoscere vantaggi in caso di abuso e di derogare a tale principio in ipotesi tassative e sovente ribadito dal Giudice costituzionale impegnato a sindacare, con esiti di frequente caducatori, le normative regionali volte ad ampliare tali vantaggi (cfr. Corte Costituzionale, 09/05/2023, n. 90).
Da ciò deve farsi discendere la legittimità del provvedimento di diniego al rilascio del permesso di costruire avversato, il quale, oltre ad essere stato adottato in coerenza con le disposizioni normative di riferimento e, in particolare, con quanto previsto dall’art. 11, comma 2, lett. f), della L. R. n. 6 del 2010: l’Amministrazione comunale ha negato il titolo edilizio in attuazione di specifiche disposizioni normative.
Conclude inoltre il giudice che il permesso di costruire, come affermato dalla costante giurisprudenza, ha peraltro natura tendenzialmente vincolata, da cui discende che il richiamo alla disciplina normativa dalla cui applicazione viene fatto discendere il suo diniego integra la c.d. giustificazione del provvedimento, sufficiente per dare evidenza delle ragioni giuridiche della decisione, secondo quanto prescritto dall’art. 3, comma 1, della L. n. 241/1990 e dell’art. 3 della L.R. n. 7 del 2019.
Paino Raimondo Impresa Edile
Condono edilizio: no della Cassazione alla sanatoria condizionata
La disciplina che regolamenta il rilascio del Secondo Condono Edilizio (legge n. 724/1994) prevede che siano suscettibili di sanatoria esclusivamente le opere abusive per le quali non si siano verificati incrementi di volumetria superiori al 30% rispetto alla condizione originaria, oppure, indipendentemente dalla volumetria iniziale, ampliamenti superiori a 750 metri cubi, con termine dei lavori entro il 31 dicembre 1993.
Tale disposizione vale sempre come principio primario in tema di condono edilizio, in base al quale non è mai possibile sanare interventi conseguiti successivamente alla data ultima imposta dalla normativa, neanche se questi dovessero essere stati imposti mediante autorizzazione paesaggistica condizionata dall’Autorità preposta alla tutela del vincolo.
Condono edilizi: quali lavori sono consentiti oltre i termini di legge?
A chiarire il punto è la sentenza della Corte di Cassazione del 19 marzo 2024, n. 11406, che ha ritenuto inammissibile il ricorso proposto contro l’ordinanza di demolizione e il diniego di rilascio di condono per opere realizzate successivamente alla rigorosa scadenza imposta dalla legge.
Gli ermellini hanno evidenziato come il rispetto della data del 31 dicembre 1993, entro la quale gli interventi devono risultare necessariamente conclusi per poter essere sanabili, è la principale condizione richiesta per valutare la condonabilità degli abusi edilizi.
Non è mai consentito infatti compiere lavori aggiuntivi sull’opera abusiva in seguito alla scadenza imposta per il condono, con la sola eccezione dei casi previsti dalla Legge n. 47/1985 (Primo Condono Edilizio), che concede la realizzazione di meri interventi di rifinitura, oppure - per le opere non completate a causa di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali - lavori necessari a rendere il fabbricato funzionale.
Il proprietario del manufatto abusivo può quindi, nei soli casi citati, conseguire altre opere sull’immobile oggetto dell’istanza di condono, attribuendosi l’intera responsabilità in caso di compimento di nuovi illeciti.
In ogni altra circostanza, invece, la consecuzione di lavori (di qualsivoglia tipo) che modifichino il manufatto abusivo al fine di renderlo sanabile in seguito al termine stabilito dalla normativa, è sempre da considerarsi un tentativo di indebito aggiramento della disciplina legale.
Lavori successivi all'istanza di condono: no alla sanatoria condizionata
Quanto spiegato vale anche nel caso in esame, in cui il ricorrente sostiene che la procedura di condono sarebbe stata perfezionata con il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, condizionata a prescrizioni da realizzare, disposta dall’Autorità competente in materia di vincoli.
A tal proposito, si evidenzia però che la realizzazione di ulteriori interventi di ogni tipo sull’abuso da condonare - sebbene questi possano essere stati imposti a fini paesaggistici con nulla osta che dovrebbe completare il rilascio del condono - va sempre in contrasto con il rispetto del termine imposto dalla normativa.
Le Autorità preposte alla tutela dei vincoli paesaggistici infatti, ai fini del rilascio della sanatoria, sono tenute unicamente a verificare la sussistenza, entro la scadenza stabilita dalla legge, dei presupposti di compatibilità dell’opera con le restrizioni disposte dal vincolo.
In tale ottica, queste non possono disporre il rilascio di un’autorizzazione paesaggistica condizionata al soddisfacimento di prescrizioni che prevedano la consecuzione di nuovi interventi successivi al rigoroso termine.
Il ricorrente, che ha lamentato la mancata considerazione, da parte dei giudici del TAR, dell’avvenuto mutamento dei luoghi in seguito a nuovi lavori effettuati, consistenti nel soddisfacimento delle prescrizioni disposte dalla Soprintendenza e nell’eliminazione di una tettoia abusiva non oggetto di condono, ha sostanzialmente realizzato nuovi lavori in seguito alla scadenza prevista per il rilascio del condono.
Tanto basta per escludere la possibilità di rilascio della sanatoria, che, quindi, non può essere in alcun modo ammessa. Si conferma pertanto l’efficacia dell’ordinanza di demolizione, con il rigetto del ricorso.
Salva casa, i rischi per i tecnici: tutte le vie per ridurli al minimo
Sanzioni penali al professionista che rilascia attestazioni non veritiere: fotografie, scritture private e persino cartoline per provare lo stato dei luoghi.
di Guglielmo Saporito e Filippo di Mauro
I professionisti tecnici sono in prima linea nell’attuare il decreto legge 69/2024 (il Salva casa), affiancando gli enti locali nelle regolarizzazioni (sanatorie) e agevolando i privati nella circolazione degli immobili (con le dichiarazioni di stato legittimo).
In queste attività esistono rischi penali, perché il tecnico diventa «esercente un servizio di pubblica necessità» (articolo 481 del Codice penale): quando descrive, valuta, disegna o calcola, il professionista supera infatti il rapporto privatistico.
Il Tar caccia via di casa i galli in citta'
I giudici del Tribunale amministrativo regionale del Veneto, hanno imposto al proprietario di un pollaio domestico, allestito in zona urbana a Mestre, di far sloggiare i galli dall’aia-
L’uomo, residente a Chirignago, aveva chiesto ed ottenuto nel dicembre scorso l’autorizzazione al Comune a poter far razzolare le galline davanti casa. Il via libera era arrivato senza problemi. Non fosse stato per i soliti rapporti di buon vicinato.l
Così, quasi subito, un vicino di casa ha scelto la strada delle carte bollate: ha presentato un esposto in cui lamentava “problemi igienici e i rumori del pollaio, un continuo fastidio fisico-psicologico”, configurando addirittura “un danno biologico”.
In particolare, aveva denunciato, un disturbo acustico provocato dai richiami degli animali “.
L'Ulss 3 intervenuta sulla vicenda aveva espresso, “l’assenza di galli” nell’aia di quartiere. A quel punto l’allevatore ha presentato ricorso al Tar che, ha dichiarato frutto di “legittima discrezionalità amministrativa” la decisione degli uffici pubblici, e del tutto “proporzionata” a contemperare i due diritti: quelli dell’appassionato di galline nel poter gestire il proprio pollaio domestico “consumandone i prodotti”, e quello dei suoi vicini di poter dormire senza dover subire i continui chicchirichì.
D’ora in avanti, nell’aia potranno zampettare solo galline: non più di 50 e tutte femmine. La ‘guerra dei galli’, tuttavia, potrebbe tuttavia non essere finita in quanto l'allevatore ha dichiarato che farà ricorso al Consiglio di Stato, per evitare discriminazioni fra galline e galli.
Seconde case e 110%, i lavori condominiali fanno scattare la plusvalenza sulla vendita
Anche gli interventi effettuati dall’inquilino attivano la tagliola in caso di cessione
È sufficiente avere realizzato il cappotto termico, o avere rifatto l’impianto di riscaldamento, per costringere tutti gli appartamenti di un condominio a subire il nuovo regime di tassazione, particolarmente penalizzante, introdotto nel 2024 per la vendita degli immobili (diversi dalle prime case) ristrutturati con il superbonus.
È uno dei chiarimenti contenuti nella circolare 13/E/2024 dell’agenzia delle Entrate.
Locazioni commerciali, sì alla richiesta di pagamento in un’unica soluzione dopo anni di inerzia
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 11219 depositata oggi, respingendo il ricorso del titolare di una Srl che sosteneva l’abuso del diritto per violazione del principio di buona fede
Nelle locazioni commerciali, l’aver richiesto tutto in una volta, dopo oltre 4 anni di inerzia, il pagamento dei canoni di locazione arretrati (52 mesi) non fa scattare l’abuso di diritto previsto per le ipotesi di violazione della buona fede. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 11219 depositata oggi, respingendo il ricorso del titolare di una srl.
Nel 2021, il Tribunale di Trento, accertato il mancato pagamento da febbraio 2015 al marzo 2020 (rigettata l’eccezione di compensazione proposta dal conduttore per il controcredito per forniture di materiale lapideo) lo condannò a pagare alla locatrice la somma di oltre 125.000 euro, pari al complessivo debito maturato. Proposto ricorso la Corte di appello ha confermato la decisione affermando che l’inerzia della proprietaria-locatrice, quantunque non comune, trovava tuttavia giustificazione nel pignoramento immobiliare subìto e nello stato di malattia di uno dei soci.
Contro questa decisione, il ricorrente ha proposto ricorso in Cassazione ribadendo che la società locatrice nel chiedere il pagamento di 52 canoni di locazione senza aver mai chiesto prima nulla, avrebbe violato i canoni di correttezza e buona fede, incorrendo in un abuso del diritto.
La Terza sezione civile, nel respingere il ricorso, dà atto dell’esistenza di una isolata pronuncia (Cass. 14/06/2021, n. 16743), citata dal ricorrente a sostegno del proprio motivo, la quale in tema però di locazione ad uso abitativo, aveva affermato che “integra abuso del diritto la condotta del locatore, il quale, dopo aver manifestato assoluta inerzia per un periodo di tempo assai considerevole in relazione alla durata del contratto, rispetto alla facoltà di escutere il conduttore per ottenerne il pagamento del canone dovutogli, così ingenerando nella controparte il ragionevole ed apprezzabile affidamento nella remissione del debito ’per facta concludentia’, formuli un’improvvisa richiesta di integrale pagamento del corrispettivo maturato”.
Si tratta tuttavia, prosegue la decisione, di una pronuncia riferita ad una fattispecie diversa. Inoltre, per la Cassazione l’abuso del diritto postula che l’inerzia del titolare “sia tale da ingenerare nella controparte il ragionevole ed apprezzabile affidamento nella remissione del debito per facta concludentia”; una circostanza quest’ultima non integrata nel caso concreto, “poiché la persistente sussistenza, sino al febbraio 2021, di un pignoramento immobiliare che limitava la legittimazione ad agire della proprietaria certamente non poteva ingenerare nel conduttore alcun affidamento sull’eventuale remissione del debito per canoni scaduti.”
Ma il principio non convince la Suprema corte anche per motivi più generali in quanto si tradurrebbe “in una incondizionata apertura all’operatività, nell’ordinamento italiano, di un istituto ad esso sconosciuto, consistente nella Verwirkung del diritto tedesco, quale consumazione del diritto collegato all’inattività (Rechtsverschweigung) del titolare, di cui il codice civile tedesco tradizionalmente fa applicazione, in particolare, in materia di perdita del “praemium inventionis” (§ 971), della provvigione del mediatore (§654) e del diritto al pagamento della clausola penale (§339)”.
Sebbene anche nell’ordinamento italiano vi siano degli esempi simili, per esempio nel diritto del lavoro (il ritardo del datore nel contestare la giusta causa di licenziamento o quello del prestatore di lavoro nella prosecuzione del rapporto) tuttavia nel nostro ordinamento non può darsi ingresso in via generale al principio della Verwirkung.
“La volontà tacita di rinunziare ad un diritto - precisa la Cassazione - si può desumere soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli la sua univoca volontà di non avvalersi del diritto stesso, laddove l’inerzia o il ritardo nell’esercizio del diritto non costituiscono elementi sufficienti, di per sé, a dedurne la volontà di rinuncia, potendo essere frutto di ignoranza, di temporaneo impedimento o di altra causa, e spiegano rilevanza soltanto ai fini della prescrizione estintiva”. “Pertanto - conclude -, il solo ritardo nell’esercizio del diritto, per quanto imputabile al titolare dello stesso e per quanto tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sarà più esercitato, non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso, salvo che tale ritardo sia la conseguenza fattuale di una inequivoca rinuncia tacita o di una modifica della disciplina contrattuale”.
Il diritto dei nonni di mantenere rapporti con i nipoti minorenni deve essere valutato nell’interesse primario del minore
Minori - Rapporti con ascendenti
Il giudice, nel disporre il mantenimento del diritto degli ascendenti a intrattenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, dovrà valutare sia che tale rapporto non arrechi pregiudizio ai minori, ma anche il concreto beneficio che deriverà ai nipoti dalla partecipazione degli ascendenti al progetto educativo e formativo che li riguarda.
Matera: dal 2024 scompare la “tassa sull’ombra”, grazie alla segnalazione di Confesercenti
Matera, la Giunta comunale, ha eliminato dal Canone Unico Patrimoniale. la tariffa relativa alle tende fisse o retrattili a partire dall’anno 2024.
A comunicarlo l’assessore al Bilancio del Comune, Arcangelo Colella, ai dirigenti della Confesercenti locale che erano intervenuti sulla vicenda.
L’assessore Colella, con la serietà che lo contraddistingue, ha ringraziato l’Associazione per aver prontamente segnalato la questione aggiungendo che per questioni tecniche di bilancio non è stato possibile intervenire sulle tariffe relative all’anno 2023.
Pertanto la “tassa sull’ombra” come ribattezzata da tutti, nel Comune di Matera è finita in archivio
Nuovo contratto dirigenza, rebus limiti al rimborso delle spese legali per giudizi davanti alla Corte dei conti
di Gaetano Viciconte e Pasquale Monea
Tra gli istituti innovativi introdotti con il nuovo contratto collettivo per la dirigenza pubblica sottoscritto l’11 dicembre scorso un posto di rilievo lo merita il “patrocinio legale”, riconosciuto anche per i giudizi di responsabilità per danno erariale dinanzi alla Corte dei conti, ma con la limitazione del rimborso delle spese di difesa a quanto liquidato dal giudice.
Retribuzione di posizione e di risultato: i chiarimenti della Cassazione
Se il dirigente pubblico non riceve parte della retribuzione di posizione, può avere diritto a un corrispondente incremento della retribuzione di risultato
Accise, chi spedisce i prodotti è responsabile fino alla consegna
La prova del buon esito della spedizione deve avere provenienza ufficiale; non è valida la documentazione del privato
di Giorgio Emanuele Degani
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 33144 del 29 novembre 2023 ha chiarito che ricade sul soggetto speditore dei prodotti sottoposti ad accisa, in regime sospensivo, l’onere di seguire ogni passaggio della procedura di circolazione e controllare l’arrivo del bene a destinazione, procurandosi la prova del buon esito della spedizione. Tale prova deve essere fornita in modo rigoroso e non può provenire da un privato ma deve avere provenienza ufficiale.
Abusi edilizi, non viola il diritto di difesa l’accertamento incidentale dell’illegittimità della sanatoria
di Paola Rossi
L’accertamento incidentale ha poi constatato che la lottizzazione abusiva, difforme dal permesso di costruire, non può essere sanata col regime che riguarda un altro titolo edilizio abilitativo.
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La difformità dal permesso di costruire di opere che necessitano di tale titolo non sono sanabili con la sanatoria prevista in caso di attività edilizie soggette a Super-Scia. Infatti l’articolo 37 del testo unico dell’edilizia prevede un’ipotesi di sanatoria che è applicabile solo a quegli interventi realizzabili con la segnalazione certificata di inizio attività e che risultino difformi, ma poi vengono sanati.
Gli interventi realizzabili con la segnalazione certificata di inizio attività (anche in caso di super Scia) sono limitati a ristrutturazioni e a piccole modifiche volumetriche e non sono equiparabili alla realizzazione di manufatti realizzati in un piano di lottizzazione. La lottizzazione abusiva per gravi difformità dal permesso di costruire non perdono la loro rilevanza penale neanche con la novella recata dal Dlgs 222/2016 che cancella la vecchia super Dia per varare la super Scia e che di fatto non ha apportato una differenza apprezzabile tra i due titoli che si pongono in totale continuità.
La Corte di cassazione penale ha respinto il ricorso degli imputati con la sentenza n. 47909/2023. Rigettando in particolare il motivo con cui veniva lamentata la violazione del diritto di difesa per avere, in assenza di un pieno contraddittorio, i giudici di appello ritenuto nullo (oltre che falso) l’atto in sanatoria adottato ex articolo 37 del Tue. La Cassazione asserisce che il giudice può accertare incidentalmente l’illegittimità dell’atto amministrativo senza per questo incorrere nella violazione lamentata.
E l’accertamento incidentale non ha fatto altro che constatare che la lottizzazione abusiva, perché difforme dal permesso di costruire, non è ipotizzabile che sia sanata col regime che riguarda un altro titolo edilizio abilitativo.
Il caso concreto, come rileva la Cassazione, fa emergere un comportamento all’apparenza illogico da parte degli imputati anche se mossi dal comprensibile intento di ottenere un titolo sanante a fronte degli abusi realizzati rispetto al permesso di costruire.
Essi infatti invocando la sanatoria relativa alla segnalazione certificata hanno creato solo una falsa apparenza di abusi sanati dal Comune: prima presentando una Scia per fini diversi da quelli a cui è dedicata, poi chiedendo la sanatoria per alcuni vizi, con la pretesa che questa coprisse le precedenti e gravi difformità da tutto altro tipo di titolo abilitativo, il permesso di costruire.
Niente parapetto? Per la caduta dall’alto responsabile il datore di lavoro
di Massimo Frontera
La responsabilità può essere ascritta al lavoratore, ricorda la Corte di Cassazione, solo per un comportamento che si colloca in una sfera di rischio al di fuori quella governata dal titolare della posizione.
Dopo aver perso l’equilibrio, un lavoratore di una impresa di pulizie all’interno di una costruzione, è caduto da un’altezza di due metri da un punto in cui era assente il parapetto, fratturandosi alcune costole. Il datore di lavoro è stato condannato dal tribunale per violazioni al codice della sicurezza sul lavoro; e in particolare per non aver adottato «misure idonee a non esporre i lavoratori dipendenti al rischio di caduta nelle zone non protette come le scale fisse che conducevano ai piani superiori.
Il giudice di pace non può negare de plano la tenuità del fatto per lo straniero che viola l’ordine di allontanamento
Anche se non è applicabile l’articolo 131 bis del Codice penale va esaminata la causa di improcediblità dell’articolo 34 del Dlgs 274/2000, Il giudice di pace non può a priori esimersi dall’esaminare l’eventuale sussistenza della particolare tenuità del fatto solo perché il reato è quello previsto dall’articolo 14, comma 5 ter, del Dlgs 268/1998. Cioè la violazione dell’ordine di allontanamento rivolto dal questore allo straniero irregolare. Non può il giudice di pace ritenere che la fattispecie penale rivesta in sé un valore di gravità tale da non consentire un giudizio di tenuità della condotta ascritta all’imputato.
La Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 41544/2023 - ha annullato la decisione del giudice di pace che intravedeva una “gravità intrinseca” nel reato contestato allo straniero e ha rinviato affinché venga adeguatamente esaminata e motivata l’esclusione o la sussistenza di tutti i parametri della particolare tenuità del fatto che determina l’improcedibilità dell’azione penale davanti al giudice di pace. La Corte di cassazione ha avuto l’ennesima occasione di affermare che pur non essendo applicabile la causa di non punibilità prevista dall'art.131 bis dell'articolo 131 bis del codice penale, il giudice di pace deve valutare la concorrente causa di improcedibilità per la particolare tenuità del fatto contemplata dal Dlgs 274/2000 che ne regola la competenza penale.Si tratta dell’articolo 34 che a fronte dell’interesse tutelato dalla norma penale definisce i contorni della condotta che non giusitificano l’esercizio dell’azione penale:
- esiguità del danno o del pericolo arrecato;
-occasionalità della condotta con “basso” grado di colpevolezza e
- pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato.
La Cassazione penale ha, in sintesi, bocciato il ragionamento del giudice di pace secondo cui data la natura del bene tutelato dalla norma incriminatrice in materia di immigrazione illegale non era ravvisabile in radice una particolare tenuità del fatto.