di Carmen Greco
La sua “materia prima” erano le parole, sul palco di un teatro. Adesso, la sua materia prima è la terra, cercata, curata, coltivata. La “materia prima” è la stella polare nella vita di Clara Schwarzenberg, parigina, 38 anni, vignaiola a Salina, l’isola dove ha scelto di vivere e lavorare tutto l’anno.
«Ho scoperto Salina qualche anno fa in vacanza, mi sono innamorata dell’isola e di un isolano, Diego Taranto – racconta -, ogni volta che dovevo ritornare a casa, già sull’aliscafo mi si strappava il cuore, era un momento terribile. Ricordo la sensazione bellissima di risalire, invece, su quell’aliscafo una volta scelto di abitare sull’isola. Sapevo che sarei ritornata “a casa”. Lì ho capito che avevo fatto la scelta giusta per me: non abitare più in città, tornare a un lavoro legato alla natura, al calendario delle stagioni».
Che lavoro faceva a Parigi?«Sono un’attrice e regista di teatro, Dioniso è il Dio del teatro e anche del vino no? Trovo che fare teatro e fare vino abbiano dei punti in comune, un certo amore per l’artigianalità e il riuscire a fare molto con poco. In teatro un semplice pezzo di legno può essere lo spunto per raccontare cose diverse, una spada, una bacchetta magica… esiste un rapporto molto bello con la materia prima, così come nel vigneto. E poi sia in teatro che nel vino è molto importante “trasmettere” qualcosa».
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Per esempio?«Quello che cerchiamo di fare con il vino è non cambiare quello che ci offre la natura. Siamo in un territorio splendido, le isole sono di natura vulcanica, si trovano in mezzo al mare, abbiamo un terroir che ci dà tanto, il nostro lavoro in cantina è “tradurre” quello che ci dà il territorio. È come tradurre una poesia, cerchi di farlo senza snaturare il testo originale, tradurre senza tradire».
Questa sua vita da vignaiola quand’è iniziata?«Nel 2017 abbiamo iniziato a lavorare su un vino orange, grazie a un amico che si chiama Giuseppe Mascoli. Ci ha prestato le sue anfore, abbiamo vinificato Malvasia delle Lipari con un po’ di Cataratto. Il vino venuto fuori era dritto, fresco, con un’acidità “croccante”, e questo primo esperimento ci ha convinto ad andare avanti. Un giorno ho abbinato questo vino a una pasta con la bottarga, mi sono accorta che sarebbe stato solo quello il vino che avrei voluto berci sopra. In quel momento ho capito che eravamo sulla strada giusta».
E poi?«Abbiamo acquistato un vecchio terreno di due ettari a Salina e messo in piedi l’azienda nel 2020. C’è voluto un po’ di tempo e un po’ di fortuna. C’erano viti con 40 anni d’età che producono uva di altissima qualità, Malvasia, Cataratto, Corinto nero, piante curate da sempre secondo le regole dell’agricoltura biologica attuali. Trenta, quarant’anni fa non c’erano a Salina processi di meccanizzazione nella produzione vinicola. Quello che ieri era ritenuto uno svantaggio, oggi per fortuna è un pregio, perché il vino è pulito…».
Il passaggio da una metropoli come Parigi alla vita da isolana com’è stato?«Direi fluido. Secondo me corrispondeva a un mio bisogno. Ogni volta che tornavo in città, anche se cercavo di fare una vita sana, di consumare cibo bio, erano poi i ritmi di vita a coinvolgermi comunque. Le cose vanno veloci in una città, dopo pochi giorni correvo di qua e di là entravo in quel mood e non riuscivo a vivere secondo i miei princìpi. Certo, la mia relazione con l’isola è diversa rispetto a chi ci ha vissuto da sempre. Io sono sempre una che è nata da un’altra parte, a Parigi, lì ho fatto i miei studi, mi sono divertita, e tutti questi precedenti capitoli della mia vita esistono dentro di me, non vado più a tante feste, a tante mostre, ma mi sono rimaste dentro. Ovviamente ho ancora lì la mia famiglia, tanti amici e ci vado spesso».
Chi porta avanti la vostra azienda?«È una realtà piccola, siamo io, Diego e abbiamo una persona che lavora con noi, Riccardo Lopez, esperto di potatura. Tutti e tre facciamo un po’ di tutto, seguiamo tutta la catena produttiva, dalle piante al cliente. Vogliamo crescere, per migliorare sempre la qualità dei nostri vini, ma non troppo, ci teniamo a restare artigianali e a dimensione umana. Ci fermeremo quando non sarà più possibile mantenere questo equilibrio. Non riuscirei mai a pensare di lavorare su 50 ettari, sarebbe troppo per il mio cervello e per le mie mani».
Come l’hanno accolta sull’Isola?«Benissimo, qui c’è grande stima del lavoro, e quando hanno capito che ero una che lavorava tanto non c’è stato alcun problema. Nonostante il mio rapporto con Diego all’inizio erano un po’ sorpresi, si chiedevano cosa dovesse mai fare questa tizia venuta da Parigi. Poi dicevano “Iddi fannu ‘u vinu!”, e questo è bastato a conquistare la loro fiducia. Tant’è che abbiamo chiamato un vino “Iddi”. In seguito ho scoperto che “Iddu” è Stromboli, “Idda” è l’Etna, “Iddi” sono le due colline di Salina, e di conseguenza “Iddi” eravamo pure noi (ride ndr)».
E l’impatto burocratico con l’Italia che tipo di shock è stato?«Quanto tempo abbiamo per questa intervista? Io sapevo che l’amministrazione sarebbe stata più complicata in Italia ma ho scoperto che era ancora peggio di quanto pensassi. In Francia non è facile, certo, non può essere semplice, ma lì ognuno può gestire i propri affari anche personalmente, qui in Italia bisogna sempre rivolgersi a un professionista. In Francia ognuno può autodichiarare i propri redditi, qui in Italia ci vuole il commercialista, se lo stato sbaglia in Francia ti arriva il rimborso, qui è meglio che ci rinunci».
Un momento in cui s’è detta non ce la posso fare?«Quando vedo arrivare questo pensiero mi faccio più forza, uso il motto delle Donne del Vino, “Non dite che non si può fare” e vado avanti. Non è solo una filosofia, è un atteggiamento interiore molto concreto».
Mollare tutto e andare a vivere e lavorare su un’isola, lo sogniamo tutti. Come si fa?«In realtà io ho continuato a lavorare, a dare spettacoli, il teatro è come stare sull’isola, non ci sono orari e quando c’è mare mosso non puoi uscire. C’è un’esclusività sia nel teatro che sull’Isola che trovo molto simile. Durante il covid ho traslocato, ho sfruttato quel periodo per inserirmi in un piccolo mondo, e questo mi ha consentito di dedicarmi interamente a Barbanacoli (la contrada in cui sorge l’azienda ndr). A Salina, inoltre, canto, ho un progetto con un pianista siciliano per uno spettacolo che va dalle canzoni di Kurt Weil e Michèle Lagrange fino ai Massive Attack, il mestiere che avevo messo da parte sta ritornando».(lasicilia.it)