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Salina: capperi che isola!

 Vent’anni fa, ha fatto innamorare tutti grazie alle «scarpinate» in bicicletta di Massimo Troisi nel Postino. Da allora, poco è cambiato: profumi e sapori intensi e il mare più verde delle Eolie. Benvenuti a Salina, una terra che si vive dalle prime luci dell’alba

 

Una settimana a Salina ti cambia la visione del cappero. Soprattutto se ti sei alzato alle sei del mattino per raccoglierlo con Daniela Virgona, una delle grandi produttrici, e le sue signore. Tutte donne, perché è un mestiere da fimmine, come dicono da queste parti. Faticoso. Chinati, con gli arbusti che tagliano la pelle, s’impara subito che: non c’è gara con quelli di altre isole, perché a Salina i capperi crescono con più strati e più saporiti.

Secondo: meglio grandi che piccoli, e fino a qui abbiamo parlato dei frutti, dato che ci sono anche i cocunci, che nascono dai fiori e sono rarissimi (e carissimi). Ma alzarsi all’alba su quest’isola delle Eolie ne vale proprio la pena: a vent’anni dalle riprese del Postino, che l’ha resa famosa, la sua bellezza è rimasta tale e quale. A Pollara, dove c’è anche un piccolo museo dedicato al film, sembra di trovarsi sul set. Tutto è intatto, la chiesa ottocentesca di Sant’Onofrio un po’ scrostata con il pavimento di piastrelle originali, il cane che dorme semi svenuto dal caldo, il bar con la tv accesa, la spiaggia piccola e con l’acqua verde intenso per via della roccia vulcanica che regala un’intensa energia.

Facciamo il giro dell’isola con il barchino di Edoardo, un pescatore di totani. È sposato da tutta la vita con una moglie che lavora troppo e ci racconta le falesie, le stratificazioni che sembrano tessuti accostati sul tavolo del sarto, i corridoi scavati dalla lava 400 mila anni fa. A pochi metri di profondità cefali, cernie, pesci pappagallo. Dopo la nuotata, scatta l’aperitivo con lo Chardonnay di Regaleali. Freddissimo. E la luce del tramonto è vellutata sul volto di tutti. Allora pensi che ne è valsa la pena di fare il viaggio da Milano anche se rispetto ai tempi è come andare in Bhutan (tra volo, autobus e aliscafo sono circa sette ore), e riprenderesti cento-aerei-cento-volte quando assaggi la granita ai gelsi e limone in piazzetta a Malfa la mattina presto.

L’arrivo al Capofaro Malvasia & Resort di Tasca d’Almerita è un’esplosione di bianco nell’azzurro del cielo. Siamo in un luogo di-vino di 18 camere distribuite su 7 ettari di vigne di malvasia. Proviene da questi grappoli il classico vino dolce, ma anche bianchi aromatici e floreali come il Didyme, proposti insieme alle altre grandi etichette della casa. Se lo chiedi, ti tengono il tavolo con la vista più vicina sul mare. È un incanto: la luce del faro che gira, le candele e i bagliori del vulcano di Stromboli davanti che si accendono come fuochi nel vento per poi spegnersi un attimo dopo.

Questa vita un po’ sospesa di chi dorme accanto al vulcano che non sa mai come reagirà, amplifica le sensazioni e porta ad apprezzare anche di più la bellezza di quanto c’è attorno. Le cascate di bungavillee, i gelsomini, la cedrina, il rosmarino, gli alberi carichi di limoni gonfi di succo, il finocchietto che (qui) ritrovi nella caponata, le piante di capperi con i fiori, alcuni dei quali diventeranno cocunci. Sono gli stessi che vengono usati nell’insalata di pomodori preparata nella cucina del resort, dove c’è lo Spazio Ristorante Laboratorio di Niko Romito, lo chef dagli occhi buoni che quest’anno ha conquistato la terza stella Michelin, ma che esprime la stessa umiltà di quando nessuno lo conosceva.

Ha portato da Castel di Sangro (L’Aquila) a Salina – e a Capofaro – i suoi ragazzi a sublimare quello che era già eccellente, tutto a «miglio zero», ovvero con prodotti isolani. C’è Vanessa premurosa e bellissima, Roberto capo-sala sempre con il sorriso garbato. Non si può partire senza aver assaggiato i cappelletti nel brodo di pomodoro fresco (trovate la ricetta a pag. 132), gli spaghetti con la cernia, la ricciola, e non parliamo del gazpacho di vino bianco e menta con frutta e panna. Strepitoso (da 240 euro a notte).

Un tuffo in piscina tra i clienti che parlano a bassa voce le tante lingue del mondo, e poi via, in giro sulla Land Rover, con i finestrini aperti. Anche a occhi chiusi sai dove sei. A Santa Marina c’è la chiesa della piazza centrale, un po’ meno scrostata di quella di Pollara perché i reali del Belgio hanno pagato la ristrutturazione del pavimento in ceramica napoletana.

Vengono spesso in vacanza da queste parti e dormono ai Cinque Balconi, il bed & breakfast in via Risorgimento (da 150 euro). Appartiene a Massimo Lo Schiavo, sindaco del paese che ha vinto le prime elezioni per soli 9 voti, e alle ultime è stato confermato con un solido 84 per cento. Poche camere, un albero di mango, un giardino rigoglioso. Come all’Hotel Ravesi di Malfa, un’oasi verde romantica dove ogni pianta è dedicata a un evento della famiglia. C’è calore e l’aperitivo al tramonto con la musica diventa felicità.

A Lingua si va per il pane cunzato di Alfredo, uomo dagli occhi azzurri che racconta in un piatto la sua terra: pomodori, capperi, mandorle, ricotta al forno e acciughe «sdraiati» sul pane di semola grigliato. E intanto guardi il blu e Lipari. Ma c’è ancora molto da scoprire: il ristorante ’Nni Lausta con Fabio e Mercedes e la loro cucina crea-tiva (super il carpaccio di spada sul blocco di sale) e la libreria-negozio Amaneï a Santa Marina, con i cactus di stoffa cuciti dalle scenografe siracusane di Scenapparente. Bellissimi come quelli veri che, visti dal mare, sembrano piccoli specchietti. Salina è così, splendida e profumata.

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