di Claudio Voltattorni
In Italia ci sono circa 8mila chilometri di coste, di queste circa il 50% è dato in concessione. A stabilimenti balneari, complessi turistici, campeggi, circoli sportivi e attività produttive di vario genere. Oltre centomila attività che ogni anno pagano un canone per occupare quello spazio di proprietà dello Stato. Trentamila sono imprese balneari che ogni estate impiegano 100mila addetti per un indotto stimato di 15 miliardi di euro l’anno.
Ma per lo Stato che riscuote i canoni, le cifre sono sempre molto basse, poco più di 100 milioni di euro, con importi medi da 10-15 mila euro e casi da poche centinaia di euro per canoni mai ritoccati, come registra ogni anno Legambiente nel suo Rapporto sulle spiagge. Nel 2020, si trovavano i 520 euro l’anno pagati dall’Hotel Cala di Volpe per la spiaggia di Liscia Ruja, i 1.989 euro versati dal Continental di Santa Margherita Ligure, i 6 mila dell’Ultima Spiaggia di Capalbio, i 10 mila del Papeete Beach di Milano Marittima.
Nel 2019, la legge di Bilancio prevede una riforma di tutto il settore, dalla rivisitazione dei canoni a quella del demanio marittimo, e però proroga anche al 2033 in automatico tutte le concessioni balneari esistenti. Ancora una volta. Nonostante l’Europa abbia già richiamato l’Italia più volte per il non rispetto del principio di concorrenza: la spiaggia è un bene pubblico, il rinnovo delle concessioni senza gare pubbliche è irregolare. Un anno fa, il decreto Rilancio ha confermato la proroga al 2033, rinnovando in automatico le autorizzazioni in scadenza a fine 2020, con gran sollievo degli imprenditori balneari. Scelta che ha provocato l’ennesimo richiamo della Commissione Ue.
Ora, alle porte della nuova stagione estiva, la situazione, se possibile, è ancora più contorta. Dopo l’Europa, sono intervenuti infatti il Consiglio di Stato e l’Autorità per la concorrenza che hanno sottolineato l’irregolarità della proroga al 2033 senza una «selezione aperta, pubblica e trasparente» e giudicato «ingiustificato il ricorso a proroghe ex lege» che «con la ridotta misura dei canoni è anche causa di un evidente danno alle casse dello Stato». E invitano il governo a intervenire al più presto. In più, decine di Comuni, forti dei richiami dell’Europa, hanno bloccato il rinnovo delle autorizzazioni e alcuni Tar hanno impugnato la proroga al 2033, bloccando tutto.
Il governo, da un lato, ha accolto un ordine del giorno del deputato radicale Riccardo Magi ad aprire un tavolo con tutti gli operatori del settore per modificare la legge, ma dall’altro si trova un settore in subbuglio che chiede certezze e quella riforma del 2018 mai partita, ma anche la conferma della proroga al 2033 «perché la legge già c’è, serve solo una norma interpretativa». Giovedì tutti aspettavano un intervento nel decreto Proroghe. Sono rimasti delusi. Non era all’ordine del giorno ha spiegato il governo, che però ipotizza già una norma ponte con una miniproroga di pochi anni per poi avviare una vera riforma di sistema che metta l’Italia in regola con il resto d’Europa e apra finalmente le spiagge a tutti.(corsera.it)