Roberto, hai un curioso pseudonimo per questa tua attività.
Io sono Roberto Longo, in arte Contessa di Alicudi Schifanoja. Il nome nasce da una storia familiare e da una parola ‘Schifanoja’ che è il nome di un palazzo che si trova a Ferrara. Questo nome mi ha sempre affascinato perché era un programma di vita: vivere nella bellezza senza mai lasciare spazio alla noia, il mio progetto di vita.
Anche la tua firma è bizzarra…
Io firmo i miei quadri con una foto erotica vintage, in ricordo del mio bisnonno militare d’alto rango integerrimo. Una volta morto, abbiamo scoperto che conservava sul retro di una collezione di stampe cinesi, le foto delle sue amanti con dediche appassionate..comunque sì, mi divertiva inventarmi il personaggio di una contessa eccentrica che fuggiva lontano dalla noia!
Che persona sei? Da dove arrivi?
Ho 49 anni ma non lo dico a nessuno. Sono Napoletanissimo, anzi mi sento più che napoletano, direi Posillipino. Mi sono laureato in Conservazione dei beni culturali ma ho lavorato per molti anni come consulente di marketing, soprattutto per grandi case farmaceutiche. Un lavoro interessante ma che spesso mi ha posto enormi problemi morali. Poi, grazie alla sensibilità di un’influencer fuori dagli schemi, Elena Braghieri, che si è innamorata dei miei lavori, ho cominciato ad avere maggiore visibilità. Nel 2018 ho partecipato alla biennalina dell’isola di Filicudi, una kermesse che richiama nomi molto famosi dell’arte contemporanea ed esposto a Parigi presso la galleria Less is More di Palais Royal. I miei quadri sono entrati in collezioni prestigiose e li esporto in tutto il mondo. Non ho un sito mio, tutto avviene tramite il mio profilo IG.
Come sei arrivato a dipingere sul vetro?
La pittura su vetro è arrivata nella mia vita insieme con l’amore per la Sicilia. Le Eolie e soprattutto Alicudi sono rimaste per molti anni fuori dal tempo, nelle case abbandonate si trovavano ancora questi quadretti dipinti su vetro con Madonne e Santi coloratissimi. Era una scoperta continua. Ma, in realtà, sono diventato pittore su vetro o “pincisanti” come si dice sull’ isola, grazie all’umidità: pensai che gli unici quadri che mi era possibile appendere in casa dovevano essere resistenti all’ umido e, così, la pittura su vetro mi sembrò la giusta soluzione, per questo ho deciso di imparare. Sono autodidatta, come tutti i veri “pincisanti” e sono orgoglioso di esserlo.
Cosa ti attrae dei dipinti tradizionali su questo supporto?
Ho sempre trovato la pittura su vetro affascinante, un genere che ha una lunga tradizione in Sicilia e che riesce ad essere contemporaneamente facile, popolare ma anche complesso e fantasioso. Soprattutto quello che mi affascina è dovere dipingere al contrario: essendo pittura su vetro devo ragionare in maniera opposta rispetto ad un quadro “normale”. Alla fine scopro quello che ho dipinto solo quando giro il vetro dalla parte contraria alla superficie dove ho steso il colore, una sorpresa continua.
Che soggetti ritrai?
In genere amo i soggetti sacri che però abbino alla mitologia, alle leggende locali, le sirene, i mostri marini, l’Odissea. C’è poi una parte della mia pittura più strettamente decorativa: i fiori, gli insetti, i pappagalli parlanti che dicono parolacce in siciliano.
Come si vive da artista su una piccola isola del Mediterraneo?
Le isole, da sempre, hanno attratto artisti e scrittori. Sono realtà parallele, dove vigono altre leggi: quelle dell’ispirazione, dell’umanità. Capri, l’isola della mia gioventù, per prima ha visto nascere delle vere e proprie colonie, ma anche alle Eolie c’è una lunga tradizione di “presenze” di questo tipo. Almeno per me, l’isola è un modo per guardare all’essenza delle cose, conduco una vita semplice. Sveglia all’alba con il sorgere del sole, guardo le Eolie e l’Etna all’orizzonte, parlo con il cane e con gli “scecchi”, gli asini, che vanno su e giù per le scale e dipingo quello che vedo. Quando arriva la sera mi rendo conto che la noia non esiste nel mio vocabolario. Sono fortunato.
Cosa ti ispira maggiormente della vita lì?
Quando ritorno ad Alicudi e vedo dall’oblò il vulcano che si avvicina, ho davvero l’impressione di arrivare a casa: la realtà si allontana, con le ingerenze pratiche e le beghe della vita sociale. Sull’isola tutto assume un valore diverso. Mi piace la continua interferenza dell’irrazionale nella vita di tutti i giorni: io stesso accendo una candela a Calogero, il teschio di ceramica di Caltagirone che “vive” in una nicchia di fronte al mare. Lo faccio convinto che questo mi porti bene. Eppure, se mi fermo a pensare, dovrei dedurne che sono completamente pazzo. Ecco, questa normalità anormale mi ispira molto.
Cosa ti piace maggiormente fotografare del tuo ambiente?
Sono più di vent’anni che frequento l’isola e non ho mai visto un’alba uguale all’altra. Fotografo le nuvole, la loro ombra sul mare. Per qualche tempo ho fotografato degli oggetti simbolici, una freccia d’oro sospesa sui fichi d’India, come scagliata da un Dio pagano, oppure me vestito da fantasma. L’isola è piena di leggende sui fantasmi, sulle donne che volano, capre che parlano. Cerco di fotografare dettagli che possano evocare questo mondo magico affascinante. E poi fotografo il mio amore assoluto, la Monachedda, casa mia.
Parlaci della Monachedda, allora…che ritorna spesso nei tuoi bei post su Instagram.
Quello è stato un momento importante nella mia vita, la scoperta dell’isola e la lunga ricerca della mia casa, durata anni. Restaurarla è stata una scommessa: un rudere piccolo aggrappato alla roccia, per ricostruirlo ci sono voluti innumerevoli viaggi di asini ed elicotteri che portavano materiali pesantissimi, travi, pietre. Insomma, una follia, quelle follie che solo l’amore ti fa fare. Si chiama “Monachedda” perché ci abitava una donna anziana, nubile, burbera soprannominata appunto “Monachedda” cioè “piccola suora”. La casa è come me, strana, segreta, con lo sguardo rivolto al mare.
Ti ispira l’architettura del luogo? Pensi di avere influenze nella tua arte da altri manufatti che vedi lì?
L’architettura delle isole Eolie è patrimonio dell’umanità, ogni soluzione escogitata dagli antichi isolani era volta allo sfruttamento rispettoso delle risorse naturali, il sole, la pioggia, la terra. Quello che soprattutto mi influenza e mi commuove è che, in un contesto di enorme povertà, l’attenzione verso la bellezza non era mai dimenticata. Si piantavano rose profumatissime, si dipingevano le pareti di casa con decori delicati. Questi decori e questi colori ritornano puntualmente nei miei quadri e faranno parte di un bel progetto di ricerca che prenderà il via a giugno con una residenza d’artista a Salina. Sempre che vada tutto bene, non sono tempi facili questi.
Cosa invece ti piace vivere, dove ti piace immergerti, quando lasci la tua isola?
Io sono napoletano, nasco in una terra di vulcani e quindi ci ritorno volentieri. Le zone vulcaniche sono le più belle dove vivere, sono belli i fumi che escono dalla terra, i boati, le fontane di fuoco. Perché decidere di vivere a Stromboli? Perché a Vulcano, a Randazzo, a Pozzuoli, a Napoli o Alicudi? Perché è bella la terra che vive, perché una finestra aperta su un vulcano che parla è un lusso impagabile. Poi, è vero, si muore. Ma questo è solo un dettaglio irrilevante, quello che conta è la bellezza di ciò che guardiamo per tutta la vita. Io però sono anche un maratoneta e cerco di coltivare questa passione quando sono sul continente, dal momento che sull’ isola non è facile correre. E poi c’è Roma, una città che mi ha adottato, per la quale provo un sentimento di tenerezza. Ma più di tutto amo Palermo. Nella mia vita sono stato felice poche volte, due o tre delle quali è stato a Palermo con un’ arancina in mano.
Come ti informi e come guardi allo scenario artistico del tuo paese? Cosa leggi in merito?
Sono curiosissimo, cerco di seguire gli sviluppi dell’arte contemporanea anche se spesso ne resto sconcertato. Mi piacciono alcuni artisti italiani come Nico Vascellari e Gian Maria Tosatti, mi interessa osservare come gli artisti contemporanei leggono ed in qualche caso prevedono la realtà attuale. Ad Alicudi c’è un’ importante presenza di artisti e galleristi, spesso l’isola ritorna nei loro lavori. Io però resto legato alla tradizione popolare che arricchisco solo un po’ con la mia immaginazione, fatta di elementi compositi: dalle madonne siciliane agli ex-voto, dalla mitologia classica fino ad arrivare ai cantanti neomelodici.
Cosa conta nell’arte….o nella vita?
L’importane, a mio avviso, è l’equilibrio delle parti, la capacità in fondo tutta meridionale, di godere appieno di quanto offre la vita. Con le sue asprezza e la sua infinita bellezza.(thewaymagazine.it )