di Antonio Impagliazzo
La dissalazione delle acque marine destinata al consumo umano (Direttiva 98/83/CE)
La fornitura di acqua potabile destinata al consumo umano, investe in primis gli abitanti delle isole minori, e tra queste Ponza e Ventotene, perché le isole nella quasi totalità sono prive di acqua potabile. La domanda di acqua destinata al consumo umano, tra l’altro, prevede la dissalazione dell’acqua marina e non tiene nella dovuta considerazione che le isole sono “Ecosistemi marini ed Aree Marine Protette con un patrimonio biologico da tutelare e proteggere”. Gli interventi programmati, allo stato attuale non prevedono l’obbligo della “Valutazione d’impatto ambientale” per i dissalatori e una “valutazione sanitaria rigorosa” per l’acqua prodotta, precludendo così ai cittadini delle isole la possibilità di usufruire di un’acqua di qualità idonea e di proteggere un patrimonio di eccellente valore.
In data 26 febbraio 2019 in Roma si terrà un Convegno/incontro per la “tutela delle Aree Marine e degli Ecosistemi”. L’incontro pone in evidenza come alcune problematiche, che pochi anni orsono apparivano sottovalutate e fuorvianti, sono oggi degne della massima attenzione scientifica e sanitaria.
Di seguito riporto la “Relazione”, a cura della Fondazione “UniVerde” e di “MareVivo” sul tema della Dissalazione e delle problematiche connesse e, allegato, il “Decalogo” per il problema dell’approvvigionamento idrico mediante dissalazione elaborato dal Prof. Francesco Aliberti – Università degli Studi di Napoli “Federico II°
1) – Analisi del contesto attuale, prospettive d’impresa e possibili soluzioni alle criticità
La tecnologia maggiormente adoperata per la produzione di acqua potabile con impianti di dissalazione è quella ad “osmosi inversa”.
Con questo processo, l’acqua di mare viene desalinizzata mediante membrane che filtrano i volumi idrici prelevati, lasciando da una parte un’acqua molto povera di sali (che viene successivamente mineralizzata per raggiungere i parametri di potabilità previsti dal d.lgs. 31/20011, ed immessa nelle reti ad uso consumo umano), e dall’altra un’acqua di scarto, detta salamoia, che contiene una considerevole concentrazione di sali (quantomeno doppia rispetto a quella originaria del mare).
Per quanto attiene al “prodotto” della dissalazione, e cioè l’acqua destinata al consumo umano, recenti esperienze operative dimostrano che la concentrazione di boro supera spesso i valori previsti dai parametri della legge (si aggira intorno ai 4-5 mg/L rispetto a 1 mg/L ammesso).
Il Ministero della Salute, Direzione generale della prevenzione sanitaria, in una recente (2016) pubblicazione sul boro nell’acqua potabile, indica che il modo ottimale ed economico di ridurre le concentrazioni di boro è la miscelazione con acqua a basse concentrazioni del parametro medesimo.
Lo stesso Ministero della Salute, nella pubblicazione del 2016 testé richiamata riferisce di effetti indesiderati o comunque potenzialmente pericolosi per la salute, derivanti dall’eccesso di boro.
Se non remineralizzata correttamente, un ulteriore effetto dell’immissione di acqua dissalata (tecnicamente aggressiva) nelle condotte di distribuzione, è il possibile distacco di materiale dalle tubazioni (caso Ventotene), specie allorquando le tubature sono obsolete. La corrosione comporta che all’utenza giungono acque torbide e ferruginose, inutilizzabili ai fini domestici e potabili. Se le tubature sono nuove non si percepiscono effetti in tempi brevi, ma l’integrità della rete di distribuzione può essere compromessa se non vi è un adeguato monitoraggio.
In letteratura ci sono ricerche sugli effetti sull’uomo dell’assunzione di acqua dissalata aggressiva. Una ricerca effettuata sui ratti (King Saud University – Arabia Saudita) segnala risultati preoccupanti, evidenziando anomalie e disfunzione sullo stato di salute dei modelli animali impiegati nello studio.
Quanto ai profili più specificamente ambientali, la salamoia viene scaricata direttamente a mare, senza subire alcun trattamento, attraverso delle condotte sottomarine. Insieme alla salamoia vengono scaricati in mare anche i prodotti chimici di lavaggio delle membrane del dissalatore (tra cui biocidi, antiscalant, coagulanti, etc.) e quelli provenienti dal “pretrattamento” dell’Acqua di mare destinata alla dissalazione .
Allo stato attuale, la carenza di specifiche normative sullo scarico a mare di questi reflui, fa sì che:
• non esista l’obbligo di un piano di monitoraggio ambientale nelle zone interessate dagli scarichi degli impianti;
• il dimensionamento e la lunghezza delle condotte sottomarine di scarico degli impianti esistenti (cfr. Lipari, Vulcano, Ventotene, Ustica) non scongiurano alterazioni significative e negative dell’ecosistema marino;
• non esista obbligo di pretrattamento dei reflui (salamoia e chemicals), prima dello scarico in mare.
2) – Criticità tecniche e giuridiche degli impianti di dissalazione dell’acqua marina
Il Codice dell’Ambiente non contiene alcun riferimento alla dissalazione, né evidenzia quali possano essere i limiti parametro che lo scarico della salamoia nei corpi ricettori costieri debba rispettare sia rispetto all’aumento di salinità generato, che rispetto ai chemicalsutilizzati per la gestione degli impianti.
La tabella 3 allegato 5 parte III del d.lgs. 152/2006 (cfr. nota riportata in calce all’articolo), che evidenzia i parametri che gli scarichi industriali in mare devono rispettare, contiene una deroga (vedi nota n. 3 alla citata tabella) per i cloruri, a voler intendere che il legislatore tollera esplicitamente un aumento indiscriminato della salinità del corpo idrico recettore.
Il Codice dell’Ambiente sembrerebbe quindi consentire un aumento senza limiti della salinità del recettore, a seguito degli scarichi derivanti dal processo di dissalazione.
Il dato normativo richiamato si pone in contrasto sia con i più fondamentali principi di protezione dell’ambiente e del mare, sia con i limiti normativi dettati altrove dal legislatore, a protezione del livello di salinità del corpo idrico recettore (cfr. ad es. nella acque destinate alla vita dei molluschi ex art. 88 t.u.).
L’attuale “vuoto legislativo” comporta:
• che l’attività di gestione del processo di dissalazione abbia un notevole impatto inquinante sull’ambiente marino;
• che l’inquinamento da scarico di salamoia pur non sanzionato specificamente dalla normativa ambientale potrebbe indurre l’autorità giudiziaria a procedere al sequestro o al fermo degli impianti;
• che le imprese del settore della dissalazione, nel proporre progetti o gestione di impianti, trovano ferme opposizioni e proteste da parte delle comunità locali (vd Ventotene, Elba, Ponza).
Alla luce dei documenti rinvenuti, riteniamo che sussista la necessità di colmare la carenza di regole sulla dissalazione per gli impianti a terra, attraverso un intervento legislativo che preveda:
• una distanza minima dalle coste delle condotte di scarico tale da minimizzare gli effetti negativi e significativi sull’ambiente marino;
• l’osservanza ed analisi preventiva di specifici parametri prima di allocare lo scarico della condotta (es.: batimetria, zone balneari, correnti marine, prateria di posidonia, eventuali zone vulcaniche, fangose etc.);
• l’obbligo di una valutazione di impatto ambientale iniziale, e un monitoraggio dell’ecosistema marino in prossimità della presa di carico e dello scarico del dissalatore (prima e durante il processo di desalinizzazione);
• l’obbligo di procedere ad una valutazione di impatto sanitario, dell’interazione tra l’acqua prodotta dall’impianto, lo stato delle tubazioni e la salute umana;
• l’obbligo di smaltire i prodotti chimici di lavaggio come “rifiuti liquidi”, ed il divieto di scaricarli tal quali a mare insieme alla salamoia.
3) – L’orientamento delle comunità locali sullo scarico a mare della salamoia e dei prodotti chimici adoperati per il lavaggio ed il controlavaggio delle membrane
La Città Metropolitana di Messina, nel rispondere ad un quesito in merito al rilascio in mare della salamoia e dei prodotti chimici di lavaggio delle membrane, evidenzia:
• quanto alla salamoia: che bisogna verificare il rispetto dei parametri indicati dal d.lgs. 152/2006, che non prevede limiti per lo scarico dei cloruri;
• quanto ai prodotti chimici: che essi, contenendo sostanze pericolose, non possono essere rilasciati in mare, ma vanno smaltiti come rifiuti liquidi, secondo le procedure previste dal d.lgs. 152/2006
Cfr: Nota della Città Metropolitana di Messina (Me), prot. 3391, del 30/05/2018; schede tecniche e di sicurezza dei prodotti chimici di lavaggio e contro-lavaggio di filtri e membrane degli impianti di dissalazione.
Il Ministero dell’Ambiente, nel rispondere ad un quesito del Comune di Ventotene sulla legittimità e compatibilità ambientale dello scarico del dissalatore locale recentemente messo in funzione dal gestore del servizio idrico, così rispondeva:
“Nel riscontrare la nota di codesto comune, concernente la realizzazione dell’impianto del dissalatore in Ventotene, si rappresenta che rispetto agli aspetti individuati come sensibili:
la salamoia non rappresenta un’inquinante, ma solo un concentrato di sali già presenti nell’acqua di mare. La sua immissione in mare può essere effettuata a mezzo di diffusori posizionati in zone idonee in modo da massimizzarne la diluizione in mare onde evitare pregiudizio per l’ambiente marino.
Le acque derivanti dalla pulizia delle membrane, sebbene tale operazione sia da considerarsi saltuaria, qualora costituite da sostanze chimiche potenzialmente pericolose, andrebbero stoccate e trattate come rifiuti liquidi”.
L’assenza di una regolamentazione chiara ed univoca sulla materia degli scarichi e degli effetti della produzione di acqua dissalata, provoca interrogativi e forti perplessità presso le comunità interessate dagli impianti, per motivazioni di carattere ambientale e sanitario (v. Ventotene, Ponza, Isola d’Elba, etc…)(ponzaracconta.it)