di Antonella Petris
Da una parte il diritto all’acqua, dall’altra la tutela dell’ecosistema marino. In mezzo, carenze normative e del necessario controllo a monte. La questione dei dissalatori è complessa e chiama in causa anche la ricerca, per fare chiarezza almeno sul fronte dell’impatto ambientale.
Tema al centro convegno ”Blue economy: una sfida globale. Isole Minori e dissalatori: opportunità e rischi. Il diritto ad acque potabili di qualità nel rispetto degli ecosistemi marini”, promosso da Fondazione UniVerde e Società Geografica Italiana, con il supporto di Unesco World Water Assessment Programme (WWAP), in collaborazione con Marnavi.
L’iniziativa, ufficialmente inserita nel Programma Nazionale per la Settimana Unesco per l’Educazione alla Sostenibilità 2018 del CNESA2030, si è svolta oggi nella Sala Isma del Senato della Repubblica. ”Occorre colmare il vuoto normativo di fronte alla diffusione dei dissalatori – dichiara il presidente della Fondazione UniVerde, Alfonso Pecoraro Scanio – affinché si possa contemperare il diritto all’acqua potabile di qualità da parte dei cittadini con l’esigenza di tutela degli habitat marini. È questo il senso dell’iniziativa di oggi e dell’appello che rivolgiamo al Parlamento e al Governo per una efficace azione normativa in questo settore”.
Appello accolto da Maria Carmela Giarratano, direttore generale per la Protezione della Natura e del Mare al ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, e la senatrice Paola Nugnes, membro della Commissione ”Territorio, Ambiente, beni ambientali”, che hanno confermato la disponibilità ad avviare un confronto efficace tra Parlamento e ministero in tal senso.
Nel corso del convegno sono state illustrate le relazioni tecniche di esperti in materia dei processi di dissalazione dell’acqua di mare, in particolare focalizzando l’attenzione sulle fasi pre e post-trattamento e sulle conseguenti implicazioni sull’ecosistema marino.
Per Luca Lucentini, direttore del Reparto Qualità dell’Acqua e Salute all’Istituto Superiore di Sanità, i fattori critici sono ”l’impatto ambientale degli impianti e delle acque di scarico, i costi di processo, la necessità di formazione per le risorse umane specializzate che presiedono alla gestione dei sistemi, i piani di sicurezza dell’acqua con particolare attenzione a eventi pericolosi relativi alla distribuzione di acque a basso regime salino in reti di distribuzione obsolete, la comunicazione con le popolazioni interessate in tutte le fasi della realizzazione e esercizio degli impianti”.
A fare il punto sull’impatto degli impianti di desalinizzazione sugli ecosistemi marini costieri del Mediterraneo è Roberto Danovaro, presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn Napoli e direttore del Dipartimento di Scienza della Vita e dell’Ambiente all’Università Politecnica delle Marche, in particolare mettendo in luce i casi di studio di Linosa, Ventotene e Lipari. ”Gli impianti di desalinizzazione possono determinare importanti impatti sugli ecosistemi marini costieri a seguito del rilascio di scarichi ad alta salinità come risultato del processo di desalinizzazione. Inoltre – aggiunge – alcuni impianti possono fare uso di prodotti chimici per il trattamento e la manutenzione dei sistemi di filtrazione che sono potenzialmente tossici per gli organismi marini”.
Per Roberto Bedini, direttore dell’Istituto di Biologia ed Ecologia Marina (IBEM) di Piombino, ”dopo accurate indagini ambientali per la posa in opera di un dissalatore è altrettanto importante effettuare successivi controlli periodici che, nel tempo, mostrino l’eventuale cambiamento delle biocenosi dell’area a mare e eventuali danni o morte delle specie protette”.
Con riferimento all’indagine svolta su incarico del Comune di Ventotene, ”è possibile pensare a studi volti alla mitigazione del danno anche con il trasferimento di specie protette quando ce ne sia necessità”. Infine, Francesco Aliberti, professore di Igiene e Gestione del rischio presso il Dipartimento di Biologia all’Università Federico II, ha sottolineato l’importanza di ”valutare non solo gli aspetti macroscopici quali la presenza di pesci, di alghe e posidonia, bensì quelli microscopici che ne sono la premessa completando le catene alimentari ecosistemiche. È proprio sul microbiota che taluni contaminanti hanno più effetto, spesso subdolo e difficilmente rilevabile, effetto che incide, nel tempo, sull’intero ecosistema”.(meteoweb.eu)