Il GUP presso il Tribunale per i minorenni di Palermo Dott.ssa Maria Pino ha pronunziato sentenza di non luogo a procedere per buon esito di messa alla prova nei confronti di un minore residente nel palermitano imputato di vari reati contro la persona.
La vicenda processuale ha avuto un’articolata evoluzione che infra si narra.
In data 30.11.2018 il Comando Legione Carabinieri Stazione di Lipari, con il coordinamento del Luogotenente Luciano Le Donne, acquisiva notizia di reato in riferimento al c.d. fenomeno della “Blu Whale” , perpetrato da un ragazzo di 15 anni circa ai danni di una minore (di 13 anni).
A sporgere denuncia furono stati gli stessi genitori della vittima assistiti dall’Avv. Francesco Rizzo.
Gli atti venivano trasmessi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Messina che, a seguito di incidente probatorio, ex art. 392 c.p.p., procedeva all’audizione della minore in sede protetta, presso il Comando Provinciale Carabinieri Messina.
Successivamente, in ragione della residenza del presunto reo, gli atti venivano trasmessi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Palermo, che esperite le valutazioni di rito formulava richiesta di archiviazione ex art. 408 c.p.p.
Avverso la predetta richiesta le persone offese si opponevano, conferendo incarico all’Avv. Rizzo e formulando opposizione all’archiviazione ex art. 410 c.p.p.
A seguito dell’udienza scaturitane, il GIP del Tribunale per i Minorenni di Palermo Dott.ssa Alessandra Puglisi, disponeva affinché il PM formulasse “l’imputazione coatta” per i reati di cui agli artt. 612 bis, 615 ter e 595 c. 1 e 3 c.p.
La vicenda principiò con la conoscenza online dei due minori, incontro, inoltre, favorito da un’amica della persona offesa.
Tra i due ebbe inizio una relazione che, benché dapprima risultasse una storia amorosa innocente fra giovanissimi, si trasformò ben presto in un turbolento e inquietante tormento.
Il ragazzo, colto da gelosia morbosa, cominciava a richiederle gesti d’amore efferati che si sostanziavano dapprima in comportamenti autodistruttivi (fu la madre della minore ad accorgersi degli strumenti adoperati per autolesionismo) nonché nome utente e password degli account social. In stato di soggezione la giovane acconsentiva a tali richieste.
Nelle more, i due si incontravano presso la città natale del minore.
Ad accompagnarla fu l’amica (ed il padre di quest’ultima), la quale, a sua volta, aveva intrapreso una relazione amorosa con un coetaneo e compaesano del minore.
Nei giorni successivi la madre della minore rinveniva, come già sub. introdotto, gli strumenti utilizzati per le pratiche autolesionistiche.
Ebbe inizio così un accurato confronto, dal quale (la madre) evinceva che:
a) la figlia aveva intrapreso tale relazione sentimentale online;
b) la predetta aveva cominciato ad accusare sintomi depressivi, successivamente certificati dal reparto di Neuropsichiatria del Policlinico di Messina;
c) la minore si era procurata lesioni varie (nello specifico, tagli ripetuti) in diverse parti del corpo tramite lamette custodite all’interno dell’astuccio personale;
d) la stessa aveva prodotto contenuti hard, inviati in un successivo momento, al minore;
e) tale stato d’animo, nonché le varie lesioni, erano derivate dalla relazione intrapresa con il minore.
Rebus sic stantibus, la madre decise di attivarsi tramite le vie legali. Di principio richiedeva l’intervento dell’ex marito, padre della minore.
Successivamente alla consegna dello smartphone della figlia i predetti si accorgevano della gravità dei fatti. nonché le succedanee lettere suicide (scritte dalla minore) rinvenute presso la stanza della ragazza, decidevano di rintracciare i genitori del minore.
Benché i due, dunque, fossero stati allontanati la relazione perdurava via etere. Infine, il ragazzo si immetteva negli account della vittima per diffamarla.
Il comportamento diffamatorio di cui al sopracitato art. 595 c.p. si sostanziava nell’invio di un video (registrato dalla giovane ed inviato in privata sede al ragazzo) mentre si trova in bagno. I genitori decidevano di intervenire rivolgendosi all’Autorità giudiziaria.
Sporta la denuncia sub. precisata e successivamente all’opposizione alla richiesta di archiviazione (conclusasi con esito positivo, avendo il pm formulato richiesta di rinviare a giudizio il giovane per i reati su indicati), si instaurava il processo dinanzi al Gup del Tribunale per i minorenni di Palermo.
In tal senso viene richiesta la messa alla prova del minore, richiesta accolta dopo varie evidenze e ammissioni dell’attività criminosa svolta.
Da ultimo, il 28.09.2023 è stata depositata sentenza di non luogo a procedere per buon esito di messa alla prova del giovane con contestuale estinzione del reato riportato nel capo di imputazione.
Nello specifico, si integravano i presupposti di cui all’art. 612 bis c.p. poiché sono state poste in essere condotte reiterate volte a molestare la minore nonché turbarla, provocandole un grave e perdurante stato d’ansia. Inoltre, tali comportamenti hanno condotto la vittima ad isolarsi, a stabilire rapporti virtuali, a distruggere la propria vita relazionale, a compiere atti autolesionistici, nonché alla redazione di varie lettere suicide, rinvenute dalla madre, e, dunque, al fenomeno della “Blu Whale Challenge” (in voga tra i giovanissimi in quel periodo).
Si integravano i presupposti di cui all’art. 615 ter c.p. per aver utilizzato abusivamente gli account della minore, al fine di controllare i messaggi inviati-ricevuti di lei, nonché per aver posto in essere un comportamento attivo, consistente nell’invio di messaggi alle amiche di lei.
Si integrano i presupposti di cui all’art. 595 c. 1 e 3 c.p. per aver offeso la reputazione della minore, pubblicando su un gruppo “Whatsapp” un video che mostrava la ragazza mentre si recava in bagno.
Rassegna Stampa GDS.IT
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