Lipari - Un ragazzino di 11 anni rischia di perdere ben quattro dita di una mano dopo lo scoppio di un petardo.
E’ accaduto Marina Corta nella piazzetta della movida estiva.
Da qualche tempo è diventata una moda. I ragazzini si ritrovano a due passi dal mare e nel luogo ormai deserto con quasi tutti i locali chiusi, sparano i petardi.
Stavolta - probabilmente - qualcuno piu’ potente del solito perché l’esplosione è stata anche avvertita nel porto dirimpettaio di Pignataro.
Soccorso è stato trasferito al pronto soccorso dell’ospedale e il medico si è subito adoperato per tamponare le ferite, ma le condizioni dell’arto hanno consigliato il trasferimento del ragazzino con l’elisoccorso all'ospedale "Cannizzaro" di Catania.
Sulla vicenda i carabinieri hanno avviato le indagini.
RASSEGNA STAMPA.GDS.IT
Lipari, scoppia un petardo in piazza: un ragazzino rischia di perdere la mano
Meteo&Babbio a cura di Daniele Billitteri da Palermo
di Daniele Billitteri
Vite divergenti, anzi, parallele Meteo di mercoledì 18 gennaio
La previsione. Domani dovrebbe piovere. Un po’ di mattina, un po’ di pomeriggio, un po’ di sera. Saranno piogge deboli con un po’ di vento di Libeccio che però col passare delle ore tenderà a diminuire. Le temperature continueranno anche domani ad essere diciamo non fredde, comprese tra 12 e 19 gradi. Il calo è atteso a partire da domani. I mari saranno agitati e la protezione civile avverte circa la possibilità di mareggiate lungo le coste esposte al vento di Sud Ovest. Tante belle cose. Bagnate.
Arditi ragionamenti. Vite parallele di due quasi coevi militanti agli antipodi: uno demonio, l’altro santo. Arriverei buon ultimo a raccontare in che modo queste due vite possono essere divergenti e, allo stesso tempo, parallele. Divergenti perché sono al servizio di due mondi incompatibili. Parallele perché sono i due volti uno terribile e l’altro bellissimo di una stessa terra, la Sicilia.
L’indizio che conduce a questo ragionamento è dato dall’impatto che hanno avuto sull’opinione pubblica la morte di Fratel Biagio Conte e l’arresto del boss Matteo Messina Denaro, 59 anni il primo, 60 il secondo.
Dal punto dei vista mediatico sono storie da grandi numeri. L’arresto di Messina Denaro ha occupato le prime pagine dei giornali nostri e di oltre mezzo mondo, è stata l’apertura dei tg e il tema principale di decine di talk show oltre che campeggiare sui social.
Ma nessuno si è sorpreso per questo. Il boss latitante per trent’anni, il Diabolik galante, l’assassino stragista feroce, il Capo dei Capi, è quasi cronaca di una cattura annunciata. E’ come aspettare il “sei” al superenalotto che ha un jackpot di 350 milioni di euro. Nei giornali è sicuramente già pronto il “piano” per quando qualcuno lo vincerà. Su Messina Denaro è scattata un’operazione che i cacciatori e i media avevano già strutturalmente pronta perché si sa come e cosa si fa in questi casi. La cattura l’hanno chiamata “Operazione Tramonto” da una breve poesia scritta da una bimba di pochi anni tre giorni prima di morire dilaniata a Firenze in una delle stragi che si vuole siano state pensate e decise dal boss. I media hanno fatto scendere in campo le loro firme migliori, i politici si sono mobilitati, la Meloni è volata a Palermo col bellicoso intento di presiedere le celebrazioni. Per fortuna le hanno spiegato che toccava alla Procura e ai Carabinieri.
Tuttavia sarebbe utile conoscere i dati sulla risposta della gente a questo tsunami mediatico. Se si deve giudicare sulla risposta che hanno avuto i commenti pubblicati dai social media direi che il risultato, considerato tutto, non è certo sorprendente. Non che la vicenda non abbia colpito l’opinione pubblica ma probabilmente lo ha fatto nel modo che la gente si aspettava, mitridatizzata ormai da un’informazione spesso solo “politicamente corretta”, bene attenta a puntare sullo spettacolo a scapito dell’informazione scrupolosa e non preconcetta. Quindi, dopo il primo “Ooohhhh…”, sono arrivati subito i commenti pieni di complimenti ma anche di dubbi, di dietrologie e di complottismo. Un copione, insomma. Prevedibile, se vogliamo. Comprese le manifestazioni di vicinanza agli investigatori certamente meritorie ma quasi del tutto dovute all’iniziativa opportuna e tempestiva di qualche dirigente scolastico, di qualche associazione di “scorte civiche” e di associazioni antimafia. Vedere ragazzi in piazza a Castelvetrano e a Campobello di Mazara è statocertamente bellissimo.
Fratel Biagio, invece, è stata tutta un’altra storia. La morte del missionario laico ha raggiunto una moltitudine di gente forse abbastanza lontana, per abitudine, dai media ma molto bene informata sulla vita del cittadino Biagio Conte, candidato ad entrare nella Vita dei Santi a vele spiegate. Non solo per l’idea che ha predicato di solidarietà e di cura degli ultimi ma per una carica di energia spesso anche veemente che metteva al servizio del raggiungimento della sua meta, aiutare quelli con le pezze al culo, quelli che non sono niente, quelli che non hanno niente, spesso neanche un nome, quelli che non hanno identità, passioni, futuro, quelli che la società butta via senza fare neanche la differenziata.
Un tam tam di voci, di “ma lo sai che Biagio ha fatto…” o “Miii Biagio è andato a fare lo sciopero della fame nella grotta della Santuzza….ci andiamo?”. La domenica alla Missione durante la messa che lui, da laico, non poteva di certo officiare c’era un momento in cui chi voleva si alzava e diceva: “Io prego….” E oltre i puntini c’era una storia una vita, un dolore, una sofferenza, una gioia. “Prego perché mio figlio si sciarriò con la zita. Speriamo che fanno pace”; “Prego perché mio marito domani si va a fare i raggi. Speriamo che non ha niente”. Questo succedeva alla Missione. E a fronte di tanti disperati c’era la città buona o anche solo quella coi sensi di colpa e questo magma confluiva nella partecipazione alle vicende di Fratel Biagio. Una città anche disorganica. Vale a dire: non solo organizzazioni, Azione Cattolica, Charitas, Boy scout. No: gente qualsiasi, a-ideologica, non necessariamente credente e praticante, gente buona, compassionevole e basta.
Quattro giorni di file chilometriche per la camera ardente, diecimila persone in Cattedrale per i funerali la mattina di un giorno feriale. E nella chiesa c’erano gli straccioni, gli ammalati, i palermitani solidali, singoli e associati. Vederli tutti lì è stato certamente bellissimo.
Non c’è nulla di male nel mettere accanto la natura di due vite divergenti e renderle, così, anche parallele. Ma se lezione ci viene da questo ardito accostamento è che la sorprendente onda emotiva per la morte di Fratel Biagio è apparsa più spontanea e dirompente rispetto al clamore per l’arresto del boss. Ed è strano se pensiamo che sulla mafia ha funzionato un altoparlante mediatico ben più roboante rispetto a quello che ha raccontato come quel piccolo uomo sapeva ascoltare il lamento degli ultimi. Forse il mondo dell’informazione dovrebbe fare un tagliando e prendere coscienza di quante città possono entrare in una città.