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di Michele Giacomantonio

Venerdì sera alle 18,30 nella chiesetta del Pozzo parleremo del "Regno di Dio" a chiusura del ciclo di incontri della Catechesi degli adulti.

Che cosa percepivano gli Ebrei quando sentivano Gesù predicare "Convertitevi perché il Regno di Dio è vicino" ? Certo il Regno di Dio non era una peculiarità del linguaggio di Gesù. Ogni Israelita che avesse un minimo di familiarità con la sua religione sapeva di cosa si trattava: sapeva che "Dio è il re di tutta la terra e di tutto l'universo" (Dn 10, 14); sapeva che Dio è re del suo popolo, del popolo Israele; che il suo popolo aveva abbandonato Dio e per questo le deportazioni e le occupazioni di Paesi stranieri quali i romani ma Dio sarebbe venuto come Re a ricostruire il suo Regno, regno di Pace e di serenità come annunziavano i profeti (Zaccaria 9,9-10; Isaia 11, 3-4; Salmo 96, 10-13; Salmo 145, 13-20).

E se oggi Gesù tornasse e riprendesse a predicare che il Regno di Dio è vicino che cosa penserebbe la gente che lo ascolta?

In un mondo fortemente secolarizzato quale il nostro, la vita terrena non sembra avere relazione alcuna con l'al di là e quindi col Regno di Dio. Molti, totalmente immersi nella concretezza materiale della esperienza della vita, non pensano nemmeno alla possibilità di una realtà trascendente, non ci credono o ne sono del tutti indifferenti.

Anche molti credenti condizionati da questo ambiente e da questa cultura faticano a credere in un "mondo altro" presente o futuro che sia anche se tutti i giorni, più volte al giorno pregano, recitando il Padre nostro, "venga il Tuo Regno".

Basta, infatti, guardare i volti di molti partecipanti alle esequie dei loro congiunti quando il Sacerdote ripete parole di speranza ("Il vostro congiunto è ora nella Pace del Signore", ecc.), e si comprende che per la gran parte di loro si tratta di un rito che si celebra in chiesa per convenienza sociale e tradizione locale, una cerimonia di addio ad una persona a cui si era particolarmente legati. E questo è quello che si può dire di molti che frequentano la Chiesa, partecipano alla Messa domenicale, anche se battezzano i figli, si sposano in Chiesa, e spesso si cresimano, si confessano e fanno la comunione.

Che ci sia un" mondo altro" i più non lo contestano ma non lo pensano. Né per se né in relazione ai loro cari anche quando li vanno a trovare al cimitero, riempiono di fiori le loro tombe e mormorano una qualche preghiera.

Eppure su sei milioni di abitanti del pianeta circa un terzo, quasi 2 miliardi, affermano di praticare religioni cristiane tra le quali prevale quantitativamente il Cattolicesimo con circa un milione di fedeli. Oltre un miliardo sono i mussulmani e in un numero simile sono induisti e buddisti. Aggiungendo a queste stime le religioni minori si arriverebbe alla conclusione che più di 8 individui su 10 sono in qualche modo credenti o praticanti una qualche religione .

Malgrado questi dati si potrebbe azzardare che se Gesù tornasse oggi troverebbe molto meno ascolto di quanto ne ebbe ai suoi tempi e che l'annunzio del Regno di Dio lascerebbe la grande massa indifferente.

Eppure ci sono tanti fenomeni accaduti negli ultimi anni che vanno in senso contrario alla tesi che la secolarizzazione sia un processo irreversibile che vada ampliandosi, estendendosi ed approfondendosi. Inoltre nella vita di tutti i giorni accadono fatti che chiedono di essere spiegati, di trovare un senso che, di per sé, non sembrano avere. Il dolore e la morte rimangono due eventi che per quanto ci tentino, le scienze, non riescono a rispondere alle domande che suscitano.

Di fronte a questa realtà c'è il rischio che nella vita delle persone si produca una sorta di frattura fra la cultura ufficiale, accettata nella società, insegnata nelle scuole, applicata nei tribunali, fondamento della stessa politica, una cultura tutta positivista, plasmata prevalentemente dalle scienze naturali e da un modello evoluzionistico; ed – al di là della religione o a fianco alla religione - una cultura vissuta nel privato o comunque solitamente in ambiti abbastanza ristretti (anche se non bisogna dimenticare il fenomeno delle sette e la loro diffusione tramite i social network) , dove se non si fa spazio alla religione lo si fa alla magia, all'occultismo, a riti esoterici per spiegare ciò che la ragione e la scienza non spiegano.

Ecco è questo il punto di partenza dell'incontro di venerdì. Di fronte a questi probemi che cosa ha da dire la teologia moderna?

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Un'esperienza come nessun'altra

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L’avvicinarsi della Pasqua è sempre stata per me l’occasione per riflettere su alcuni fondamenti della fede cristiana ed in particolare quelli più controversi ma dotati di un loro fascino come ad esempio l’autocoscienza che il Gesù uomo aveva della sua natura divina- se l’avesse fin da bambino oppure sia venuta scoprendola lungo la strada con l’aiuto dello Spirito Santo -; oppure, per fare un altro esempio, di che tipo di abbandono parla Gesù quando sulla croce ripete i primi versi del Salmo 22 “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”.

La sorpresa più grande è scoprire come in molti, forse soprattutto teologi e sacerdoti, reagiscono a questi interrogativi rifiutandoli: “Gesù aveva coscienza della sua divinità dall’infanzia, non leggi i vangeli di Luca e di Matteo?”: “Gesù sulla croce prega alcuni salmi è pretestuoso voler dare un significato contingente a quelle parole”. Si ha paura di accettare un piano di riflessione e di discussione che potrebbe giungere a scalfire le proprie ed altrui sicurezze anche perché l’immagine che abbiamo della divinità è tutta filosofica e caratterizzata su una teologia che è dipendente dalla filosofia e non dalla Sacra Scrittura. Dio è onnipotente ed omnisciente perché altrimenti non sarebbe Dio, come si può pensare che ci sia qualcosa che sfugge alla sua conoscenza? Come si può pensare ad un conflitto nella Trinità?

E’ quando fai osservare che il Dio della Sacra Scrittura è un Dio che si pente ( per esempio di aver mandato il diluvio), che si commuove e cambia opinione, che accetta di discutere e di trattare con Mosé e Abramo, ecc.; che la gran parte degli esegeti oggi non dà più un valore storico ai Vangeli dell’infanzia bensì un importante valore teologico; che è impossibile ricostruire dai Vangeli una vita di Gesù perché esprimono piuttosto la coscienza che evangelisti e comunità cristiane primitive avevano della missione di Gesù; quando fai osservare questo l’ascolto si interrompe e ti si guarda come un eretico. Chi vuole riflettere sulla fede non è ben visto perché la Fede viene intesa piuttosto come una camomilla che distende i pensieri e non piuttosto come una bevanda che li stimola.

In modo particolare questo mi sembra vero riguardo al cosiddetto dramma della croce su cui il grande teologo luterano J. Moltmann ha scritto un libro “Il Dio crocifisso” ed un altro grande teologo cattolico H. Urs Von Balthasar ne ha ripreso alcuni temi nella “Teologia dei tre giorni”.

Che cosa dice Moltmann? Che sulla croce si compie un dramma: la Prima Persona della Trinità abbandona la Seconda, il Figlio, proprio come dice il salmo che Gesù recita.

Certo parlare di una crisi interna alla Trinità quale si rivelerebbe un abbandono del Figlio da parte del Padre suona troppo enfatico eppure dobbiamo essere grati a questo teologo che ha richiamato con forza che sulla croce si sviluppa un dramma perché, solitamente, si tende a sorvolare sul Salmo 22. Giustamente è stato osservato che il grido di morte che Gesù lancia dalla croce è ‘la ferita aperta’ di ogni teologia cristiana.

Certo “abbandono” non vuol dire separazione, annullamento perché Dio non può limitare e vulnerare se stesso. Ma anche il volere restringere il conflitto non fra Dio e Dio ma fra Gesù e suo Padre, perché Gesù non rivolge il suo grido al Dio dell’Alleanza

ma specificatamente a suo Padre, non cambia di molto la drammaticità della situazione. Dopo l’incarnazione può esistere un Gesù separato dal Figlio? Quindi anche un conflitto fra Gesù e il Padre non è meno grave perché questo abbandono da parte di Dio mette in gioco non solo l’esistenza personale di Gesù ma la validità della sua predicazione su Dio. Mette in gioco anche la divinità del suo Dio e la paternità del Padre suo, che Gesù aveva reso accessibili agli uomini.

Come uscire da questo cortocircuito? Analizzando il contenuto del Salmo se non si riduce la gravità dello scontro si getta però luce sulla sua natura cioè sulle motivazioni. Scopriamo così che il salmista non si lamenta compiangendo il proprio destino ma piuttosto si appella alla fedeltà di Dio. Gesù chiede al Padre di mostrare la sua giustizia: “Si parlerà del Signore alla generazione che viene;/ annunceranno la sua giustizia;/ al popolo che nascerà diranno:/ ‘Ecco l’opera del Signore?” 31-32 “.

Ma se Gesù pone una questione di giustizia il nodo deve riguardare il progetto che lui sta portando a compimento e rispetto al quale il Padre rivela qualche resistenza. Se è così, allora forse è possibile fare un po’ di luce su questo dialogo drammatico e per gran parte muto del quale ci giungono solo alcune frasi. Possiamo immaginare che il cuore del dialogo, quello dal quale scaturisce la decisione che delinea il nuovo universo, cominci con il “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” di cui parlano Matteo (27,46) e Marco (11,34), appunto l’inizio del Salmo 22. E si conclude con “Nelle tue mani Padre consegno il mio spirito” cioè l’inizio del Salmo 31 di cui parla Luca 23,46.

Una ipotesi di ricostruzione di questo dialogo è quella proposta venerdì a Porto Salvo e che ho pubblicato ieri su facebook e sui network locali.

L'INTERVENTO

di Lino Natoli

Su queste stesse pagine, Michele Giacomantonio propone i suoi - e non solo suoi - sofferti interrogativi riguardo la natura divina di Gesù. Questioni, egli scrive, che spesso si infrangono sull’imbarazzato silenzio di sacerdoti e teologi che rifiutano di affrontare l’argomento rifugiandosi dentro le proprie certezze dottrinali. Giacomantonio lamenta che tale atteggiamento avrebbe origine da una teologia troppo dipendente dalla filosofia e troppo distante dalle Scritture.

La storia del pensiero occidentale offre un panorama evidente dell’uso strumentale che la teologia ha fatto della filosofia, sin dai primi secoli in cui il cristianesimo si è sviluppato e ha dovuto mettere ordine alla dottrina. La filosofia ha costituito lo strumento privilegiato affinché la religione fosse disciplinata in termini razionali o ragionevolmente ammissibili. Dando origine, tra l’altro, a capolavori dell’ingegno umano, oltre che della sensibilità religiosa.

La filosofia però, sottratta alle necessità della teologia, rimane uno strumento formidabile di comprensione che può persino costringere i teologi più refrattari ad aprirsi al dialogo ed all’analisi delle questioni che più affondano nell’animo umano, sia di credenti che di non credenti.

Una delle lezioni fondamentali che la filosofia ci propone è la chiara distinzione di ciò che è creduto da ciò che è saputo. Ciò che è creduto rimane di pertinenza delle questioni di fede, mentre ciò che è saputo riguarda la scienza, costantemente soggetta a rigorose verifiche di ordine epistemologico. Non si può fare confusione tra creduto e saputo, ed ormai disponiamo della maturità culturale e religiosa sufficiente per evitare commistioni così ingenue. Ovviamente, la tentazione di confondere il creduto con il saputo può contaminare certa teologia, con la conseguenza di trascinare la religione verso forme di superstizione ormai inaccettabili, così come certe inclinazioni scientiste pretendono di separare i due campi affidando alla incontrovertibilità dell’osservazione razionale il compito ultimo di distinguere il vero dal falso, il creduto dal saputo.

Proprio in questo ambito, nell’angusto spazio tra creduto e saputo viene in soccorso la filosofia, laddove chiede alla fede di fare i conti con la ragione e alla ragione di non arrestarsi alla esclusività della esperienza del dato di fatto, pena la fine stessa del progresso scientifico.

Tornando quindi agli interrogativi che si pone Giacomantonio, penso che si debba preliminarmente fare una distinzione tra fede e religione. Se per fede si può dire: “Dio esiste”, ciò non implica che per fede si debba accettare tutto l’apparato dottrinale, rituale e di tradizione che le varie religioni propongono. Dunque, ragionare sulla natura divina di Gesù non implica un venir meno della fede, ma un desiderio di credere senza negare tutti quei dubbi di cui la fede consapevole si alimenta alla luce della ragione ragionante.

Ciò significa anche, e questo vale per me, che le religioni non sono altro che strumenti che possono, ma non necessariamente, accompagnare e sostenere la fede del credente, pur non svolgendo una funzione determinante. La conseguenza è che non esiste una sola religione attraverso la quale, e solo per la quale, è possibile l’incontro con Dio, ma tutte devono essere considerate strade legittime da percorrere secondo le proprie inclinazioni, culture e tradizioni. Ed ho la pretesa di ritenere che se nessuna considerasse se stessa unica depositaria della verità vivremmo in un mondo più tollerante e rispettoso delle libertà reciproche.

Il Cristo dubitante che dalla croce chiede conto al Padre del suo abbandono, al di là della questione trinitaria, pone ciascuno di fronte le proprie responsabilità nei riguardi della verità, credere e basta non basta. Così come non credere non esime dall’angoscia della ricerca di senso. Consegnare lo spirito nelle mani del Padre non è l’ultimo rassegnato gesto di fronte l’ineluttabilità della morte, ma la fiducia che anima il credente, ogni credente, comunque credente che la morte non costituisce l’ultimo, inesorabile limite alla ricerca della verità.

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---A Porto salvo venerdì sera si è tenuta la seconda Via Crucis quaresimali delle parrocchie di Mons. Gaetano Sardella. Uno di punti più stimolanti è stato un dialogo immaginario fra Gesù e il Padre ma teologicamente possibile se non probabile e rappresentato da Guglielmo Sardella (il Padre), don Gaetano (Gesù) e la voce fuori campo di Michele Giacomantonio.

Le sofferenze del crocifisso inchiodato sulla croce sono inserite fra due salmi che Gesù accenna solamente e che la gran parte dei presenti non comprende. Il salmo 22 “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” ed il salmo 31“Padre nelle tue mani raccomando il mio spirito” avendo constato che ormai tutto era compiuto.

Che cosa è accaduto fra questi due salmi? Non è difficile immaginare che Gesù e il Padre si siano parlati ed abbiano chiarito questo “abbandono”

Gesù - “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”.

Il Padre - “No, Figlio, non ti ho abbandonato . Ti ho seguito passo passo per tutto il dramma da quando eri nel Getsemani, a quando sono giunti Giuda e le guardie e ti hanno fatto prigioniero. Quindi davanti al Sinedrio, a Pilato, a Erode, di nuovo a Pilato. Quando ti hanno flagellato, ti hanno messo la corona di spine, ti hanno caricato della croce e infine lungo i duecento metri che vanno dal Sinedrio fino al Golgota. Sono rimasto impressionato dalla tua resistenza, dalla tua sopportazione, dalla tura determinazione. Non avrei mai creduto che un uomo potesse resistere tanto”.

Gesù -“Era in gioco il nostro progetto, non potevo fallire. Che cosa sarebbe successo se avessi fallito? Se ad un certo punto avessi gettato la croce e ti avessi detto “Padre non ce la faccio più a sopportare questo scempio”? Il mondo sarebbe andato avanti come prima con l’Avversario tornato ad essere il Signore del mondo e la buona gente sempre più costretta a subìre le angherie dei malvagi anzi col rischio che malvagità ed egoismi si moltiplichino e producano altre più gravi e grandi situazioni di crisi con sofferenze inaudite. Per tutta la giornata, Padre, ho avuto davanti agli occhi il dramma degli umili e degli indifesi, il dolore dei bambini, il terrore e l’avvilimento dei vecchi. Questo mi ha sostenuto, Padre, dandomi una forza che nemmeno io credevo possibile”.

Il Padre - “Lo so, sono stato a fianco a te tutto il tempo, tu non mi vedevi ma io ero lì. Ero lì quando il flagello ti toglieva lembi di pelle e carne viva, quando il sangue ti annebbiava gli occhi, quando la croce si faceva troppo pesante, quando la lancia di un soldato ti scalfiva la schiena e le gambe. E sono rimasto stupito per quanto un Dio può stupirsi. Sono rimasto stupito dalla tua determinazione e so anche che a sostenerla c’erano migliaia e milioni di persone presenti li fisicamente o solo col cuore, di chi era nato ed era morto ma aveva sperato in questo evento, di chi non era ancora nato e avrebbe sentito parlare di questo scontro unico e irripetibile solo come un fatto del passato fra dieci, cento mille anni. Milioni di persone di cui posso richiamarne solo alcuni. C’erano Abele, Noè, Abramo con Sara e Agar,  Lot, Melchisedech, Isacco ed Ismaele, Giacobbe, Giuseppe, Mosè ed Aronne, Giosuè, Rut, Samuele ed Anna, il re David, Salomone, i sette fratelli Maccabei con la loro madre, Isaia e tutti i profeti, ma anche Giovanni Battista con Zaccaria ed Elisabetta, e poi le vergini e martiri Agnese, Lucia, Cecilia, Agata, Anastasia, Perpetua e Felicita, e la lunga schiera dei santi da Francesco a Chiara, a Rita, Domenico a quanti sono morti per mano dei terroristi invocando il tuo nome. Figlio, hai mobilitato intorno a te una assemblea che non possiamo deludere. Tanta tensione emotiva, tanta sofferenza partecipata, tanta speranza quanto non se ne erano mai viste e mai se ne vedranno in tutti i momenti della storia dell’umanità messi insieme”.

Gesù - “E’ allora Padre  perché tardi? Che aspetti? Sugella la nuova alleanza che ho annunziato in questi anni: e riscatta l’umanità dal peccato donandole la vita eterna vissuta in un Regno che non è più solo il Paradiso ma una realtà in cui sono assunti  anche i valori e le grandi opere di solidarietà vissute e realizzate dall’uomo nella storia, purificati e trasfigurati. E’ quanto avevamo deciso insieme e solo questo ti chiedo per giustizia Padre, perché io ho fatto quanto dovevo”.

Il Padre - “Tu lo sai qual è il problema. Tu sai che cosa abbiamo sempre cercato nell’uomo: la libera adesione alla nostra scelta di averlo voluto simile a noi. Una libera adesione compiuta in piena autonomia. Come avevamo chiesto ad Adamo ed Eva ma essi si lasciarono raggirare dal serpente. Questo abbiamo chiesto a Maria che ti ha messo al mondo e glielo abbiamo chiesto nel segreto della sua casa e lei ha risposto con un “si” pieno, convinto: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto(Lc 1,38). Ma come possiamo chiedere agli uomini di accettare liberamente il nuovo patto di alleanza se io apro i cieli e – secondo l’immagine che tu hai evocato dinnanzi a Natanaele - lascio scendere schiere di angeli che ti liberano dalla croce e ti portano in alto mentre si propaga il mio annunzio che tu sei il Figlio, parte di me, e che hai riscattato il mondo dal peccato riaprendo all’uomo la prospettiva dell’eternità ma in modo più piena di come l’avevamo pensata all’inizio? Che libertà lasceremmo all’uomo di decidere? Dinnanzi a questa prova di onnipotenza non potrebbe che chinare il capo. Ma noi non avremmo l ’amico che desideriamo ma un servitore ricondotto con forza all’obbedienza. E’ veramente questo che vuoi?”.

Gesù - “E allora Padre?”.

Il Padre - “Allora ho molto riflettuto e sono arrivato ad una soluzione che ti sottopongo. Diamo a questa giornata un esito diverso rispetto a quella che tu avevi messo in conto ma conserviamo intatto il nostro progetto. Tu morirai sulla croce e sarai sepolto andrai a conoscere gli inferi ed a liberare le anime che vi sono esiliate, poi al terzo giorno risorgerai, come pure è stato detto. Ma risorgerai in maniera discreta. Non con i cieli aperti ma nel silenzio della notte quando le guardie poste dinnanzi alla tomba dormiranno. Incontrerai i tuoi discepoli e ti farai riconoscere. Loro sapranno e si impegneranno fino al martirio per far conoscere a tutti la nuova alleanza. Chi vorrà credere avrà gli elementi per convincersi e convincere, ma chi non vorrà avrà la possibilità umana di non credervi”.

Gesù - “Tutto è compiuto”  “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito”

E detto questo Gesù emise un forte grido e spirò.

File allegati: 

Lo schema della Via Crucis 2017.pdf

----Venerdì 10 marzo alle 17.30 nella chiesa parrocchiale di Porto Salvo si terrà il secondo  incontro di questa quaresima della Via Crucis. Il primo incontro è stato venerdì scorso in Cattedrale ed è stato dedicato alle famiglie ed ai loro problemi. Questa volta invece riguarderà il cuore centrale della grande sfida fra Gesù che si carica dei peccati degli uomini per riscattarci dal peccato di Adamo ed Eva e donarci l’eternità ed il Regno di Dio e che cerca di contrastarlo.

Affronteremo quattro stazioni quelle cruciali che ci hanno tramandato i Vangeli:

1.la veglia del Getsemani dove Gesù avverte tutto il peso di quanto sta per accadere, suda sangue e chiede al Padre di evitarlo ma comunque non la sua, ma la volontà del Padre deve essere fatta;

2.il tradimento di Giuda che è la prima mossa dell’Avversario che vuole colpire al cuore la missione di Gesù servendosi di un apostolo e poi andrà avanti con il Sinedrio,Caifa, Pilato, Erode;

3.il rinnegamento di Pietro che è un'altra mossa dell’Avversario ma anche la prova che gli si può resistere, come appunto fa Pietro che si pente subito del gesto;

4. il dramma della croce dove Gesù si sente abbandonato dal Padre e grida col salmista “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”(Salmo 22).

La celebrazione si concluderà con l’Eucarestia, che è annunzio di Resurrezione presieduta dal Parroco Mons. Gaetano Sardella.

----Un cammino penitenziale di 40 giorni nel segno della preghiera, del digiuno, dell'elemosina, quello che ha indicato mons. Gaetano Sardella ad una chiesa delle grandi occasioni religiose mercoledì 1 marzo, ricorrenza delle ceneri. In questo cammino penitenziale la Chiesa ci ricorda che siamo polvere ma una polvere speciale perchè su di essa è caduto il Soffio di Dio.

Infatti Dio ha fatto l'uomo con la terra e quindi vi ha immesso il suo Spirito ed ha voluto che fosse a sua immagine e somiglianza cioè libero, capace di affontare i problemi e le difficoltà, capace di sviluppare l'opera della creazione.

Questo ci ricorda la Quaresima non solo che siamo polvere e polvere ritorneremo ma anche che siamo immagine di Dio e chiamati a trasformare il mondo con la pace, la solidarietà, la misericordia. Un impegno arduo ma che possiamo concretizzarlo appunto se sapremo aiutarci  pregando , digiunando, facendo l'elemosina.

Pregare vuol dire parlare con Dio, prospettargli i nostri problemi e cercare insieme con lui una risposta. Vuol dire sapere vivere il nostro tempo sapendolo leggere col discernimento spirituale e cioè cercando di scoprire nella storia il cammino di Dio e del suo spirito.

Digiunare non vuol dire praticare una dieta per perdere qualche chilo ma sapere usare delle cose buone del mondo con sobrietà. Così nel mangiare come anche nel divertimento, negli spettacoli, nelle relazioni con gli altri.

Fare l'elemosina non vuol dire dare agli altri quello che non ci serve più e dovremmo buttare via ma condividere con chi ha di meno quello che abbiamo, quello che è sopra la nostra tavola.

In allegato il messaggio di papa Francesco per la Quaresima 2017

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