Lo studio condotto dall’Università di Catania, dal Center for Ocean and Society - Institute of Geosciences dell’Università di Kiel in Germania e dall’INGV-Osservatorio Etneo di Catania è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Earth-Science Reviews
Scoperta nei fondali marini tra la Sicilia e la Calabria la faglia che più di 100 anni fa provocò la più grave catastrofe sismica d’Europa, il terremoto di Messina-Reggio di Calabria del 28 dicembre 1908.
Un nuovo studio condotto sui fondali marini dello Stretto di Messina e sulla sismo-tettonica dell’area - frutto di una collaborazione internazionale tra il Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche ed Ambientali dell’Università di Catania (Giovanni Barreca e Carmelo Monaco), il Center for Ocean and Society- Institute of Geosciences dell’Università di Kiel in Germania (Felix Gross e Sebastian Krastel) e l’Osservatorio Etneo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Luciano Scarfì e Marco Aloisi) - svela, per la prima volta, l’ubicazione e le caratteristiche geometriche della possibile faglia da cui si originò il devastante sisma.
La ricerca dal titolo “The Messina Strait: Seismotectonic and the Source of the 1908 Earthquake” è stata appena pubblicata sulla prestigiosa rivista internazionale ‘Earth-Science Reviews’.
Una risposta scientifica che arriva dopo quasi 113 anni da quella mattina del 28 dicembre 1908 quando, alle 5:20 locali, un devastante terremoto di intensità XI della scala Mercalli (magnitudo stimata 7.1) provocò distruzione e morte tra la Sicilia e la Calabria (Fig. 1).
Il movimento tellurico, che oggi è ricordato nei cataloghi sismici come il più potente mai registrato in Europa in epoca strumentale, fece vibrare la terra per più di 30 secondi e portò alla distruzione completa delle città di Messina e Reggio Calabria e di altri numerosi centri minori causando la morte di 100mila persone (Fig. 2). Lo scuotimento fu avvertito distintamente in tutta l’Italia meridionale, in Montenegro, in Albania, ma anche in Grecia e a Malta e fu seguito, in meno di 10 minuti, da un’onda di maremoto (tsunami) che superò localmente i 10 metri di altezza.
L’onda si abbatté impetuosa sulle coste dello Stretto aggiungendo devastazione e morte lungo le aree costiere già gravemente danneggiate e dove molti abitanti, impauriti, si erano rifugiati (Fig. 3). Sebbene agli albori della sismologia strumentale, il terremoto fu registrato da numerose stazioni sismiche sparse in tutto il mondo che ne collocarono l’epicentro in mare lungo l’asse dello Stretto di Messina.
Da quel disastroso evento, numerosi studi scientifici effettuati da ricercatori di tutto il mondo hanno cercato di individuare e caratterizzare la struttura tettonica responsabile del terremoto (c.d. faglia o sorgente sismogenetica). Tuttavia, i numerosi modelli geologici proposti, spesso contrastanti, hanno alimentato negli anni un acceso dibattito nella comunità scientifica senza tuttavia pervenire ad una soluzione scientificamente condivisibile.
Lo studio si è basato principalmente sulla interpretazione di 35 profili sismici a riflessione di alta risoluzione (una sorta di ecografia del fondale marino) oltre che sull’analisi di dati sismologici e geomorfologici esaminati in maniera multidisciplinare.
«L’“ecografia” del fondale ha consentito di individuare in modo inequivocabile una profonda spaccatura nel fondale dello Stretto di Messina – spiegano i ricercatori -. La faglia mostra evidenze di attività recente poiché disloca il fondale marino con scarpate fino a 80 metri di altezza (Fig. 4). L’analisi sismica in ambiente 3D e studi geomorfologici sul terreno hanno poi permesso di seguire la faglia per tutto il suo sviluppo ottenendo, dunque, preziose informazioni sulla sua lunghezza, un parametro fondamentale per la stima della magnitudo massima attesa in caso di riattivazione della stessa ma anche un raffronto con l’evento del 1908».
«La struttura corre lungo l’asse dello Stretto ed è individuabile a circa 3 km dalle coste della Sicilia (Fig. 5) – aggiunge Barreca, coordinatore della ricerca. Alla latitudine di Messina, la spaccatura curva verso Est penetrando nell’entroterra calabro per proseguire poi lungo l’asta fluviale del torrente Catona, una incisione fluviale tra Villa S. Giovanni a Nord e Reggio Calabria a Sud. La faglia è inclinata verso Est e raggiunge la lunghezza massima di 34,5 km.
Secondo le relazioni lunghezza-magnitudo, la faglia è in grado di scatenare terremoti di magnitudo 6.9, una energia molto simile a quella liberata durante il terremoto del 1908. Questo dato, insieme all’analisi critica delle fonti storiche (ad esempio la distribuzione del danno e della fratturazione al suolo, la rottura di un cavo telefonico tra Gallico e Gazzi) e allo sviluppo di modelli matematici di dislocazione, suggerisce di fatto che la struttura tettonica individuata sia verosimilmente proprio quella che più di 100 anni fa causò la più grave sciagura sismica del ‘900».
La ricerca affronta inoltre il tema controverso del meccanismo all’origine dell’allontanamento in atto tra la Sicilia e la Calabria (circa 3,5 mm all’anno), individuandone il motore nelle profondità crostali dove una ulteriore discontinuità è indiziata di favorire lo movimento verso est di un esteso blocco di crosta comprendente l’area dello Stretto e parte della Calabria meridionale. Questo movimento avverrebbe sotto l’effetto della gravità ed in maniera quasi asismica (cioè non generando terremoti di elevata energia) ma incoraggerebbe la rottura fragile di alcune faglie più superficiali, tra cui la rottura cosismica individuata nello studio, con liberazione di energia elastica.
Lo studio ha portato dunque ad una revisione critica della letteratura esistente fornendo nuovi vincoli sulla sismo-tettonica dello Stretto di Messina, una delle zone a più alto rischio sismico d’Italia, e soprattutto aggiunge un tassello significativo nella identificazione della faglia responsabile del terremoto del 28 dicembre 1908. Il modello sismo-tettonico aggiornato e l’ubicazione della possibile faglia responsabile del grande terremoto potrebbero, infine, rappresentare un utile strumento di base per la progettazione in sicurezza di future infrastrutture nell’area.