di Pippo Pracanica*
Dopo aver dato merito all'Arcivescovo di Messina “di aver fatto sorgere tanto fervore di opere nella sua bella e sfortunata diocesi” si affermava “che il complesso dei concorsi aveva avuto un esito di gran lunga superiore ad ogni aspettativa” essendo riuscito a coinvolgere i più grandi nomi dell’architettura e dell'arte contemporanea: Bargellini, Piacentini, Milani, Valenti, Samonà, La Padula, Paniconi, Montuori, Sat-Sas, Ridolfì, Sartorio, Villani, Gaudenzi.
I concorsi non riguardavano soltanto la progettazione delle chiese ma anche i grandi mosaici che dovevano decorare tutte le pareti del Duomo, laddove erano libere da opere marmoree. Vi parteciparono i migliori mosaicisti del momento, tra i quali si impose, soprattutto, Giulio Bargellini.
Inspiegabilmente nessuno dei progetti premiati, nonostante le ingenti somme impegnate, venne utilizzato per la realizzazione delle chiese e questo nonostante che le Commissioni avessero lavorato, con molto impegno, per evitare derive di vario segno, come si legge puntualmente nelle loro relazioni. Perché? Cosa era accaduto? All’epoca e fino a pochi anni fa, i messinesi non ne hanno saputo niente.
Guido Ghersi, nel romanzo La città e la selva, che fece pubblicare solo dopo la sua morte al prof. Francesco Mercadante, dopo aver fatto pronunciare ad alcuni suoi personaggi giudizi pesanti sulla validità artistica delle nuove chiese che l’arcivescovo andava realizzando, attribuisce al presule, a giustificazione di tali scelte, queste motivazioni, molto probabilmente per avergliele sentire dire direttamente: “Le chiese, poi, devono essere, né più né meno, quelle che tutti hanno sempre chiamato così fin da quando il cattolicesimo ha operato alla luce del sole. Bisogna bene che il popolo le riconosca per tali e abbia una piena sensazione della loro importanza, se vogliamo che il detto insegnamento raggiunga l'estensione e l'efficacia che domandiamo ad esso”. Ed inoltre “non ho che un programma rispose il vescovo, alzando un dito, che nella mezza luce sembrò la canna di una pistola. Cercare il dignitoso e, se possibile, il grandioso; ma evitare qualunque novità come la peggiore delle malattie”.
La realtà era invece molto diversa ed il buon Arcivescovo Paino aveva dovuto far buon viso a cattiva sorte, assumendo come proprie scelte non sue e mettendo definitivamente in cantina il suo sogno di rinnovamento dell’architettura delle nuove chiese di Messina.
Era invece accaduto che il papa, Pio XI, aveva avuto modo di vedere sul quotidiano di Roma, Il Messaggero, le foto dei progetti premiati delle chiese della Diocesi di Messina, rimanendone negativamente colpito, per cui diede incarico alla Sacra Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari, il cui responsabile era l’allora Arcivescovo Giuseppe Pizzardo, che diverrà uno dei più autorevoli cardinali della Curia romana, di scrivere all’Arcivescovo Paino, per invitarlo, anche se in forma benevola, curiale diremmo, a desistere dalla realizzazione di tali progetti.
A prescindere dai concorsi, Mons. Paino fece costruire, nella diocesi, 132 chiese, ne fece restaurare ed ampliare 72, realizzò 7 istituti di istruzione media e superiore; 12 grandi istituti ed ospizi di beneficenza e assistenza; 9 asili infantili.
La ricostruzione delle vecchie chiese del centro urbano di Messina fu reso particolarmente difficile anche dal piano regolatore Borzì, che prevedeva una sola chiesa, il Duomo, mentre non teneva in alcun conto le aree dove insistevano le altre chiese, talvolta, divise in quattro isolati diversi. Ed è per questo che nessuna delle chiese del centro urbano hanno il sagrato.
Ma si rivelò anche organizzatore sistematico della vasta Archidiocesi, assecondato da intelligenti Vicari Generali, tra i quali primeggiò mons. Pio Giardina, che fu poi Vescovo di Nicosia. Sua cura fu, fin dai primi tempi dell’Episcopato Messinese, istituire i Vicariati foranei nei punti nevralgici della Diocesi. Anche le circoscrizioni parrocchiali furono rivedute e il loro numero, nel corso del lungo episcopato fu raddoppiato.
*Medico