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Locazioni commerciali, sì alla richiesta di pagamento in un’unica soluzione dopo anni di inerzia
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 11219 depositata oggi, respingendo il ricorso del titolare di una Srl che sosteneva l’abuso del diritto per violazione del principio di buona fede

Nelle locazioni commerciali, l’aver richiesto tutto in una volta, dopo oltre 4 anni di inerzia, il pagamento dei canoni di locazione arretrati (52 mesi) non fa scattare l’abuso di diritto previsto per le ipotesi di violazione della buona fede. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 11219 depositata oggi, respingendo il ricorso del titolare di una srl.

Nel 2021, il Tribunale di Trento, accertato il mancato pagamento da febbraio 2015 al marzo 2020 (rigettata l’eccezione di compensazione proposta dal conduttore per il controcredito per forniture di materiale lapideo) lo condannò a pagare alla locatrice la somma di oltre 125.000 euro, pari al complessivo debito maturato. Proposto ricorso la Corte di appello ha confermato la decisione affermando che l’inerzia della proprietaria-locatrice, quantunque non comune, trovava tuttavia giustificazione nel pignoramento immobiliare subìto e nello stato di malattia di uno dei soci.

Contro questa decisione, il ricorrente ha proposto ricorso in Cassazione ribadendo che la società locatrice nel chiedere il pagamento di 52 canoni di locazione senza aver mai chiesto prima nulla, avrebbe violato i canoni di correttezza e buona fede, incorrendo in un abuso del diritto.

La Terza sezione civile, nel respingere il ricorso, dà atto dell’esistenza di una isolata pronuncia (Cass. 14/06/2021, n. 16743), citata dal ricorrente a sostegno del proprio motivo, la quale in tema però di locazione ad uso abitativo, aveva affermato che “integra abuso del diritto la condotta del locatore, il quale, dopo aver manifestato assoluta inerzia per un periodo di tempo assai considerevole in relazione alla durata del contratto, rispetto alla facoltà di escutere il conduttore per ottenerne il pagamento del canone dovutogli, così ingenerando nella controparte il ragionevole ed apprezzabile affidamento nella remissione del debito ’per facta concludentia’, formuli un’improvvisa richiesta di integrale pagamento del corrispettivo maturato”.

Si tratta tuttavia, prosegue la decisione, di una pronuncia riferita ad una fattispecie diversa. Inoltre, per la Cassazione l’abuso del diritto postula che l’inerzia del titolare “sia tale da ingenerare nella controparte il ragionevole ed apprezzabile affidamento nella remissione del debito per facta concludentia”; una circostanza quest’ultima non integrata nel caso concreto, “poiché la persistente sussistenza, sino al febbraio 2021, di un pignoramento immobiliare che limitava la legittimazione ad agire della proprietaria certamente non poteva ingenerare nel conduttore alcun affidamento sull’eventuale remissione del debito per canoni scaduti.”

Ma il principio non convince la Suprema corte anche per motivi più generali in quanto si tradurrebbe “in una incondizionata apertura all’operatività, nell’ordinamento italiano, di un istituto ad esso sconosciuto, consistente nella Verwirkung del diritto tedesco, quale consumazione del diritto collegato all’inattività (Rechtsverschweigung) del titolare, di cui il codice civile tedesco tradizionalmente fa applicazione, in particolare, in materia di perdita del “praemium inventionis” (§ 971), della provvigione del mediatore (§654) e del diritto al pagamento della clausola penale (§339)”.

Sebbene anche nell’ordinamento italiano vi siano degli esempi simili, per esempio nel diritto del lavoro (il ritardo del datore nel contestare la giusta causa di licenziamento o quello del prestatore di lavoro nella prosecuzione del rapporto) tuttavia nel nostro ordinamento non può darsi ingresso in via generale al principio della Verwirkung.

“La volontà tacita di rinunziare ad un diritto - precisa la Cassazione - si può desumere soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli la sua univoca volontà di non avvalersi del diritto stesso, laddove l’inerzia o il ritardo nell’esercizio del diritto non costituiscono elementi sufficienti, di per sé, a dedurne la volontà di rinuncia, potendo essere frutto di ignoranza, di temporaneo impedimento o di altra causa, e spiegano rilevanza soltanto ai fini della prescrizione estintiva”. “Pertanto - conclude -, il solo ritardo nell’esercizio del diritto, per quanto imputabile al titolare dello stesso e per quanto tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sarà più esercitato, non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso, salvo che tale ritardo sia la conseguenza fattuale di una inequivoca rinuncia tacita o di una modifica della disciplina contrattuale”.

Paino Rai

 

Il diritto dei nonni di mantenere rapporti con i nipoti minorenni deve essere valutato nell’interesse primario del minore

Minori - Rapporti con ascendenti

Il giudice, nel disporre il mantenimento del diritto degli ascendenti a intrattenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, dovrà valutare sia che tale rapporto non arrechi pregiudizio ai minori, ma anche il concreto beneficio che deriverà ai nipoti dalla partecipazione degli ascendenti al progetto educativo e formativo che li riguarda.

Matera: dal 2024 scompare la “tassa sull’ombra”, grazie alla segnalazione di Confesercenti
Matera, la Giunta comunale, ha eliminato dal Canone Unico Patrimoniale. la tariffa relativa alle tende fisse o retrattili a partire dall’anno 2024.
A comunicarlo l’assessore al Bilancio del Comune, Arcangelo Colella, ai dirigenti della Confesercenti locale che erano intervenuti sulla vicenda.

L’assessore Colella, con la serietà che lo contraddistingue, ha ringraziato l’Associazione per aver prontamente segnalato la questione aggiungendo che per questioni tecniche di bilancio non è stato possibile intervenire sulle tariffe relative all’anno 2023.

Pertanto la “tassa sull’ombra” come ribattezzata da tutti, nel Comune di Matera è finita in archivio

Nuovo contratto dirigenza, rebus limiti al rimborso delle spese legali per giudizi davanti alla Corte dei conti

di Gaetano Viciconte e Pasquale Monea

Tra gli istituti innovativi introdotti con il nuovo contratto collettivo per la dirigenza pubblica sottoscritto l’11 dicembre scorso un posto di rilievo lo merita il “patrocinio legale”, riconosciuto anche per i giudizi di responsabilità per danno erariale dinanzi alla Corte dei conti, ma con la limitazione del rimborso delle spese di difesa a quanto liquidato dal giudice.

Retribuzione di posizione e di risultato: i chiarimenti della Cassazione

Se il dirigente pubblico non riceve parte della retribuzione di posizione, può avere diritto a un corrispondente incremento della retribuzione di risultato

Accise, chi spedisce i prodotti è responsabile fino alla consegna
La prova del buon esito della spedizione deve avere provenienza ufficiale; non è valida la documentazione del privato

di Giorgio Emanuele Degani

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 33144 del 29 novembre 2023 ha chiarito che ricade sul soggetto speditore dei prodotti sottoposti ad accisa, in regime sospensivo, l’onere di seguire ogni passaggio della procedura di circolazione e controllare l’arrivo del bene a destinazione, procurandosi la prova del buon esito della spedizione. Tale prova deve essere fornita in modo rigoroso e non può provenire da un privato ma deve avere provenienza ufficiale.

Abusi edilizi, non viola il diritto di difesa l’accertamento incidentale dell’illegittimità della sanatoria

di Paola Rossi

L’accertamento incidentale ha poi constatato che la lottizzazione abusiva, difforme dal permesso di costruire, non può essere sanata col regime che riguarda un altro titolo edilizio abilitativo.
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La difformità dal permesso di costruire di opere che necessitano di tale titolo non sono sanabili con la sanatoria prevista in caso di attività edilizie soggette a Super-Scia. Infatti l’articolo 37 del testo unico dell’edilizia prevede un’ipotesi di sanatoria che è applicabile solo a quegli interventi realizzabili con la segnalazione certificata di inizio attività e che risultino difformi, ma poi vengono sanati.

Gli interventi realizzabili con la segnalazione certificata di inizio attività (anche in caso di super Scia) sono limitati a ristrutturazioni e a piccole modifiche volumetriche e non sono equiparabili alla realizzazione di manufatti realizzati in un piano di lottizzazione. La lottizzazione abusiva per gravi difformità dal permesso di costruire non perdono la loro rilevanza penale neanche con la novella recata dal Dlgs 222/2016 che cancella la vecchia super Dia per varare la super Scia e che di fatto non ha apportato una differenza apprezzabile tra i due titoli che si pongono in totale continuità.

La Corte di cassazione penale ha respinto il ricorso degli imputati con la sentenza n. 47909/2023. Rigettando in particolare il motivo con cui veniva lamentata la violazione del diritto di difesa per avere, in assenza di un pieno contraddittorio, i giudici di appello ritenuto nullo (oltre che falso) l’atto in sanatoria adottato ex articolo 37 del Tue. La Cassazione asserisce che il giudice può accertare incidentalmente l’illegittimità dell’atto amministrativo senza per questo incorrere nella violazione lamentata.

E l’accertamento incidentale non ha fatto altro che constatare che la lottizzazione abusiva, perché difforme dal permesso di costruire, non è ipotizzabile che sia sanata col regime che riguarda un altro titolo edilizio abilitativo.

Il caso concreto, come rileva la Cassazione, fa emergere un comportamento all’apparenza illogico da parte degli imputati anche se mossi dal comprensibile intento di ottenere un titolo sanante a fronte degli abusi realizzati rispetto al permesso di costruire.

Essi infatti invocando la sanatoria relativa alla segnalazione certificata hanno creato solo una falsa apparenza di abusi sanati dal Comune: prima presentando una Scia per fini diversi da quelli a cui è dedicata, poi chiedendo la sanatoria per alcuni vizi, con la pretesa che questa coprisse le precedenti e gravi difformità da tutto altro tipo di titolo abilitativo, il permesso di costruire.

Niente parapetto? Per la caduta dall’alto responsabile il datore di lavoro

di Massimo Frontera

La responsabilità può essere ascritta al lavoratore, ricorda la Corte di Cassazione, solo per un comportamento che si colloca in una sfera di rischio al di fuori quella governata dal titolare della posizione.

Dopo aver perso l’equilibrio, un lavoratore di una impresa di pulizie all’interno di una costruzione, è caduto da un’altezza di due metri da un punto in cui era assente il parapetto, fratturandosi alcune costole. Il datore di lavoro è stato condannato dal tribunale per violazioni al codice della sicurezza sul lavoro; e in particolare per non aver adottato «misure idonee a non esporre i lavoratori dipendenti al rischio di caduta nelle zone non protette come le scale fisse che conducevano ai piani superiori.

 

Il giudice di pace non può negare de plano la tenuità del fatto per lo straniero che viola l’ordine di allontanamento

Anche se non è applicabile l’articolo 131 bis del Codice penale va esaminata la causa di improcediblità dell’articolo 34 del Dlgs 274/2000, Il giudice di pace non può a priori esimersi dall’esaminare l’eventuale sussistenza della particolare tenuità del fatto solo perché il reato è quello previsto dall’articolo 14, comma 5 ter, del Dlgs 268/1998. Cioè la violazione dell’ordine di allontanamento rivolto dal questore allo straniero irregolare. Non può il giudice di pace ritenere che la fattispecie penale rivesta in sé un valore di gravità tale da non consentire un giudizio di tenuità della condotta ascritta all’imputato.

La Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 41544/2023 - ha annullato la decisione del giudice di pace che intravedeva una “gravità intrinseca” nel reato contestato allo straniero e ha rinviato affinché venga adeguatamente esaminata e motivata l’esclusione o la sussistenza di tutti i parametri della particolare tenuità del fatto che determina l’improcedibilità dell’azione penale davanti al giudice di pace. La Corte di cassazione ha avuto l’ennesima occasione di affermare che pur non essendo applicabile la causa di non punibilità prevista dall'art.131 bis dell'articolo 131 bis del codice penale, il giudice di pace deve valutare la concorrente causa di improcedibilità per la particolare tenuità del fatto contemplata dal Dlgs 274/2000 che ne regola la competenza penale.Si tratta dell’articolo 34 che a fronte dell’interesse tutelato dalla norma penale definisce i contorni della condotta che non giusitificano l’esercizio dell’azione penale:

- esiguità del danno o del pericolo arrecato;
-occasionalità della condotta con “basso” grado di colpevolezza e
- pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato.
La Cassazione penale ha, in sintesi, bocciato il ragionamento del giudice di pace secondo cui data la natura del bene tutelato dalla norma incriminatrice in materia di immigrazione illegale non era ravvisabile in radice una particolare tenuità del fatto.

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